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3.6.22

I pugili di Auschwitz, veri e improvvisati: costretti a battersi nei lager per sopravvivere


  repubblica  online  

La storia di Noah Klieger, che sarebbe poi diventato scrittore, giornalista e dirigente sportivo in Israele, ha ispirato José Ignacio Perez a scrivere ''K.O. Auschwitz". Atleti nell'inferno dei campi di concentramento 


Noah Klieger ha avuto un vita lunga, dal 1925 al 2018. E’ stato scrittore, dirigente sportivo, giornalista: ha raccontato il basket in dieci mondiali e

cinque olimpiadi. Tutto o quasi passa però in secondo piano rispetto ad anni maledetti, a un maledetto: 1944, 1945, Auschwitz. “Sai fare la boxe?”. In quella miriade di porte che il destino apre e chiude, la sua vita può ruotare anche intorno  a una banale domanda. No, la boxe Noah non la sa fare, ma coglie la sfumatura, capisce che può essere una via di scampo. “Sì”, nonostante non abbia mai messo un paio di guantoni e sul ring non sia ammessa improvvisazione, perché su quel quadrato ci salgono non solo kapo fisicamente molto più in forma di lui, ma anche gente che prima di entrare nell’inferno la boxe l’ha fatta davvero.

Quel ‘Sì’ potrebbe trasformarsi in una condanna se non fosse per Jacko Razon: campione di Grecia, poi militare e fatto prigioniero dai nazisti, che lì sono intervenuti dopo l'impantanamento delle truppe italiane. Jacko, che deve affrontare Noah, ci mette poco a capire che il suo avversario di boxe sa poco. E allora gli insegna i rudimenti, come stare sul ring, la fase difensiva. Di fatto il loro incontro è una sorta di recita, ma tanto basta a Noah per prendere tempo, imparare, combattere (lo farà una ventina di volte), per salvarsi con la classica forza della disperazione. Una storia raccontata nell’ultimo anno della sua vita a José Ignacio Perez, che ne ha tratto ispirazione per scrivere ‘’K.O. Auschwitz”. E’ un libro in cui si ripercorrono le vicende di alcuni pugili, veri o improvvisati, nei campi di concentramento.

Match organizzati usando violenza allo spirito nobile della boxe, degradata a senso della sopraffazione, privata di qualsiasi significato sportivo. Eppure, sembra impossibile, anche un contesto di follia presenta delle eccezioni. Come quella di Walter Durning, un kapo meno spietato del solito: affronta Tadeusz Pietrzykowski, pugile forte e molto popolare in Polonia. Ne esce demolito, ma riconosce la grande bravura dell'avversario al punto da fargli aumentare le razioni di cibo e alleggerirgli i carichi di lavoro. Tadeusz è fortunato, non come Victor Young Perez, che invece non sopravvive alle tante marce della morte.

Un libro che ci dà lo spunto anche per ricordare tante altre storie. Quella sinti Johann Trolmann ad esempio, un ballerino del ring, forte al punto da diventare campione di Germania in anni difficilissimi per la sua etnia. Purtroppo lui sulla sua strada non trova Walter Durning, ma Emil Cornelius: è uno che non accetta di essere distrutto sul ring da un avversario che neanche riesce più a stare in piedi e si vendica a colpi di piccone.

Quella di Harry Haft: il nome è l’americanizzazione di Hertzko. Lui è un pugile vero, lo dimostrerà nel dopoguerra, quando riuscirà addirittura a ottenere una chance mondiale per il titolo dei pesi massimi contro l’immenso Rocky Marciano.  Si chiama ancora Hertzko quando mette nei suoi combattimenti ad Auschwitz una tale ferocia da venire chiamata la ‘belva giudea’. Le cicatrici nell’anima gli rimarranno, ma la sua storia è di quelle in cui tante sensazioni si confondono. Una storia diversa da quella del romano Leone ‘Lelletto’ Efrati, uno dei parecchi idoli dei ring romani degli anni Trenta. Va forte, abbatte i confini, va all’estero: in Francia e poi in America, dove arriva a battersi per il titolo mondiale fallendo di poco l’impresa. Potrebbe restarsene al di là dell’oceano, ma torna per stare vicino alla famiglia. Caduto in una retata della Gestapo, vincerà tante volte nonostante – peso piuma – venga spesso costretto a battersi contro gente fisicamente molto più grande. Non potrà farlo quando, intervenuto per difendere il fratello, la furia dei guardiani si accanirà contro di lui.

