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3.3.25

diario di bordo n 106 anno III chi lo dice che influenzer sono truffatori il caso di Max Maiorino, il calzolaio influencer: «Stavo per chiudere bottega ..... >> ., Iannaccone, l'avvocato collezionista: «Comprai due Banksy ma non sapevo chi fosse» ., Da cardiologo in Italia guadagnavo 2800 euro al mese e non mi facevano operare. A Lione adesso dirigo una clinica» ., Bambino di 5 anni sparisce da casa, genitori in panico. Ritrovato dai nonni, aveva preso la metro da solo per andare da loro

 Corriere della sera  tramite  msn.it

Max Maiorino, il calzolaio influencer: «Stavo per chiudere bottega, ora mi chiamano le griffe e mi arrivano scarpe da riparare da Stati Uniti e Sudamerica»



Maximiliano Maiorino ha ricavato i suoi studios in un angolo del magazzino dove stanno impilate borse tanto griffate quanto bisognose di manutenzione, scarpe etichettate con codici di arrivo scritti a mano, attrezzi del mestiere. Tra colori, pelli, forbici e spazzole spuntano l’ombrello per la luce e aste per lo smartphone. Nome di battaglia «calzolaiomax», 34 anni, è l’alfiere degli artigiani che sui social hanno portato il mestiere. E, lì, l’hanno salvato. «Ricevo almeno dieci pacchi al giorno: merce da riparare inviata da chi mi ha conosciuto sul web. Altri clienti vengono al bancone. Se ripenso a quattro anni fa, quando dalla porta del negozio non entrava nessuno...». Oggi Forbes l’ha scelto come caso esemplare di imprenditoria decollata grazie alla Rete e le griffe se lo contendono come ospiti agli eventi della Fashion Week milanese.

Torniamo a Saronno. Filo strada, su via Cavour, l’insegna «Maiorino calzolaio» incornicia una vetrina che è la quintessenza dell’arte del riparare: scarpe nuove e rimesse a nuovo. Al piano interrato, giù da una scala ripida, la medesima arte finisce in video che macinano cuoricini - e clienti - in Brasile come in Svizzera, in Italia e negli Usa. L’artigiano Max («Con la x proprio all'anagrafe») facendo l’artigiano totalizza numeri da influencer: 400 mila follower su TikTok, 320 mila su Instagram, milioni di visualizzazioni per filmati in cui ripara o personalizza.

Il primo video?

«Nel 2015, su Youtube. Aggiustavo calzature e non l’ha guardato un’anima: evidentemente non era il momento».

Poi?

«Nel 2020 TikTok era pieno di gente che ballava. Ci ho riprovato: taglia, apri, incolla. Una ragazza mi aveva portato un paio di scarpe sportive di Alexander McQueen, molto in voga, a cui si era rotta la tomaia. Punto impossibile, danno in genere considerato irrecuperabile. A me sono venute bene. Le visualizzazioni del filmato sono schizzate a 300 mila, hanno iniziato ad arrivare messaggi: è capitato pure a me, posso inviarti le scarpe? Avevo svoltato».

Perché prima era al palo.

«Quando ho aperto il mio primo negozio c’erano poco lavoro e pochi clienti. Per giorni incassavo zero. Tuttavia nella calzoleria ci credevo, sapevo di essere bravo e ripetevo: troverò l’idea giusta».

Quindi cosa ha fatto?

«Per non soccombere mi sono messo a lavorare per mantenere il mio lavoro. Dovevo comprare i macchinari e pagare l’affitto quindi ho fatto il barman, il cameriere, il corriere».

Il calzolaio, in teoria, non è un lavoro che i giovani come lei sognano di fare.

«Era calzolaio il mio trisavolo. Da nonno Marino, padre di mio padre Salvatore, ho carpito i primi segreti: da piccolo pasticciavo nel suo negozio, sempre a Saronno. Nonno è mancato nel 1998, papà nel frattempo aveva lasciato per dedicarsi all’edilizia. Quando nel 2008 è arrivata la crisi abbiamo deciso: torniamo calzolai. I vecchi macchinari erano in garage».

È dipendente dell’attività di famiglia?

«No, ho aperto la mia partita Iva a 22 anni. Conviviamo nello stesso spazio ma le attività sono separate; loro fanno il lavoro più classico, curano gli articoli dei saronnesi, io gestisco gli ordini dal web».

Si è fatto conoscere eseguendo miracoli su pezzi griffatissimi: tutto vero o c’è il trucco?

«Vero. L’articolo ha un proprietario e se sbaglio non solo non torna, ma lo scrive anche nei commenti. Aggiustare oggetti di qualità - con il second hand, la sensibilità ecologica, i prezzi in salita - oggi ha mercato. Fino a quattro anni fa ti prendevano per matto: “Piuttosto butto e ricompro”».

Ma lei ci credeva già allora.

«Nel 2017 mi sono staccato dal negozio di Saronno e ne ho aperto uno da solo a Gorla Minore: non battevo chiodo. Per tentare di allargare il giro ho aperto anche a Solaro: pure peggio. Arriva il Covid, li ho chiusi entrambi e sono rientrato a Saronno: nessuno pensava ad aggiustare le scarpe, anche perché nessuno le consumava».

Disastro.

«Avevo chiesto un prestito di 20 mila euro alla banca e mi ritrovavo con i debiti».

Non ha mollato.

«Anche mentre stavo lì a fissare la porta pensavo che avrei prima o poi trovato il modo di farmi valere. Ci ho sempre creduto. Confesso che non è stato facile: quando mi chiedevano “cosa fai?” e io rispondevo “il calzolaio” mi guardavano con un misto di choc e compassione. Anche i miei amici, all’inizio, tenevano a precisare: “Calzolaio, sì, ma fa scarpe sue, fa cose pazzesche”. E io: “Ragazzi, mica mi vergogno di ciò che faccio”. Oppure provate voi a dire: “Investi su di me, apro un negozio in cui riparo”. Vi lascio immaginare le risposte. In momenti così devi davvero credere in te, tanto».

