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18.8.22

Don Franco Barbero, il prete che sposa i gay, ha una moglie e fa celebrare le donne. in quanto L'amore è sempre un dono

 non mi  sono pentito  d'aver intervistato    ( qui la mia  intervista  con annesso il  suo blog  ed i suoi contatti )   a Don Franco Barbero,


il prete che sposa i gay, ha una moglie e fa celebrare le donne. in quanto : << L'amore è sempre un dono>>. Infatti    Quello che  lui ha  subito     si   Formalmente si chiama «sospensione dal servizio».

frame del video   che trovate  sottto


 I più la chiamano scomunica. Per don Franco Barbero, il prete di Pinerolo che unirà in matrimonio Federica e Isabel, ex suore missionarie, è arrivata nel 2003, quando poteva già definirsi un anziano. È rimasto senza un tetto, senza cibo, senza soldi. Lo ha ospitato la comunità in cui oggi vive e a cui si rivolgono coppie omosessuali, ma non solo, da tutta Italia. Franco Barbero è un prete che, nonostante l’esclusione dalla Chiesa, continua a sposare coppie gay e lesbiche. Celebra l’eucarestia. Nel pinerolese è amato da tutti. Molti lo considerano un paladino dei diritti. Oggi ha quasi 80 anni. È stato lui a ospitare le due suore in comunità e ad aiutarle nella ricerca di una casa e di un lavoro. «Stiamo facendo un bel cammino insieme, sono due donne molto positive – racconta - ho un gruppo con cui facciamo un percorso. Ci sono anche loro. Amare la chiesa vuol dire aiutarsi a liberarsi. Dio vuole la felicità – dice don Barbero – e quando la chiesa crea leggi oppressive bisogna avere il coraggio di dire che invece Dio è bello e che ci vuole felici.
«Io ho quasi 80 anni – racconta  ad  un intervista  di qualche  tempo  fa  a l corriere  della sera    - e ho visto tanta gente soffrire in nome di Dio. Ma era colpa della Chiesa, non di Dio. Ho avuto una vita bellissima. In mezzo ai poveri, per la strada». La scomunica del 2003 non ha cambiato nulla. «In verità nella mia diocesi continuo a professare – spiega l’uomo espulso dalla gerarchia ecclesiastica – cioè è come se la scomunica non ci fosse stata. Prima c’è l’obbedienza a Dio, poi il diritto canonico». E così don Franco continua a dire messa – « celebro l’eucarestia nella comunità dove risiedo, e paghiamo l’affitto per starci» – e viene chiamato in molte parrocchie per farlo. «Ricevo molti inviti – ammette – effettivamente, nonostante la sospensione, mi chiamano davvero in tanti. Non ho fatto né soldi né carriera nella mia vita, vivo con le persone di strada. Ma sono molto amato. Da quando la chiesa mi ha sospeso mi aiuta la mia comunità, non mi serve niente. C’è solo da vivere. E la vita è bellissima ». Punto di riferimento Don Barbero è diventato un punto di riferimento per molti cattolici respinti dalla Chiesa. Per gli omosessuali, ma anche per coloro che hanno preso i voti e che scoprono di volere vivere la loro sessualità. Il suo blog – «non lo so usare, perché sono un analfabeta di internet» – è uno dei mezzi con cui dialoga con le persone. «Ricevo tantissime lettere al giorno», dice, e ricorda che Isabel e Federica lo hanno trovato cercandolo da lontano. «Dall’Africa mi hanno contattato. Ho sentito da subito una profonda sintonia e loro si sono affezionate a me. Io a loro. C’è tanto bisogno di ascolto. Io amo più le persone che mi fanno delle domande che quelle che dichiarano certezze».  Sia    questo  articolo    del corriere   sia     sia  quello  riportato  sotto     confermano  qiuello che  dicevo all'inizio    sono orgoglioso  di  averlo intervistato  


da repubblica

"Ratzinger licenzia il prete che sposa i gay" titolavano i giornali nel marzo 2003. Un provvedimento pontificio che non ha comunque impedito a Franco Berbero di continuare a celebrare nella sua comunità e di seguitare nel farsi chiamare "don", titolo che a Pinerolo nessuno sembra mettere in discussione.



