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Moni Ovadia è tante cose. Attore, cantante, musicista, scrittore. Soprattutto, è uno spirito libero, coscienza critica che sa andare controcorrente, alla faccia del pensiero unico veicolato dalla comunicazione mainstream. Su Israele, ad esempio.
A Gaza è una mattanza senza fine. I gazawi muoiono sotto i bombardamenti, per fame, per mancanza di cure mediche, ma
in Italia si disserta sulla Mostra di Venezia e se è corretto l’uso del termine genocidio per Gaza. Che Italia è questa, Moni Ovadia?
Un Paese che vive di falsa coscienza, retorica, ipocrisia e provincialismo infinito. Un Paese irredimibile
da questo punto di vista. È più grave la parola che lo sterminio. Questi siamo noi. Non tutti, grazie a Dio. L’Italia è un Paese strano: la sua classe politica è devastante, ma una parte della sua gente è straordinaria. Sai che il 66% degli italiani è convinto che la guerra in Ucraina sia stata provocata dagli Stati Uniti e dalla Nato? Il 66%! È una indagine del Censis, roba seria.
In tutto questo, quanto c’è di responsabilità anche della comunicazione e della stampa?
Totale. Ti faccio il caso mio, ma ti prego di prenderlo con tutta la modestia possibile e immaginabile. Io credo di essere una persona che si sia occupata di questa questione da sempre. Non hanno il coraggio di invitarmi a un talkshow. Mi tengono fuori. Ci sono io, c’è
Luisa Morgantini di Assopace Palestina più ancora di me. Ma non ci chiamano. Chiamano le compagnie di giro.
Perché?
Perché sono vigliacchi. Sono pavidi vigliacchi. Avrai letto il testo, che condivido parola per parola, di Ariel Toaff. Cosa gli ha detto alla fine: adesso provate a bannarmi, vigliacchi miserabili. Gente che crede di salvarsi facendo tacere le voci di quelli che hanno il coraggio di dire cose scomode.
Qual è per Moni Ovadia la cosa più scomoda che oggi andrebbe detta alla diaspora ebraica?
La cosa più scomoda? Che il sionismo è il più grande fallimento di tutta la storia ebraica. Dall’11 al 13 agosto c’è stato a Vienna il primo Congresso mondiale degli Ebrei antisionisti. Naturalmente nessuno ne ha dato notizia. Eppure, sarebbe stato interessante coglierne gli umori, riportarne le motivazioni, anche criticamente se vuoi. Niente di niente. Io sono abbastanza d’accordo con le due linee dell’ortodossia ebraica che dicono che lo Stato sionista è blasfemo sul piano ebraico e criminale sul piano umanitario. Più fallimento di così! Guarda che l’antisionismo è fondato nel Talmud: gli ebrei non devono avere una sovranità nazionale. Perché il sogno di Eretz Israel è tutt’altro che una nazione. Sai cos’è Eretz Israel? È una Terra dove vivi da straniero tra gli stranieri. Per questo diventa Santa. I sionisti hanno scambiato l’idea della Terra promessa con la promessa di una Terra. Che è tutt’altro. C’è un versetto del Levitico, quello in cui Dio disse agli ebrei di creare il Giubileo, una specie di rivoluzione sociale ogni cinquant’anni. Il versetto dice anche (Moni lo recita in ebraica in una cantilena armoniosa, ndr): “La Terra non verrà venduta in perpetuità, perché la Terra è mia. La Terra è di Dio, non dell’uomo”. E poi prosegue rivolgendosi al popolo ebraico: “Tu vi abiterai come soggiornante straniero, insieme agli stranieri che godranno dei tuoi stessi statuti. Ricordati che sei stato in terra d’Egitto!”. E l’ultimo pezzettino del verso dice: “Perché voi tutti davanti a me siete solo stranieri soggiornanti”. Un brillante traduttore delle Scritture, proprio questa estate, ha tradotto in italiano: “Perché voi tutti, davanti a me, siete solo meticci avventizi”. La parola straniero, Gher in ebraico, in ebraico biblico vuol dire straniero, residente e convertito. I sionisti sostengono che si riferisce solamente al convertito. Io dico no, perché c’è scritto: ricordati che fossi straniero in terra d’Egitto. Gli ebrei non erano convertiti in terra d’Egitto, erano stranieri, schiavi. Il sionismo è proprio il fallimento totale dell’ebraismo. Totale.
Da cittadino del mondo, da ebreo antisionista, da uomo di cultura, cosa provi di fronte alle immagini di
quei bambini di Gaza ridotti a scheletri umani?
Come essere umano provo lo stesso orrore di quando ho saputo della Shoah. Lo stesso orrore. Vedo riprodursi la logica e la mentalità nazista. L’aveva già detto un grande sionista, Yeshayau Leibowitz. Nel 1968, Leibowitz, un fervente sionista grande studioso dell’ebraismo, disse, dopo la Guerra dei Sei giorni: “Restituite quei territori immediatamente, altrimenti questo Paese assisterà alla nascita del giudeonazismo”. Non ti dico la valanga d’improperi che gli vomitarono addosso. Lui aveva capito tutto. Come essere umano vedo lo stesso orrore. E come ebreo sento il più grande tradimento che io abbia ricevuto nella mia vita.
Eppure, c’è ancora chi, in Italia, definisce
Israele l’unica democrazia in Medio Oriente.Quando ti dicevo della retorica, dell’ipocrisia. Questa è una grande cavolata, per usare un eufemismo. Una democrazia non si comporta così. Anche se oramai l’Occidente ha accettato che l’importante è che tu vada a votare ogni quattro-cinque anni, se poi stermini un popolo, pazienza. Questo sarebbe la democrazia! L’Occidente è fallito. E noi che sosteniamo il popolo palestinese, i gazawi, noi stiamo combattendo per la salvezza dell’umanità, altrimenti l’umanità sprofonderà nella più abissale barbarie in cui abbia mai vissuto.