Come ha affinato la tecnica?

«Con papà. Poi faccio tante prove, mi esercito, studio».

Che scuole ha fatto?

«Ho iniziato a studiare da geometra, non era cosa mia. Insisto: impegnatevi in ciò in cui credete, che non è uguale per tutti. Se la vostra strada è studiare studiate forte, se è un lavoro, lavorate forte. Dopo il primo contenuto diventato virale ogni giorno, compleanno e Natale inclusi, ho postato contenuti. L’algoritmo ha premiato, i contatti sono cresciuti e anche gli ordini. Caricavo la lavorazione di una scarpa X e per una settimana arrivavano solo richieste per scarpe del marchio X».

Il suo video più visto?

«Il salvataggio della ciabattina Hermès masticata dal cane è arrivaoa a 14 milioni».

Quindi per una settimana solo Hermès.

«No, solo oggetti masticati da cani».

Oggi per le mani le passano accessori anche ultra-costosi.

«Per me una scarpa griffata o una che non lo è sono uguali: stessa cura. Il calzolaio prima era un ciabattino, ora lo vedono come artista. C’è chi invia articoli nuovi e chiede di cambiargli il colore: se avviene su una scarpa da mille euro all’esterno la percepiscono come una missione “rischiosa” e attira curiosità».

Quanto costa mediamente un intervento?

«La sneakers da lavare e incollare da 20 euro, se è da rifare dai 100 ai 300. Al cliente viene riconsegnata in circa tre settimane».

Cosa è impossibile da fare?

«Dato che produco scarpe da zero, potenzialmente ricostruirle anche solo da una stringa. Però se un lavoro non vale la pena lo dico».

L’intervento più strano che le hanno chiesto?

«In una borsa Bentley inviata dalla Svizzera hanno voluto ricavare la cuccia del cane».

Lavora molto con l’estero?

«Ho clienti in Sudamerica, negli Usa. Qualcuno in Italia per le vacanze viene di persona a Saronno con i pacchi».

Pubblicità tradizionale ne ha mai fatta?

«Mai».

Qualche griffe l’ha cercata?

«C’è un accordo di riservatezza: posso dire che c’è chi ha apprezzato le riparazioni».

Maiorino, è un influencer.

«Ho richieste per pubblicizzare marchi esterni. Qualche collaborazione l’ho avviata».

Quanto prende a post?

«A post non saprei, direi che ogni collaborazione vale più o meno 2 mila euro. Dico molti no. Anche perché non ho molto tempo».

Quante ore lavora?

«All’inizio 14-15 ore al giorno. Mi alzavo, facevo colazione col telefono in mano, rispondevo a chi mi contattava, poi via in negozio, riparazioni e video, pranzo con il telefono, ancora in negozio fino alle 19.30, video da postare, richieste a cui rispondere. Stavo impazzendo. L’anno scorso ho frenato: dopo le 19.30 niente telefono».

La sua fidanzata sopporta questi ritmi?

«Fare questa vita in passato non ha aiutato».

Ha qualcuno che la aiuta con i social?

«Sono precisino: voglio sempre le cose a modo mio quindi mi arrangio. Quando mi vedeva con il cellulare, papà diceva: lascia il telefono, c’è da lavorare. Poi hanno cominciato ad arrivare i pacchi. E ora è lui che mette tutti in guardia: se filma non disturbate!».

Qualche numero della sua società?

«È una Srls, fondata a dicembre di due anni fa. Oggi ho quattro dipendenti. Collabora con me mio fratello Mattia».

Fatturato?

«Mi limito a dire che oggi sto bene».

Qualche sfizio che si è levato?

«Reinvesto tutto nei progetti della società».

Dove vive?

«A Saronno, in affitto. Anche il negozio da 180 metri quadri lo è».

Insomma, il suo lavoro adesso sognano di farlo anche altri giovani?

«Ricevo proposte di ragazzi che vogliono lavorare per me o si informano: interesse che prima non esisteva».

Altro che vergognarsi.

«L’altro giorno uno mi ha scritto: vorrei venire a lavorare da te anche gratis, vorrei imparare».

L’ha cercata anche Forbes per raccontare la sua storia imprenditoriale.

«Ma sa che cosa ha fatto la differenza? La Chioccina, la benemerenza civica dei saronnesi: un sacco di gente qui si congratula per quella. L’ha ritirata mamma Roberta per me, io ero all’estero: era emozionatissima. Il web è importante, ma certe cose non hanno prezzo».


