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14.1.25

L’Amore rimosso. Arte e omosessualità di ©️ Cristian A. Porcino Ferrara

 premetto che    ho  visto  solo   primi   15  minuti    la  fiction  di leopardi   poi  , l'ho  abbandonata    perché  mi  stava  annoiando   .  Però   da   quel  poco  che   ne  ho  visto   concordo con l'amico  e e  compagnodistrada  Cristian Porcino Ferrara .  Il problema da  lui evidenziato    nell'articolo sotto riportato   può    e dev'essere  esteso alla  letteratura  

  da   Le Recensioni del Filosofo Impertinente

La Storia dell'arte non è purtroppo immune a riscritture postume. 

Riscontro un destino quasi comune nelle biografie di due dei suoi più importanti esponenti: Michelangelo Merisi detto il Caravaggio e Michelangelo Buonarroti. Intorno a Caravaggio sono state create diverse sceneggiature di film e fiction quasi tutte improntate a sottolineare l'eterosessualità del Merisi. Sono stato sempre dell'avviso che se si vuole raccontare la vita di un artista non bisogna omettere la sua vita privata ma la censura scatta solo e soltanto quando si tratta di artisti omosessuali. 



Si tenta di scovare tracce inesistenti di cosiddetta "normalità" per sgomberare il campo dall'idea di ammirare, celebrare e studiare un genio "non normale". Nel 2025 certa stupida umanità organizza e classifica ancora il mondo e gli homo sapiens con concetti inutili e fuorvianti. 



Provate a guardare alcuni film su Caravaggio e noterete lo stesso livellamento eterosessualista. Unica eccezione il capolavoro cinematografico di Derek Jarman che ovviamente i più sconoscono perché fin troppo esplicito sull'argomento.


Questa censura ovviamente accade in tutti i campi dell'arte e di questo ho scritto anche nel mio libro Sulle tracce dell'altrove

(...)

Perfino nelle mostre troviamo didascalie farlocche che ci dipingono l'artista tormentato per delle donzelle di cui l'illustre soggetto si era perdutamente innamorato. Della vita sessuale o sentimentale di Merisi ben poco sappiamo ma allora perché non tacere del tutto anziché ritrarlo come il solito tombeur de femmes? Per tollerare la sua attrazione verso gli uomini lo si deve necessariamente ritrarlo come bisessuale. 

Questo è il compromesso a ribasso per renderlo più accettabile agli occhi dei più. 



In quanto insegnante mi domando se siamo certi di voler censurare e trasmettere contenuti distorti ai nostri discenti solo per compiacere perbenisti stupidi e omofobi che della verità e del Sapere se ne infischiano bellamente.


Pensiamo a Michelangelo Buonarroti che amò Tommaso de' Cavalieri e a cui dedicò alcuni versi a sfondo erotico. Per molti storici risulta difficile immaginare un genio dell'arte mondiale cimentarsi in opere poetiche e pittoriche ispirate e dedicate ad un uomo. L'omosessualità, ovviamente, non è contemplata. In linea con il diktat voluto dai nostalgici del ventennio bisogna raccontare dell'amore michelangiolesco per Vittoria Colonna mai esistito.

Per lui si invocano prove che a parere di alcuni non ci sono ma che ovviamente servono solo per certificare la sua non omosessualità e non la sua presunta eterosessualità. Per quella non servono prove perché data per scontata. Michelangelo era amico di Vittoria e con lei condivideva un'affinità elettiva che non sfociava di certo nell'erotismo né tantomeno nel sentimento amoroso. 



Il simbolismo michelangiolesco è evidente. Se sì guardano con attenzione le sue opere scorgiamo che quasi ogni donna dipinta o scolpita ha i tratti maschili e non quelli tipicamente femminili. Questo non ha nulla a che vedere con le stupidaggini che tentano di etichettare Michelangelo come machista e maschilista. (...) 


Senza scomodare Freud che lo analizzò e studiò a fondo è più che evidente che il genio fiorentino per tutta la vita ricercò tracce maschili in ogni cosa da lui raffigurata. (...) 

Si cerca di rimuovere infatti che Buonarroti si formò presso Marsilio Ficino, filosofo omosessuale, e che ebbe diversi relazioni con uomini da lui stesso citati: Gherardo Perini, Giovanni da Pistoia, Pietro Urbano, Antonio Mini, Luigi Pulci jr, Benedetto Varchi, Giovannangelo detto "il Montorsoli", Febo dal Poggio, Cecchino Bracci, Francesco Amadori detto l'Urbinate. 

[...]

Ma questa sorte o mistificazione tocca ancora oggi anche a Giacomo Leopardi. Dopo la recente fiction Rai che ha riaperto il dibattito sull'orientamento sentimentale del poeta di Recanati è bastata la dichiarazione del regista Sergio Rubini per smorzare l'entusiasmo.

Quest'ultimo ha dichiarato a Tvblog.it: "Non penso che Leopardi fosse omosessuale. Amava profondamente le donne: c’è agli atti il fatto che avesse molta difficoltà ad esprimere i suoi sentimenti verso Fanny e faceva delle ‘prove’ usando Ranieri. L’ho fatto anche io da giovane. Non abbiamo voluto raccontare nessuna deviazione, ma un’amicizia profonda che sfocia sì in un bacio, ma è il bacio che è Leopardi vorrebbe fare a Fanny”.


L'opera d'arte non ha genere o orientamenti sessuali ma gli artisti e le artiste  sì. Purtroppo a noi si chiede sempre una prova tangibile dei nostri sentimenti quasi a doverci scusare della nostra esistenza.



Un Leopardi omosessuale, secondo l'opinione di qualcuno, lo renderebbe meno ammirabile scolasticamente o forse impegnato in una fantomatica teoria gender per indottrinare i nostri allievi. Meglio continuare con la commedia ad uso e consumo dei conservatori. Se tutt’oggi ci spaventa o crea imbarazzo affrontare in classe il racconto dell'Amore tra Achille e Patroclo figuriamoci la storia tra Leopardi e Ranieri. L’11 dicembre 1832 Giacomo Leopardi scriveva così all’ “amico”: «Ranieri mio, tu non mi abbandonerai per' mai, n' ti raffredderai nel'amarmi. Io non voglio che tu ti sacrifichi per me, anzi desidero ardentemente che tu provvegga prima 'ogni cosa al tuo benessere: ma qualunque partito tu pigli, tu disporrai le cose in modo, che noi viviamo 'uno per 'altro, o almeno io per te; sola ed ultima mia speranza. Addio, anima mia. Ti stringo al mio cuore, che in ogni evento possibile e non possibile, sar' eternamente tuo».