24.1.17

L'altro olocausto \ shoah puntata IV [ fine ] gli asociali , i politici , i malati psichici e con handicap , i militari , gli emigrati

Prima  delle  notizier  vediamo  come  venivano  "  classificati  "  atteraverso simboli \  triangoi d'identificazioni 

Un triangolo di colore rosso, rot [1][7]identificava i prigionieri politici, politischer Vorbeugungshäftling[8], arrestati per "fermo protettivo", Schutzhaft[9], un pretesto per internare gli oppositori al nazionalsocialismo[10]. Erano denominati Roter secondo la lingua del lager di Mauthausen[2]. Identificava, fra gli altri, i sacerdoti antifascisti o considerati tali[11][12][13]un triangolo giallo[14], o una Stella di David, Judenstern[1][15][16], costituita da due triangoli di colore giallo appositamente sovrapposti, identificava i prigionieri ebrei;
un triangolo di colore marrone identificava i prigionieri zingari[1][17]. Erano denominati Brauner secondo la lingua del lager di Mauthausen[2];
un triangolo di colore nero identificava gli asociali, Asoziale[18]. Erano denominati Aso secondo la lingua del lager di Mauthausen[2]. I nazisti ritenevano che fossero da considerare quali asociali, fra gli altri, i vagabondi, gli etilisti, i malati di mente, le prostitute, le lesbiche, gli zingari[17][19][20]. Alcuni prigionieri contrassegnati dal triangolo nero svolsero il ruolo di Kapo[21];
un triangolo di colore viola identificava i testimoni di Geova, i "ricercatori della Bibbia", Bibelforscher[1][22][23][24], detti anche "i viola", die Violetten[25];
un triangolo di colore rosa identificava i prigionieri omosessuali[19][26], internati sulla base del Paragrafo 175. Erano denominati Rosaroter, secondo la lingua del lager di Mauthausen[2];
un triangolo di colore azzurro identificava gli emigrati, Emigranten[1]. Si trattava di fuoriusciti dalla Germania in quanto oppositori antinazisti, rientrati perché richiamati con la frode, o per la minaccia di ritorsioni nei confronti dei loro familiari[4][27]. Nel lager di Mauthausen i triangoli azzurri erano attribuiti ai prigionieri politici spagnoli[6][28];
un triangolo di colore verde identificava i delinquenti comuni[29], che generalmente svolgevano il ruolo di Kapo[29].

in questa  puntata     si parlerà  del  :  triangolo nero   , rosso  verde  azzuro  (  degli altri si veda  puntate precedenti  )

