per approffondire
stavolta ho qualcosa da raccontare rispetto a quanto dicevo in : << fine alle ideologie sui morti ( foibe e olocausto ) e ricordiamo come sugerisce il sindaco Riccardo Borgonovo di Concorezzo ( Monza ) >> . Anche se la storia che racconto è intrinseca del solito vittismo nazionalistico \ anticomunista , ma chi se ne importa , non è di quelli estremi come spesso avviene in molte manifestazioni celebrative di tale giornatae poi come non essrlo davanti a un nazionalismo che maltratta le minoranze etniche che abitavano da generazioni quelle terre che oggi sono il confine orientale ?
E grazie a loro se la trasformazione del territorio paludoso e potuto continuare . Trasformnazione iniziata << (....) già verso la fine dell'Ottocento con la bonifica della laguna costiera del Calich grazie all'opera dei detenuti del vicino carcere di Alghero e della colonia penale di Cuguttu. L'opera prosegue nel 1927 con la costruzione del Villaggio Calik su progetto di Pier Luigi Carloni.
Il borgo di Fertilia nasce ufficialmente l'8 marzo 1936 con la posa della prima pietra della chiesa parrocchiale, ad opera dell'Ente Ferrarese di Colonizzazione, istituito dal presidente del Consiglio Benito Mussolini il 7 ottobre 1933 per dare una risposta alla popolazione in eccesso della Provincia di Ferrara e diminuire le tensioni sociali. Dopo i primi arrivi di emigrati ferraresi, lo scoppio della Seconda guerra mondiale paralizzò di fatto l'opera di colonizzazione, tanto che la maggior parte degli edifici rimasero di fatto inutilizzati.>> ( da http://it.wikipedia.org/wiki/Fertilia )
<> --- sempre secondo Wikipedia -- << saranno gli esuli di Istria e Dalmazia a popolare la borgata, diventando un microcosmo vicino a quello catalano di Alghero.Ereditando la tradizione veneta dei nuovi arrivati, la borgata è
stata dedicata a San Marco e ivi campeggia un leone alato suo simbolo,
proprio al centro del belvedere. Particolarità della borgata è che tutte
le vie e le piazze richiamano luoghi o avvenimenti storici del Veneto e della Venezia Giulia.>>
Ma basta parlare io lascia che ha parlarci di loro sia l'articolo sotto riportato
- http://it.wikipedia.org/wiki/Esodo_giuliano_dalmata
- http://www.mediapolitika.com/cultura/1759-foibe-ed-esodo-mio-nonno-esule-da-zara-fino-alla-fine-dei-suoi-giorni/
stavolta ho qualcosa da raccontare rispetto a quanto dicevo in : << fine alle ideologie sui morti ( foibe e olocausto ) e ricordiamo come sugerisce il sindaco Riccardo Borgonovo di Concorezzo ( Monza ) >> . Anche se la storia che racconto è intrinseca del solito vittismo nazionalistico \ anticomunista , ma chi se ne importa , non è di quelli estremi come spesso avviene in molte manifestazioni celebrative di tale giornatae poi come non essrlo davanti a un nazionalismo che maltratta le minoranze etniche che abitavano da generazioni quelle terre che oggi sono il confine orientale ?
E grazie a loro se la trasformazione del territorio paludoso e potuto continuare . Trasformnazione iniziata << (....) già verso la fine dell'Ottocento con la bonifica della laguna costiera del Calich grazie all'opera dei detenuti del vicino carcere di Alghero e della colonia penale di Cuguttu. L'opera prosegue nel 1927 con la costruzione del Villaggio Calik su progetto di Pier Luigi Carloni.