In conclusione vi consiglio di soffermarvi su queste frasi senza aggiungere null’altro se non un’altra frase del Nostro: “Il mondo ride sempre di quelle cose che, se non ridesse, sarebbe costretto ad ammirare; e biasima sempre, come la volpe, quelle che invidia”.


                                                  ©️ Cristian A. Porcino Ferrara




13.2.24

L’amore proibito di Giarre che cambiò l'Italia

 San valentino  non è solo amore  etero  .  ecco   dalla  rete una storia  omoisessuale  che  cambio  la concezione dell'amore  non etero catalizzando l'attenzione sulla lotta per i diritti LGBTQ in Italia.


E già perché il delitto d’onore, che noi associamo aggi ad altre latitudini – come la Cecenia, per esempio – è una pratica barbara che conosciamo bene anche in Italia dove si dovette attendere fino al 5 agosto 1981 per abrogare definitivamente le disposizioni del codice penale che prevedevano delle circostanze attenuanti per la commissione di un delitto perpetrato al fine di salvaguardare l'onore.
La testimonianza toccante dell’amico Paolo Patanè è un elemento fondamentale del documentario: con la sua eleganza e profonda sensibilità, Patanè trasmette tutta la sua passione per un’obiettivo inseguito da decenni: restituire dignità e visibilità a Giorgio e Toni.
 Mentre i toccanti e dolenti ricordi della sorella e della nipote di Antonio, trasmettono tutta l’assurdità e il dolore di quella violenza dettata solo dal pregiudizio.
Ma c'è anche speranza e resistenza. Marco Pannella, con la sua voce potente, denunciò l'accaduto come un “delitto della società”, mettendo in luce l'intolleranza e l’omofobia dell'epoca. I radicali e il Fuori! organizzarono un convegno e una manifestazione proprio a Giarre riuscendo a far sì che questo delitto non fosse solo un tragico evento isolato, ma divenisse un caso politico di rilevanza nazionale, catalizzando l'attenzione sulla lotta per i diritti LGBTI in Italia.
Infatti, innestandosi sulla pregressa attività dei militanti LGBTI del Fuori!, contribuì – insieme a molti altri fattori quali, per citarne uno solo, le elezioni politiche del 1979 che certificarono fallimento del compromesso storico – a modificare l’atteggiamento di una parte della sinistra parlamentare ed extra-parlamentare sull’omosessualità e alla fondazione a Palermo del primo circolo Arcigay d’Italia da parte di Marco Bisceglia, prete cattolico del dissenso sospeso a divinis e dirigente dell’Arci.
In conclusione, “Il delitto di Giarre” non è solo un documentario, ma un monito, un ricordo e una celebrazione dell'amore. È un pezzo di storia italiana che tutti dovremmo conoscere e ricordare.

25.8.22

le piccole cose editrici pubblicano delle perle . Cristian Porcino - un'altra vita

 Ho ritrovato questa splendida recensione al primo romanzo dell'amico   \  compagno  di  strada  Cristian   Porcino   ( qui Qui la rassegna stampa completa https://lerecensionidelfilosofoimpertinente.blogspot.com/2014/12/rassegna-stampa-romanzo-unaltra-vita-di.html?m=1 )    e desidero condividerla❤️ con voi  

«Ci ha un po’ stupito questo romanzo del giovane Cristian Porcino, di cui leggemmo tempo fa un bel libro su Michael Jackson e un altro molto originale su alcuni grandi cantautori italiani. Porcino è un ottimo giornalista, fine osservatore del mondo mass – mediatizzato di cui sa cogliere acutamente le ondulazioni del gusto. Il romanzo “Un'altra vita” racconta con uno stile minimalista l’iniziazione

sessuale ed esistenziale di un ragazzo ebreo che, in patria, è costretto dalla propria cultura sessuofobica a nascondere la “diversità”. Nel suo Paese l’omosessualità è considerata un vero e proprio abominio che offende il comandamento divino. Il giovane ebreo Shlomo non è un filosofo, ma sa riflettere sulla propria condizione e si chiede più volte perché l’ebraismo condanna tanto l’omosessualità, mentre il Vangelo cristiano dichiara la libertà di amare. Shlomo fugge di casa, non sopportando la condanna da parte dei genitori e va a New York, la capitale del mondo che lo affascina e gli insegna a compiere quel rito di passaggio che nel mondo Occidentale non è nascosto nel buio della condanna morale. A New York impara a vivere il sesso in modo libero e consapevole e scopre anche quella dimensione della vita che tutti cercano e chiamano Amore. Porcino usa poche pennellate di colore, anche nelle scene erotiche che altri scrittori tratterebbero con un linguaggio trasgressivo. Crediamo che Porcino abbia scelto di non essere uno scrittore erotico, forse per non omologarsi con la pornografia gay di moda alcuni anni fa. Potremmo invece, considerare “Un’altra vita” come un romanzo di formazione sentimentale, secondo la tradizione settecentesca inventata da Goethe e continuata da Sthendal e da Flaubert fino alla sua ultima ed eccentrica ripresa, quel geniale “Seminario della gioventù” di Busi che Porcino conosce perfettamente"» (Riccardo Di Salvo - Claudio Marchese).

2.3.22

Il sacrificio di Giorgio e Toni, morti per amore cambiando la storia del costume d’Italia

da  Profondo Giallo | Fanpage

Il 31 ottobre 1980, sotto le fronde di un albero in un agrumeto di Giarre, a mezzora da Catania, vengono trovati distesi vicini due corpi senza vita. Uno accanto all'altro, con le mani intrecciate ci sono  Giorgio Agatino Giammona, 25 anni, e Antonio Galatola, detto Toni, 15 anni, gli ziti (i fidanzati), come li chiamavano in dialetto catanese, di Giarre. Accanto ai corpi viene trovato un biglietto che riporta poche parole, secondo le quali i ragazzi si sarebbero uccisi perché non potevano vivere liberamente il loro amore.
La storia del delitto di Giarre