Tu che giri l’Italia, sia per i tuoi spettacoli teatrali sia per tanti dibattiti, che rispondenza stai trovando su questo tema soprattutto da parte dei giovani?
Ottima. I giovani che incontro sono molto vivi. Vedi, io avevo un sentimento, sapevo che facevo parte di una gente che era sopravvissuta ad uno sterminio. Ma sai quando c’è stata la svolta della mia vita?
Quando e perché?
Quando Luciano Segre, professore di storia nella mia scuola, ero al primo liceo, fu incaricato di fare la commemorazione del 25 Aprile, dagli altoparlanti che avevano appena installato. E lui fece un’ora memorabile, mettendo la resistenza antifascista in relazione con la lotta di classe. La mia vita svoltò di colpo. Avevamo maestri allora, grandi maestri. I giovani hanno bisogno di maestri del genere. A loro ripeto: chi è indifferente è già colpevole. Schierarsi è un dovere morale. L’ho scritto e lo ripeto a te che scrivi su
un giornale che su Gaza ha preso coraggiosamente posizione. Un giorno, quando i peggiori dittatori del futuro compiranno crimini indicibili con apparente legittimità, e qualcuno proverà a invocare i diritti umani, essi potranno rispondere: “Zitti, buffoni. Cosa avete fatto con la Palestina?”. E avranno ragione. Non avremo più titolo per parlare. Dobbiamo riconquistarci quel titolo, ricostruire la nostra credibilità morale. L’umanità ha impiegato secoli per arrivare alla Dichiarazione universale dei diritti umani. I cosiddetti democratici occidentali l’hanno calpestata. Hanno fatto carne di porco della legalità internazionale. Io non ho ricette in tasca. Ma so una cosa: dobbiamo alzare la voce, e farlo con forza. Basta understatement, basta diplomazie. C’è una sola soluzione, limpida, netta, necessaria: uno Stato unico per tutti gli abitanti della Palestina storica. Tutti con gli stessi diritti. Tutti, fino all’ultimo. Persino il diritto di camminare deve essere garantito. non si illudano gli indifferenti. Gramsci, che de l’Unità è stato il fondatore, ce l’ha insegnato: sono i più detestabili, i più codardi, perché non si assumono la responsabilità della storia.
Cosa si prova quando – se si intraprendono certe battaglie e si definisce quello che accade a Gaza un genocidio – si è tacciati di antisemitismo?
Guarda, le parole nella società occidentale hanno perso il loro senso. C’è stato uno sterminio delle parole. La mia amica Valentina Pisanty ha scritto in proposito un bellissimo saggio, La parola bloccata, in rapporto all’antisemitismo. È uno strumento micidiale che è usato strumentalmente, in maniera vergognosamente cinica, per distruggere il pensiero critico. Io combatto questa accusa, come se mi dicessero fascista. E ti dico un’altra cosa, a proposito dell’uso strumentale di questa parola, così come della Shoah (la peggiore forma di blasfemia): i sionisti sono antisemiti. Vuoi un esempio?
Certo che sì.
Quando ci fu l’attentato al Bataclan, a Parigi, e contemporaneamente al supermarket kosher, Netanyahu corse a Parigi a esibirsi e disse agli ebrei francesi: venite in Israele, non siete più sicuri qui. Questa cosa fece incavolare alla grande il rabbino capo francese, perché gli ebrei francesi stanno benone lì dove sono. Aldilà di questo episodio, comunque emblematico, scrissi in un mio libro che c’era una latenza antisemita nel sionismo. Io dissi che Bibi vuole finire il lavoro di Hitler: niente ebrei in Europa. Ma perché, un ebreo non può vivere dove pare a lui? La linea revisionista del sionismo, quella da cui proviene Netanyahu, prese contatto con i nazisti, dicendo: noi abbiamo lo stesso obiettivo, voi volete cacciare gli ebrei dall’Europa, non li vogliamo prendere nella Terra d’Israele.
C’è chi ha scritto e detto che a Gaza è morta l’umanità. A Gaza sta morendo anche la speranza?
Se non sta morendo è in condizioni disperate.
Il 31 agosto partirà dall’Italia la Global Sumud Flotilla, centinaia e centinaia di imbarcazioni che vengono da quaranta Paesi. È una iniziativa di straordinaria significanza che va sostenuta in ogni dove. Vedi, il mio sogno sarebbe una marcia di tre-quattro milioni di persone che si muovono verso Gaza.
In Israele c’è chi scende in piazza contro Netanyahu e il suo governo...
Sostanzialmente per gli ostaggi. Hai visto sventolare bandiere della Palestina o ascoltato slogan per i palestinesi? In Israele ci sono minoranze illuminate, coraggiose, ma sono piccole. Israele o capisce che la sua storia è finita e accetta uno Stato binazionale o finirà in una guerra civile.
Riconoscere lo Stato palestinese. Se non ora, quando?
Riconoscere una virtualità…Comunque va benissimo. L’importante è non fermarsi all’enunciazione, ma agire di conseguenza fintantoché quello Stato non sia realizzato nei territori stabiliti dall’Onu con risoluzioni che Israele ha bellamente ignorato. E poi, come chiede il movimento pacifista,
l’Italia come minimo dovrebbe porre fine alla ignobile vendita di armi a Israele, bloccare ogni accordo commerciale, come si fece per l’apartheid in Sudafrica. E qui è molto più grave che in Sudafrica.