Il borgo di Fertilia nasce ufficialmente l'8 marzo 1936 con la posa della prima pietra della chiesa parrocchiale, ad opera dell'Ente Ferrarese di Colonizzazione, istituito dal presidente del Consiglio Benito Mussolini il 7 ottobre 1933 per dare una risposta alla popolazione in eccesso della Provincia di Ferrara e diminuire le tensioni sociali. Dopo i primi arrivi di emigrati ferraresi, lo scoppio della Seconda guerra mondiale paralizzò di fatto l'opera di colonizzazione, tanto che la maggior parte degli edifici rimasero di fatto inutilizzati.>> ( da http://it.wikipedia.org/wiki/Fertilia )
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Ma basta parlare io lascia che ha parlarci di loro sia l'articolo sotto riportato
di Monia Melis| 09 Febbraio 2013
da Fertilia
In via Pola, lo storico bar di Edda Sbisà e figlie nel 2013 compie 60
anni. È stato aperto nel 1953 quando, a Fertilia, sei chilometri da
Alghero, c’era poco altro. Soprattutto terra, infestata dalla palma
nana, una chiesa da finire, la caserma e l’asilo delle suore.
«Delle attività avviate dagli esuli è l’unica ancora aperta», dice a Lettera43.it la figlia, Lorena Calabotta, 52 anni, istriana di Sardegna, nata in un melting pot.
Tra la fine degli Anni 40 e degli Anni 50 arrivarono da Orsera, Rovigno, Fiume e Zara, nomi che si leggono identici nelle targhe di vie e piazzali. Poche valigie con il cognome scritto a tinte scure: Orlich, Bataia, Velcich, Sponza. Con addosso il terrore delle foibe e dei titini, la certezza di aver lasciato per sempre tutto: casa, lavoro, conoscenti, a volte i genitori.
DIFFICILE CONVIVENZA A FERTILIA. In quegli anni nella cittadina di fondazione fascista, ma incompiuta, cercarono un avvenire qualsiasi e la magra consolazione del mare. Prima di loro si erano installate delle famiglie ferraresi cui erano stati affidati poderi per la bonifica, a due passi dagli algheresi, di origine catalana e i sardi. Insieme con altri italiani dalla Corsica, libici dal 1970 in poi e turchi, greci.
Hanno vissuto insieme in una borgata di stile razionalista in cui il lavoro era scarso, o meglio inesistente, per tutti. Una convivenza non scontata e nemmeno sempre facile.
FINANZIAMENTI PER PICCOLE IMPRESE. Ci pensò l’ex Egas, Ente giuliano autonomo di Sardegna (soppresso nel 1978) a gestire i finanziamenti pubblici e destinarli, tra le altre cose, all’avvio di piccole imprese.
La pesca fallì molto presto: l’Adriatico chiuso cui erano abituati era ben diverso dal mare sardo. Attecchirono meglio agricoltura e commercio: dal negozio di alimentari al forno, fino alla locanda della Sbisà.
La signora Edda ora ha quasi 83 anni. Alle pareti le foto ricordo, nell’aria parole di dialetto. «Mia mamma è arrivata in barca, dopo settimane di viaggio. Aveva circa 20 anni. Erano già arrivati nel 1948 e cercavano di andare da una parte all’altra. E poi la seconda, definitiva, nel 1952».
Suo nonno, racconta, era comandante della X Mas, dopo la fuga aveva trovato impiego all’arsenale di Venezia. Ma poi le cose non andarono bene e quindi si ripartì in direzione di Fertilia.
Il sacerdote-pioniere, don Francesco Pervisan, perlustrò per primo la costa sarda e poi girò tutta la penisola, da un campo all’altro, per convincere gli istriani al trasferimento. Alcuni sono approdati dopo aver subito le angherie dei connazionali nei porti.
«Delle attività avviate dagli esuli è l’unica ancora aperta», dice a Lettera43.it la figlia, Lorena Calabotta, 52 anni, istriana di Sardegna, nata in un melting pot.
Tra la fine degli Anni 40 e degli Anni 50 arrivarono da Orsera, Rovigno, Fiume e Zara, nomi che si leggono identici nelle targhe di vie e piazzali. Poche valigie con il cognome scritto a tinte scure: Orlich, Bataia, Velcich, Sponza. Con addosso il terrore delle foibe e dei titini, la certezza di aver lasciato per sempre tutto: casa, lavoro, conoscenti, a volte i genitori.
DIFFICILE CONVIVENZA A FERTILIA. In quegli anni nella cittadina di fondazione fascista, ma incompiuta, cercarono un avvenire qualsiasi e la magra consolazione del mare. Prima di loro si erano installate delle famiglie ferraresi cui erano stati affidati poderi per la bonifica, a due passi dagli algheresi, di origine catalana e i sardi. Insieme con altri italiani dalla Corsica, libici dal 1970 in poi e turchi, greci.
