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4.5.21

fare pressione sui media serve a qualcosa . la felice conclusione( adesso inizia la lotta con le nuove cure ) del caso daniela molinari

 Leggendo   le  ultime news  , trovate  sotto un riassunto  e  un articolo   con le  ultime news    della vicenda  ,di Daniela  Molinari  ,  ho pianto   dalla Gioia  . 



Riassunto

l’infermiera di Como di 47 anni malata di cancro, che si era vista rifiutare dalla madre biologica che l’aveva abbandonata alla nascita un semplice gesto di umanità: sottoporsi a un banale prelievo di sangue per permetterle di accedere a una immunoterapia sperimentale che potrebbe salvarle la vita. “Ti chiedo di ripensarci” l’aveva implorata. “Rifiutando di sottoporti a un prelievo di sangue, condanni me e le mie figlie, una delle quali ha appena nove anni. Condanni una famiglia”.

da 

Una nuova speranza per Daniela Molinari: la madre ha detto sì al prelievo per la mappatura del Dna

Dopo gli appelli, la madre naturale dell’infermiera di Como ha deciso di sottoporsi a quell’esame per dare il via libera alla terapia sperimentale contro il cancro. Ora per la donna c’è una nuova speranza dopo anni di sofferenza

25.6.19

Gli psicoanalisti d'America chiedono scusa agli omosessuali 50 dopo i fatti di stonewall



Risultati immagini per stonewall Che le più importanti società psicoanalitiche e psichiatriche, in Italia e nel mondo, non vedano più l'omosessualità come una patologia e, anzi, sostengano il valore psicologico delle leggi che tutelano i legami affettivi e familiari delle persone omosessuali, non è più, fortunatamente, una notizia. Lo è, invece, la decisione dall'American Psychoanalytic Association (APsaA) di porgere le sue scuse alla comunità LGBTQ. Scuse "da tempo dovute", si legge nel comunicato, per aver patologizzato, nel corso della storia, gli orientamenti non eterosessuali e le identità transgender. L'annuncio è stato dato pochi giorni fa in occasione dell'apertura del 108esimo convegno annuale dell'APsaA, svoltosi a San Diego, e in concomitanza con le celebrazioni del cinquantesimo anniversario dei moti di Stonewall, considerati simbolicamente l'atto di nascita del movimento di liberazione delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e queer (LGBTQ). Nel 1969 l'omosessualità era infatti considerata una patologia mentale e come tale veniva "curata". Disturbo mentale era considerata anche quella condizione di sofferenza (un tempo nota come transessualismo e oggi definita "disforia di genere") causata dall'incongruenza tra il proprio sesso anatomico e la percezione di sé come uomo o donna. A partire dagli anni Ottanta le teorie patologizzanti sono state sconfessate e l'omosessualità è stata eliminata dai manuali diagnostici internazionali.
I professionisti della salute mentale hanno imparato a riconoscere i danni psicologici causati dallo stigma sociale e scientifico e dalla sua interiorizzazione (omofobia interiorizzata e minority stress). Chi vuol farsi un'idea dei presupposti violenti e normativi delle cosiddette "terapie riparative" può vedere due film recentemente distribuiti anche in Italia: La diseducazione di Cameron Post e Boy erased - Vite cancellate. "È arrivato il momento di chiedere scusa", ha detto Lee Jaffe, presidente dell'APsaA "per il ruolo che anche noi psicoanalisti abbiamo ricoperto nel promuovere pregiudizi traumatici". Riconoscere gli errori non cancella il dolore accumulato, ma lo può curare. Anche se qualche terrapiattista della psiche, sedicente terapeuta, continua a considerare l'omosessualità una condizione da "riparare", i veri terapeuti sanno che il loro lavoro consiste nel promuovere l'autenticità, la dignità individuale e la capacità di amare in accordo con il proprio desiderio. Riconoscere un errore e scusarsi è un'azione interpersonale (e in questo caso anche scientifica) importantissima: trasforma un paradigma, ripara antiche ferite, rende possibile l'elaborazione collettiva di un pregiudizio e delle sue ripercussioni traumatiche.

per  approfondire  
fatti 
https://it.wikipedia.org/wiki/Moti_di_Stonewall
https://www.wikipink.org/index.php/Moti_di_Stonewall
 film
Stonewall 1995 dal regista britannico Nigel Finch.
Stonewall  diretto da Roland Emmerich con protagonisti Jeremy Irvine e Jonathan Rhys Meyers.



23.6.16

Padre, madre e figlia: maturità per tre

anchequesta  è maturità  .

Padre, madre e figlia: maturità per tre

                             La famiglia Di Canito (Foto di Maurizio Bosio, Reporters Srl)

