Infatti
E' il primo allenatore
italiano in Palestina dopo una vita da globetrotter del pallone. Prima
della Cisgiordania era il secondo di Zenga a Dubai: "Un giorno il
presidente mi ha detto: mister prima lavoravi per gli sceicchi, ora lo
sceicco sei tu"
E' il primo allenatore
italiano in Palestina dopo una vita da globetrotter del pallone. Prima
della Cisgiordania era il secondo di Zenga a Dubai: "Un giorno il
presidente mi ha detto: mister prima lavoravi per gli sceicchi, ora lo
sceicco sei tu"
di Dario Falcini | 14 febbraio 2015
Stefano Cusin, insegnare calcio a Hebron: “Qui il lato umano non è un dettaglio”
Stefano Cusin non è un mafioso e sbuffa ogni volta che in tavola arriva la pizza. L’ultima tappa di una vita contro gli stereotipi è Hebron, Cisgiordania. La firma sul contratto con l’Ahli Al Khalil ha fatto di lui il primo allenatore italiano in Palestina. “Hebron è una città stupenda – racconta – Popoli e architetture diverse convivono tra loro, un mix che mi ricorda Tripoli qualche anno fa. Sono città complesse, di certo non basta la tv per capire simili posti: qua non sono tutti terroristi”.
Cusin è nato in Canada 47 anni fa, ha giocato tra la Svizzera e la Guadalupa, ha allenato ovunque. Il Camerun dopo Montevarchi e poi Congo, Bulgaria, Libia e tanto Medio Oriente. Le esperienze più significative della sua carriera da globetrotter sono state al fianco di Walter Zenga
a Dubai e Abu Dhabi. Ora è tornato in proprio e, nonostante tre lingue
fluenti e un curriculum ormai in grado di dare garanzie, ha di nuovo
dato retta alla sua curiosità. “Mi trovo bene qua, la gente è generosa: la differenza tra gli Emirati
e la Palestina è il lato umano” spiega. Rispetto ai grattacieli e alla
“vita al top” Cusin ha scelto “un paese di contenuti”, nonostante uno stipendio di gran lunga inferiore.
“Io vivo per le soddisfazioni. Amo conoscere cose nuove e insegnare il pallone,
ogni allenamento è un momento di scambio e confronto. I soldi
spariscono, i semi che pianti in simili terreni a distanza di anni danno
frutti: le esperienze africane mi hanno insegnato questo”. Stefano Cusin si gode il trattamento riservato dai khalili, gli abitanti di Hebron. Ogni pomeriggio uno o più inviti per bere il the, al campo la sua parola è legge. “Un giorno il presidente mi ha detto: mister prima lavoravi per gli sceicchi, ora lo sceicco sei tu. Altrove l’allenatore è diventato un comprimario, non qui”.
Una stima destinata a crescere in fretta: l’ex vice coach dell’Al Jazira
è a Hebron da metà gennaio e ha già messo un trofeo in bacheca. É
accaduto negli scorsi giorni, quando l’Ahli Al Khalil ha vinto la coppa di Lega. Nei 42 anni di storia della società è il primo successo. Prossimo obiettivo la West Bank League, il campionato a 12 squadre della Cisgiordania, dove il club è quinto. Gaza
è a 50 chilometri di distanza, irraggiungibile. “I territori che fanno
parte dello stato palestinese ospitano due tornei distinti, il nostro è
più attrezzato e competitivo. La Striscia è isolata,
mentre noi abbiamo tutto sommato libertà di movimento. A Hebron mi
sposto tranquillamente, fuori capita di essere fermati e controllati ai posti di blocco israeliani”.
La quotidianità procede, ma il ricordo di guerra e bombardamenti è vivo come la paura che possa accadere di nuovo. Fuori dallo stadio Hussein Bin Ali di Hebron, dove i ragazzi di Cusin giocano le loro partite, uno striscione ricorda il sacrificio di Jawhar, 19 anni, e Adam, 17 anni, la cui carriera è stata interrotta a colpi di fucile in un check point in Cisgiordania. Vicende drammatiche, come quella di Mahmoud Sarsak, che dalla nazionale palestinese finì nelle carceri di Israele senza alcun processo. Il pallone può fare molto per questa terra, pensa Cusin. “In squadra ho tre ragazzi che provengono dal campionato israeliano, non tutti sono musulmani – racconta – Sei giocatori sono laureati, quasi tutti parlano inglese, viaggiano, vanno su internet: sono avanti. Dovremmo tentare di trovare nella vita di tutti i giorni l’integrazione che si realizza sul campo da calcio”.
Intanto ci si deve accontentare delle immagini di un paese unito e festoso per la storica prima volta alla Coppa d’Asia. Non
è andata bene alla Palestina, tre sconfitte in altrettante sfide, ma
poco conta. “Alla terza partita, nonostante l’eliminazione già certa
tutti erano ancora davanti alla tv. La partecipazione alla massima manifestazione continentale è di per sé un successo, ma a Gerusalemme come a Gaza City sono consapevoli che in futuro servirà una nuova organizzazione e mezzi maggiori
per andare avanti”. L’esperienza e le conoscenze tattiche di mister
Stefano Cusin potranno favorire questo processo. Per quanto riguarda la prossima stagione
“del doman non c’è certezza”. “Non valuto mai il passo successivo, vivo
la vita con intensità giorno per giorno – conclude – Sono felice così:
se pensi troppo al futuro rischi di non goderti il presente”.
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