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Le gioie e i dolori, le speranze, le angosce, i peccati e gli entusiasmi: i meandri dell’animo umano che in tutte le sue sfaccettature, anche le più intime — ma non per questo inconfessabili — si confrontano con il mondo, sono l’obiettivo di Giuseppe Iannaccone nella ricerca, accurata ed appassionata, di opere per la sua collezione di arte moderna e contemporanea, una delle più importanti al mondo, la prima tra le raccolte private ad essere ospitata con 140 pezzi dal 7 marzo al 4 maggio nelle sale del Palazzo Reale a Milano.
Tra i più importati avvocati penalisti del diritto d’impresa, Iannaccone ha raccolto oltre 400 opere che ha esposto in tutto il mondo. Non un ammassare compulsivo, ma una cernita meditata e convinta. «La mia è una raccolta passionale legata a quello che l’uomo ha dentro in relazione alle realtà sociali. Attraverso l’arte, mi rispecchio nel mondo in cui vivo», spiega. «Sono attratto dall’arte nella sua libertà, dall’artista che non ha paletti culturali ed espressivi», aggiunge. E infatti, in una sezione altrettanto ricca ed importate della collezione, anche se non esposta, a coloro che, inquadrati nell’arte ufficiale del fascismo, celebravano il regime preferisce gli altri che «raccontavano i postriboli e la sofferenza della guerra».
In questo percorso ad un certo punto ha scoperto di aver acquistato negli anni, inconsapevolmente, molti più artisti neri, donne, omosessuali: «Mi sono reso conto che nelle loro opere c’è una espressività esplosiva, una novità dovuta forse al fatto che questi gruppi, che hanno taciuto tanto nella storia dell’arte, oggi hanno una capacità di esprimersi che mi colpisce particolarmente».
Un’opera ha diversi piani di lettura? Filosofico, psicologico o solamente estetico? La risposta è ad ampio spettro: «Credo che le vere opere d’arte abbiano molteplici letture in grado di mandare diversi messaggi che poi ciascuno coglie in funzione della propria sensibilità. Per quanto mi riguarda, mi pongo il problema dell’emozione che provo io. Alla fine potrei pensare di provare le stesse cose che prova l’artista, ma non è affatto detto che sia così».A chiedergli perché mai un avvocato penalista senta la necessità di andare a cercare altre sensazioni, come se non gli bastassero quelle che gli arrivano dalla professione, la risposta che si ha è molto socratica: «Credo che nessuno possa avere la presunzione di conoscere tutto, di conoscere il mondo. Fino a quando avrò l’ultimo respiro cercherò sempre di scoprire qualcosa di nuovo».
E allora, come scegliere un quadro evitando di prendere un bidone? «È evidente che una certa sensibilità è indispensabile, ma poi ci vuole cultura. Bisogna essere educati per avere le chiavi di lettura dell’opera». Non nasconde di aver sbagliato in passato, ma con gli anni e il crescere dell’esperienza ha affinato il tiro. Ha ospitato mostre di dieci artisti giovanissimi nel suo grande studio in Piazza San Babila, Iannaccone può ragionevolmente essere considerato un mecenate lungimirante, perché molti giovani su cui ha investito la propria reputazione, ed i propri denari visto che acquisita sempre anche come forma di incoraggiamento verso chi è alle prime armi, poi si sono rivelati dei grandi artisti, uno tra tutti Banksy, del quale presenta due sculture. «Meravigliose, le comprai fra i primissimi quando non sapevo nemmeno chi fosse. C’era un importante gallerista inglese che me lo aveva sconsigliato, diceva “questo è un randagio che va a rovinare i muri nelle periferie di Londra”. Oggi non mi potrei permettere di acquistarle. A me il denaro non interessa, non che non gli dia importanza, ma acquisto un’opera e la tengo per ciò che provo, non per quanto vale», mette in chiaro.
Esibizionismo? Narcisismo? La ragione di far conoscere a tutti la propria collezione, Giuseppe Iannaccone la ricollega alla sua inveterata passione, che vorrebbe accomunasse tutti i collezionisti: «Faccio una mostra di arte contemporanea, curata da Daniele Fenaroli con l’ importantissima consulenza di Vincenzo de Bellis, il quale coordina le maggiori fiere d’arte del mondo, per dimostrare quanto è bello amare l’arte ed invitare i cittadini allo studio dell’arte. Voglio dire ai milanesi che l’arte contemporanea è meravigliosa. Ci saranno opere che non è facile vedere in Italia e a Milano, dove non c’è ancora un museo di arte contemporanea».
Nato 69 anni fa ad Avellino in una famiglia piccolo-borghese arrivata a Milano negli anni Settanta, è sempre rimasto legato alla sua Campania, ma come la stragrande maggioranza di chi riesce ad affermarsi all’ombra del Duomo è riconoscente a Milano. «Questa mostra è diversa da tutte le altre che ho fatto in Italia e all’estero; perché questa è una mostra del Comune di Milano e per questo ringrazio il sindaco Beppe Sala, l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi e il direttore Domenico Piraina, poi perché la sento come un reciproco riconoscimento tra me e la città che adoro ed alla quale sono e sarò sempre grato per la sua generosità».


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«Da cardiologo in Italia guadagnavo 2800 euro al mese e non mi facevano operare. A Lione adesso dirigo una clinica»



«In Italia da giovane medico guadagnavo 2.800 euro al mese e non mi facevano operare, perché dovevo sgomitare tra primari che assumono parenti e direttori sanitari scelti dai partiti. In Francia invece mi hanno offerto più del doppio del mio stipendio per specializzarmi nel mio settore e ora dirigo una clinica privata, la settima del Paese per l’ablazione cardiaca».
Nel 2014 Carlo Quaglia, cardiologo torinese, all’epoca quarantenne, sentendosi impantanato nella sanità pubblica italiana ha detto basta e ha deciso di fare le valigie. Per seguire la stessa strada che negli ultimi vent’anni ha portato all’estero circa 180 mila professionisti italiani, 131 mila medici (10 mila in Francia) e 50 mila infermieri; una fuga di talenti che creato non poche carenze di organico.
«Io volevo solo operare. All’epoca la mia specialità non era presente in Piemonte. Mi sono quindi trasferito a in Lombardia, ma ho dovuto confrontarmi con un sistema complesso dove nepotismo partiti determinavano le carriere. Una notte, ero di turno al pronto soccorso, ho inviato di getto un curriculum a un primario di un Ospedale di Lione. Il mattino dopo ero già in Francia per il colloquio. Da lì è cominciata la mia storia».Quaglia ha costruito la sua carriera prima nel sistema pubblico e poi nel privato. Prima al Centre Hospitalier de Roanne, dipartimento della Loira, e poi di nuovo a Lione. «In Francia il sistema dei rimborsi è equo e trasparente. La politica non mette bocca sulle scelte dei direttori, perché questi sono selezionati dal Sistema delle Grandes Ècoles. E un manager che lascia un buco in genere viene allontanato non premiato. Così i medici possono crescere». E qui spiega la vera ragione del suo addio all’Italia: «Si va all’estero non per la prospettiva di guadagnare di più, anche se il primo stipendio, 6.700 euro era più del doppio di quanto guadagnavo in Italia, ma per lavorare meglio. Nel mio caso non riuscivo proprio a operare nella mia specialità. La gavetta spesso si traduce nel vedere avanzare persone poco competenti. E questo è avvilente sopratutto dopo tanti anni di studio».Dopo l’esperienza nel pubblico in Francia Quaglia ha deciso di mettersi in proprio. E ha costituito il Polyclinique de Lyon Nord insieme con altri camici bianchi italiani come lui. «Le cose procedono molte bene. Siamo la settima clinica di Francia specializzata in questa tecnica cardiologica — spiega Quaglia .—E infatti stiamo assumendo: tanti curriculum ci arrivano dall’Italia. I nostri medici sono bravissimi, peccato poi che il sistema li fa fuggire». Quaglia torna spesso a Torino, «vengo a trovare mio padre», ma di rientrare in Italia non ci pensa proprio. «Non c’è offerta che possa convincermi a rientrare».