Hanno vissuto insieme in una borgata di stile razionalista in cui il lavoro era scarso, o meglio inesistente, per tutti. Una convivenza non scontata e nemmeno sempre facile.
FINANZIAMENTI PER PICCOLE IMPRESE. Ci pensò l’ex Egas, Ente giuliano autonomo di Sardegna (soppresso nel 1978) a gestire i finanziamenti pubblici e destinarli, tra le altre cose, all’avvio di piccole imprese.
La pesca fallì molto presto: l’Adriatico chiuso cui erano abituati era ben diverso dal mare sardo. Attecchirono meglio agricoltura e commercio: dal negozio di alimentari al forno, fino alla locanda della Sbisà.
La signora Edda ora ha quasi 83 anni. Alle pareti le foto ricordo, nell’aria parole di dialetto. «Mia mamma è arrivata in barca, dopo settimane di viaggio. Aveva circa 20 anni. Erano già arrivati nel 1948 e cercavano di andare da una parte all’altra. E poi la seconda, definitiva, nel 1952».
Suo nonno, racconta, era comandante della X Mas, dopo la fuga aveva trovato impiego all’arsenale di Venezia. Ma poi le cose non andarono bene e quindi si ripartì in direzione di Fertilia.
Il sacerdote-pioniere, don Francesco Pervisan, perlustrò per primo la costa sarda e poi girò tutta la penisola, da un campo all’altro, per convincere gli istriani al trasferimento. Alcuni sono approdati dopo aver subito le angherie dei connazionali nei porti.
Istriani disposti a tutto pur di rimanere italiani
La costruzione di Fertilia nel Dopoguerra. |
Con il passare degli anni i racconti sono stati affidati alle seconde
generazioni, e spesso c’è ancora quel retrogusto di sdegno e amarezza.
«La vita è qui, le radici lontane. Mia mamma ci ha tramandato tutto: le feste, i dolci. È tornata più volte a Orsera, ma ha pianto e basta. Aveva ancora delle amiche lì, ma si va avanti così: anche con rabbia repressa. Ora forse è difficile da capire, non so quanti oggi farebbero quel che hanno fatto gli istriani. Perdere tutto pur di restare italiani». Un’integrazione diventata tale solo con il passare dei decenni a Fertilia, che ora conta appena 1.700 abitanti.
«La vita è qui, le radici lontane. Mia mamma ci ha tramandato tutto: le feste, i dolci. È tornata più volte a Orsera, ma ha pianto e basta. Aveva ancora delle amiche lì, ma si va avanti così: anche con rabbia repressa. Ora forse è difficile da capire, non so quanti oggi farebbero quel che hanno fatto gli istriani. Perdere tutto pur di restare italiani». Un’integrazione diventata tale solo con il passare dei decenni a Fertilia, che ora conta appena 1.700 abitanti.
All’inizio i matrimoni erano soprattutto tra conterranei. Com’è
successo anche a Sbisà che ha conosciuto qui il marito, arrivato da
Zara: «Il legame per noi è stato sempre forte: rispettiamo tutto ciò che
ci hanno insegnato. Persino mio nipote che ha 20 anni e fa il militare,
parla in dialetto».
ACCOGLIENZA E DIFFIDENZA. Le frizioni ci sono state, non solo per motivi politici ma anche, semplicemente, per quelli economici. Per via delle agevolazioni su casa e imprese. Nonostante le tante testimonianze di integrazione e la scritta che campeggia sotto la colonna sul lungomare, proprio sotto un leone di San Marco: «Qui nel 1947 la Sardegna accolse fraterna gli esuli dell’Istria di Fiume e delle Dalmazia»».
«L’astio sotterraneo che può capitare di percepire è solo frutto di ignoranza», spiega Calabotta, «ci hanno accusato di aver avuto tutto gratis, di aver riscattato con pochi euro. In realtà mia mamma, per esempio, dopo 60 anni paga ancora l’affitto per il bar». Mentre gli immobili pubblici passati dallo Stato alla Regione nel 2008 ora sono in decadenza, o meglio, del tutto abbandonati.