Erano passati cinque anni da quando, con il suo martirio, Pier Paolo Pasolini aveva acceso i riflettori sull'odio di cui erano oggetto gli omosessuali. Nonostante la vicenda pubblica e personale di uno dei più grandi poeti del Novecento, a Giarre gli omosessuali erano ancora considerati dei ‘malati', degli individui deviati che nella migliore dell'ipotesi meritavano di essere ignorati e isolati. Nella Sicilia che nulla sapeva di Pasolini, le famiglie Galatola e Giammona avevano provato in tutti i modi a dividere i due ragazzi ma loro, invece di smettere di vedersi, erano rimasti stretti l'uno all'altro, senza paura, senza ridicoli imbarazzi, senza pudori, tra lo scherno e la condanna dei loro paesani, fino al giorno in cui erano stati trovati sdraiati uno di fianco all'altro nell'agrumeto.
Un crimine d'odio
Il ritrovamento di una pistola Bernardelli, calibro 7,65, sepolta sotto poche manciate di terra a pochi passi dall'albero, con tanto di sicura inserita, però, getta a mare la tesi del suicidio. A Giarre, paesello di poche anime tra il gigante Etna e il mare, viene invasa da frotte di giornalisti da tutta Italia. Per la stampa nazionale è chiaro che si tratta di un delitto a sfondo omofobico, un crimine d'odio, come lo chiameremo oggi; per la piccola comunità di Giarre, invece, è solo un fattaccio da dimenticare. "Se la sono cercata", dicono i più indulgenti, mentre per i più accaniti conservatori, tutta quella faccenda getta un'onta imperdonabile sulla reputazione dei cittadini. "Ora penseranno che a Giarre siamo tutti finocchi".
L'assassino di Giorgio e Toni
Il 3 novembre i giornali rivelano l'identità dell'assassino: colui che aveva fatto fuoco a sangue freddo sui due ragazzi, l'aguzzino dei fidanzati, è un bambino di 13 anni, il nipote di Giorgio, Francesco Messina.  "O ci uccidi o ti uccidiamo noi", lo avrebbero minacciato i ragazzi e lui, Francesco, un ragazzino paffutello e lentiginoso che andava a lavorare tutti i giorni con i nonni in campagna, avrebbe premuto il grilletto. In cambio di quel ‘favore' le vittime gli avrebbero regalato un orologio. Una versione poco credibile per tutti, meno che per i carabinieri, che abbracciarono la strada del bambino killer.
E i colpevoli morali
Quando un giornalista de ‘L’Ora' di Palermo avvicina Franco per sentire dalla sua bocca cosa era successo quel giorno, il ragazzo crollò: "Non li ho uccisi io, ho detto così perché mi avevano dato schiaffi, mi sono fatto pure la pipì addosso". Il quotidiano diede la notizia dell'interrogatorio a suon di schiaffoni e minacce. "Dicevano che se non confessavo arrestavano il nonno Francesco "- aggiungerà il piccolo Franco, facendo finire i carabinieri al centro di una tempesta mediatica. Nemmeno il sostituto procuratore di Catania, Giuseppe Foti, a capo dell'inchiesta, credette a quella confessione che non aveva difficoltà a definire ‘estorta' eppure, quando il fascicolo d'indagine arrivò sulla sua scrivania, nonostante i convincimenti dichiarati alla stampa, Foti archiviò il caso. Nessun delitto d'onore a sfondo omosessuale: a Giarre non era successo un bel niente niente.
La memoria di Giorgio e Toni
Da allora, a prescindere da chi avesse premuto il grilletto, la responsabilità morale di quel duplice omicidio si abbatté come un macigno sulla comunità dell'entroterra catanese. Il delitto di Giarre non cambiò il nocciolo duro della società, che della storia dei fidanzati preferì dimenticarsi presto, ma smosse le coscienze più sensibili. Poco dopo nacque a Palermo il primo nucleo di Arcigay, ad opera di don Marco Bisceglie, sacerdote gay, e di un giovanissimo Nichi Vendola. Oggi Franco Messsina vive solo e in condizioni di degrado. A Giarre, dove per Toni e Giorgio non c'è nemmeno una targa, neanche il pino all'ombra del quale furono trovati i fidanzati esiste più. Si dice sia stato incenerito da un fulmine.


25.6.19

Gli psicoanalisti d'America chiedono scusa agli omosessuali 50 dopo i fatti di stonewall



Risultati immagini per stonewall Che le più importanti società psicoanalitiche e psichiatriche, in Italia e nel mondo, non vedano più l'omosessualità come una patologia e, anzi, sostengano il valore psicologico delle leggi che tutelano i legami affettivi e familiari delle persone omosessuali, non è più, fortunatamente, una notizia. Lo è, invece, la decisione dall'American Psychoanalytic Association (APsaA) di porgere le sue scuse alla comunità LGBTQ. Scuse "da tempo dovute", si legge nel comunicato, per aver patologizzato, nel corso della storia, gli orientamenti non eterosessuali e le identità transgender. L'annuncio è stato dato pochi giorni fa in occasione dell'apertura del 108esimo convegno annuale dell'APsaA, svoltosi a San Diego, e in concomitanza con le celebrazioni del cinquantesimo anniversario dei moti di Stonewall, considerati simbolicamente l'atto di nascita del movimento di liberazione delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e queer (LGBTQ). Nel 1969 l'omosessualità era infatti considerata una patologia mentale e come tale veniva "curata". Disturbo mentale era considerata anche quella condizione di sofferenza (un tempo nota come transessualismo e oggi definita "disforia di genere") causata dall'incongruenza tra il proprio sesso anatomico e la percezione di sé come uomo o donna. A partire dagli anni Ottanta le teorie patologizzanti sono state sconfessate e l'omosessualità è stata eliminata dai manuali diagnostici internazionali.
I professionisti della salute mentale hanno imparato a riconoscere i danni psicologici causati dallo stigma sociale e scientifico e dalla sua interiorizzazione (omofobia interiorizzata e minority stress). Chi vuol farsi un'idea dei presupposti violenti e normativi delle cosiddette "terapie riparative" può vedere due film recentemente distribuiti anche in Italia: La diseducazione di Cameron Post e Boy erased - Vite cancellate. "È arrivato il momento di chiedere scusa", ha detto Lee Jaffe, presidente dell'APsaA "per il ruolo che anche noi psicoanalisti abbiamo ricoperto nel promuovere pregiudizi traumatici". Riconoscere gli errori non cancella il dolore accumulato, ma lo può curare. Anche se qualche terrapiattista della psiche, sedicente terapeuta, continua a considerare l'omosessualità una condizione da "riparare", i veri terapeuti sanno che il loro lavoro consiste nel promuovere l'autenticità, la dignità individuale e la capacità di amare in accordo con il proprio desiderio. Riconoscere un errore e scusarsi è un'azione interpersonale (e in questo caso anche scientifica) importantissima: trasforma un paradigma, ripara antiche ferite, rende possibile l'elaborazione collettiva di un pregiudizio e delle sue ripercussioni traumatiche.

per  approfondire  
fatti 
https://it.wikipedia.org/wiki/Moti_di_Stonewall
https://www.wikipink.org/index.php/Moti_di_Stonewall
 film
Stonewall 1995 dal regista britannico Nigel Finch.
Stonewall  diretto da Roland Emmerich con protagonisti Jeremy Irvine e Jonathan Rhys Meyers.