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Bambino di 5 anni sparisce da casa, genitori in panico. Ritrovato dai nonni, aveva preso la metro da solo per andare da loro

CERNUSCO SUL NAVIGLIO - Quindici minuti di terrore per una mamma e un papà del Milanese che questa mattina, 2 marzo, hanno temuto il peggio per il loro bambino di 5 anni. I due genitori hanno chiamato il 112 per denunciare che il figlio era scomparso dalla loro casa a Cernusco sul Naviglio.

Subito i carabinieri di Pioltello hanno iniziato le ricerche e hanno suggerito alla mamma di controllare con i parenti. Sono stati i nonni del piccolo a far rientrare l'allarme quando, visto il piccolo arrivare verso casa loro, hanno chiamato i genitori e messo fine all'incubo.Il piccolo era uscito di casa senza essere visto, è andato a piedi alla fermata della metro verde, è salito su un treno diretto a Gessate ed è sceso due fermate più avanti, a Cassina de' Pecchi, proprio dove vivono i nonni.

7.10.24

Colazione liquida, pasti saltati per dimagrire e vestiti con taglie da bambina: TikTok banna l'influencer dei consigli pericolosi

 


Influencer 22enne bandita da TikTok per i suoi pericolosi consigli sulla perdita di peso: «In un mondo in cui puoi essere qualsiasi cosa, sii magra» Influencer 22enne bandita da TikTok per i suoi pericolosi

consigli sulla perdita di peso: «In un mondo in cui puoi essere qualsiasi cosa, sii magra» «In un mondo in cui puoi essere qualsiasi cosa, sii magra», questo si legge nella didascalia di una influencer 22enne sul proprio profilo social. Una lunga serie di consigli per perdere peso, incentivando abitudini alimentari disordinate, acquisti nella sezione per bambini e colazioni liquide da «ragazze magre». Dopo essere stata bannata una volta dalla piattaforma di TikTok, la ragazza è tornata con un nuovo profilo a promuovere dei messaggi potenzialmente rischiosi, soprattutto tra gli utenti più giovani. I consigli Sponsorizza uno stile di vita magro e, per lei, salutare. Posta i suoi allenamenti, i pasti e le taglie dei vestiti. Sulla sua pagina personale mostra cosa fare per diventare come lei. Beve frullati proteici, miscele di bevande elettrolitiche e condivide le calorie di ogni cosa da lei ingerita durante un giorno: «Tutti si chiedono come facciano le ragazze magre a esserlo. Ho provato a dirvi come fare, ma non volete sentirlo», ha scritto la 22enne in un video. Tra gli altri suggerimenti, quello di essere magre come delle bambine per spendere meno: «ll trucco più efficace per risparmiare quando si fa shopping è l'abbigliamento per bambini, ad esempio gli stilisti vendono magliette per bambini a 180 euro invece che a 900 euro come quelle per adulti», si legge nella didascalia del filmato. E ancora: «In un mondo in cui puoi essere qualsiasi cosa, sii magra», scrive nella ripresa in cui mostra il suo outfit, sostenendo che il suo accessorio per la serata era il suo ventre piatto. Le reazioni degli utenti I commenti sotto ai post sono dei più disparati. C'è chi l'accusa di diffondere un messaggio fuorviante e, soprattutto, chi si complimenta con lei per i traguardi raggiunti. Tra i messaggi più allarmanti, alcuni dalle nuove generazioni: «Sarò come te tra un mese», ha scritto una ragazza. «Voglio pesare quanto lei», si legge in un altro commento. La 22enne nega di aver mai sofferto di un disturbo alimentare, ma ha dichiarato di sapere cosa significhi sentirsi a disagio nel proprio corpo dopo aver sofferto di un disturbo d'ansia generalizzato fin dalle elementari.

26.7.24

agiornamento post influenzer a a scrocco . Fisco e influencer: il “baratto” digitale finisce sotto la lente della finanza

   la  conferma  dello  scrocco   degli influenzer (  ne  ho  parlato  nel  post   : << Tutti contro i “supplied” La rivolta ( o il solito fuoco di paglia o indignazione ) dei follower contro lo “scrocco” degli influencer   >> e     di quelle  che  potrebbero  essere   faziosità  velenose     contro  gli influenzer  da  parte  di  una famosa blogger   con il dente  avvelenato      c'è la  conferma   dello scrocco   e  dell'evasione   di  guagni   miliardari       

  • Il Fatto Quotidiano
  • » Nicola Borzi
  • Fisco e influencer: il “baratto” digitale finisce sotto la lente

    FOTO LAPRESSE

    Dopo anni di Far West, da pochi mesi anche in Italia il Fisco ha messo sotto la lente influencer, content creator, gamer e tutto il vasto mondo delle professioni che ruotano intorno al marketing sul web e i social network. Il Fatto nei giorni scorsi ha raccontato il malumore degli utenti che contestano ai loro ex beniamini social i benefici ottenuti, tra viaggi, ristoranti, pernottamenti gratis o quali. Adesso su quel mondo arriva anche la mano del Fisco. Al momento non esistono leggi e discipline fiscali specifiche per queste categorie. Ma a marzo un’operazione del comando provinciale della Guardia di Finanza di Bologna è intervenuta su quattro influencer e cinque digital creator attivi nella pubblicazione sul web di prestazioni a pagamento, recuperando 11 milioni di redditi non dichiarati e incassandone 2,8.

