Cinque ginecologi su sei rifiutano di interrompere le gravidanze. La denuncia delle associazioni: "Molte donne costrette all'illegalità"
17 AGOSTO 2021
Un tasso di obiezione di coscienza inferiore solo al Molise e alla provincia autonoma di Bolzano rende la Sicilia il posto in cui gli aborti clandestini e la legge 194, quella che dal 1978 regola le interruzioni volontarie di gravidanza in Italia, coesistono. Tenendo presente che i tempi per questi interventi sono limitati, visto che le donne — a seconda del metodo — possono interrompere una gravidanza al massimo entro i primi 90 giorni dal concepimento, chi decide di farlo nell’Isola si scontra con intoppi di ogni genere. E non sono poche le donne che valicano i confini regionali o della legge pur di farlo.
Obiettori 5 ginecologi su 6
Il calvario inizia con la difficoltà di sapere come, quando e dove: i siti del ministero della Salute e dell’assessorato regionale alla Sanità non fanno cenno alle modalità di accesso. Da quanto emerge dalle testimonianze, da Palermo a Catania il sistema è ipertrofico: i consultori spesso ignorano il telefono e gli ospedali tendono a rimandare di settimana in settimana l’appuntamento, anche solo telefonico, chiesto da chi ha bisogno di informazioni. A monte di tutto ciò, i report del ministero e degli osservatori indipendenti concordano nel registrare un tasso di obiezione di coscienza dell’82,7 per cento, che in alcune province è pari al 100 per cento, come per esempio a Marsala. Di conseguenza, nel 2019, l’Istat dava 5.281 interruzioni volontarie di gravidanza in tutta la Sicilia, un numero inferiore a quello della sola città di Milano, 5.326. Ancora un dato: grazie alle mappe online delle associazioni pro-choice si scopre che l’accesso all’Ivg farmacologica con Ru486, possibile solo entro le prime 9 settimane, è attuata solo in otto strutture in tutta la Sicilia.
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Alla ricerca di un ambulatorio
Le storie dietro questi numeri sono violente: Sara racconta di aver litigato con lo staff sanitario che per ore ha tentato di dissuaderla, Claudia ha ascoltato le preghiere di una suora a fianco a lei durante tutta l’attesa, Valentina non trova nel suo Comune ginecologi che le facciano l’ecografia che certifica lo stato di gravidanza fondamentale per procedere e Lucia, lavoratrice con due bambini, deve affrontare dei pellegrinaggi a ovest perché in Sicilia orientale nessuno le fornisce la Ru486. Messina è dove inizia l’avventura di Virginia che dopo decine di telefonate e viaggi in lungo e in largo durante un periodo di “zona rossa” è riuscita a interrompere la gravidanza a Palermo pochi giorni prima dello scadere dei termini legali. «Io non sono obiettore ma tutto lo staff lo è, quindi non facciamo Ivg — racconta Giorgio, ginecologo di una struttura nel messinese — sono una decina all’anno le donne che vengono per questo e cerco di aiutarle mettendole in contatto con colleghi altrove».
Le scelte del personale non medico rispetto a come porsi davanti le Ivg sono un’altra variabile che incide: il ministero della Salute, nel 2016, dava un tasso di obiezione di coscienza negli staff delle strutture italiane pari all’85,2 per cento. Dalla zona di Agrigento raccontano: «Ho fatto l’Ivg farmacologica al Giovanni Paolo II di Sciacca. Dopo diverse ricerche ho capito che potevo rivolgermi solo a un ginecologo in tutta la provincia».
In viaggio verso il nord
Nell’intero territorio trapanese c’è un solo ospedale in cui si può abortire per scelta e a Catania «abbiamo dovuto aprire un consultorio noi — dice Maria Giovanna Chiovaro, del collettivo “Non una di meno” — tra ospedali che chiudono e consultori fantasma le donne sfiorano la disperazione delle ultime ore. Alcune per avere la certezza di farlo partono per il nord perché qui a Catania la Ru486 praticamente non esiste, quando arrivano da noi sono esauste». A Palermo il tasso di obiezione è leggermente inferiore, tuttavia «il diritto all’Ivg è in pericolo: noi stiamo andando tutti in pensione e oggi le classi di specializzazione sono tutte di futuri obiettori», dice Francesco Gentile, dell’ospedale Cervello.