17.12.18

Omosessualità e aborto, le bufale pro-vita arrivano a scuola. È ora di dire basta

premetto  che  : 

1) sono  contro l'aborto specie  se  usato a  scopo   anticoncenzionale  . Ma  perchè  debbo    vietarlo  e    giudicando  o lanciando  ....  fango   chi lo pratica    costringendoli   all'aborto  clandestino o se   hai  soldi in svizzera  o cliniche  private .  Ma  sopratutto     condanno  è  mi fa  schifo :  chi lo  combatte  sia    con bufale  \  disinformazione  ed  falsità  ascientifiche     , ma  sopratutto     non rispettando  le  scelte  altrui ,  giudicando    , ed  additandole    come  criminali  .
2) Essendo  etero   mi danno fastidio   e  mi turbano   certi atteggiamenti   esibizionisti  e contro natura  , vedi utero in affitto  ,  del mondo  omosex  e  Lgbt . Ma  il ragionare   in quel modo   citato dall'articolo sotto riportato  ,  e  con teorie   prmai  arcaiche  ed  ascientifiche   mi  sembra   nn solo  omofobo  ma    sessualmente    discriminatorio    verso cooro   che hano  una sessualità   differente 










Omosessualità e aborto, le bufale pro-vita arrivano a scuola. È ora di dire basta





Alcuni avvenimenti degli ultimi giorni hanno coinvolto i movimenti pro-vita e i soliti alfieri dell’omofobia. Questi evidenziano non tanto la forza primigenia che agita quel mondo – l’odio per il diverso – quanto il metodo usato per far breccia nella società: la menzogna. Menzogna infarcita da una certa dose di mistificazioni. Vediamo perché.Cominciamo dal caso di Silvana De Mari, medico e scrittrice fantasy divenuta famosa per le sue dichiarazioni sulle persone Lgbt. In più occasioni la signora ha messo sullo stesso piano omosessualità e satanismo, gay e pedofili. Per questa ragione è stata portata in tribunale dal Coordinamento Torino Pride e Rete Lenford ed è stata condannata per diffamazione, poiché ha offeso “in più occasioni l’onore e la reputazione delle persone con tendenza omosessuale”. Un organo dello Stato ha dunque stabilito che mettere nello stesso calderone Satana, i pride e qualche prete che ha mal interpretato le parole di Gesù “lasciate che i bambini vengano a me” è un crimine. Sulla sua bacheca, tuttavia, si poteva leggere un’altra storia (il post è stato poi rimosso, come lei stessa spiega): e cioè che è stata assolta.

Adesso, è vero che tra i capi d’accusa, uno è caduto. Ma emergono due fatti:
1. è stata condannata a un risarcimento cospicuo. Non solo deve pagare la multa di 1500 euro – l’accusa ne aveva chiesti solo 1000 – ma anche risarcire le due associazioni che l’hanno denunciata con 2500 euro ciascuna;
2. la giustizia del nostro Paese condanna l’omofobia. Manda a dire a quelli come la signora che non c’è cittadinanza per discorsi come i suoi. Che il suo modo di pensare è apolide, in uno Stato di diritto. Questo De Mari non lo dice.

Ancora, in un liceo di Monopoli è stato proiettato un video contro l’aborto. Si tratta de L’urlo silenzioso, un filmato del 1984 talmente cruento che è stato vietato ai minori di 18 anni. Il docente di religione, che invece ha usato il suo ruolo per fare ideologia contro l’autodeterminazione delle donne, lo ha fatto vedere in prima liceo. Senza il consenso dei genitori. Emerge anche che qualche giorno prima nella stessa scuola sia stato invitato il Movimento per la vita, che ha parlato dello stesso tema dicendo che “la pratica dell’aborto prevede che si estraggano pezzi di gambe e braccia di bambini già formati”. Non è la prima volta che avviene un caso del genere.
La cosa inquietante è che quel documentario è stato bocciato dalla comunità scientifica, in quanto “disseminato di inaccuratezze, affermazioni false e esagerazioni, scientifiche, mediche e giuridiche”. Nel film, infatti, si dice che il feto alla 12esima settimana emetta un urlo silenzioso nel momento dell’interruzione di gravidanza. I medici negano categoricamente tutto ciò, in quanto il cervello e l’apparato respiratorio non sono ancora sviluppati. A scuola non si insegnano le bufale. I supporter “pro-vita”, a quanto pare, ignorano questa disposizione. Per prolife et similia, le associazioni che cercano di fare educazione alle differenze a scuola veicolerebbero idee bislacche e ascientifiche, per non dire criminali. Tra tutte, che si può diventare uomini e donne da un giorno all’altro. Con lo scopo di pervertire le giovani generazioni. I percorsi di educazione alle differenze, sempre secondo tali personaggi, si farebbero in semiclandestinità, tenendo all’oscuro i genitori. E invece questi casi dimostrano che sono loro, i prolife, a usare queste “modalità”: ovvero bufale e azioni fatte senza il consenso delle famiglie.Sempre nella narrazione omofoba, i ragazzi che fanno i percorsi di educazione di genere, in cui si dice che non bisogna picchiare il compagno perché gay – loro, i prolife, parlano di “gender” in questi casi – tornerebbero poi a casa sconvolti. Ci hanno pure fatto un filmato, su questa cosa. I fatti di Monopoli parlano invece di adolescenti turbati proprio dal video imposto dal docente di religione. Il bue, insomma, dice cornuto all’asino. Si ha la sgradevole sensazione, insomma, di essere di fronte a personaggi che se fossero vissuti in altre e ben tristi epoche non avrebbero avuto problemi ad accendere la pira sulla quale sacrificare la strega di turno. Oggi, per fortuna, abbiamo ancora lo stato di diritto e l’azione di queste persone è limitata dalle leggi e dal vivere civile. Non potendo fare roghi di libri e esseri umani, bruciano sul patibolo delle loro credenze ragione e verità scientifiche. Forse sarebbe il caso che questa gente – compresi certi insegnanti di religione – venisse tenuta ben lontana dalle nostre scuole.