    SU QUESTE SABBIE così mobili si crea comunque un giro d’affari importante. Secondo l’ultimo rapporto dell’osservatorio nazionale sull’influencer marketing, nel 2023 il settore ha raccolto in Italia investimenti per 323 milioni, creato 238.800 contenuti digitali in collaborazione con i brand e ottenuto oltre 192 milioni di interazioni social. Ecco perché il 9 marzo ADE e Guardia di Finanza hanno siglato un memorandum operativo congiunto per garantire il rispetto delle regole fiscali da parte di influencer, blogger e creator. Il piano d’azione per il contrasto all’evasione parte dall’esame e valorizzazione dei dati disponibili, con approfondimenti sulle “posizioni caratterizzate da una forte sproporzione tra redditi dichiarati, numero di iscritti o visualizzazioni sui canali web e disponibilità di beni” come immobili, auto di lusso, società.

    Il problema è che la disciplina fiscale applicabile ai content creator, a seconda dei casi, individua i loro redditi come “diversi”, quando l’attività non è la fonte principale o è occasionale, da lavoro autonomo, se questa attività è svolta in forma abituale ma non esclusiva, o di impresa. Il fatto è che gli influencer in alcuni casi operano direttamente come persone fisiche, ma quando raggiungono un certo successo gestiscono i diritti relativi alla loro immagine tramite una o più società. Su questo fronte, uno scontro con l’ex calciatore della Juventus Cristiano Ronaldo ha portato la Corte tributaria di secondo grado del Piemonte nel 2023 a confermare la decisione della Commissione tributaria provinciale di Torino sul fatto che sfruttare il diritto di immagine è lavoro autonomo.

    Un caso particolare proprio sul fronte dell’iva e dell’imposta sui redditi è quel del baratto che scatta quando i brand o le aziende effettuano un cambio merce pubblicitario con gli influencer. È il cosiddetto advertising bartering, uno scambio tra beni o servizi (ristorazione, ospitalità, turismo) offerti dai brand agli influencer in cambio di promozione digitale. Dal punto di vista fiscale questa operazione è considerata un contratto di permuta e ciascuna delle due parti, come stabilito da una sentenza della Cassazione nel 2018, deve pagare l’iva. L’influencer poi deve inserire i ricavi nel calcolo dell’imponibile, aziendale o personale.

    Ma gli influencer e i digital content creator hanno anche altri obblighi, ad esempio sulla privacy, sul diritto d’autore sui contenuti e soprattutto il divieto di pubblicità occulta. Su quest’ultimo tema, l’autorità garante delle comunicazioni ha approvato nuove linee guida che si applicheranno in particolare agli influencer con almeno 1 milione di follower (calcolati complessivamente su tutte le piattaforme) e che generano reazioni degli utenti (come commenti o like) su almeno il 2% dei contenuti pubblicati. A questi influencer sarà chiesto di rispettare regole sulla trasparenza della pubblicità, più rigida rispetto a oggi, con maggiori sanzioni: le multe previste dal Testo unico sugli audiovisivi arrivano a 250 mila euro. Maggiori obblighi di tutela anche per i minori e la trasparenza societaria (dovranno essere “chiaramente individuabili e contestabili”, dice l’agcom).

    A fronte di questo quadro, vago e in divenire, delle norme, proprio l’operazione di Bologna dimostra però che la realtà è complessa e che il Fisco dovrà impegnarsi a fondo per mettere sotto controllo una prateria tanto brada.

    25.7.24

    Tutti contro i “supplied” La rivolta ( o il solito fuoco di paglia o indignazione ) dei follower contro lo “scrocco” degli influencer

     Da sinistra: Paolo Stella, Marina Di Guardo, mamma
       di Chiara Ferragni e di Valentina (qui con il fidanzato)

     Finalmente  qualcuno s'accorge    che la  pacchia  per  gliinfluenzer  scrocconi  è  finita   speriamo     . 
    Infatti  sul Web c’è un’aria “giacobina”. Qualcuno    sostiene che stia iniziando una nuova epoca che costringerà gli influencer a ricalibrare l’ostentazione del privilegio. Fatto sta che per la prima volta dall’alba dei social i follower (e non gli influencer) sembrano avere il coltello dalla parte del manico.
    Quello che    da  fastidio   è  che   e  dovrebbe  far  riflettere   è  che    che  ci sia  voluto, anche se  le  avvisaglie  non mancavano  , lo  scandalo  (  in realtà niente  di nuovo \  la  scoperta  dell'acqua  calda  dell'ovvio     per  chi segue    anche    passivamente   senza  partecipazione  emotiva e  con spirito  critico  il mondo dello  spettacolo \   showbiz  )  .     Da qualche mese, infatti, dopo la caduta (  ma   spesso  i  vip  sono  furbi     ed  hanno mille  vite  e  ne  sanno una  più del  diavolo e sanno  sempre  trarne  vantaggio   ) dell’impero Ferragnez con il conseguente disvelamento di molte strategie di marketing, è iniziata quella che potremmo, almeno   sembrerebbe ,   definire “la rivoluzione del supplied”.