la  stampa.it   del  23/06/2016

di  Massimo Gramellini



Siamo la famiglia Di Canito, abitiamo a Piossasco in due camere e cucina e ieri abbiamo sostenuto l’esame di maturità. Padre, madre e figlia. Tre in un colpo solo. Chissà se era mai successo. Di sicuro è successo a noi.
Ci presentiamo. Carmine ha 52 anni, viene dalla provincia di Foggia e fa l’operaio al centro ricerche della Fiat. Arrivando da una famiglia povera ha dovuto mettersi presto a lavorare e gli è rimasto un conto aperto con la cultura. Gli piace capire, parlare, essere all’altezza della situazione. La moglie Cinzia, di sei anni più giovane, è cresciuta a Messina e ha fatto l’operaia alla Merloni, prima che la spingessero in cassa integrazione. Tre anni fa. È stato allora che Carmine se n’è uscito con quel discorso strano: «Adesso avrai più tempo libero: puoi passarlo a piangerti addosso oppure a prenderti un diploma che potrebbe aiutarti a trovare un lavoro migliore». La moglie ha detto soltanto: «Ma sei pazzo?». E lui, serissimo: «Sì. Talmente pazzo che non ti lascerò sola. Se ti iscrivi alle scuole serali, le farò con te».
E così noi, la famiglia Di Canito, ci siamo iscritti alla Polis per ottenere il diploma in economia aziendale. A lezione tutte le sere dalle cinque alle nove, che quando andava bene si cenava alle dieci con il mal di testa, ma senza smettere mai di parlare di quello che avevamo imparato. Marika guardava i genitori con aria di superiorità e però di tenerezza. Li incoraggiava. Marika è la primogenita. Frequenta un istituto a indirizzo socio sanitario. Accanto a lei Miriana, la più piccola. Crediamo fossero orgogliose di papà Carmine e mamma Cinzia. Crediamo lo siano ancora.
All’inizio l’abbiamo preso come uno scherzo. Ma poi il gioco si è fatto serio. Quattro persone in tre stanze che cercano di studiare senza darsi troppo fastidio. Impossibile, anche perché, per arrotondare, Carmine e Marika nei weekend cantano ai matrimoni. Durante la settimana devono allenare la voce e non è facile concentrarsi sui libri mentre ti strimpellano Biagio Antonacci negli orecchi. Per non parlare di Cinzia, che aveva il vizio di mettersi in un angolo del tinello a ripetere gli appunti delle lezioni a voce alta. Ci disturbavamo a vicenda e invece, senza rendercene conto, ci tenevamo compagnia. Gli amici non risparmiavano i pregiudizi e gli sfottò. «Ma chi te lo fa fare?», dicevano a Carmine. E lui: «Il piacere di saperne di più. E poi lo faccio per aiutare Cinzia a cogliere la sua occasione». Noi Di Canito siamo una squadra. Di più, una famiglia. All’inizio Cinzia era bravissima, specie in matematica, mentre Carmine sbuffava dietro ai numeri come se fossero geroglifici. Ma dal secondo anno ha rimontato. A scuola si era creata un’atmosfera calda. Professori disponibili e compagni di classe affettuosi come la nostra coetanea Monica Tarasco. Abbiamo fatto pochissime assenze, anche se eravamo stanchi e per qualcuno ridicoli. Ma cosa c’è di ridicolo nell’avere voglia di imparare?
Ogni giorno pensavamo di lasciare perdere. A Cinzia non entrava in testa la storia. Carmine non digeriva il francese. E avrebbe barattato con il peggiore degli incubi quel quarto d’ora passato alla lavagna col gessetto in mano per risolvere un problema di matematica. A casa avevamo l’impressione che Marika ci guardasse dall’alto. Come se dicesse: la mia maturità è più bella della vostra. Ma l’altra sera. L’altra sera era la notte prima degli esami e Carmine e sua figlia hanno cantato la canzone di Venditti. Mamma Cinzia li ha ascoltati, agitatissima. Allora Marika ha smesso di cantare e le ha dato una quantità insolita e impressionante di baci, mentre Carmine l’ha presa tra le braccia e le ha detto la frase che ogni maschio dovrebbe imparare a memoria: «Non ti preoccupare, ce la facciamo». Ce la facciamo un corno, ha pensato Cinzia girandosi nel letto senza riuscire a prendere sonno. Avremo studiato sì e no un quarto del programma. Poi ha guardato il marito che dormiva sereno al suo fianco e ha pensato: ma sì, ce la faremo. Marika, lei ha riposato benissimo. Ieri mattina a colazione ha detto «in bocca al lupo» ai genitori, ha preso lo zaino ed è andata incontro al suo destino. Carmine e Cinzia incontro al loro, con una bottiglia d’acqua e due panini. Che effetto sedersi tra tanti ragazzi che avrebbero potuto essere Marika. Cinzia cercava Carmine con gli occhi e lui le faceva dei segni per rassicurarla, ma li avevano messi in banchi troppo lontani.
Carmine ha scelto il tema su Marte, Cinzia il rapporto padre-figli nel Novecento. Intanto in un’altra scuola Marika scriveva del suffragio universale alle donne, citando le vittorie di Raggi e Appendino. Ma più che del suo esame, era preoccupata di quello dei genitori. A dire il vero anche i genitori erano più preoccupati del loro esame che di quello della figlia. Ma mentre tutti noi Di Canito sudavamo chini su un foglio, ciascuno per conto suo, non potevamo fare a meno di pensare che il tema più bello lo stavamo scrivendo insieme. E che quel tema eravamo noi.