O quanto meno visto la delicatezza di tali tematiche parlarne in modo non ideologico e disinformato ma in modo informato e possibilmente con un contradditorio fra i pro ed contro cosi che ciascuno possa farsi una sua idea o decidere a quale aderire . Ma sopratutto evitare che se ne parli come qualcosa , in qiesto caso dell'aborto come una procedura chirurgica semplice e indolore. Ma purtroppo non è così perché lascia ciccartici profonde nell'animo delle donne che lo fanno. Una società civile dovrebbe essere in grado di offrire l'aborto come ultima scelta tra tante di vita. Purtroppo non è così, almeno in Italia, dove si smantellano i consultori e progetti che vanno in questa direzione lasciando sola  la  donna   o portandola  ad aborti clandestini   o  ad  abbandono   del neonato oppure nell'impossibilità d'eseritare il suo diritto d'abortire in quanto ipocritamente ( ovviamente senza generalizzare ) molti medici sono obbiettori . Infatti ----- secondo questo articolo di Di Silvia Nazzareni del 17 Dicembre 2018 - 16:08 per
https://www.thesocialpost.it/2018/12/17 ------ [....] A più di 40 anni dalla legge sull’aborto, sembra che siano stati fatti passi indietro anziché passi avanti sulla libertà femminile nei riguardi del proprio corpo. È difficile immaginare quali possano essere state le conseguenze a livello psicologico della visione di questo video da parte di ragazzi e ragazze di 14 anni, in un’età fragile e che vede i giovani già rapportarsi al sesso con numerose diffidenze e paure.
terzo mese gravidanza
Un feto alla fine del terzo mese di gravidanza
SEBASTIAN KAULITZKI/SCIENCE PHOTO LIBRARY
Nonostante sia stato ormai ri badito e assicurato a livello normativo che il diritto all’aborto debba essere garantito e preservato, sono ancora molte le associazioni che promuovono un terrorismo psicologico che porti i giovani ad avere paura del sesso e ad approcciarsi in maniera distorta e negativa al rapporto con sé stessi e con un possibile partner. Questo fenomeno, se non bloccato tempestivamente, rischia di portare allo sviluppo di generazioni impaurite, poco coscienti delle proprie libertà e dei prorpi diritti, e sicuramente male informate sui fatti.
IL video in questione non è un inedito degli ultimi tempi: si tratta di un breve documentario di circa mezz’ora girato nel 1984 e nel quale appare il medico pro-vita Bernard Nathanson. Il film ha il titoloIl grido silenzioso, ispirato all’ “urlo” che secondo il medico il feto cercherebbe di emettere, aprendo la bocca, negli istanti in cui avviene l’aborto. Il video non è adatto a un pubblico sensibile: oltre a spiegazioni estremamente enfatizzate e crude, sono presenti immagini di aborti veri e proprio praticati su alcune donne. All’epoca dell’uscita del documentario ci fu molta attenzione mediatica su di esso e si riunì anche una commissione medica organizzata da Planned Parenthood che ha concluso che il filmato, oltre ad essere molto inaccurato, veicolava dati falsi e molte bugie a livello medico-scientifico. Nel video Nathanson attribuisce un’anima molto definita e già complessa, nonché una sorta di personalità a un feto, il che è stato ritenuto falso e tendenzioso da un punto di vista etico-giuridico

Oltretutto nel video si sente Nathanson parlare di pezzi di “gambe e braccia che vengono strappati”, frasi riportate anche dall’associazione pro vita Movimento per la vita, che si è occupata di introdurre il video alle classi e di argomentarlo. .[....] Ludovico Abbaticchio, garante dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza della regione Puglia, ha definito il fatto come “intervento deviante e terroristico nei confronti di minorenni”. Il garante ha anche dichiarato di volersi rivolgere alla procura dei Minori per andare in fondo alla questione.

1.1.18

Una Madre Ripudia Il Figlio Perché Omosessuale. Il Ragazzo Cerca Ospitalità Dal Nonno E Questo Scrive Alla Figlia:

lo so chè   vecchia  ( e mi pare l'avessi , se  memoria  non m'inganna , qui da qualche  parte   nel  blog  ) infatti risale al 2015  , ma come si sa  certe cose   non hanno tempo  ,   sono come  il vino  ipiù  invecchiano  meglio sono  . Una storia   che  sminuisce  luoghi comuni     del   tipo   : i vecchi  sono  tutti  conservatori e rincoglioniti  .

  da  http://www.blogserena.com/
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Cara Christine:
Sono molto deluso da te come figlia.
Hai ragione, c’è un “disonore in famiglia”, ma non hai capito quale. Buttare Chad fuori di casa semplicemente perché ti ha detto che era gay è il vero “abominio”.Un genitore che disconosce il proprio figlio, ecco cos’è “contro natura”.L’unica cosa intelligente che ti ho sentito dire in tutta questa faccenda è “non ho allevato mio figlio perché fosse gay”.Certo che no.
E’ nato così e non lo ha scelto, non più di quanto si possa scegliere di essere mancini. Tu, invece, hai scelto. Hai scelto di fare del male, di essere chiusa di mente e retrograda. Perciò, visto che stiamo giocando a disconoscere i figli, colgo l’occasione per dirti addio.
Ora ho un favoloso (come dicono i gay) nipote da crescere, e non ho tempo per una figlia stronza. Quando ritroverai il tuo cuore, facci un fischio.

31.1.15

31 gennaio 1969, Viareggio: ragazzi del "Fronte monarchico giovanile" rapiscono e uccidono il ragazzino ERMANNO LAVORINI

 Ringrazio il contatto fb   Riccardo Lenzi per   avermelo segnalato

Lo so  che mi contraddico   ma   questo fatto  successo  ogggi nel lontano 1969   non  è solo cronaca  nera   è la storia  del primo ragazzo rapito   in Italia  .  Vicenda  da cui , come  dirà  la canzone sotto riportata  ,  i media   maistream  (  ed  ora le pagine e gli account  fb   della gente   e  i  vari blog  e  siti  pseudo o veramente indipendenti )   hanno trattato alcune persone coinvolte risultate  innocenti  . Infatti  due moriranno uno suicida  e  l'altro  di crepa cuore  .







Non so cos'altro  dire  \ aggiungere  in quanto  : 1) non ho  per  limiti d'età vissuto direttamente  quegli avvenimenti  ., 2)  la canzone  di Trincale   riassume  in se la  triste  vicenda  . Quindi vi  lascio  qual'ora  vogliate   farvi voi un idea  ed  aprofondirla  ai seguenti  siti  ed  articoli

 http://it.wikipedia.org/wiki/Omicidio_di_Ermanno_Lavorini  con un ottima  bibliografia e   con questi ottimi link :  
e   per  finire   http://www.raistoria.rai.it/articoli/il-sequestro-di-ermanno-lavorini/11947/default.aspx







11.1.15

“Prof, mi dicono gay!”: così ho fatto coming out con i miei alunni

storia dedicata  a chi   vede  il coming  out  solo come un gesto  esibizionistico   per mettersi in mostra   , ignorando  o non sapendo che  molto spesso dietro  tale  gesto si nasconde  una liberazione da sensi di colpa e sofferenze  come la storia  che propongo oggi 