    Il supplied è un accordo commerciale tra influencer e brand/aziende per cui l’influencer pubblicizza sui suoi social un prodotto, un hotel o un ristorante in cambio di fornitura del prodotto o di ospitalità gratuita. Insomma, una sorta di baratto 2.0 o  di   scambio   .Questa pratica va avanti da anni e la sua deriva è sotto gli occhi di tutti: c’è chi cambia l’arredamento di casa ogni sei mesi perché tanto in cambio di qualche storia gli regalano i mobili nuovi. Chi fa i check-up gratuitamente in cambio di una foto mentre varca la soglia della clinica, chi si accontenta di una cena al fast food (basta che non si paghi), chi pubblica la foto dell’hotel a cui ha scroccato le vacanze con nonni e suocera al seguito, chi fa l’epilazione definitiva supplied, chi addirittura si fa regalare qualche seduta dallo psicologo di una nota piattaforma online (psicologo che magari potrebbe diagnosticare questa ossessione per lo scrocco). Il supplied,   da  non confondere  con lo scambio   e  la condivisione   usata  in situazione di  emergenza  (  guerre   ,  carestie  , crisi   sociali  ,   mondo  contadino  , ecc   )   è finito  a causa di quel misto di insofferenza e disincanto provocato dal Pandorogate, è ormai sempre  più   mal tollerato da numerosi follower stanchi di assistere allo sfoggio costante dei beneficie privilegi   riservati agli influencer più ricchi e viziati. La conseguenza è che se prima l’influencer postava le foto delle vacanze scroccate e la gente commentava “che bello”, “che fortuna”, ora i commenti più frequenti sono “che parassita”, “perché non ti paghi le vacanze come tutti?”.ha  ragione   la   famosa  Blogger   e  giornalista  de  il  fatto  quotidiano    quando   dice  : <<   [.... ] L’ASPETTO più preoccupante (per gli influencer) è che il “rancore sociale” da qualche tempo si riversa anche su aziende e brand che regalano prodotti e servizi agli influencer: numerose pagine Instagram di alberghi, ristoranti, brand di moda hanno dovuto chiudere i commenti per arginare le shitstorm. Emblematico il caso dell’influencer Paolo Stella, noto per esibire la sua vita lussuosa: pochi giorni fa l’impianto di condizionamento della sua grande casa milanese si è rotto. Ha avuto dunque la geniale idea di postare la foto della suite imperiale dell’hotel 5 stelle “Principe di Savoia” specificando che avrebbe dormito lì, al fresco, grazie all’ospitalità offerta dalla struttura. Inutile dire che questo supplied è costato all’influencer e al “Principe di Savoia” migliaia di commenti indignati tra cui “fa caldo pure a casa mia, posso venire con mio figlio disabile e il cane cardiopatico?” e così via. [...] . da il Fq  del 23\7\2024 >>  Sfogliando   per   :  due risate  ,  per  non rimanere  in  silenzio  e  fare  la  figura  dello  snob e  dell'associale     con amici  omquando  vedi  blob   e non capisci i  coollegamenti  perchè non sai   ch  è  quela  ersona o  cosa  ha  fatto  ,  o perchè purtroppo  adesso  sono  ovunque     visto che ormai  è venuta men    quella separazione  tra  gossip \  costume  e  società  e   informazione  (  cronaca  , politica  , ecc  )  il   Il sentiment è diventato “ri-sentiment”. Infatti  I matrimoni vip di Diletta Leotta e Cucina Botanica sono stati fortemente criticati per le stesse ragioni: entrambe molto ricche, le due non si sono pagate neppure l’abito da sposa, gentilmente offerto da un noto brand. <<  Numerosi influencer >>  secondo  la blogger  prima  citata << sono sommersi di commenti densi di risentimento per la continua ostentazione di case completamente costruite e arredate dagli sponsor e poi, naturalmente, c’è l’immancabile famiglia Ferragni. Marina di Guardo, madre di Chiara, è in vacanza con le due figlie Valentina e Francesca in un grande hotel lusso in Sardegna e non manca di postare continuamente storie instagram con la scritta supplied mimetizzata tra foto di acque cristalline e piatti di sauté di vongole. Migliaia di follower, da giorni, hanno preso d’assalto la struttura e la pagina della signora facendo notare come sia nelle possibilità economiche della famiglia Ferragni pagarsi una vacanza anziché soggiornare gratis, tanto più che il fidanzato di Valentina Ferragni è arrivato a pubblicare perfino l’immagine di una macedonia offerta dal bar dell’hotel con la scritta supplied.>> Insomma, non è che si stiano lucidando le ghigliottine. Molto più semplicemente, l’idea che dei milionari debbano farsi offrire pure una coppetta con due kiwi e una mela, inizia a generare un risentimento più che comprensibile.>> soprattutto   in un paese con quasi 6( 8   secondo  alcuni  )   milioni di persone in condizioni di povertà assoluta, forse gli influencer dovrebbero iniziare a riflettere su quanto il divario sociale, la mancanza di alloggi, il calo del potere di acquisto dei salari siano una polveriera e su quanto i supplied, ovvero i benefit concessi a chi i benefit se li può pagare, finiscano per diventare una delle tante “scintille” che accendono la rabbia.Infine, un’ulteriore considerazione. Il supplied  ( o meglio  lo scrocco  )  è una sorta di far west dal punto di vista fiscale. I lavoratori dipendenti pagano le tasse sui benefit eventualmente ricevuti dai datori di lavoro perché (oltre un certo importo) concorrono alla formazione del reddito personale (auto aziendali, carburante, buoni pasto…). I supplied invece   sono di fatto delle transazioni commerciali, visto che “il baratto” non mi risulta essere fiscalmente inquadrato. Faccio l'esempio riportato  dall'articolo citato  : molti influencer mostrano pavimenti delle loro nuove case interamente supplied. Se quel parquet ha un valore di 30 mila euro, l’influencer incassa beni di quel valore e il guadagno è completamente detassato. Non solo. Spesso l’influencer rivende quei beni (auto, mobili, elettrodomestici) e ha un ulteriore guadagno da un guadagno detassato. Secondo la fiscalista ed esperta in diritto societario Elisa Migliorini “la ricezione di prodotti gratuitamente può avere implicazioni fiscali. In molti ordinamenti, se un prodotto viene ricevuto in cambio di una promozione o di un post, il valore di mercato di quel prodotto potrebbe essere considerato come reddito imponibile e, pertanto, soggetto a tassazione”.AD OGGI, nessuno paga le imposte sui supplied. E questo ha favorito il proliferare del “baratto 2.0”. Del resto, se un influencer viene pagato 20 mila euro per pubblicizzare degli elettrodomestici, sul quel guadagno dovrebbe    giustamente   pagare   le tasse. Se quella stessa azienda invece gli regala 20 mila euro di elettrodomestici, è tutto guadagno. Insomma, forse sarebbe ora di tassare lo scrocco.Perchè  questi   regali fatti a questi personaggi (soggiorni in hotel, cene, trattamenti) dalle aziende in cambio di un post, ora suscitano sul  web  e  non solo  non più invidia ma  rabbia E c’è anche un problema fiscale . 