   Al  primo triangolo (  IL   triangolo nero )  
appartengono anche  i malti   di ente  ,  gli  handicappati  , essi     " seguirono   un programma particolare  "  riospetto a  quello  degli altri deportati nei lager  .  Infatti il  loro olocausto si chiama Aktion T4 è, il nome convenzionale con cui viene designato il Programma nazista di eutanasia che sotto responsabilità medica prevedeva la soppressione di persone affette da malattie genetiche inguaribili e da portatori di handicap mentali (ma non fisici, se non per casi gravi), cioè delle cosiddette "vite indegne di essere vissute".   Quindi  si può dire  che  Hitler  , senza  per  questo sminuirne  le colpe ,  porto  avanti  e   realizzo   con lo sterminio  ,  sempre  secondo  i siti  citati sotto   , le  torie   anzi pseudo teorie    di fine  XIX e  inizio  del XX secolo i.  Infatti  in molte nazioni - tra le quali spiccavano Stati UnitiGermania e Regno Unito - si discuteva di eugenetica, una disciplina strettamente correlata al darwinismo sociale, volta a migliorare la specie umana attraverso la selezione dei caratteri genetici ritenuti positivi (eugenetica positiva) e l'eliminazione di quelli negativi (eugenetica negativa). In Germania la discussione si appoggiava su concetti di «razzismo scientifico» ed «igiene razziale» secondo i quali il Volk (traducibile in «comunità popolare» ed inteso come insieme degli individui legati da caratteristiche razziali e culturali) avrebbe dovuto sopravvivere e migliorarsi come collettività anche a discapito, se il caso, dei diritti dell'individuo  . Scusate ,  se  non continuo ma non ho  uno " stomaco  forte " pe  regge  e riuscire  a leggere   le  aberrazioni  pseudo mediche  e   e pseudo scientifiche   che  essi e non solo    dovettero subire  . Quindi  vi rimando ai siti sotto 

Oltre  ad essi    c'erano  gli  asociali Nel corso degli anni Trenta, secondo questo articolo del sito http://www.assemblea.emr.it/ la popolazione internata nei lager nazisti subì notevoli mutamenti. A poco a poco, i politici divennero una minoranza, mentre il numero prevalente di prigionieri apparteneva alla categoria dei cosiddetti elementi antisociali, termine generico che comprendeva i delinquenti abituali, le prostitute, gli alcolizzati, i vagabondi senza fissa dimora e i renitenti al lavoro.
Secondo l’ideologia nazista, la laboriosità era uno degli atteggiamenti che distinguevano nettamente gli ariani dai popoli inferiori, pigri e parassiti. Chiunque fosse un vero tedesco doveva prendere il proprio posto con entusiasmo all'interno della comunità nazionale e dare il proprio contributo all'economia del Reich; viceversa, chiunque non rispettasse la legge dello Stato o, nel proprio comportamento, non si conformasse alla norma, doveva essere rieducato o punito.
Inoltre va ricordato che :  - secondo la concezione nazista - il comportamento deviante era ereditario; sulla base della Legge per la prevenzione di progenie affetta da malattie ereditarie (emanata il 14 luglio 1933), gli asociali vennero catalogati fra coloro che dovevano essere soggetti a sterilizzazione coatta: bisognava impedir loro di procreare, in modo che la razza fosse purificata dei propri elementi più scadenti ed elevasse il livello della propria purezza e della propria perfezione.
Inoltre  La persecuzione dei rom e dei sinti sotto il regime nazista è stata parte di quella più generale contro gli asociali. Ma ha avuto anche caratteristiche specifiche, che è bene conoscere. Perché anche oggi...  : <<   Il tiranno parla il linguaggio della legge, non ha altro linguaggio.Egli ha bisogno dell'«ombra» delle leggi.(G. Deleuze) >> ( fonte http://www.anarca-bolo.ch/a-rivista/376/128.htm   con un ottima bibliografia   per  chi volesse  approfondire  l'argomento  ) 

il  triangolo rosso 

Risultati immagini per triangolo rossso and  lagere
Con esso s'identificavano secondo i prigionieri politici, politischer Vorbeugungshäftling[, arrestati per "fermo protettivo", Schutzhaft[ , un pretesto per internare gli oppositori al nazionalsocialismo Erano denominati Roter secondo la lingua del lager di Mauthausen
Identificava, fra gli altri, i sacerdoti antifascisti o considerati tali . Fra essi vengono anche inseriti Gli IMI / Internati Militari italiani cioè Il tema sono gli italiani nei lager nazisti. Quindi parleremo del destino di circa 900.000 persone, tanti sono stati gli italiani che sono stati deportati in Germania o nei territori del Reich durante la Seconda guerra mondiale.come schiavi per  lavoro , er   aver  rifiutato  di arruolarsi per  la Rsi  stato  fantoccio del governo nazista  in Italia  , ecc  ulteriori news    le  si trova  in   questo dettagliato articolo  del  sito  http://restellistoria.altervista.org/
Quel   che  è certo   Si tratta di una deportazione poco conosciuta perché quando arriva il 27 gennaio i giornali e la televisione parlano quasi esclusivamente della Shoah ebraica e all’interno di questa solo o quasi di Auschwitz.