 «Non parlare con me. Se parli con me la gente penserà che sono frocio». Questa è stata una delle frasi che, quando ero adolescente, mi sono sentito dire più volte in classe, nei corridoi, nei bagni della mia scuola. A volte ciò succedeva di fronte gli insegnanti stessi, che si limitavano a invitare al silenzio. A volte imbarazzati, incapaci di reagire e di dire l’unica cosa possibile. Ciò mi umiliava due volte, come essere umano e come studente. E la mia vita è andava avanti così per diversi anni, fino a quando le cose si sono normalizzate. Ho fatto coming out e quel corredo di insulti e di parole acuminate si è dissolto nel nulla. La gente ha paura delle cose che addita come sbagliate e quando queste si palesano con un volto, un nome e il coraggio di dire «sì, è così. E allora?» certe persone scappano via. Come sempre succede ai codardi. Ma questa è, appunto, una storia vecchia. Almeno per quello che mi riguarda.
Qualche anno fa insegnavo in una scuola di un quartiere popolare di Roma, fuori raccordo. Una scuola ritenuta difficile. Moltissimi migranti, bambini/e i cui genitori si alzano alle quattro e tornano a casa col buio. Persone umili e oneste, ma a causa delle condizioni di lavoro a cui sono sottoposti, spesso assenti. Quei bambini e quelle bambine, in non pochi casi, sono lasciati a loro stessi e lo vedi dai loro volti, dal loro sguardo, quanta rabbia può fare vivere in un mondo che ti descrive come corpo estraneo, ostile, e ti tratta come un reietto. In quella scuola qualcuno ebbe la brillante idea di fare un profilo falso su Facebook con il mio nome, intervallato da un bell’insulto a sfondo omofobico. “Dario er frocio Accolla” mi chiese l’amicizia. Sprofondai in un malessere che pensavo di aver archiviato più di venti anni prima, ma evidentemente certe ferite erano ancora lì, per quanto piccole o lontane. Il sostegno di colleghi e colleghe e delle mie classi stesse mi diede il coraggio necessario. voleva picchiarmi, a sentir lui. Perché ero frocio. Mi vide da lontano e mi raggiunse. Una mia allieva, nigeriana e bellissima, si frappose tra noi. «Embè? Qualche problema?» e il tipo scappò via. Come sempre succede ai codardi, appunto.
Una volta un bulletto di un metro e novanta, quasi sedicenne, venne perché
L’altro pomeriggio, durante l’ultima ora di lezione, un mio alunno mi ha detto che i suoi compagni di classe lo insultano dandogli del “gay”. Capirete da soli le ragioni per cui ho fatto coming out…
«Non c’è niente di male, ad essere gay» gli ho detto.
«Ok, ma a me dà fastidio!»
«E allora impareremo due cose» ho detto alla mia classe «la prima è che non si dice “gay” per insultare nessuno e la seconda è che se dite questo potreste offendere anche altre persone. Magari avete un prof omosessuale e non lo sapete. Oppure lo sapete, e fate finta di nulla…».
E quando i loro occhi si sono cercati, forse vedendosi scoperti, ho sorriso e sono andato avanti con le mie parole.


«Ho già detto che usare la parola “ebreo” come offesa non fa male solo a chi la subisce, ma a tutte le persone che sono ebree. Ebbene usare “gay” come parolaccia, non dà fastidio solo al vostro compagno, ma rischia di offendere anche me».
Ne è seguita una discussione sul rispetto reciproco, sulla pacifica convivenza e per premiarli ho mandato tutti e tutte a giocare in giardino qualche minuto prima.
Quanto accaduto quel pomeriggio, nella mia aula, è una tappa di un percorso lungo, che si sovrappone a una vita intera. Credo sia un atto di onestà intellettuale dare un nome alla propria identità, soprattutto di fronte a casi di discriminazione, in un contesto così delicato come quello scolastico. Fare coming out ci rende forti, aiuta ad incontrarsi, a capire che il mostro descritto da chi ne ha paura e scappa via quando lo vede, è solo un essere umano. Forse è per questo che i soliti noti non vogliono che se ne parli a scuola: per non essere scoperti di fronte alla loro vigliaccheria.
Ai miei tempi mi avrebbe fatto piacere che un prof avesse detto ai miei compagni quel «non c’è nulla di male nell’essere gay, non ha senso usare quella parola come insulto». Quel pomeriggio, un po’ grigio e un po’ gelido, ho sanato quella ferita fatta al bambino che ero trent’anni fa. E, lo credo davvero, non solo a lui.


e consigliando   tale  libro 

Nel 2010, dopo alcuni suicidi di ragazzi omosessuali vittime delle prese in giro dei loro coetanei, lo scrittore e attivista Dan Savage e suo marito Terry Miller hanno caricato su YouTube un messaggio diretto agli adolescenti che subivano bullismo e discriminazioni a scuola o in famiglia: "Quando avevamo la vostra età" raccontano "è stata dura anche per noi essere gay in mezzo a persone che non ci capivano, ma se oggi potessimo parlare ai quindicenni che eravamo gli diremmo di resistere, perché presto andrà tutto meglio, troveranno degli amici fantastici, troveranno l'amore e un giorno avranno una vita molto più felice di quanto immaginano". È stata la prima di migliaia di testimonianze che hanno dato vita a un sito e a una fenomenale campagna sul web, chiamata It Gets Better. Nel 2013 il progetto è sbarcato anche in Italia, con il nome "Le Cose Cambiano". Dall'esperienza e dal successo dell'iniziativa ha preso forma questo libro, che raccoglie i racconti e le testimonianze più belli provenienti dal progetto italiano e da quello americano. Un archivio di buoni consigli, episodi tristi e divertenti e storie a lieto fine, che unisce le parole di personaggi famosi e persone comuni, scrittori, musicisti, attori, comici, studenti, insegnanti, avvocati, attivisti, omosessuali ed eterosessuali, transessuali e queer. Per ricordare a tutti i ragazzi LGBT che stanno affrontando un momento difficile o fanno fatica a immaginare come sarà il loro futuro, che non sono soli, e che le cose presto cambieranno... 

che   è diventato anche  un sito  http://www.lecosecambiano.org Ma soprattutto  ( vedere  foto  sotto  )  


condividendo il post  , ho  già raccontato al storia   qui  sul blog  , di Viviana Bruno ( https://www.facebook.com/viviana.meladailabrianza


29.10.09

Il serpente antico

 