    10.7.24

    DIARIO DI BORDO N 61 ANNO II i Casi di Egiziani di Nessy Guerra e LuigiGiacomoPasseri., Pubblicità occulta, follower gonfiati, promesse di finti guadagni: 6 influencer sotto istruttoria,

     Speriamo che la soluzione di questo caso non comporti com'è avvenuto con gli Usa negli anni   '90  più  precisamente  per  il  caso della #strageCermis che porto al rimpatrio in Italia detenuta   #Silviabaraldini uno scambio iniquo riguardante il caso dell'assasino daparte dei servizi segreti Egiziani di #GiulioRegeni.
    E il secondo caso  (   foto  sotto  al  centro   )    è quello di Luigi Giacomo 
    Passeri, il cittadino di Pescara detenuto in Egitto da quasi un anno, è molto preoccupante. Secondo quanto riportato dalla famiglia e da fonti di notizie in particolare dall'ansa , è stato arrestato per possesso di una piccola quantità di marijuana per uso personale durante una vacanza.





     Da allora, la famiglia non ha avuto contatti diretti con lui dal 28 agosto 2023 e ci sono state segnalazioni che Luigi ha subito torture in prigione e che è stato lasciato senza trattamento medico dopo un’operazione per rimuovere l’appendice
    La situazione psicologica di Luigi sembra peggiorare, con lettere che indicano il rischio di autolesionismo. Il caso ha suscitato preoccupazione a livello nazionale, con paragoni ai casi di Giulio Regeni e Ilaria Salis, e chiamate all’azione da parte del governo italiano per garantire un processo equo e giusto e per il rimpatrio di Luigi . Per ulteriori informazioni e aggiornamenti, si può consultare l’articolo completo su ANSA.it.
    Bisogna che gli italiani si rendano conto che la maggior parte dei paesi del mondo non siano tolleranti o  hanno   una legislazione  blanda    \  contradditoria   come il nostro con chi fa uso di droghe.  Ma  sopratutto      prima  di andare   in vacanza  o per  lavoro    sarebbe   buona  norma  informarsi   su  cosa  è vietato  ed  proibito  in quesi  posti  .Quindi  cari  parlamentari  sovranisti  o pseudo tali     ce la diamo una mossa a fare qualcosa in politica estera   o   facciamo   solo  affari   commerciali  ed economici   ? Se  poi c'è  una   pena da scontare la la  si potrebbe   far  scontare  qui  . Ora  abbiamo fatto eleggere alle politiche  gente pur di riportarla in Italia o   scambi   vergognosi    (  vedi  quello  Cermis- Baraldini  )    abbiamo  fatto    rientrare   con tutti  gli onori  gente   poco  raccomadabile  vedi il caso   chicco forti   e non vogliamo aiutare chi potrebbe stare veramente male su forza ?



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    ma quanto sono intelligenti questi delle #associazionideiconsumatori se ne accorgono adesso che vede coinvolti sei influezer noti al grande pubblico fruitore di trash e a chi s'interessa di cultura pop che tale fenomeno delle #sponsorizzazionitruffaldine e del #farwestlegislativo è sempre ormai ( i casi dei #Ferragnez sono la punta dell'icerbeg ) più frequente . E' dagli anni 80\90 con la presenza sempre
    più massiccia di vip e personaggi creati dalla tv e dalla cultura d massa nella pubblicità e nelle sponsorizzazioni di eventi e programmi televisivi seri e semi seri che è cosi . Mi chiedo ma prima dov'erano tali associazioni ?











    20.6.24

    Cristina Fogazzi, in arte L’estetista Cinica e la lotta di classe contro chi ostenta Puzzo di povero” L’imprenditrice si difende accusando di discriminazione i follower che hanno cominciato a criticarla

      Generalmente  gli articoli  di   Selvaggia  Lucarelli   non li  digerisco  ma  qui  ha  ragione   e  conferma   quando  ho  riportato  in :   Estetista cinica, bufera sul mega party a Brera fra libri antichi e opere d’arteMusica da discoteca e abbuffate negli spazi dove agli studenti non è concesso nemmeno bere acqua. E lei si giustifica: «Non mi pare sia un museo così visitato, le mie influencer una vetrina per l’estero» .  e   il commento lasciatomi su  fb   



    Una scelta a dir poco inaudita. Con 80000 euro vai nella miglior discoteca del luogo al massimo. Ciò che stupisce è che era compresa l'assicurazione in caso di danni causati dagli ospiti. Inoltre lo stesso spazio è stato più volte richiesto da varie associazioni culturali a cui è stato prontamente negato. Chissà se gli ospiti hanno mai letto un libro



