non mi sono pentito d'aver intervistato ( qui la mia intervista con annesso il suo blog ed i suoi contatti ) a Don Franco Barbero,
il prete che sposa i gay, ha una moglie e fa celebrare le donne. in quanto : << L'amore è sempre un dono>>. Infatti Quello che lui ha subito si Formalmente si chiama «sospensione dal servizio».
frame del video che trovate sottto
I più la chiamano scomunica. Per
don Franco Barbero, il prete di Pinerolo che unirà in matrimonio Federica e Isabel, ex suore missionarie,
è arrivata nel 2003, quando poteva già definirsi un anziano. È rimasto
senza un tetto, senza cibo, senza soldi. Lo ha ospitato la comunità in
cui oggi vive e a cui si rivolgono coppie omosessuali, ma non solo, da
tutta Italia. Franco
Barbero è un prete che, nonostante l’esclusione dalla Chiesa, continua a
sposare coppie gay e lesbiche. Celebra l’eucarestia. Nel pinerolese è
amato da tutti. Molti lo considerano un paladino dei diritti. Oggi ha
quasi 80 anni. È stato lui a ospitare le due suore in comunità e ad
aiutarle nella ricerca di una casa e di un lavoro. «Stiamo facendo un
bel cammino insieme, sono due donne molto positive – racconta - ho un
gruppo con cui facciamo un percorso. Ci sono anche loro. Amare la chiesa
vuol dire aiutarsi a liberarsi. Dio vuole la felicità – dice don
Barbero – e quando la chiesa crea leggi oppressive bisogna avere il
coraggio di dire che invece Dio è bello e che ci vuole felici. «Io
ho quasi 80 anni – racconta ad un intervista di qualche tempo fa a l corriere della sera - e ho visto tanta gente soffrire in nome
di Dio. Ma era colpa della Chiesa, non di Dio. Ho avuto una vita
bellissima. In mezzo ai poveri, per la strada». La scomunica del 2003
non ha cambiato nulla. «In verità nella mia diocesi continuo a
professare – spiega l’uomo espulso dalla gerarchia ecclesiastica – cioè è
come se la scomunica non ci fosse stata. Prima c’è l’obbedienza a Dio,
poi il diritto canonico». E così don Franco continua a dire messa –
« celebro l’eucarestia nella comunità dove risiedo, e paghiamo l’affitto
per starci» – e viene chiamato in molte parrocchie per farlo. «Ricevo
molti inviti – ammette – effettivamente, nonostante la sospensione, mi
chiamano davvero in tanti. Non ho fatto né soldi né carriera nella mia
vita, vivo con le persone di strada. Ma sono molto amato. Da quando la
chiesa mi ha sospeso mi aiuta la mia comunità, non mi serve niente. C’è
solo da vivere. E la vita è bellissima ». Punto di riferimento Don
Barbero è diventato un punto di riferimento per molti cattolici
respinti dalla Chiesa. Per gli omosessuali, ma anche per coloro che
hanno preso i voti e che scoprono di volere vivere la loro sessualità.
Il suo blog – «non lo so usare, perché sono un analfabeta di internet» –
è uno dei mezzi con cui dialoga con le persone. «Ricevo tantissime
lettere al giorno», dice, e ricorda che Isabel e Federica lo hanno
trovato cercandolo da lontano. «Dall’Africa mi hanno contattato. Ho
sentito da subito una profonda sintonia e loro si sono affezionate a me.
Io a loro. C’è tanto bisogno di ascolto. Io amo più le persone che mi
fanno delle domande che quelle che dichiarano certezze». Sia questo articolo del corriere sia sia quello riportato sotto confermano qiuello che dicevo all'inizio sono orgoglioso di averlo intervistato
da repubblica
"Ratzinger licenzia il prete che sposa i gay" titolavano i giornali nel marzo 2003. Un provvedimento pontificio che non ha comunque impedito a Franco Berbero di continuare a celebrare nella sua comunità e di seguitare nel farsi chiamare "don", titolo che a Pinerolo nessuno sembra mettere in discussione.