Ha ragione l'untente tempo prezioso quando nel suo commento dice



Buongiorno a tutti.
Quasi, quasi conviene aspettare i figli e fare la seconda parte del percorso scolastico tutti insieme appassionatamente. Si avrebbe di sicuro la necessità di regolare il traffico negli spazi dedicati allo studio in casa, e costerebbe troppo. Vai a comprare i libri contemporaneamente per tre membri della famiglia invece di diluire nel tempo naturale le spese. Comunque, come si è visto, qualcuno ci riesce. Speriamo molti. Siamo un paese ricchissimo di "macerie" prime, la cultura è una di queste. Invece dovrebbe essere, se promossa bene, ai primi posti nella scaletta del patrimonio e dei valori di un popolo evoluto e naturalmente democratico. Già nell'antica Grecia si affermava che la democrazia è un lusso per paesi colti (magari anche bene informati). Lasciamo stare. Molti attaccano le scarpe al chiodo del desiderio di conoscenza dopo la maturità o la laurea. Quella spinta non dovrebbe mai spegnersi, come la fiammella, di saperne di più, di approfondire. Siamo ricchi di mezzi per soddisfare quella spinta, basta dedicarle un po di spazio al giorno, alla settimana. Può essere il giornale, una rassegna stampa personale dei giornali online, almeno 6 - 8 libri l'anno. Basta non scambiare la cultura come merce. Un libro, un concerto, un bel film vivono con noi per sempre e possono essere condivisi con gli altri, diventare dei ricordi. Un vecchio scrittore, a proposito, diceva: " la cultura più si consuma e più ce n'è e diventa ricordo. Perché noi siamo tutto ciò che ricordiamo". Ma niente, niente la faccenda della memoria corta...........da non crederci.
l cultura    non ha  età 

5.5.14

alla faccia della lentezza 32 anni per riparare e restituire un orologio e altre storie

 La  prima storia    è tratta  dalla   cronaca  di  Olbia-Gallura  del 5\5\2014   della nuova sardegna


Orologio riparato e restituito dopo 32 anni
Tempio, storia incredibile ma vera di un commerciante: «Ora mi chiedono 170mila lire per la riparazione, ma io pagherò fra 3 decenni»


TEMPIO. Trentadue anni per la riparazione di un orologio da polso. Tanto ha dovuto aspettare un noto commerciante di Tempio per vedersi finalmente restituire da una nota oreficeria gallurese, un orologio che il commerciante aveva ricevuto in dono da suo padre sul letto di morte. Oltre la lunga attesa, altrettanto insolito il costo della riparazione: centosettanta mila lire.
A raccontare il curioso episodio è Antonio Azzena, ex presidente della Confcommercio e presidente onorario della stessa, notissimo commerciante cittadino. «Mio padre (Enea Azzena, storico e benestante commerciante di Tempio, ndc), attacca Azzena, mi regalò, nel 1981, poco prima di morire, un orologio da polso, allora di ultimissima generazione, che mia madre gli aveva regalato, a suo tempo, per i suoi sessant’anni. Un ricordo carissimo per me, che decisi di farlo diventare il mio orologio da polso quotidiano».
Poi il secondo capitolo della vicenda. «Dopo qualche mese – racconta Azzena –, però l’orologio si fermò e fui costretto a portarlo per la riparazione, presso la nostra oreficeria di fiducia, di stanza in un centro Gallurese, dove ci servivamo regolarmente e dove anche l’orologio era stato acquistato. Di questo oggetto, per me di enorme valore affettivo, nonostante le richieste, diventate sempre più pressanti con il passare degli anni, non ho più saputo nulla per 32 anni. Di volta in volta, mi è stato detto che “l’orologio era in riparazione, che il pezzo da sostituire, era di difficile reperibilità e che comunque tutto sarebbe stato sistemato”. Poi, per 


un certo periodo, mi è stato detto che non era più riparabile ed inutilmente l’ho richiesto indietro. Poi addirittura, per qualche tempo ancora, l’orefice ha cercato di convincermi che l’orologio mi era stato restituito e che forse lo avevo dimenticato io da qualche parte. Poi – dice raggiante Antonio Azzena – qualche giorno fa, dopo 32 anni, l’orologio è riapparso dalle nebbie del tempo, riparato, perfettamente funzionante e con ancora attaccato…lo scontrino della riparazione. Centosettanta mila lire».
Felicissimo della restituzione, Antonio Azzena, tramite la “Nuova”, fa sapere all’orefice, «che forse leggerà la mia e la sua storia, di essere già alla ricerca delle centosettantamila lire che, se Dio vuole, consegnerò solo ai primi di maggio del 2046. Fra 32 anni».(a.m.)

la seconda  dall'0unione sarda del  4\5\2014

  e per  finire  la classica  delle storie ,  molto spesso  frutto di  leggende   metropolitane  o catene di  sant'antonio  ma  a volte   (  non si sa  mai  cosa  può riservarti la  vita  )   vere  ,  quele  di  zii  o  parenti emigrati  che  diventan o ricchi \  fanno fortuna  e  lasciano in eredità a parenti lontani . Tratto dalla  nuova sardegna del  4\5\2014 


Zio d’Australia sparito fa la “sorpresa”
UnA EREDITA’ choc
SASSARI Quando hanno visto quella lettera, consegnata dal postino il primo aprile, hanno pensato ad uno scherzo. Ma dopo un primo momento di stupore a leggere e rileggere quello che c’era scritto su quel pezzo di carta che arrivava dall’Australia si sono dovuti ricredere. L’iniziale sbigottimento ha lasciato spazio alla sorpresa. Già, perché con quella lettera un funzionario comunale di Wilson, elegante sobborgo residenziale di Perth, cercava contatti con «gli eventuali eredi di Saccu Costantino, nato a Pozzomaggiore nel 1925 e scomparso a Perth il 21 luglio 2013». 
 
