La storia che racconto nel post d'oggi è tratta dalla rivista Natural di febbraio, ringrazio gentilmente l'autrice Alina Rizzi per avermini concesso la pubblicazione su quesrte pagine .
Maura Messina designer appassionata di pittura, oltre adaver scritto un libro (a destra) lo ha illustrato,impaginato e ha disegnato la copertina: davvero talentuosa ! Maura Messina, 26,vive a Villaricca, (Na), vicino alle discariche del giuglianese dove, per legge, non possono essere localizzati nuovi siti di smaltimento rifiuti. È previsto, però, un ampliamento della discarica di Cava Riconta. Maura e i suoi concittadini chiedono invece la bonifica della zona e la chiusura definitiva dell’impianto, con la tombatura finale.Il libo s'intitola Diario di una kemionauta «Per me che amo dipingere non è stato semplice trovare un’alternativa immediata quando in ospedale mi hanno vietato l’uso dei colori», racconta Maura Messina. «Ho iniziato così a scrivere un diario che aggiornavo al termine di ogni seduta. Poi sono arrivati gli acquerelli speciali, regalo del mio fidanzato: ho ripercorso la mia esperienza disegnandola a colori. Concluso il ciclo di terapie, ho impaginato il tutto per dare un ordine visivo a ciò che avevo vissuto». Nasce così Diario di una chemionauta (Homo Scrivens, 12 euro).Maura si immagina astronauta alla scoperta di un pianeta (Kemioland), tutto da esplorare, dove ogni progresso è una piccola enorme e faticosa conquista. E lo fa con ironia e coraggio.
Maura Messina designer appassionata di pittura, oltre adaver scritto un libro (a destra) lo ha illustrato,impaginato e ha disegnato la copertina: davvero talentuosa ! Maura Messina, 26,vive a Villaricca, (Na), vicino alle discariche del giuglianese dove, per legge, non possono essere localizzati nuovi siti di smaltimento rifiuti. È previsto, però, un ampliamento della discarica di Cava Riconta. Maura e i suoi concittadini chiedono invece la bonifica della zona e la chiusura definitiva dell’impianto, con la tombatura finale.Il libo s'intitola Diario di una kemionauta «Per me che amo dipingere non è stato semplice trovare un’alternativa immediata quando in ospedale mi hanno vietato l’uso dei colori», racconta Maura Messina. «Ho iniziato così a scrivere un diario che aggiornavo al termine di ogni seduta. Poi sono arrivati gli acquerelli speciali, regalo del mio fidanzato: ho ripercorso la mia esperienza disegnandola a colori. Concluso il ciclo di terapie, ho impaginato il tutto per dare un ordine visivo a ciò che avevo vissuto». Nasce così Diario di una chemionauta (Homo Scrivens, 12 euro).Maura si immagina astronauta alla scoperta di un pianeta (Kemioland), tutto da esplorare, dove ogni progresso è una piccola enorme e faticosa conquista. E lo fa con ironia e coraggio.
ho vinto sul tumore ora voglio liberare la mia terra dal veleno dei rifiuti tossici Un linfoma inoperabile di 13 centimetri. Questa diagnosi sbalza Maura su un altro pianeta. Tiene duro, confida sogni e paure a un diario. Che pubblica quando guarisce. Per denunciare l’inquinamento della Terra dei fuochi. E dare forza a chi combatte la sua stessa battaglia
di Alina Rizzi- foto DI Rosario Schettino
di Alina Rizzi- foto DI Rosario Schettino
Dalla finestra di casa, a Villaricca,io e mio fratello spesso abbiamo visto i fuochi appiccati ai margini delle strade o lungo l’argine del canale di raccolta delle acque piovane, a cento metri di distanza dalla nostra abitazione. Di notte venivamo svegliati da una puzza acre, un odore che rendeva l’aria irrespirabile. Così ci alzavamo e guardavamo fuori dalla finestra.
Si vedevano le luci dei falò e il fumo nero e denso che si alzava nel cielo. Spesso papà e alcuni amici si vestivano in fretta, poi partivano con l’auto in quella direzione. Erano tempi non sospetti, non si capiva lo scopo di quegli incendi notturni e da chi fossero appiccati. Era difficile incontrare
qualcuno in quei frangenti: sulla strada deserta restavano i copertoni liquefatti e puzzolenti, masse di cenere e detriti carbonizzati. La mattina dopo nessuno sapeva niente, ma già la mia terra aveva preso quell’odioso nome, sinonimo di veleno e illegalità: la Terra dei fuochi.Mi sentivo bene, ma
ero molto malata.