"In quasi 60 anni di ministero ho sposato 690 coppie omosessuali" racconta con orgoglio don Franco nello studio della casa in cui vive con la moglie. A 83 anni suonati snocciola con grande precisione i ricordi della sua memoria: racconta di quando, giovane prete, pensava che la Chiesa avesse in mano la verità e dei successivi anni pieni di dubbi, incontri e pregiudizi infranti. "Nel '63 un ragazzo omosessuale mi fece conoscere il suo compagno. Quell'incontro mi ha cambiato la vita. Nel '71 fondai un gruppo di incontro per i gay e 7 anni più tardi cominciai a sposarli" ricorda don Franco. Una pratica da subito condannata dai suoi superiori ma che esplose definitivamente solo nel 2000 quando, in occasione del giubileo, il prete di Pinerolo si spinse a dire che l'omosessualità è un dono. "Non volli mai ritrattare quella frase, sarebbe stato scorretto nei confronti di quello che avevo fatto e nei confronti della mia comunità". Nel 2003 viene dimesso dallo stato clericale, ma don Franco non ha mai rinunciato a portare avanti il suo ministero in disobbedienza ai diktat vaticani. Nelle sue comunità di Pinerolo, Torino e Piossasco continua a celebrare matrimoni tra gay, lesbiche e trans, ha una moglie e permette alle donne di amministrare l'eucarestia. "Con la sua chiusura, la Chiesa sta perdendo tantissime chiamate di Dio - racconta con le lacrime agli occhi -. Tante persone si stanno allontanando convinte che per far parte della Chiesa sia necessario avere un tesserino: o sei maschio eterosessuale o rimani fuori. Io dico che questo messaggio compromette il Vangelo".
chi dice che i laici e i non frequenti alle messe siano atei si legga quanto scrive nell'articolo riportato sotto Stefano Massini e poi mi riscriva per riprovare a dialogare e magari ( io ci credo poco ) si scusi per la ... che mi ha lanciato togliendomi dai contatti e per giunta senza dare la possibilità di replicare e provare a capire che esistono anche altri modi di credere e che esiste anche una fede diversa da questa mia citazione musicale che per una qualche strana ed casuale coincidenza corrisponde alla canzone che sto ascoltando in radio in questo istante
[...]
Mi han detto
Che questa mia generazione ormai non crede
In ciò che spesso han mascherato con la fede
Nei miti eterni della patria o dell'eroe
Perchè è venuto ormai il momento di negare
Tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura
Una politica che è solo far carriera
Il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto
L'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto
E un dio che è morto
Nei campi di sterminio, dio è morto
Coi miti della razza, dio è morto
Con gli odi di partito, dio è morto
[... ]
da Dio è morto - F. Guccini
Era mezzogiorno, quando si fece buio sulla terra… ». Da secoli la Via Crucis è paradigma di ogni sofferenza umana, tanto che usiamo il termine Calvario per definire il tragitto di chiunque combatta la sua personale lotta col dolore. A distanza di un anno dall’inizio della pandemia, è tuttavia il mondo intero a sentirsi ancora sul Golgota, per cui proviamo a rileggere le 14 stazioni della Passione come metafore di questa lunga, tormentata esperienza collettiva.
I. Condanna a morte
Fra i tripudi della folla che gli preferì Barabba, l’inizio del Calvario è nel segno di una leggerezza spiazzante, la massa sceglie chi sopravviverà con la stessa distrazione con cui si vota a un reality show. La banalità del male la descrisse la Arendt, a noi tocca declinare la banalità del dolore, che in genere ci beffa presentandosi come un’inezia. Due linee di febbre.
II. La presa della croce
Ci sono molte risate intorno alla crocifissione: scherni, dileggi, sarcasmi. L’estremo dolore va spesso d’accordo con la farsa, che sembra talvolta un disperato modo di compensare lo spettacolo della morte con un’artefatta botta di vitalità. Per la serie: mentre tu muori, a me interessa volare alle Baleari e sbronzarmi sotto una palma.
III. Prima caduta
La prima caduta del Calvario è quella dei morti uccisi dal virus, centinaia di migliaia. Ma a distanza di un anno dall’inizio di questa danza macabra, abbiamo perso quasi del tutto lo scandalo del morire. Scorriamo con sguardo asettico la lista dei caduti del giorno, perché valgono più le implicazioni dei decessi che non i cadaveri stessi. La morte ha perso il suo impatto, fa parte del paesaggio. E il virus killer, per paradosso, ha ucciso anche lei.
IV. Incontro con la madre
Nelle Rsa ci si può abbracciare solo attraverso il cellophane. Neppure il vaccino ha potuto scalfire questo aberrante diaframma, e nel frattempo migliaia di persone hanno visto svanire genitori e cari nel cono d’ombra di ospedali divenuti fortezze inaccessibili e impermeabili all’esterno. «Non so più niente di mia madre», «qualcuno mi dia notizie di mio padre». Il baratro.