Costantino, che in Australia era diventato Constantin e, a quanto pare, non aveva mai messo sù famiglia, era morto lasciando un bel patrimonio: in particolare un ranch con allevamento di cavalli. Ecco quindi la necessità da parte delle autorità di Perth di risalire agli eredi di Costantino (che aveva trascorso i suoi ultimi anni di vita in una casa di riposo) ai quali affidare il patrimonio dell'anziano scomparso «Non ci volevamo credere, per noi è stato come tornare indietro nel tempo, a quando eravamo bambini», spiega Patrizia, una dei venti nipoti rimasti in Sardegna. Nipoti che Costantino non ha mai conosciuto e dei quali, forse, non sospettava nemmeno l’esistenza. «Abbiamo sempre sentito parlare di questo zio, lo abbiamo visto in alcune fotografie che a casa venivano conservate come una specie di reliquia – va avanti Patrizia, che vive a Sassari – Percepivamo il dolore nel racconto di mia madre e delle mie zie, tutte molto legate a questo fratello». Già, perché Costantino, che a Pozzomaggiore aveva tre sorelle (Paolina, Giovanna e Antonietta) nel 1949, a soli ventiquattro anni, aveva scelto di lasciare il paese e di emigrare. Voleva raggiungere l’Australia (dove lo avevano preceduto qualche anno prima un fratello e un’altra sorella) per cercare fortuna. Un viaggio avventuroso, quello di Costantino Saccu, a bordo di un transantlantico. Una traversata lunga più di un mese e poi l’arrivo a Fremantle per raggiungere i fratelli. Costantino scrive a casa, rassicura le sorelle rimaste a Pozzomaggiore. Ma dopo qualche mese il giovane decide di trasferirsi, saluta il fratello e la sorella e cambia città, trova lavoro in una miniera. Racconta alle sorelle di Pozzomaggiore di essere
contento, poi improvvisamente verso la metà degli anni Cinquanta, il giovane Costantino non dà più notizie di sè. Inghiottito nel nulla. I familiari ne denunciano la scomparsa. Viene informato il ministero degli Esteri, i fratelli “australiani” cercano disperatamente un possibile contatto, ma inutilmente. Passano i mesi e poi gli anni, niente. Nelle sorelle di Costantino subentra la rassegnazione e quel ragazzo, diventato nel frattempo uomo, viene dato per morto. «Tra i miei ricordi di bambina – racconta ancora Patrizia – prevale quello di mia madre che piange per questo fratello “morto”, per tutta la vita lei e le sorelle non si sono mai date pace». E invece Costantino (il più piccolo dei fratelli Saccu) è morto lo scorso anno a 88 anni. E ora, pian piano, i nipoti cercano di rimettere insieme le tessere della lunga e solitaria esistenza di Costantino in Australia, dall’altra parte del mondo. «Abbiamo scoperto che si era trasferito nelle vicinanze di Perth forse dopo un grave incidente nella miniera in cui lavorava – spiega ancora la nipote Patrizia – Forse proprio a causa di quell’incidente ha perso la memoria e non si è più ricordato di avere parenti in Sardegna». Ma riempire un “buco nero” lungo oltre sessant'anni non sarà facile. Tra i nipoti sardi un’unica consolazione: «Ci ha fatto piacere sapere che zio Costantino abbia comunque trascorso una lunga vita serena e agiata. Vorremmo sapere tutto di lui, ma sappiamo che sarà difficile. Per il momento questo zio mai conosciuto ci ha fatto comunque un bellissimo regalo: ha riunito tutti i nipoti. Con diversi cugini avevamo perso i contatti, è stato bello rincontrarsi e riscoprire i legami della famiglia». E l’eredità? «Vedremo – sorride Patrizia – L'Australia è così lontana... E ancora non sappiamo esattamente cosa dovremo fare». Ri.Fi.

22.1.14

la storia di Iby Knill e la sua Promessa di una ragazza destinata a morire: sopravvissuta all'Olocausto rompe 70 anni di silenzio per raccontare ultime parole di adolescente prima che lei e twin sono stati portati via per esperimenti di Auschwitz



Promise to a girl doomed to die: Holocaust survivor breaks 70 years of silence to tell of teenager's last words before she and twin were taken away for Auschwitz experiments 
Iby Knill promised teenager she would tell everyone the evil of Auschwitz 

But when the death camps were liberated it 'didn't feel right' 
Now aged 90 and in Leeds, she found the courage as a mature student 

PUBLISHED: 13:04 GMT, 5 December 2013 


A grandmother who survived the Holocaust has finally spoken about the horrors of Auschwitz 70 years after promising a girl she would tell the world what she had witnessed.
Iby Knill, 90, recalls how on the first night she spent at the death camp in July 1944 a frail teenager crawled over to her and begged 'if you live, please tell our story.'