Il triangolo  Azzurro 

Non ho trovato altre  news  se  non questa    breve descrizione  ( a cui  ho  fatto riferimento  anche  se triangoli precedenti  )  tratta  da  wikipedia  più precisamente la  voce   :  Simboli dei campi di concentramento nazisti   .
Con tale   triangolo  identificava gli emigrati, Emigranten. Si trattava di fuoriusciti dalla Germania in quanto oppositori antinazisti, rientrati perché richiamati con la frode, o per la minaccia di ritorsioni nei confronti dei loro familiari. Nel lager di Mauthausen i triangoli azzurri erano attribuiti ai prigionieri politici spagnoli




24.1.15

Primo Levi e la lettera inedita: l’olocausto spiegato a una bambina

  Canzone consigliata 


  Lo so che  è ovvia  è.p scontata ma  non ne  ho trovate altre  di cosi incisive   più  pessimista della classica  di  Guccini    riportata  " per par  condicio  "


Lo so che precedentemente ( vedere  qui  il post ) fino al 27 gennaio mi avrei garantito il silenzio . Ma davanti a sifatto articolo , in cui viene spiegata in maiera cosi nintida e senza ipocrisie \ tabù inutili cosi sia la malvagitù e cosi sia stato l'olocausto , non ci sono riuscto . 


 Da  http://www.lastampa.it/2015/01/23/cultura/

“Piuttosto che di crudeltà, accuserei i tedeschi di allora di egoismo, di indifferenza, e soprattutto di ignoranza volontaria perché chi voleva conoscere la verità poteva conoscerla e farla conoscere”



monica perosino
Torino 
Gli avevo chiesto:come potevano essere così cattivi?  
A 11 anni, nel 1983, avevo appena finito di leggere Se questo è un uomo. L’avevo letto durante le vacanze di Natale, e riletto pochi giorni dopo l’Epifania. Ma restavano domande senza risposta: esiste la malvagità? 
Se questo è un uomo era nella lista dei libri da leggere stilata dalla professoressa di italiano, Maria Mazza Ghiglieno. Neanche lei, che pure aveva sempre le domande e le risposte giuste, poteva risolvere il dilemma. Così, spinta dalla logica senza curve di un’undicenne, mi parve ovvio andare alla fonte. Cercai l’indirizzo di Primo Levi sulla guida del telefono per chiedere direttamente a lui: perché nessuno ha fatto niente per fermare lo sterminio? I tedeschi erano cattivi?  
Nemmeno per un attimo pensai che stavo scrivendo allo scrittore di fama planetaria. Per me era «solo» Primo Levi e il suo libro era anche un po’ mio. Chiedere conto a lui mi parve la cosa più naturale del mondo. Lui doveva sapere per forza. Presi la mia carta da lettere preferita, zeppa di fiori e pupazzi, e scrissi una paginetta di lettere tozze. Già che c’ero lo invitai nella mia scuola. 
La risposta arrivò, datata 25 aprile, e non colsi subito la coincidenza fino in fondo. Il concetto di «ignoranza volontaria» non era la spiegazione che mi aspettavo. Io volevo sapere se il male esisteva. Smisi di rileggere la lettera tre anni dopo, l’11 aprile 1987, quando trovarono il corpo di Primo Levi nella tromba delle scale. Ero rimasta senza l’uomo che avrebbe potuto darmi spiegazioni. La lettera finì in un cassetto, assieme ad altre. Ora, 32 anni dopo, è rispuntata durante un trasloco, con tutte le sue risposte.