 "In quasi 60 anni di ministero ho sposato 690 coppie omosessuali" racconta con orgoglio don Franco nello studio della casa in cui vive con la moglie. A 83 anni suonati snocciola con grande precisione i ricordi della sua memoria: racconta di quando, giovane prete, pensava che la Chiesa avesse in mano la verità e dei successivi anni pieni di dubbi, incontri e pregiudizi infranti. "Nel '63 un ragazzo omosessuale mi fece conoscere il suo compagno. Quell'incontro mi ha cambiato la vita. Nel '71 fondai un gruppo di incontro per i gay e 7 anni più tardi cominciai a sposarli" ricorda don Franco. Una pratica da subito condannata dai suoi superiori ma che esplose definitivamente solo nel 2000 quando, in occasione del giubileo, il prete di Pinerolo si spinse a dire che l'omosessualità è un dono. "Non volli mai ritrattare quella frase, sarebbe stato scorretto nei confronti di quello che avevo fatto e nei confronti della mia comunità". Nel 2003 viene dimesso dallo stato clericale, ma don Franco non ha mai rinunciato a portare avanti il suo ministero in disobbedienza ai diktat vaticani. Nelle sue comunità di Pinerolo, Torino e Piossasco continua a celebrare matrimoni tra gay, lesbiche e trans, ha una moglie e permette alle donne di amministrare l'eucarestia. "Con la sua chiusura, la Chiesa sta perdendo tantissime chiamate di Dio - racconta con le lacrime agli occhi -. Tante persone si stanno allontanando convinte che per far parte della Chiesa sia necessario avere un tesserino: o sei maschio eterosessuale o rimani fuori. Io dico che questo messaggio compromette il Vangelo".
 
di Davide Cavalleri

1.4.21

Pietà e passione La Via Crucis della pandemia

 chi dice  che  i  laici e  i  non frequenti  alle messe   siano  atei   si legga   quanto scrive  nell'articolo riportato sotto  Stefano Massini    e  poi mi riscriva   per  riprovare  a dialogare  e  magari (  io ci credo  poco  ) si scusi per la  ...  che mi ha lanciato  togliendomi   dai  contatti  e  per  giunta  senza  dare  la possibilità di replicare   e provare  a capire  che esistono  anche  altri modi  di credere  e   che  esiste  anche  una  fede  diversa   da questa mia  citazione   musicale   che  per  una  qualche   strana  ed  casuale  coincidenza   corrisponde   alla canzone che    sto ascoltando  in radio  in questo istante  

 [...] 

Mi han detto
Che questa mia generazione ormai non crede
In ciò che spesso han mascherato con la fede
Nei miti eterni della patria o dell'eroe
Perchè è venuto ormai il momento di negare
Tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura
Una politica che è solo far carriera
Il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto
L'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto
E un dio che è morto
Nei campi di sterminio, dio è morto
Coi miti della razza, dio è morto
Con gli odi di partito, dio è morto
[... ]
 da Dio  è morto  - F. Guccini 


Era mezzogiorno, quando si fece buio sulla terra… ». Da secoli la Via Crucis è paradigma di ogni sofferenza umana, tanto che usiamo il termine Calvario per definire il tragitto di chiunque combatta la sua personale lotta col dolore. A distanza di un anno dall’inizio della pandemia, è tuttavia il mondo intero a sentirsi ancora sul Golgota, per cui proviamo a rileggere le 14 stazioni della Passione come metafore di questa lunga, tormentata esperienza collettiva.



I. Condanna a morte

Fra i tripudi della folla che gli preferì Barabba, l’inizio del Calvario è nel segno di una leggerezza spiazzante, la massa sceglie chi sopravviverà con la stessa distrazione con cui si vota a un reality show. La banalità del male la descrisse la Arendt, a noi tocca declinare la banalità del dolore, che in genere ci beffa presentandosi come un’inezia. Due linee di febbre.

II. La presa della croce

Ci sono molte risate intorno alla crocifissione: scherni, dileggi, sarcasmi. L’estremo dolore va spesso d’accordo con la farsa, che sembra talvolta un disperato modo di compensare lo spettacolo della morte con un’artefatta botta di vitalità. Per la serie: mentre tu muori, a me interessa volare alle Baleari e sbronzarmi sotto una palma.

III. Prima caduta

La prima caduta del Calvario è quella dei morti uccisi dal virus, centinaia di migliaia. Ma a distanza di un anno dall’inizio di questa danza macabra, abbiamo perso quasi del tutto lo scandalo del morire. Scorriamo con sguardo asettico la lista dei caduti del giorno, perché valgono più le implicazioni dei decessi che non i cadaveri stessi. La morte ha perso il suo impatto, fa parte del paesaggio. E il virus killer, per paradosso, ha ucciso anche lei.

IV. Incontro con la madre

Nelle Rsa ci si può abbracciare solo attraverso il cellophane. Neppure il vaccino ha potuto scalfire questo aberrante diaframma, e nel frattempo migliaia di persone hanno visto svanire genitori e cari nel cono d’ombra di ospedali divenuti fortezze inaccessibili e impermeabili all’esterno. «Non so più niente di mia madre», «qualcuno mi dia notizie di mio padre». Il baratro.