L'ultima ingiuria, adesso, sarebbe definirla "donna con le palle". L'ultimo, estremo affronto del paganesimo sessista a Roberta Serdoz e, con lei, a tutto il genere femminile.
Negarne l'alterità, quindi la ragion d'essere. "Donna con le palle": cioè coraggiosa, nobile, forte, determinata, razionale. Cioè, maschio. Una donna che dimostra le qualità elencate, secondo la vulgata pagano-sessista, non può appartenere a sé e al suo sesso. Sesso viene da "secare", dividere, e il sesso femminile, per il paganesimo sessista, è di per sé divisione, mancanza. Peggio: nullità.
Il paganesimo sessista procede per sottrazione, poiché teorizza l'esistenza d'un solo vero sesso, quello maschile. Il quale però, contrariamente all'etimologia del vocabolo, è esaltato a paradigma assoluto, parabola suprema, e divinizzata, dell'intera umanità. Relativo che diventa totalità.
Per il paganesimo sessista nessuna donna possiede pertanto qualità positive, né i suoi comportamenti possono essere presi a modello. Se ciò avviene, è perché essa ha rinunciato alla sua femminilità-inesistenza per riempirsi e significarsi (travestirsi?) del divino maschile. "Donna con le palle", quindi: fatta uomo.

Roberta sta reagendo con una dignità che sfiora l'eroismo allo scandalo che ha travolto il marito. Il marito? Lei stessa, in realtà, e, ancor prima di lei, le figlie dei due, in particolare la più piccola, che a otto anni ha visto infrangersi contro il turpe muro d'un'umanità brutta, dentro e fuori, l'idolo paterno destinato a diventare, soltanto e naturalmente, l'uomo più amato.
Roberta reagisce restando al suo posto, continuando a lavorare, intenzionata a non abbandonare il consorte. Il più debole è lui, s'è detto da più parti, il più bisognoso d'aiuto, ed ecco accalcarsi attorno al pover'uomo schiere di psicologi, monaci, amici, politici, anime pie, tuttologi e professionisti della lotta alle discriminazioni. Militanti gay hanno espresso la loro vicinanza all'ex-governatore del Lazio e denunciato l'"imperante clima di transfobia e omofobia"; ma per Roberta e le bambine nemmeno una parola.                                                                     Tanto, è una "donna con le palle"! E' tenace, resisterà.                              Più probabilmente, di lei non s'è curato nessuno.
Nessuno si domanda quanto dolore,quale ale immane catastrofe psicologica si nascondano dietro il volto deciso,il sorriso franco e commovente di Roberta.                       Al paganesimo sessista importa solo l'apparenza, la lacrima esibita, la parodia della sofferenza. In una parola: la sceneggiata. Viviamo o no, nel gran teatro del mondo ?


Soprattutto Roberta e le figlie, in questo momento, necessitano dell'aiuto maggiore. Ne hanno bisogno, anzi, diritto, proprio perché non lo invocano. Perché sono le più umiliate, le più negate. E, si badi bene: l'intenzione di chi scrive non è nemmeno quella di demolire Marrazzo e le sue personali miserie. Che, come dice la parola stessa, in senso stretto meritano soltanto commiserazione. Piero Marrazzo non è più colpevole d'un Cosimo Mele che va a mignotte e coca dopo aver sfilato al Family Day, né d'un Sircana che s'intrattiene - anche lui - con una trans sul marciapiede della capitale, né, naturalmente, di "utilizzatori finali" (elencare tutti i link a questo proposito sarebbe impossibile...) che non solo gozzovigliano con prostitute e minorenni (parola di moglie), ma se ne vantano pure, non sognandosi di dimettersi, bensì elevando a valore il loro degradato stile di vita.


L'uomo Marrazzo risponde soltanto alla sua coscienza (del presidente Marrazzo ci occuperemo più avanti). La donna Roberta Serdoz rappresenta tutte noi.