25/4/83
Cara Monica,
la domanda che mi poni, sulla crudeltà dei tedeschi, ha dato molto filo da torcere agli storici. A mio parere, sarebbe assurdo accusare tutti i tedeschi di allora; ed è ancora più assurdo coinvolgere nell’accusa i tedeschi di oggi. È però certo che una grande maggioranza del popolo tedesco ha accettato Hitler, ha votato per lui, lo ha approvato ed applaudito, finché ha avuto successi politici e militari; eppure, molti tedeschi, direttamente o indirettamente, avevano pur dovuto sapere cosa avveniva, non solo nei Lager, ma in tutti i territori occupati, e specialmente in Europa Orientale. Perciò, piuttosto che di crudeltà, accuserei i tedeschi di allora di egoismo, di indifferenza, e soprattutto di ignoranza volontaria, perché chi voleva veramente conoscere la verità poteva conoscerla, e farla conoscere, anche senza correre eccessivi rischi. La cosa più brutta vista in Lager credo sia proprio la selezione che ho descritta nel libro che conosci. 
Ti ringrazio per avermi scritto e per l’invito a venire nella tua scuola, ma in questo periodo sono molto occupato, e mi sarebbe impossibile accettare. Ti saluto con affetto
Primo Levi  



<< [...]  il male, quello vero, non esiste. >> come    dice di Ilenia Gullo  sul sito   http://www.orticalab.it

più  precisamente qui <<  Si maschera proprio sotto il falso spettro della superbia dell’egoismo, dell’indifferenza e della volontaria ignoranza in cui l’umanità, da sempre, continua a specchiarsi. Volontariamente o involontariamente, non importa.
A confermare questa grande verità, non sono io. È stato uomo di nome Primo Levi, in una lettera inedita, dimenticata e ripescata per caso in un cassetto, resa pubblica al mondo dal quotidiano “La Stampa” la scorsa settimana, scritta quasi 32 anni fa, il 25 aprile del 1983.
Come spiegare a Monica, una bambina di undici, che cos’è stato l’Olocausto? Come ammetterle l’esistenza del male? E che cos’è il male? Di chi è stata la colpa di tanto orrore? >> 

22.1.14

la storia di Iby Knill e la sua Promessa di una ragazza destinata a morire: sopravvissuta all'Olocausto rompe 70 anni di silenzio per raccontare ultime parole di adolescente prima che lei e twin sono stati portati via per esperimenti di Auschwitz



Promise to a girl doomed to die: Holocaust survivor breaks 70 years of silence to tell of teenager's last words before she and twin were taken away for Auschwitz experiments 
Iby Knill promised teenager she would tell everyone the evil of Auschwitz 

But when the death camps were liberated it 'didn't feel right' 
Now aged 90 and in Leeds, she found the courage as a mature student 

PUBLISHED: 13:04 GMT, 5 December 2013 


A grandmother who survived the Holocaust has finally spoken about the horrors of Auschwitz 70 years after promising a girl she would tell the world what she had witnessed.
Iby Knill, 90, recalls how on the first night she spent at the death camp in July 1944 a frail teenager crawled over to her and begged 'if you live, please tell our story.'

Four years ago Mrs knill took a course in theology and it was during one of the group sessions that she finally revealed she was sent to the concentration camp when she was 20.
In a moving testament she describes the realisation that she faced being gassed like six million others.
Traumatising: Iby Knill, pictured after Auschwitz was liberated and as a Leeds grandmother today, has fulfilled a promise she made to a dying girl to tell the world about the horrors of the death camps. It took almost 70 years



Survivor: Iby Knill, now 90, is the subject of a documentary. She said: 'The girl told me that her and her sister were going to be experimented on. She said they were then going to be gassed and therefore exterminated'



She explains in a new documentary that during a session on her course a group at Leeds University, in the city where she now lives, was discussing whether the Holocaust was a result of evil or sin.
The tutor said that 'only a person who was there could answer that question'. Mrs Knill responded simply with 'I was there'.
For Mrs Knill it was like the floodgates had been opened and, fulfilling her promise to the unknown girl, she decided to write her memoirs.