V. Il Cireneo

Simone di Cirene passava per caso, ma venne obbligato a portare la croce. Insomma, suo malgrado si trovò coinvolto. E assomiglia davvero a quelli che sono finiti “dentro” la ruota del virus pur non essendone contagiati direttamente: passavano per caso, ma non volle dir niente. E i tentacoli di questa piovra ci hanno raggiunto di fatto tutti.

VI. Veronica deterge il volto

Unico tratto di tenerezza nell’abominio del Calvario è questa donna che grazie a un attimo di illuminata sensibilità, è stata celebrata nei secoli. Ma sono migliaia le Veroniche senza nome che in questo preciso istante, fra corsie Covid e Rsa, possono scegliere a un bivio che — sia chiaro — non è fra generosità e

egoismo, bensì fra l’umano e il disumano.

VII. Seconda caduta

Scrisse Dante “caddi come corpo morto cade”, e così è stato per molti, troppi, dal momento che dopo i morti per Covid, ci sono i caduti senza Covid. Sono quelli che in un anno hanno visto crollare l’equilibrio costruito per vivere. Ognuno di noi è a suo modo un equilibrista, per cui tutti, più o meno, siamo caduti dal filo. Posti di lavoro spazzati via, chiusure infinite, bandoni abbassati, agende vuote, sedie sui tavoli, luci spente, miriadi di cartelli “Affittasi” e “Vendesi”. Qui giace il lavoro.

VIII. Cristo parla alle donne

«Non piangete per me ma per i vostri figli…» sono parole che assumono adesso un’eco inquietante. Una generazione intera di giovanissimi uscirà razziata e sconvolta da oltre un anno di rinuncia all’affetto, all’istruzione in presenza, alla socialità. Le conseguenze nel tempo saranno incalcolabili. E per favore, nessuno si azzardi a dire «tanto sono giovani, ne usciranno».

IX. Terza caduta

Poi c’è la schiera immensa di chi non trova la propria caduta né su un referto clinico né su un registro contabile. Alzi la mano chi è rimasto in piedi, nel grande girotondo in cui si finisce “tutti giù per terra”, perché a essere affossato è il senso stesso del poter vivere, inteso come plasmarsi la vita. Il divieto e la limitazione sono diventati condizione e perimetro di un’esistenza tramutata in r-esistenza, in cui tuttavia è difficile non cedere alla d-esistenza.

X. Si giocarono le sue vesti

Gli sciacalli, è noto, si accaniscono su ciò che resta. In senso etico simboleggiano la defunta pietà, ma anche la facilità con cui gli opportunisti abdicano al criterio del lecito. Ecco, la crisi comporta il rischio che tutto appaia d’un tratto giustificato e legittimo, proprio perché «la situazione è grave». In altri termini, il Covid può essere un grande alibi.

XI. Cristo inchiodato in croce

Tutti uguali a tutti, il profeta come i ladroni, i vip come i poveracci, i capi di Stato come gli homeless. Il virus ha insegnato che le piramidi gerarchiche sono giochetti di cui madre Natura non si cura affatto. O così almeno ci piace raccontarci, assegnando almeno questo merito al nefasto ospite. Ma è davvero così? Lo sapremo con la distribuzione dei vaccini al Terzo Mondo.

XII. Morte

I telefonini già da anni entravano in sala parto, rendendo il nascere un fatto pubblico. Ma la morte? Mai era stata tanto spiata come nell’ultimo anno. Le telecamere sono entrate a sbirciare fra i tubi delle rianimazioni, negli obitori dove si piange, nei depositi delle bare. Si è smarrito il pudore del morire, e con esso la sua sacralità.

XIII. Deposizione

Riferiscono i Vangeli che all’ultimo respiro esalato sul Golgota seguì un terremoto. Dopodiché, il silenzio, ovvero quel ritorno alla normalità che a pensarci bene è la parte più spietata di ogni sofferenza: per quanto straziante sia, finirà per sparire nel grande tritacarne e si volterà pagina. È questo che cerchiamo, con la normalità: l’archiviazione.

XIV. Sepoltura

Un corpo senza vita riposto in un sepolcro, e fine della storia. Come dire: l’elaborazione del post Covid è tutta da venire, tutta ancora da iniziare, e non è detto che conduca alla resurrezione. Basterebbe che tutto questo dolore assumesse semplicemente un senso, laddove — per adesso — brancoliamo nel buio.


Infatti  distanza di un anno dall’apparizione del virus il mondo intero vive ancora il suo calvario La prima caduta sul Golgota è quella dei malati, morti da soli o quasi negli ospedali. e  proprio  mentre    scrivevo  le  ultime   righe  i questo   post mi è ritornata   a mente questa  canzone demenziale  

 

  con queste    è tutto  

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