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Scritto da: Mario Lucio - mercoledì 18 febbraio 2015
Il Dasp ha aperto un'indagine interna in seguito al comportemento tenuto da alcuni agenti della polizia penitenziaria
Il 15 febbraio scorso, un detenuto rumeno di 39 anni si è impiccato nella sua cella del carcere di Opera a Milano. L'uomo era stato condannato all'ergastolo per aver commesso un omicidio nel 2007. La notizia avrebbe dovuto destare un certo sdegno, perché è un nuovo segnale dei gravi problemi che affliggono il regime di detenzione in Italia. Troppo spesso, infatti, non riesce ad assolvere alla sua funzione rieducativa e a salvaguardare la vita delle persone. E invece c'è stato chi ha esultato. Non stiamo parlando di "normali" cittadini, bensì di alcuni agenti del sindacato di polizia penitenziaria Alsippe. Gli agenti, sulla pagina Facebook dell'ente, si sono lasciati andare a commenti crudeli e razzisti nei confronti del suicida: "Meno uno"; "Un rumeno in meno"; "mi chiedo cosa aspettino gli altri a seguirne l'esempio".
C'è qualcuno che ha provato a reagire sul social network, protestando davanti ad espressioni così disumane. Ma le risposte, di tono palesemente fascista, non si sono fatte attendere: "Lavora all'interno di un istituto. Sono solo extracomunitari. Per fare questo mestiere devi avere il core nero".
Questa storia, con ogni probabilità, non finirà qui. Il caso è stato segnalato al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Secondo quanto riportato da Repubblica.it, il Dasp ha avviato un'inchiesta interna. E la cosa ci pare più che opportuna, visto che le frasi in questione provengono da agenti con responsabilità sindacali.
Secondo il Centro Studi di Ristretti Orizzonti, i suicidi in carcere nel 2014 sono stati 43, mentre i morti totali 131. Dall'inizio del 2015, invece, le persone che si sono tolte la vita nelle nostre prigioni sono già 6. Numeri, questi, che dovrebbero far riflettere.
solo le solite mele marce ? ivviamenrte il mio pensiero collima con quanto dice commentando la notizia sula pgina fb dela nuova sardegna
Sara Oggiano Dopo un lungo periodo di volontariato presso una struttura penitenziaria per detenuti definitivi, ho avuto modo di incntrare il personale che opera all'interno. Posso dire che la polizia penitenziaria è in numeri troppo esigui rispetto a quello dei detenuti, svolgono turni di lavoro spesso troppo lunghi e non possono usifruire delle ferie proprio perché sottodimensionati come necessità di presenze. Tutto questo, a lungo andare, crea dei grandi disagi, perché alla fine, una professione fatta con passione diventa una detenzione involontaria. È un lavoro delicato e difficile e vi assicuro che il personale che ho conosciuto collaborava con noi volontari in maniera assolutamente seria e professionale. Non è corretto lasciare commenti cosi brutali rispetto alla morte ma bisogna anche ricordarsi di chi opera seriamente all'interno del carcere. La malattia professionale più diffusa, in questo caso, è legata allo stress psicologico....
Lavorare nelle strutture "totali", quali il carcere e un tempo gli ospedali psichiatrici, è un po più complicato....ci si sente fisicamente prigionieri, anche se non lo si è.....
È giusto arrabbiarsi per quei commenti ma non offendiamo una categoria di lavoratori seri!
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