Four years ago Mrs knill took a course in theology and it was during one of the group sessions that she finally revealed she was sent to the concentration camp when she was 20.
In a moving testament she describes the realisation that she faced being gassed like six million others.
Traumatising: Iby Knill, pictured after Auschwitz was liberated and as a Leeds grandmother today, has fulfilled a promise she made to a dying girl to tell the world about the horrors of the death camps. It took almost 70 years



Survivor: Iby Knill, now 90, is the subject of a documentary. She said: 'The girl told me that her and her sister were going to be experimented on. She said they were then going to be gassed and therefore exterminated'



She explains in a new documentary that during a session on her course a group at Leeds University, in the city where she now lives, was discussing whether the Holocaust was a result of evil or sin.
The tutor said that 'only a person who was there could answer that question'. Mrs Knill responded simply with 'I was there'.
For Mrs Knill it was like the floodgates had been opened and, fulfilling her promise to the unknown girl, she decided to write her memoirs.



Horror: Iby Knill spent six weeks at Auschwitz. Pictured is
the famous inscription 'Work makes [you] free'
Remembering her terrible first night at Auschwitz, she said: 'The girl told me that her and her sister were going to be experimented on.
'She said they were then going to be gassed and therefore exterminated. She made me promise to tell the story of the camps, if I were to live.
'Of course I said yes, but after the war was over it didn’t seem right to talk about what had happened.'


Death camps: Iby Knill was at Auschwitz, which comprised two separate camps, for six weeks


nstrument of death: One of the surviving gas chambers at the Auschwitz concentration camps



She said: 'There, you were one of a number, and it came down to how long you could survive.'
After the camps were liberated, she was too traumatised to tell her story but has finally broken her silence.
Mrs Knill, who went on to marry British Army major Herbert Knill, was born in Czechoslovakia but escaped to Hungary in 1942 when the SS began rounding up Jews.
Two years later, when Mrs Knill was 20, Hungary was occupied and she was transported to Auschwitz where she spent six weeks before being transferred to the German labour camp Kaunitz, which was eventually liberated. 
Mrs Knill later moved to Britain where she had two children, Christopher Knill, a psychiatrist, 65, and Pauline Kilch, 58, a teacher.
A film was made out of Iby's memoirs, The Woman Without a Number, by film and television student Robin Pepper, 22, at Teesside University.
He and fellow students Mark Oxley, 26, from Darlington, and Ian Orwin, 22, from Sunderland, made the documentary for a final year project after he read her book in just one day.
Mrs Knill said: 'Robin has done a marvellous job, and I am very happy with the film. It goes some way towards fulfilling the promise I made to the twin all those years ago.'
Robin added: 'It was an honour to work with Iby. She is an amazing lady, and we are really pleased we have helped her keep that promise she made so long ago.'



                                GRUESOME EXPERIMENTS 
The Auschwitz death camps played host to some of the most gruesome Nazi medical experiments, which few survived.
Professor Carl Clauberg oversaw the mass sterilisation of hundreds of Jewish prisoners by putting chemicals in their fallopian tubes and exposing their genitals to X-rays. The procedures were brutal, often causing infections and radiation burns. 
Some ‘patients’ were used for human medical trials of the drugs Rutenol and Periston, reacting with bloody vomiting and painful diarrhoea.
Other experiments had no apparent purpose and were done merely for practice - or pleasure.
Doctors deliberately made the lungs of tuberculosis patients collapse and killed others by injecting lethal phenol into their hearts.
One of the most infamous doctors, Josef Mengele (above right) infected different races with contagious diseases to see how their survival rates compared.
Source: Auschwitz.org
She said: 'There, you were one of a number, and it came down to how long you could survive.'
After the camps were liberated, she was too traumatised to tell her story but has finally broken her silence.
Mrs Knill, who went on to marry British Army major Herbert Knill, was born in Czechoslovakia but escaped to Hungary in 1942 when the SS began rounding up Jews.
Two years later, when Mrs Knill was 20, Hungary was occupied and she was transported to Auschwitz where she spent six weeks before being transferred to the German labour camp Kaunitz, which was eventually liberated.
Mrs Knill later moved to Britain where she had two children, Christopher Knill, a psychiatrist, 65, and Pauline Kilch, 58, a teacher.
A film was made out of Iby's memoirs, The Woman Without a Number, by film and television student Robin Pepper, 22, at Teesside University.
He and fellow students Mark Oxley, 26, from Darlington, and Ian Orwin, 22, from Sunderland, made the documentary for a final year project after he read her book in just one day.
Mrs Knill said: 'Robin has done a marvellous job, and I am very happy with the film. It goes some way towards fulfilling the promise I made to the twin all those years ago.'
Robin added: 'It was an honour to work with Iby. She is an amazing lady, and we are really pleased we have helped her keep that promise she made so long ago.'



11.12.12

Caso Kate Middleton, infermiera suicida I dj dello scherzo in tv: "Siamo distrutti"



secondo me ,sono sinceri anche se un po'ingenui ( ma chi non lo è o non lo è mai stato ) perchè cme dice un commento vedere sotto per gli altri << (...) Ovunque nel mondo ci sono persone psicologicamente fragili ed altre viceversa forti. Non possiamo mai sapere con sicurezza se un nostro vicino, collega o conoscente rientri in una piuttosto che in un'altra delle due categorie. Proprio per questo, prima di fare delle "bravate", chiunque dovrebbe ben rifletterci. A prescindere dalle considerazioni che si possono fare sulla psiche di questa povera donna (..) >> a questo articolo


I dj dello scherzo in tv: "Siamo distrutti"





Le lacrime di uno dei conduttori della trasmissione Mel Greig: "Penso sempre a quella donna".