V. Il Cireneo
Simone di Cirene passava per caso, ma venne obbligato a portare la croce. Insomma, suo malgrado si trovò coinvolto. E assomiglia davvero a quelli che sono finiti “dentro” la ruota del virus pur non essendone contagiati direttamente: passavano per caso, ma non volle dir niente. E i tentacoli di questa piovra ci hanno raggiunto di fatto tutti.
VI. Veronica deterge il volto
Unico tratto di tenerezza nell’abominio del Calvario è questa donna che grazie a un attimo di illuminata sensibilità, è stata celebrata nei secoli. Ma sono migliaia le Veroniche senza nome che in questo preciso istante, fra corsie Covid e Rsa, possono scegliere a un bivio che — sia chiaro — non è fra generosità e
egoismo, bensì fra l’umano e il disumano.
VII. Seconda caduta
Scrisse Dante “caddi come corpo morto cade”, e così è stato per molti, troppi, dal momento che dopo i morti per Covid, ci sono i caduti senza Covid. Sono quelli che in un anno hanno visto crollare l’equilibrio costruito per vivere. Ognuno di noi è a suo modo un equilibrista, per cui tutti, più o meno, siamo caduti dal filo. Posti di lavoro spazzati via, chiusure infinite, bandoni abbassati, agende vuote, sedie sui tavoli, luci spente, miriadi di cartelli “Affittasi” e “Vendesi”. Qui giace il lavoro.
VIII. Cristo parla alle donne
«Non piangete per me ma per i vostri figli…» sono parole che assumono adesso un’eco inquietante. Una generazione intera di giovanissimi uscirà razziata e sconvolta da oltre un anno di rinuncia all’affetto, all’istruzione in presenza, alla socialità. Le conseguenze nel tempo saranno incalcolabili. E per favore, nessuno si azzardi a dire «tanto sono giovani, ne usciranno».
IX. Terza caduta
Poi c’è la schiera immensa di chi non trova la propria caduta né su un referto clinico né su un registro contabile. Alzi la mano chi è rimasto in piedi, nel grande girotondo in cui si finisce “tutti giù per terra”, perché a essere affossato è il senso stesso del poter vivere, inteso come plasmarsi la vita. Il divieto e la limitazione sono diventati condizione e perimetro di un’esistenza tramutata in r-esistenza, in cui tuttavia è difficile non cedere alla d-esistenza.
X. Si giocarono le sue vesti
Gli sciacalli, è noto, si accaniscono su ciò che resta. In senso etico simboleggiano la defunta pietà, ma anche la facilità con cui gli opportunisti abdicano al criterio del lecito. Ecco, la crisi comporta il rischio che tutto appaia d’un tratto giustificato e legittimo, proprio perché «la situazione è grave». In altri termini, il Covid può essere un grande alibi.
XI. Cristo inchiodato in croce
Tutti uguali a tutti, il profeta come i ladroni, i vip come i poveracci, i capi di Stato come gli homeless. Il virus ha insegnato che le piramidi gerarchiche sono giochetti di cui madre Natura non si cura affatto. O così almeno ci piace raccontarci, assegnando almeno questo merito al nefasto ospite. Ma è davvero così? Lo sapremo con la distribuzione dei vaccini al Terzo Mondo.
XII. Morte
I telefonini già da anni entravano in sala parto, rendendo il nascere un fatto pubblico. Ma la morte? Mai era stata tanto spiata come nell’ultimo anno. Le telecamere sono entrate a sbirciare fra i tubi delle rianimazioni, negli obitori dove si piange, nei depositi delle bare. Si è smarrito il pudore del morire, e con esso la sua sacralità.
XIII. Deposizione
Riferiscono i Vangeli che all’ultimo respiro esalato sul Golgota seguì un terremoto. Dopodiché, il silenzio, ovvero quel ritorno alla normalità che a pensarci bene è la parte più spietata di ogni sofferenza: per quanto straziante sia, finirà per sparire nel grande tritacarne e si volterà pagina. È questo che cerchiamo, con la normalità: l’archiviazione.
XIV. Sepoltura
Un corpo senza vita riposto in un sepolcro, e fine della storia. Come dire: l’elaborazione del post Covid è tutta da venire, tutta ancora da iniziare, e non è detto che conduca alla resurrezione. Basterebbe che tutto questo dolore assumesse semplicemente un senso, laddove — per adesso — brancoliamo nel buio.
Infatti distanza di un anno dall’apparizione del virus il mondo intero vive ancora il suo calvario La prima caduta sul Golgota è quella dei malati, morti da soli o quasi negli ospedali. e proprio mentre scrivevo le ultime righe i questo post mi è ritornata a mente questa canzone demenziale