  • Il Fatto Quotidiano
  • » Selvaggia Lucarelli


  • Cristina Fogazzi, in arte Estetista Cinica, è l’imprenditrice travolta dalle critiche perché per celebrare un anno di “ Overskin” ” il brand make-up della sua azienda Veralab, ha affittato la Pinacoteca di Brera e la Biblioteca Braidense sborsando 95.000 euro. L’aspetto più interessante della vicenda è l’ondata di proteste e indignazione che ha travolto Cristina Fogazzi e quello che l’accaduto racconta, perché è molto di più di un semplice “inciampo reputazionale” che travolge Veralab (l’azienda si riprenderà, non è certo la sua fine). È il sintomo acuto di un cambiamento in atto nel mondo degli influencer provocato dallo scandalo Pandoro e un sintomo che si traduce in una insofferenza sempre più manifesta nei confronti dell’esibizione del privilegio 2.0 in tutte le sue sfumature. Gli influencer più l un g i mi ra nt i hanno intercettato la rivoluzione in divenire e il rischio che oggi si corre nel riproporre sui social il modello Ferragnez (ostentazione del lusso, sovraesposizione dei minori), altri non sanno decodificare il cambiamento e persistono nello sfoggio di regali, acquisti, status.
    L’ESTETISTA CINICA, un’imprenditrice di talento che ha fondato la sua fortuna sulla lungimiranza nel comprendere le potenzialità dell’e-commerce e sulle sue doti comunicative arrivando a fatturare 70 milioni di euro, è inciampata più volte, negli ultimi tempi, sul mostro che lei stessa ha creato. Il mostro è un brand (Veralab) che è pericolosamente vicino al personal brand (Estetista Cinica/cristina Fogazzi), visto che tutti identificano le sue creme e i suoi prodotti con la sua persona. Fogazzi ha iniziato la sua scalata nell’imprenditoria puntando sulla genuinità, sulla narrazione della piccola estetista di provincia che grazie all’intuito e al lavoro è riuscita a fondare un impero. Negli anni la sua comunicazione da “familiare” è diventata sempre più simile a quella dell’influencer e imprenditrice che ce l’ha fatta, diventando uno strano ibrido: da una parte c’è lei che continua a giocarsi la carta della donna semplice che mostra pancia e cellulite, che si punta il telefono sul viso e lancia anatemi con l’accento bresciano contro chiunque la critichi (“non ce la faccio a stare zitta”), dall’altra l’imprenditrice che inizia a comprarsi tutti gli spazi e gli influencer possibili per adv (Chiara Ferragni compresa), al fine di dimostrare che Veralab sia una potenza sul mercato.
    Piano piano, il suo stesso marchio ha iniziato a diventare una specie di influencer che si imbuca ovunque, una sorta di proiezione del suo slancio di onnipotenza con tutte le criticità del caso: Veralab ha il suo carro brandizzato al Pride (perché come i Ferragnez insegnano i diritti civili fanno posizionamento), Veralab conquista l’albero di Natale in piazza Duomo a Milano, Veralab va al Festival di Venezia, Veralab è sponsor di Sanremo (con delle agghiaccianti installazioni tipo trenini e persone travestite da spumoni detergenti), il tutto con Cristina Fogazzi in prima linea a raccontare sui social la sua emozione: l’emozione dei soldi che comprano spazi commerciali e che sono pure una chiara estensione del suo ego.
    Non a caso Fogazzi vive la presenza del suo marchio a questi eventi scintillanti come fosse una vetrina per se stessa e i suoi amici influenc er (avvocate, influencer, consiglieri comunali che poi si porta anche in barca e in vacanza). Nel tempo, l’esibizione di quella che molti definiscono “cricca dell’estetista” ha iniziato a innervosire i vecchi, affezionati follower. Anche la scelta di alcune i nfluencer quali Paola Turani per promuovere i prodotti Veralab ha provocato non poca insofferenza. Turani è nota per l’ostentazione continua di regali, beni di lusso e per i famosi “home tour” della sua villa. Ultimamente ha postato un contestassimo video in cui apre un pacco contenente una borsa Gucci del valore di 3.000 euro dicendo che l’aveva comprata un mese prima ma l’aveva dimenticata nell’armadio. Un tempo questi contenuti generavano un engagement positivo, dopo la caduta dei Ferragnez l’esibizione volgare del privilegio provoca orde di commenti risentiti e critici. Cristina Fogazzi si è difesa dalle accuse affermando che lei ha pagato l’affitto della biblioteca come tante altre aziende, che promuove la cultura, che le persone ce l’ hanno con lei perché sono classiste e lei “puzza di povero”. Non ha compreso, dunque, quanto la società viva di correzioni e aggiustamenti e quanto un’influencer che è anche una imprenditrice debba riuscire a captarli per adeguare la sua comunicazione ai cambiamenti in atto. Il tempo dello sfoggio vanaglorioso 2.0 di ciò che si può comprare con i soldi è finito. Inutile poi fare vittimismo perché non viene trattata come un’azienda, ma venga identificata come “Cristina Fogazzi ex povera” perché questa identificazione l’ha creata lei, decidendo di essere influencer prima ancora che imprenditrice. Fogazzi, negli anni, ha espresso le sue simpatie per Calenda, ha accusato Elly Schlein di determinare la morte del Pd, ha rilasciato interviste dando lezioni di etica e giornalismo, ha scelto con cura le cause su cui spendersi facendo ben attenzione a escludere quelle che potevano intaccare il suo business (Ucraina sì, Gaza no). COME  I FERRAGNEZ hanno usato la beneficenza per posizionarsi e per superare il complesso dell’avidità, lei ha usato l’arte (biblioteca compresa) per tentare di posizionarsi e superare il complesso di essere “un’estetista”. Ha una tenace insofferenza per il dissenso, tanto che ha l’abitudine di contattare spesso in privato chiunque la critichi, che siano giornalisti o persone comuni. Tenta non di rado di inglobarli nella sua sfera di influenza.Molti definiscono Fogazzi “una che si muove come Berlusconi” perché appena individua un nemico prova a portarlo dalla sua parte, a offrirgli lavoro, amicizia, inviti, collaborazioni. E, se i Ferragnez dopo un inciampo pubblico utilizzavano i bambini in qualità di “scudo reputazionale”, lei usa spesso e allo stesso modo i suoi dipendenti dicendo che sì magari ha sbagliato, ma “ho decine di dipendenti a cui do da mangiare”. Ed è buffo che accusi i suoi detrattori di classismo quando spesso usa un’espressione così classista per definire coloro che rappresentano la sua forza lavoro e che danno da mangiare a lei, la quale banchetta seduta davanti a tavole ben più ricche di quelle dei suoi lavoratori. Insomma Fogazzi, così attenta alla data di scadenza delle sue creme, dovrebbe capire che anche la sua modalità di comunicazione aveva una data di scadenza. E ha continuato a usarla, senza accorgersi che è arrivata l’ora di sostituirla.

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