ACCOGLIENZA E DIFFIDENZA. Le frizioni ci sono state, non solo per motivi politici ma anche, semplicemente, per quelli economici. Per via delle agevolazioni su casa e imprese. Nonostante le tante testimonianze di integrazione e la scritta che campeggia sotto la colonna sul lungomare, proprio sotto un leone di San Marco: «Qui nel 1947 la Sardegna accolse fraterna gli esuli dell’Istria di Fiume e delle Dalmazia»».
«L’astio sotterraneo che può capitare di percepire è solo frutto di ignoranza», spiega Calabotta, «ci hanno accusato di aver avuto tutto gratis, di aver riscattato con pochi euro. In realtà mia mamma, per esempio, dopo 60 anni paga ancora l’affitto per il bar». Mentre gli immobili pubblici passati dallo Stato alla Regione nel 2008 ora sono in decadenza, o meglio, del tutto abbandonati.
Il 10 febbraio si celebra il Giorno del ricordo
Come appariva Fertilia nel 1954.
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Prima di arrivare in Sardegna a 27 anni è stato nei campi profughi in Friuli, Sicilia, Ascoli Piceno e a Latina. Ora è vicepresidente dell’Egis, associazione che punta tutto sulla memoria.
Il presidente è un ragazzo di 30 anni, Daniele Sardu. Nessuna discendenza istriana o giuliana, ma solo sarda, rimarcata dal cognome. Insieme organizzano il Giorno del ricordo, il 10 febbraio, una data storica: nel 1947 fu firmato il trattato di Parigi che assegnò Istria, Fiume e Zara alla Jugoslavia.
«Purtroppo spesso si scivola nella retorica nazionalista e invece noi vogliamo rimarcare la storia delle persone, perché non accada mai più», dice Sardu, «non necessariamente gli esuli erano fascisti, ma solo italiani che volevano restare tali». Eppure la ricorrenza è stata riconosciuta solo dal 2004.
NUOVA VITA DOPO L'ADDIO AI CARI. Tra i nipoti che hanno fatto proprie le storie di 60 anni fa c’è Michele Rosa, 38 anni, architetto: «Io sono ancora il nipote di Pina del forno», racconta, «anche se lei purtroppo non c’è più».
Una vita in giro per l’Europa e la penisola, si definisce «cittadino del mondo, ma anche istriano, sardo, soprattutto italiano». Famiglia metà ferrarese, metà istriana, nato in Sardegna. La nonna, Giuseppina Vladich, è arrivata a Fertilia nel 1952, a 29 anni, con marito e figlia.
«Appena scesa dalla corriera è scoppiata a piangere, attorno c’era il deserto scosso da un fortissimo maestrale cui non era abituata», racconta Rosa, «aveva lasciato i genitori a Pola e i fratelli e le sorelle, 10 in tutto, erano partiti ovunque. Anche in Australia e America».
NASCITA DELLA NUOVA COMUNITÀ. Dopo lo choc iniziale la nonna si ambientò: «Aprirono una panetteria. Sfornavano e vendevano, ma soprattutto regalavano. In quegli anni si divideva quel che c’era. Aveva lasciato una città vera, anche ricca: con cinema, teatri, ristoranti. In quest’angolo di Sardegna c’era solo la possibilità di essere ancora italiani e una comunità che si stava formando».
Una vita all’insegna dei divieti prima della fuga: a un tratto non si poteva più parlare italiano, dire 'ciao' per strada. «Mia mamma», dice il 38enne, «è stata battezzata di nascosto nel 1950 a Pola. Ma non con il suo nome, Maria, bensì Nirvana».
VIA DALL'INCUBO DELLE FOIBE. Di certo una cosa Pina del forno è riuscita a tramandare: il terrore delle foibe, e il riserbo, durato decenni, nel parlare della persecuzione e della pulizia etnica.
«Dire foiba era sconveniente anche negli Anni 90», spiega Rosa, «per scetticismo o semplicemente per non esser compatiti. Una memoria negata per 50 anni soprattutto per convenienza politica. E i numeri veri restano un’incognita». Si stima che negli eccidi delle foibe, inghiottitoi, siano morti almeno in 10 mila e che gli esuli giuliano dalmati siano oltre 250 mila.
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