Tra i tanti commenti che hanno riempito le pagine dei quotidiani in questi giorni, ne ho trovati tre degni di nota, firmati rispettivamente da Giulia Bongiorno e Marina Terragni ("Corriere della Sera").
"Di fronte a un tradimento, qualunque tradimento, si tende a ritenere che una donna abbia una sola alternativa: tutelare la propria dignità chiudendo il rapporto, oppure custodire l'unità familiare e la sua immagine", annota Bongiorno. Ma quest'ultimo caso - la salvaguardia delle apparenze e il dovere coniugale - è la tipica scelta coatta delle donne sottomesse e tradizionaliste; non certo di Roberta Serdoz che invece, libera ed emancipata, svolge anche una solida professione di giornalista e conduce una vita sua. Nulla di più logico, quindi, dell'abbandono del tetto coniugale. Ma non accade: "Perché lei ha deciso, in piena libertà, che in questo frangente la priorità non è lei stessa. E così ha compiuto una vera scelta di emancipazione: si è emancipata persino dal bisogno di dimostrare la propria dignità. Ci ha rinunciato, sapendo di non esserci costretta", conclude la presidente della commissione Giustizia.
Ci troviamo di fronte a un passaggio fondamentale. Da sempre, e anche in questa particolare situazione, i sacerdoti del paganesimo sessista agitano lo spettro della femmina diabolica, il cui sesso è contemporaneamente nullificato e tenebroso, la cui natura è inesistente ma pericolosa, imperfetta ma temibile. Ancora qualche giorno fa, il cardinale Antonelli ha tuonato contro il femminismo che, assieme a gay, neomarxisti e addirittura "ambientalisti estremi" ( ?!? ) , insidierebbero la sacertà della Famiglia Tradizionale (E anche il suo Papa, spalancando scandalosamente le porte agli anglicani più retrivi e intolleranti - gesto empio reputato, da osservatori accecati e storditi,"Corriere" in primis, addirittura ecumenico... -, si muove nella stessa direzione.)
Secondo Antonelli, Ratzinger e gli alfieri del paganesimo sessista, unico compito della donna, per la sua natura incompiuta e peccaminosa, è stare asservita all'uomo, subire le sue prepotenze senza lagnarsi mai, partorire con dolore, ché questo è lo scotto da pagare per averlo strappato all'Eden. Poiché la donna non si può eliminare, come pure sarebbe desiderabile secondo tale visione, la si deve tenere a bada, negarle una propria e individuale personalità, la quale, se affermata, costituirebbe necessariamente un contro-valore rispetto all'Ordine Costituito, maschile. In questa prospettiva il femminismo, che al contrario esalta la diversità-ricchezza delle donne e si batte per la loro affermazione indipendentemente da chiunque, non può che risultare eretico e perverso, foriero di sovvertimenti e di divisioni.
 La vicenda di Roberta Serdoz smaschera, ancora una volta, la menzogna di queste tesi. Roberta resta accanto al marito non perché deve farlo, ma perché lo vuole; e lo vuole seguendo una sua libera scelta, ascoltando il suo cuore, valutandolo, rispettandolo. E' vero: le donne amano vivere in relazione. Ma non perché non abbiano valore in sé; bensì perché valorizzano gli altri e loro stesse attraverso una spontanea auto-donazione. Gli uomini sono manichei; le donne in tale ottica, forzando il concetto, più "naturalmente" cristiane.
E, sempre in tale ottica, il femminismo aiuta la famiglia (certo, anche quella tradizionale mitizzata dal card. Antonelli), e non la insidia affatto. Tantomeno la distrugge.
 Gli uomini non l'hanno ancora compreso, né sono stati in grado di fornire una risposta altrettanto valida al femminismo. L'hanno dapprima combattuto, poi irriso, infine subìto, ma mai sfruttato come occasione di crescita anche per loro.
Pertanto l'esortazione a "pensarci un po' su", che si legge nel contributo di Marina Terragni, può e deve essere accolta soprattutto dagli uomini; viceversa, frasi come "Dispensatrici di bellezza e di gioia, le donne hanno rinunciato per sempre a questa prerogativa divina... Valgono questo prezzo, i loro strepitosi guadagni?", rischiano di suonare terribilmente ambigue e fuorvianti. Come se l'attuale distorsione maschile sia imputabile, ancora una volta, al femminismo aggressivo ed emancipatore. Terragni continua così: "Mi scrive, straordinariamente sincero, un lettore sul blog: 'Il vero unico desiderio è vivere momenti di bel cameratismo con altri maschi... Anche il travestito, ama esclusivamente il mondo maschile e ritiene che la sua missione sia dare amore ad altri maschi, di cui comprende le sofferenze profonde che nessuna donna potrebbe lenire' [...]. Molti maschi regrediscono a un consolatorio 'tra uomini'. Un mondo a cui le donne non hanno accesso; solo maschere di donne, come sulle scene del teatro medievale; solo pseudo-donne, a misura di un immaginario semplificato e un po' autistico. Un'omosessualità spirituale e culturale che può contemplare anche un passaggio strettamente sessuale". Qui emerge un'altra e, se possibile, più complessa questione, che le analisi attuali, sia per effettiva mancanza di basi culturali, sia per timore d'infrangere il "politically correct", non affrontano mai del tutto. Ci ha provato Umberto Galimberti, che non a caso è stato in malafede accusato, di omofobia, transfobia ecc. ecc.
Poniamoci, innanzi tutto, una domanda. La regressione menzionata da Terragni e Galimberti, e che quest'ultima sembra attribuire all'autonomia e alla libertà femminili, è realmente una malattia contemporanea? In parte, senza dubbio, sì.
Abbiamo accennato all'uomo Marrazzo. Ma il governatore Marrazzo è altra cosa. L'ozio d'un potere molle e sfatto arriva a sfigurare i luoghi più evocativi, sacri e (perché no?) nobilmente "paterni" in cui si riconosce la comunità (Marrazzo consumava i suoi piaceri in via Gradoli, memoria storica del rapimento Moro, B. riceveva la sue cortigiane a palazzo Grazioli; e i carabinieri corrotti e ricattatori, privi di volto e d'anima, hanno persino abdicato alla loro storica ragion d'essere). La mercificazione del corpo; la (in)cultura del qui e ora; l'impotenza da Basso Impero o, meglio da Impero (del) Basso, anatomicamente inteso; il ripiegamento su sé stessi; la serra riscaldata della compagnia d'un proprio simile, anziché la sfida ma anche l'entusiasmo di mettersi in gioco con qualcuno opposto a te; tutto quanto è tipico del nostro tempo. Quanto all'"omosessualità culturale e spirituale" denunciata da Terragni, e che ha ben poco da spartire con l'effettiva condizione vissuta da alcuni uomini e donne, sarebbe più appropriato definirla, con Luce Irigaray, "uomosessualità". Conta relativamente poco, infatti, il sesso dell'altro, perché conta poco l'altro. Conta la sessualità dell'uno, o il suo degrado, la sua insaziabilità e, al tempo stesso, la folle ricerca di piaceri tanto più proibiti quanto più facilmente "degradabili". La donna è accettata solo come prostituta, poiché merce in vendita, sottomessa per contratto. Ma la trans va oltre, donando all'uomosessuale l'illusione d'un potere assoluto, che nemmeno la prostituta donna, per quanto assoggettata, ormai accetta più. Lo scambio non è mai alla pari e non si crea nessuna vera relazione, ma una masturbazione a due (o a più), un moltiplicarsi di specchi che riproducono un'unica immagine.
E' contro questa cultura che si scagliarono san Paolo e Dante. I quali, non per nulla, additavano il vizio in personaggi di alto livello sociale, politico e culturale; nei potenti dell'epoca. E il potere è prevaricazione.
Eccoci tornati, quindi, al punto di partenza. Il disfacimento è senz'altro un "segno dei tempi"; diciamolo senza tema, un rifiuto dell'altro che è anche un rifiuto del totalmente altro: Dio. Una forma di idolatria che però, contrariamente a quanto afferma Galimberti, non è ancora la più grave delle regressioni. Già se ne profila una peggiore, dopo il mercimonio di entrambi i sessi e il prevalere dell'uno sull'altro: la pedofilia. La soglia d'attenzione rispetto all'abuso del minore si sta pericolosamente abbassando. Personaggi noti, spettacoli, giornali e persino annunci pubblicitari veicolano messaggi sempre più espliciti, a cui ci si sta quasi abituando. E niente più della pedofilia dà sfogo al delirio d'onnipotenza e di sottomissione, una "prova di forza" ottenibile senza alcuno sforzo ai danni di un individuo per sua natura debole e non formato. La pedofilia, dunque, è il punto d'arrivo e costituisce un arretramento verso la bestialità.
E' un segno dei tempi. Ma è anche un segno senza tempo; un serpente antico. La tentazione primordiale. Perché fin qui non si è parlato di sesso, ma di violenza, blasfemia, dominio, superbia. Violenza e superbia che, nel corso della storia, si sono manifestate in diverse forme, ma che hanno un'unica origine.
Questi sono i frutti del paganesimo sessista; questo è il risultato del rifiuto del dialogo, della sottomissione forzata d'una metà del genere umano, spesso benedetta persino da rappresentanti della religione (non a caso, uomini). E' fenomeno recente? E' colpa delle femministe? Degli omosessuali? Dei marxisti? Degli ambientalisti? O non è, piuttosto, colpa di tutti noi, quando puttaneggiamo, in misura maggiore o minore, con l'ingiustizia, la soverchieria e il potere?

Daniela Tuscano

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...