MEL GREIG E MICHAEL CHRISTIAN, I DUE CONDUTTORI RADIOFONICI AUTORI DELLO SCHERZO



I due speaker telefonici, autori della telefonata all'ospedale londinese (  foto sopra  al centro)  dove era ricoverata Kate Middleton, sono comparsi in pubblico, in un'intervista alla tv australiana, dopo giorni di silenzio in seguito alla morte di Jacintha Saldanha che si sospetta si sia suicidata dopo aver risposto alla falsa telefonata dei due dj. Nell'intervista hanno detto di essere "distrutti" dalla vicenda, che non avrebbero mai immaginato avrebbe avuto un tale drammatico epilogo e che i loro pensieri sono con la famiglia di Jacintha. Mel Greig, uno dei conduttori poi prima di lasciare la trasmissione si è lasciato andare e in lacrime ha ammesso: "Penso sempre a quella donna...".




Commenti dei Lettori 
hal9000
11/12/2012 17:06
chissà..
..i colleghi e gli amici di lavoro come se la sono presa in giro, prima di puntare il dito sugli autori dello scherzo
( neanche poi di cattivo gusto ) bisogna riflettere su questo.
DomusdeJanas
11/12/2012 16:31
Pensare prima di agire
Ovunque nel mondo ci sono persone psicologicamente fragili ed altre viceversa forti. Non possiamo mai sapere con sicurezza se un nostro vicino, collega o conoscente rientri in una piuttosto che in un'altra delle due categorie. Proprio per questo, prima di fare delle "bravate", chiunque dovrebbe ben rifletterci. A prescindere dalle considerazioni che si possono fare sulla psiche di questa povera donna, non credo che le abbiamo fatto una semplice reprimenda...soprattutto conoscendo gli inglesi...
SADDIM
11/12/2012 13:07
Solo ipotesi...ma
Sarei curioso di sapere se la centralinista/infermiera abbia avuto qualche notizia su un probabile provvedimento disciplinare, una possibile sospensione o addirittura licenziamento da parte della clinica.
becky
11/12/2012 12:46
sorigumaccu
Con tutti i mali che ci affliggono ci vuoi togliere anche un pò di sana ironia ? Vedi la gioventù di oggi come è solita divertirsi.Meglio uno scherzo al telefono.
LucMan
11/12/2012 07:57
Era solo uno scherzo .
il gesto della signora , o meglio infermiera , è stato spropositato . La vita è fatta anche di queste cose , lo spirito goliardico non deve mancare .
dartagnan71
10/12/2012 23:35
Anubi17
Forse hai ragione, pero' ricorda che in Inghilterra esiste da sempre un etica comportamentale e valori indissolubili. Chi ricopre cariche di responsabilità non puo' commettere errori. In quel Paese ci son stati Ministri che si son licenziati perchè avevano tradito la moglie. Per noi (grazie alla classe politica che abbiamo) è cosa da fantascenza. Ma non li.
Anubi17
10/12/2012 17:37
Non esageriamo...
...ora diciamo che sono idioti e che potevano risparmiarsi lo scherzo solo ed esclusivamente per il tragico epilogo!La signora poverina ha reagito in modo sproporzionato, non credo che si sia suicidata per la telefonata e per la figuraccia da parte della clinica! E' sicuramente una tragedia ma per il mio modesto parere ci devono essere senz'altro altri motivi che l'hanno spinta a suicidarsi....magari aveva altri problemi! Non darei la piena responsabilità ai Dj....
pixeloso2
10/12/2012 15:41
Poteva capitare a chiunque
Allora vorrei ricordare una cosa, ricordate quando Fiorello fece scherzi a Mike Buongiorno al telefono? Lui è uno dei tanti in Italia, ci sono quelli dello Zoo di 105 e tanti, tanti altri Speaker sia di trasmissioni radiofoniche nazionali e regionali..Sono dei metodi divertenti (a volte) che vengono fatti per attirare pubblico..Ora è successo a loro, che hanno una vita completamente distrutta psicologicamente ma poteva capitare a chiunque.. E' stata una tragica fatalita(?)...
Sorigumaccu
10/12/2012 12:34
Lacrime di coccodrillo
spero vi siate resi conto della miseria della vostra esistenza, grandi e grossi ancora a fare scherzi telefonici con le vocine cammuffate come degli idioti




6.5.12

Mezzo secolo per chiedere scusa, storia di un italiano a Parigi

unione del 6\5\2012

di GIORGIO PISANO  pisano@unionesarda.it


GIAMPAOLO MAINAS - FOTO MAX SOLINAS
Si presenta negli uffici del giornale, a Quartu Sant'Elena, una mattina di pioggia. «Vorrei fare un appello per ritrovare una persona». Alla maniera di certi vecchi, usa un tono rispettoso e avanza timidamente verso la scrivania più vicina. Aspetta che gli dicano di accomodarsi e solo allora poggia la cartelletta di pelle nera che tiene stretta fra le mani. La sua idea è quella di chiedere la pubblicazione di due vecchie foto nella rubrica Come eravamo . «Io e   Tina. Guardi, lei aveva diciassette anni, io venti. Tutt'e due bellissimi».
Giampaolo Mainas parla uno strano italiano, inciampa soprattutto sugli accenti. Ha le mani molto curate, occhialini leggeri, sguardo limpido che tradisce innocenza ritrovata, tipica della gente della sua età. «Mi scusi, sono stato a lungo in Francia e non riesco ad esprimermi bene».
Emigrato?
«No, in gita. Una gita a Parigi che doveva durare quattro giorni».
E invece?
«Cinquant'anni. Sono cittadino francese. Ho fatto anche il militare lì. Però sono nato a Quartu».
E adesso è rientrato.
«Giusto un paio di settimane per rivedere i fratelli e qualche parente. Ho settantotto anni, un figlio che ne ha cinquantuno e due nipoti. Vedovo da pochissimo ma la mia vita ormai resta in Francia».
Tina era sua moglie?
«No, la mia ragazza, quella con cui stavo prima della partenza per Parigi. Di cognome fa Mireddu: non lo ricordavo ma mi ha rinfrescato la memoria scoprire una sua lettera dimenticata tra le pagine di un libro».
Perché vuole ritrovarla?
«Per ringraziarla e chiederle scusa».
Di cosa?