Mi sono laureata a pieni voti in design per l’innovazione alla facoltà di Architettura,con una tesi che propone un modo per recuperare la città di Napoli e sto già cercando lavoro. Non voglio perdere tempo. Sono un’entusiasta per natura, non so neppure cosa sia la noia. Può essere, però, che abbia esagerato ultimamente: questa febbre che sale tutte le sere non mi preoccupa, ma è fastidiosa. Immagino sia un sintomo di stress, nulla di più. Vado dal medico solo per accontentare i miei genitori e accetto di fare gli esami del sangue. Sembra sia in corso un forte stato infiammatorio, benché non abbia alcun sintomo o dolore. Di buon grado mi sottopongo alla Tac, come prescrive il mio scrupoloso dottore e l’esito arriva in fretta, lasciandomi senza fiato: ho un tumore di 13 centimetri di diametro nel torace, vicino al cuore e al polmone sinistro,non operabile. Si chiama linfoma di Hodgkin. La faccia del medico non lascia adito a dubbi: « La situazione è gravissima,Maura, devi iniziare immediatamente la chemioterapia», mi dice. Mi aspettano sei mesi di cura intensiva, con un elenco di effetti collaterali che mi faranno sentire sicuramente peggio di come sto adesso. Dopo, se tutto va bene, un ciclo di radioterapia.
Improvvisamente mi sento sbalzata su un altro mondo, come fossi un’astronauta in missione su un pianeta lontano Attraverso il Policlinico di Napoli appesa a un filo di speranza: perché sono finita
qui? Dopo le prime flebo arriva il dolore, la nausea, la debolezza. In capo a qualche mese, inaspettatamente, fa capolino anche una grande rabbia. Sono diventata una pentola a pressione e spesso rispondo male a chi non c’entra niente. Poi, però, me ne pento. Devo essere forte, non posso
piangermi addosso, devo resistere per chi chiusa nel corpo di una vecchietta.
Mi sono fatta un taglio di capelli stile Demi Moore nel film Soldato Jane, praticamente rasata a zero. Devo indossare sempre una mascherina, perché anche un semplice raffreddore potrebbe diventare problematico nelle mie condizioni. La gente mi guarda incuriosita, come fossi una vera marziana. Sembrano intimoriti dal mio aspetto non proprio florido. Molti mi danno per spacciata, ma io non ci sto. Voglio vivere. Mi lascio installare un port-a-cath, un oggetto metallico sotto pelle che serve per continuare a somministrare la chemioterapia quando tutte le vene cominciano a cedere. Non è una passeggiata nel parco. Sono molto stanca, con i dolori di una vecchietta. Ogni giorno mi guardo allo
specchio cercando nella mia immagine qualunque cosa mi ricordi tutto quello che sono stata prima di iniziare questo assurdo viaggio di dolore. Non trovo granché e allora mi accontento di piccole conquiste. Sgranocchiare un tarallo senza vomitare e poter bere un bicchiere di birra! Oppure dedicarmi alla pittura, utilizzando degli acquarelli speciali che il mio ragazzo ha fatto arrivare dall’Inghilterra, visto che i colori a olio sarebbero molto rischiosi nelle mie condizioni. Ma anche essere di aiuto al nuovo kemionauta giunto in corsia: un novellino, più giovane di me, che scopro
abitare nella mia stessa strada. Ma quanti siamo, con addosso un tumore,qua dentro ? Un giorno faccio un calcolo e mi rendo conto che conosco quattro persone abitanti in Corso Italia, ora ammalate di linfoma, e altre quattro sul lato opposto della strada, che hanno un cancro ai polmoni.
Siamo davvero in troppi e alcuni politici vorrebbero farci credere che la responsabilità è nostra perché abbiamo strani stili di vita! La verità è che viviamo in luoghi altamente inquinati. Qui è in atto un biocidio ! Nei nostri territori sono stati sversati illegalmente rifiuti speciali. Mi riferisco a fusti tossici, scarti di lavorazione industriale,conciaria e affini, nulla a che vedere con la spazzatura di casa! Senza contare i fumi dei roghi tossici che da anni respiriamo. Ma ora basta, mi dico: bisogna
prendere in mano la situazione e difendere la nostra amata terra. Ognuno può fare qualcosa, senza nascondere la testa sotto la sabbia come gli struzzi. Vogliamo vivere, non sopravvivere.
Inizio La mia nuova avventura.
Dopo sei mesi, finalmente, arriva l’ultima seduta di chemio. È finita e mi sembra incredibile. Mi sento confusa, come rinascessi da una pelle nuova. Mi tolgono la mascherina e posso di nuovo abbracciare gli amici, avere un contatto più umano con le persone. Nel contempo, mi tramortisce l’odore terribile dei disinfettanti, il colore triste delle pareti del reparto,il sapore dei farmaci che percepisco sotto la lingua, sostanze terribili che mi hanno attraversato tutto il corpo per tante settimane. Mi pare di risvegliarmi da un brutto sogno. Lentamente, recupero pezzi di me, di quella che ero prima della malattia . I medici dicono che sono migliorata tantissimo, il tumore è in remissione. Dovrò sottopormi a un ciclo di radioterapia, ma mi salverò. Strano però: l’interruttore del mio entusiasmo sembra spento. Forse sono molto stanca, forse sono cambiata. Sopravvivere non mi basta più. Ho voglia di sfruttare quella forza che ho scoperto combattendo la malattia per aiutare chi sta attraversando il mio stesso percorso, portando un messaggio di speranza. Ma soprattutto, per accendere i riflettori sulle cause di tanti tumori nella mia terra: ci metterò la mia faccia e il mio cuore , il tempo e le energie che stanno rtornando. Sono sopravvissuta e voglio fare qualcosa, anzi: devo fare qualcosa !