Horror: Iby Knill spent six weeks at Auschwitz. Pictured is
the famous inscription 'Work makes [you] free'
Remembering her terrible first night at Auschwitz, she said: 'The girl told me that her and her sister were going to be experimented on.
'She said they were then going to be gassed and therefore exterminated. She made me promise to tell the story of the camps, if I were to live.
'Of course I said yes, but after the war was over it didn’t seem right to talk about what had happened.'


Death camps: Iby Knill was at Auschwitz, which comprised two separate camps, for six weeks


nstrument of death: One of the surviving gas chambers at the Auschwitz concentration camps



She said: 'There, you were one of a number, and it came down to how long you could survive.'
After the camps were liberated, she was too traumatised to tell her story but has finally broken her silence.
Mrs Knill, who went on to marry British Army major Herbert Knill, was born in Czechoslovakia but escaped to Hungary in 1942 when the SS began rounding up Jews.
Two years later, when Mrs Knill was 20, Hungary was occupied and she was transported to Auschwitz where she spent six weeks before being transferred to the German labour camp Kaunitz, which was eventually liberated. 
Mrs Knill later moved to Britain where she had two children, Christopher Knill, a psychiatrist, 65, and Pauline Kilch, 58, a teacher.
A film was made out of Iby's memoirs, The Woman Without a Number, by film and television student Robin Pepper, 22, at Teesside University.
He and fellow students Mark Oxley, 26, from Darlington, and Ian Orwin, 22, from Sunderland, made the documentary for a final year project after he read her book in just one day.
Mrs Knill said: 'Robin has done a marvellous job, and I am very happy with the film. It goes some way towards fulfilling the promise I made to the twin all those years ago.'
Robin added: 'It was an honour to work with Iby. She is an amazing lady, and we are really pleased we have helped her keep that promise she made so long ago.'



                                GRUESOME EXPERIMENTS 
The Auschwitz death camps played host to some of the most gruesome Nazi medical experiments, which few survived.
Professor Carl Clauberg oversaw the mass sterilisation of hundreds of Jewish prisoners by putting chemicals in their fallopian tubes and exposing their genitals to X-rays. The procedures were brutal, often causing infections and radiation burns. 
Some ‘patients’ were used for human medical trials of the drugs Rutenol and Periston, reacting with bloody vomiting and painful diarrhoea.
Other experiments had no apparent purpose and were done merely for practice - or pleasure.
Doctors deliberately made the lungs of tuberculosis patients collapse and killed others by injecting lethal phenol into their hearts.
One of the most infamous doctors, Josef Mengele (above right) infected different races with contagious diseases to see how their survival rates compared.
Source: Auschwitz.org
She said: 'There, you were one of a number, and it came down to how long you could survive.'
After the camps were liberated, she was too traumatised to tell her story but has finally broken her silence.
Mrs Knill, who went on to marry British Army major Herbert Knill, was born in Czechoslovakia but escaped to Hungary in 1942 when the SS began rounding up Jews.
Two years later, when Mrs Knill was 20, Hungary was occupied and she was transported to Auschwitz where she spent six weeks before being transferred to the German labour camp Kaunitz, which was eventually liberated.
Mrs Knill later moved to Britain where she had two children, Christopher Knill, a psychiatrist, 65, and Pauline Kilch, 58, a teacher.
A film was made out of Iby's memoirs, The Woman Without a Number, by film and television student Robin Pepper, 22, at Teesside University.
He and fellow students Mark Oxley, 26, from Darlington, and Ian Orwin, 22, from Sunderland, made the documentary for a final year project after he read her book in just one day.
Mrs Knill said: 'Robin has done a marvellous job, and I am very happy with the film. It goes some way towards fulfilling the promise I made to the twin all those years ago.'
Robin added: 'It was an honour to work with Iby. She is an amazing lady, and we are really pleased we have helped her keep that promise she made so long ago.'



emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...