È la domanda che Mainas aspettava da tempo, molto tempo. A questo punto sente d'avere il coraggio necessario per vuotare il sacco. Apre la cartelletta e tira fuori un vecchio portafoglio. «Avevo questo quando sono partito, nel '57». Quel portafoglio è un album della vita lasciata in Sardegna: scoppia di foto ormai ingiallite. In una c'è una dedica che farebbe sorridere se non apparisse oltraggioso. Al mio grande amore . All'epoca Tina, che faceva la bambinaia presso una famiglia cagliaritana, aveva capelli corvini tagliati corti. Nella foto con dedica è felicemente in posa: mano sotto il mento nel tentativo di darsi un'aria pensierosa e un sorriso smagliante.
Il vecchio sta ormai navigando in un mondo tutto suo, vedere quelle foto (Tina formato tessera, Tina che sorride accanto a un bimbo, Tina alle spalle di una piazza, Tina in vacanza) fa scattare un interruttore segreto. «E pensare che di questo portafoglio m'ero quasi dimenticato. L'aveva custodito Michelle».
Chi è Michelle?
«Chi era, non chi è. È morta cinque mesi fa. Era mia moglie. L'avevo conosciuta un lunedì di giugno, passavo in Vespa a Saint Denis nella pausa-pranzo della sartoria...».
Perché lei faceva il sarto.
«Proprio. Avevo bottega in via Nazionale a Quartucciu. Guadagnavo bene. Un giorno un mio amico che stava nella Legione straniera mi stuzzica su Parigi. Mi fa immaginare una città piena di bellissime ragazze e io, che avevo vent'anni, abbocco».
Abbocca?
«Sì, casco felicemente nella trappola. Decido di andarci ma giusto per dare un'occhiata. Avevo molto lavoro e non potevo permettermi più di qualche giorno».
Poi che succede?
«Succede che mi portano a Pigalle, a vedere da vicino le ragazze più belle del mondo, mi portano a ballare, mi fanno vedere la vita come non l'avevo mai vista».
Partenza rinviata, quindi?
«Mentre sistemavo i bagagli, il solito amico mi dice: perché non resti qui?, ti trovo lavoro in un attimo. E in un attimo è successo davvero: abbiamo attraversato la strada, ci siamo infilati in un palazzetto di fronte e un minuto dopo eravamo nella sartoria di un ebreo».
Assunto?
«All'istante. Ha capito che non ero un pivellino. Così, inizio l'avventura dimenticandomi della bottega a Quartucciu ma non di Tina: sapevo che mi stava aspettando e poi, ad essere sincero, l'amavo veramente».
Però...
«Però Parigi è Parigi. Contavo di rientrare in Sardegna ma nel frattempo mi divertivo come non era mai accaduto prima. Poi c'è stato quel lunedì che mi ha bloccato».

Giampaolo la racconta in modo preciso, con un residuo di antico entusiasmo. Dunque lui gironzolava in Vespa in attesa di tornare al lavoro quando vede Michelle. Pausa, fruga nella cartelletta e spiega: «Mi piace documentare quel che dico». Ecco la foto di Michelle, viso affilato, naso perfetto. «Era una tentazione». Prova ad agganciarla offrendole un passaggio, la ragazza rifiuta. Ma lui l'accompagna lo stesso, senza scendere dalla Vespa. A passo d'uomo sullo scooter, la bombarda di domande qualunque. Lei abbandona la timidezza iniziale e risponde con qualche monosillabo. Gli comunica che sta per andare in villeggiatura e che quindi possono salutarsi in via definitiva fin da subito: non ci sarà seguito, insomma.