Improvvisamente mi sento sbalzata su un altro mondo, come fossi un’astronauta in missione su un pianeta lontano Attraverso il Policlinico di Napoli appesa a un filo di speranza: perché sono finita
qui? Dopo le prime flebo arriva il dolore, la nausea, la debolezza. In capo a qualche mese, inaspettatamente, fa capolino anche una grande rabbia. Sono diventata una pentola a pressione e spesso rispondo male a chi non c’entra niente. Poi, però, me ne pento. Devo essere forte, non posso
piangermi addosso, devo resistere per chi chiusa nel corpo di una vecchietta.
Mi sono fatta un taglio di capelli stile Demi Moore nel film Soldato Jane, praticamente rasata a zero. Devo indossare sempre una mascherina, perché anche un semplice raffreddore potrebbe diventare problematico nelle mie condizioni. La gente mi guarda incuriosita, come fossi una vera marziana. Sembrano intimoriti dal mio aspetto non proprio florido. Molti mi danno per spacciata, ma io non ci sto. Voglio vivere. Mi lascio installare un port-a-cath, un oggetto metallico sotto pelle che serve per continuare a somministrare la chemioterapia quando tutte le vene cominciano a cedere. Non è una passeggiata nel parco. Sono molto stanca, con i dolori di una vecchietta. Ogni giorno mi guardo allo
specchio cercando nella mia immagine qualunque cosa mi ricordi tutto quello che sono stata prima di iniziare questo assurdo viaggio di dolore. Non trovo granché e allora mi accontento di piccole conquiste. Sgranocchiare un tarallo senza vomitare e poter bere un bicchiere di birra! Oppure dedicarmi alla pittura, utilizzando degli acquarelli speciali che il mio ragazzo ha fatto arrivare dall’Inghilterra, visto che i colori a olio sarebbero molto rischiosi nelle mie condizioni. Ma anche essere di aiuto al nuovo kemionauta giunto in corsia: un novellino, più giovane di me, che scopro
abitare nella mia stessa strada. Ma quanti siamo, con addosso un tumore,qua dentro ? Un giorno faccio un calcolo e mi rendo conto che conosco quattro persone abitanti in Corso Italia, ora ammalate di linfoma, e altre quattro sul lato opposto della strada, che hanno un cancro ai polmoni.
Siamo davvero in troppi e alcuni politici vorrebbero farci credere che la responsabilità è nostra perché abbiamo strani stili di vita! La verità è che viviamo in luoghi altamente inquinati. Qui è in atto un biocidio ! Nei nostri territori sono stati sversati illegalmente rifiuti speciali. Mi riferisco a fusti tossici, scarti di lavorazione industriale,conciaria e affini, nulla a che vedere con la spazzatura di casa! Senza contare i fumi dei roghi tossici che da anni respiriamo. Ma ora basta, mi dico: bisogna
prendere in mano la situazione e difendere la nostra amata terra. Ognuno può fare qualcosa, senza nascondere la testa sotto la sabbia come gli struzzi. Vogliamo vivere, non sopravvivere.
Inizio La mia nuova avventura.
Dopo sei mesi, finalmente, arriva l’ultima seduta di chemio. È finita e mi sembra incredibile. Mi sento confusa, come rinascessi da una pelle nuova. Mi tolgono la mascherina e posso di nuovo abbracciare gli amici, avere un contatto più umano con le persone. Nel contempo, mi tramortisce l’odore terribile dei disinfettanti, il colore triste delle pareti del reparto,il sapore dei farmaci che percepisco sotto la lingua, sostanze terribili che mi hanno attraversato tutto il corpo per tante settimane. Mi pare di risvegliarmi da un brutto sogno. Lentamente, recupero pezzi di me, di quella che ero prima della malattia . I medici dicono che sono migliorata tantissimo, il tumore è in remissione. Dovrò sottopormi a un ciclo di radioterapia, ma mi salverò. Strano però: l’interruttore del mio entusiasmo sembra spento. Forse sono molto stanca, forse sono cambiata. Sopravvivere non mi basta più. Ho voglia di sfruttare quella forza che ho scoperto combattendo la malattia per aiutare chi sta attraversando il mio stesso percorso, portando un messaggio di speranza. Ma soprattutto, per accendere i riflettori sulle cause di tanti tumori nella mia terra: ci metterò la mia faccia e il mio cuore , il tempo e le energie che stanno rtornando. Sono sopravvissuta e voglio fare qualcosa, anzi: devo fare qualcosa !
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