Ma perché? «A parte un esiguo gruppo di colleghi che lo fa per motivi religiosi gli altri scelgono di dare le spalle a un carico di lavoro enorme e meno siamo più è difficile applicare la legge». Alcuni anni fa al Cervello fu finanziato un progetto che agevolava e sveltiva le Ivg. «Mi riferiscono che in quel periodo nessuno era più obiettore, poi finito il progetto e quindi i soldi ecco di nuovo l’obiezione — sottolinea Gentile — ne deduco che se ci fosse un riconoscimento economico il tasso di obiezione si dimezzerebbe. È un invito a valutare l’idea di incentivare queste procedure. Non è più possibile che in una nazione esista una legge e contemporaneamente una percentuale così alta di obiettori». Una visione confermata da una collega più giovane che attacca: «Sono una delle poche in Sicilia a praticare l’Ivg — dice Rosalia, ginecologa non obiettrice — E confermo anche che la Ru486 è difficilissima da trovare, nonostante la legge, soprattutto dalle parti di Messina». Poi c’è il problema dei colleghi obiettori: «Mi ci scontro spesso — racconta — d’accordo non fare le Ivg ma nemmeno è giusto scaricare tutte le pazienti a noi negando informazioni e a volte anche esami specifici. Siamo sommersi di lavoro».
Una questione di fede
Chi fa obiezione di coscienza si appella spesso alla fede. «L’ho fatto per motivi religiosi — spiega un medico di Palermo — mi sentivo troppo in colpa e ho smesso. Credo sia però doveroso aiutare le pazienti a procedere facendo da tramite tra loro e i colleghi: non occorre entrare nel merito della loro decisione, presa giustamente in autonomia». Da Catania una ginecologa obiettrice spiega che non ha mai praticato le Ivg per motivi religiosi e che «l’obiezione quando c’è è totale: non fai differenza tra Ivg e aborto terapeutico, non interrompi nessuna gravidanza». Il che rimanda all’articolo 9 della legge 194: «L’obiezione di coscienza — si legge nella norma — non può essere invocata quando l’intervento è indispensabile per salvare la vita della donna». La legge del 1978, però, è di fatto una legge costantemente disapplicata.
«Se non ci fossero le associazioni — commenta Maria Angela Fatta, attivista di Non una di Meno — tante donne non saprebbero come fare, per non parlare di migranti o altre fasce fragili: stiamo tornando a parlare di aborti clandestini e conosciamo i rischi che ne derivano, ma purtroppo alcune non hanno altre modalità. Tutto a causa della mancanza di controlli sul tasso di obiezione, di informazione pubblica e di amministrazioni locali che operano secondo la loro morale lasciando le donne a informarsi tramite passaparola». Dalle diverse province sono tante le ragazze che contattano la rete associativa del capoluogo per essere aiutate: «Grazie alle reti si sa che qui va un po’ meglio — continua Fatta — ma siamo ben lontane da una situazione dignitosa».
Boom di anestesisti obiettori
E se il tasso di obiezione tra i ginecologi cresce di anno in anno, lo stesso accade tra gli anestesisti: nel 2017 le statistiche del ministero della Salute registravano un’obiezione di coscienza tra gli anestesisti pari al 49.3 per cento su tutto il territorio nazionale, in sostanza la metà. Anche in questo caso il tasso di obiezione è più alto a Sud e in Sicilia il valore è del 79,2 per cento. «Non stento a crederlo — commenta Silvia Peralta, anestesista e rianimatrice del Cervello — quello sull’obiezione è un dialogo aperto a livello nazionale tra noi, anche se al momento rispetto a quanto accade tra i ginecologi c’è più equilibrio». Semplicemente gli anestesisti obiettori non vengono messi di turno quando ci sono da fare le Ivg.
«Li comprendo — continua Peralta — nemmeno io lo faccio a cuor leggero, mentre sono lì cerco di convincermi che sto facendo altro». Un tema sollevato da molti medici è l’abuso della procedura, anche quella chirurgica, da parte di donne che sembrano non usare contraccettivi: «Ero a Trapani anni fa e ho visto praticare l’Ivg a una donna per l’ottava volta — conclude l’anestesista — e non è un caso rarissimo. È chiaro che c’è un problema di informazione generale rispetto alla salute riproduttiva».
C’è dell’altro che cresce di anno in anno: sono i collettivi, le associazioni e i canali informativi che sollevano la questione tra sit-in, tour di sensibilizzazione e richieste di ascolto rivolte alle istituzioni. «La questione delle Ivg annulla per magia il divario tra nord e sud — osserva Adele Orioli, responsabile delle iniziative legali dell’Unione atei e agnostici razionalisti — la Sicilia e Bolzano negano questo diritto in modo identico. In Italia l’obiezione è al 70 per cento e sulle spalle dei pochi non obiettori grava anche la responsabilità di assistere le donne di San Marino e di Città del Vaticano, dove le Ivg sono ancora un reato con tanto di pena detentiva, sono costrette a valicare i loro confini. Accade qui e accade ora».