Ma lei non s'arrende.
«Aspetto un mese e la metto alla prova. Carico un'amica sulla mia Vespa, vado sotto casa di Michelle e la chiamo finché non s'affaccia alla finestra. Scendi, le dico. E lei incredibilmente viene giù».
Ed eravate in tre, giusto?
«Sì, a Parigi può succedere. Le presento la mia amica e le chiedo d'uscire insieme il giorno dopo. D'accordo, dice lei. E se ne va quasi senza salutare. A pensarci mi viene da ridere».
Perché?
«Mi sono ricordato d'aver abbandonato la scuola in prima media perché non sopportavo il francese».
L'ha imparato sul campo, il francese.
«Naturalmente. Dopo quell'incontro con Michelle, ho smesso di fare il sarto. E, nonostante fossi astemio, ho preso in gestione un bar».
Che c'entra essere astemi?
«Mi sembrava un controsenso. Quel bar, comunque, l'ho tenuto per tredici anni. Poi ho venduto tutto e mi sono preso un anno di riposo. Nel frattempo però c'è stato l'incidente e qui torna in causa Tina».
Che incidente?
«Una sera Michelle mi dice d'essere incinta. Anche se può far ridere detto da me, non sono di quelli che se la squagliano davanti alle proprie responsabilità. Decido: mi sposo. Ma prima devo avere la forza di dirlo a Tina».
Allora?
«Torno in Sardegna. E mi sento un mascalzone. Durante il viaggio ripenso alle lettere che le ho spedito, ricordo persino di quella volta che mi ero fatto accompagnare a Jerzu, dove abitava la sua famiglia, per parlare coi suoi».
Ci è andato con suo padre?
«Quando mai. Avevo l'amico giusto, uno che sembrava avanti con gli anni e vestiva sempre in abito completo. Sono andato con lui e l'ho presentato come zio».
Ha chiesto la mano di Tina?
«Essendo zio ed essendosi pure inventato che suo fratello (cioè mio padre) non poteva essere presente, ha girato attorno all'argomento lasciando tutti felici e contenti».
Poi?
«Come, poi? Poi ho fatto la gita, poi non sono tornato in Sardegna, poi ho conosciuto Michelle e l'ho messa incinta. È per questo che cercavo Tina».
Com'è andata?
« Dipende dai punti di vista. Ero imbarazzato. Avevo anche saputo che era venuta a cercarmi in sartoria facendosi passare per la figlia di un cliente. Ha detto due parole ed è fuggita».
Perché?
«Era disperata. Ma il pomeriggio che ci siamo incontrati non me l'ha fatto vedere. Mentre passeggiavamo lungo la strada di Giorgino, le ho detto che Michelle aspettava un bambino e che io non potevo tirarmi indietro».
E lei?
«Lei niente. Ha detto solo: va bene così, se è quello che vuoi. Quando l'ho lasciata sotto casa, mi ha stretto la mano e se n'è andata».
Com'è stata la vita con Michelle?
«Bellissima. Sono stato fortunato. Col cuore non l'ho mai tradita».
E col resto?
«A Saint Denis c'erano le belle ragazze di un tempo. Ogni tanto, perché l'uomo ha certe esigenze, sono andato con loro. Per questo dico che col cuore non l'ho mai tradita».
Avete mai parlato di Tina?
«Mai. Debbo dire che mi ero scordato del mio vecchio portafoglio. L'ho visto riapparire ad un tratto un giorno che Michelle chiacchierava con due amiche. All'improvviso ha detto: ora vi faccio vedere una vecchia fiamma di Giampaolo, ditemi voi chi di noi due era più bella».
E lei?
«Io sono letteralmente scappato. Solo più tardi ho scoperto che durante tutti quegli anni, il mio portafoglio era stato custodito dentro una scatola nell'armadio delle cose da non buttare. C'erano tutte le foto di Tina, compresa quella con la dedica al mio grande amore».
Quand'è tornato a casa, ne avete parlato?
«Nemmeno una parola. Michelle era straordinaria proprio per questo. Siamo tornati in Sardegna quasi ogni anno per le vacanze estive e non mi ha mai chiesto di Tina. Chessò, dove abitava, se l'avevo per caso rivista».
Cosa avrebbe risposto?
«La verità: di Tina, dopo quel giorno in cui le ho confessato di Michelle, non ho più avuto notizie».
Le è mai tornata in mente?
«Credo sia stato qualcosa che si è addormentato nella mia anima. Addormentato, non dimenticato. È rimasto lì ad aspettarmi finché Michelle non è morta».

Nella biografia di Giampaolo Mainas manca qualche dettaglio. Dopo un intero anno di riposo per riprendersi dalle fatiche della gestione del bar, ha acquisito una fabbrica di confezioni che stava andando in malora. È arrivato ad avere trentasei dipendenti e, come ricorda malvolentieri, a perdere il tesserino di artigiano per acquisire quello di industriale. «E gli industriali, in Francia, sono martoriati dalle tasse».

Perché vuole ritrovare Tina?
«Vorrei rincontrarla, chiederle che vita ha fatto perché io non ho più saputo niente di lei. Vorrei anche ringraziarla della sua gentilezza».
Ma se non ricordava nemmeno il cognome.
«Che c'entra? Quelli sono scherzi dell'età. Sono sicuro che se Tina vede la mia e la sua foto di allora, ricorderà immediatamente tutto».
Cosa le fa credere che non l'abbia dimenticata?
«È una speranza che vivo come una certezza. Eppoi, c'è anche un'altra ragione che mi spinge a cercarla».
Quale?
«Vorrei fare qualcosa per lei. Io sto bene economicamente e mi farebbe felice poterla aiutare. Sono qui: basta che mi contatti attraverso il giornale. Succeda quel che deve succedere».
Per esempio?
«Mettiamo che sia libera. Per il momento non ho posto per nessuno nel mio cuore: Michelle è morta da pochissimo e non mi sembra il caso. E se, incontrandoci, la fiamma dovesse riaccendersi?»
E se?
«Se è libera, la posso portar via subito. In Francia, per quel che ci resta da vivere. Dove la trovo una donna come lei, una donna che si è sacrificata per la mia felicità?»



emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

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