da la nuova Sardegna del 18\5 2023 antefatto
IL miracolo di Fabio il fighter
«Ero paralizzato, ora sto in piedi»
Ad agosto era stato accoltellato e i medici non gli avevano dato speranze
«Ho pensato di morire, non sentivo le gambe, ma non mi sono mai arreso» Sassari
Presente il calabrone? La forza di gravità si inchina al suo prodigio.
Due ali minuscole e un corpo pesantissimo: come faccia a volare resta un mistero. Anche Fabio Piu, a nove mesi
dall’accoltellamento, è una sintesi di
tanti piccoli miracoli. A suo modo si
prende gioco della scienza, della medicina, della fisica, e perché no, anche
del destino.
Un lungo respiro, le labbra gli si arricciano per lo sforzo, ma due secondi dopo è in piedi. Un tempo che sembra infinito, come a mollo in un rallenty, una
gamba che sussulta, attraversata da
una scossa elettrica, ma poi si distende: «Va bene?» chiede al fisioterapista.
«Bravissimo, sei il mio orgoglio».
Il responso dei medici suonava così,
come sentenza definitiva: paraplegico, una vita da seduto e con il pannolone. Quando un coltello ti frattura due
vertebre, si insinua e ti sfilaccia il midollo, è come se ti tagliassero il cavo
dell’antenna, niente più segnale,
schermo nero. Proprio ieri, Elia 17 Baby, il trapper romano di 27 anni che
nell’agosto scorso gli aveva inferto
quel fendente alla schiena all’uscita da
una discoteca nella spiaggia di Marinella, ha ottenuto i domiciliari. «Non
penso a lui e nemmeno merita la mia
attenzione – dice Fabio – in questi mesi ho imparato a non preoccuparmi di
situazioni che non posso gestire. La
giustizia farà il suo corso e resto fiducioso. Non posso sprecare energie, perché ogni mia risorsa è focalizzata su un
solo obiettivo: riprendere a camminare».
Cosa ricorda di quel giorno?
«Non posso parlare di ciò che è successo prima, perché c’è un processo.
Posso descrivere ciò che ho provato dopo. Ricordo che andavo verso la mia
auto. Ho sentito un colpo alla schiena.
Nessun dolore. Ma le gambe hanno ceduto di schianto. È come se stacchino
il contatore, la parte di giù resta senza
corrente. Ho avuto paura di morire.
Non sento le gambe, gridavo. La gente
si toglieva la maglietta per tamponare
il sangue che usciva. Poi è arrivata l’ambulanza. Mi devono aver sedato, ed è
come se fossi ritornato bambino. Avevo ricordi d’infanzia, belle sensazioni.
Mi sono svegliato, una luce forte».
Poi è entrato in sala operatoria, un
intervento complicatissimo. Chi c’era accanto a lei al risveglio?
«Mia madre. Le ho detto: «Mamma
stai tranquilla: io non rimarrò su una
sedia a rotelle».
I medici però sono stati molto franchi, le hanno spiegato il quadro clinico.
«Si, speranze ridotte al lumicino. Però mi hanno detto: lei è giovane, deve
lottare».
Il primo periodo dev’essere stato
un inferno.
«Dopo l’intervento a Sassari sono rimasto 40 giorni completamente paralizzato, faccia in su a fissare il soffitto.
Le gambe bruciavano, mi imbottivano
di morfina e paracetamolo. Ho pianto
tanto. Le ore passavano a guardare il telefono, centinaia di messaggi di incoraggiamento, anche di perfetti sconosciuti. Mi hanno tenuto compagnia e
dato grande forza. Quando mi hanno
trasferito a Cagliari, ero completamente solo. E lo stesso nel centro di riabilitazione di Ferrara».
Quando ha capito che poteva farcela?
«Un giorno, d’improvviso, sono riuscito a muovere il dito del piede. Il contatore si era riattaccato».
Quindi il medico aveva ragione: poteva lottare.
«Il fisiatra di Ferrara mi ha detto: la
tua forza di volontà sta stravolgendo
ogni previsione. Forse è il mio carattere, forse il fatto di essere un fighter di
mma, abituato a soffrire, ad andare incontro alla paura, mi ha aiutato. In questi otto mesi non ho mai perso un colpo. E ho scoperto in me una determinazione che non conoscevo».
Com’è cambiata la sua vita?
« Mi pesa il fatto di non aver certezze. Non c’è una data per la guarigione,
non so nemmeno se camminerò davvero. Mi prendo quel che riesco a conquistare. Mi adatto alle mie nuove capacità. Non posso oppormi, devo accettarmi. Il pannolone non c’è più, gestisco i miei bisogni, faccio sesso, e sto
in piedi con le stampelle. È tanto, ma
non mi sento indipendente. Mi manca
lo sport, il non poter guidare. Con la
mia ragazza siamo andati a Mirabilandia, e sarei voluto salire su tutti i giochi.
Ma un disabile non può allontanarsi
con le sue gambe in caso di emergenza. E ho dovuto rinunciarci. E in quel
momento mi sono specchiato negli occhi della mia ragazza, che ha capito come mi sentivo, mi ha sorriso e mi ha
detto: tranquillo Fabiè, ci torniamo tra
un anno e li facciamo tutti».
Chi si sente di ringraziare?
«Naturalmente tutti, ma in particolare il mio istruttore di Mma e ora il mio
fisioterapista e osteopata GianMario
Mereu. Mi è stato vicino dal primo
istante, ha sempre creduto in me, mi
dà grande fiducia e forza, mi segue nella riabilitazione. Questo amore te lo
aspetti dalla tua famiglia. Da un amico
è una cosa meravigliosa».