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13.2.24

L’amore proibito di Giarre che cambiò l'Italia

 San valentino  non è solo amore  etero  .  ecco   dalla  rete una storia  omoisessuale  che  cambio  la concezione dell'amore  non etero catalizzando l'attenzione sulla lotta per i diritti LGBTQ in Italia.


E già perché il delitto d’onore, che noi associamo aggi ad altre latitudini – come la Cecenia, per esempio – è una pratica barbara che conosciamo bene anche in Italia dove si dovette attendere fino al 5 agosto 1981 per abrogare definitivamente le disposizioni del codice penale che prevedevano delle circostanze attenuanti per la commissione di un delitto perpetrato al fine di salvaguardare l'onore.
La testimonianza toccante dell’amico Paolo Patanè è un elemento fondamentale del documentario: con la sua eleganza e profonda sensibilità, Patanè trasmette tutta la sua passione per un’obiettivo inseguito da decenni: restituire dignità e visibilità a Giorgio e Toni.
 Mentre i toccanti e dolenti ricordi della sorella e della nipote di Antonio, trasmettono tutta l’assurdità e il dolore di quella violenza dettata solo dal pregiudizio.
Ma c'è anche speranza e resistenza. Marco Pannella, con la sua voce potente, denunciò l'accaduto come un “delitto della società”, mettendo in luce l'intolleranza e l’omofobia dell'epoca. I radicali e il Fuori! organizzarono un convegno e una manifestazione proprio a Giarre riuscendo a far sì che questo delitto non fosse solo un tragico evento isolato, ma divenisse un caso politico di rilevanza nazionale, catalizzando l'attenzione sulla lotta per i diritti LGBTI in Italia.
Infatti, innestandosi sulla pregressa attività dei militanti LGBTI del Fuori!, contribuì – insieme a molti altri fattori quali, per citarne uno solo, le elezioni politiche del 1979 che certificarono fallimento del compromesso storico – a modificare l’atteggiamento di una parte della sinistra parlamentare ed extra-parlamentare sull’omosessualità e alla fondazione a Palermo del primo circolo Arcigay d’Italia da parte di Marco Bisceglia, prete cattolico del dissenso sospeso a divinis e dirigente dell’Arci.
In conclusione, “Il delitto di Giarre” non è solo un documentario, ma un monito, un ricordo e una celebrazione dell'amore. È un pezzo di storia italiana che tutti dovremmo conoscere e ricordare.

4.1.21

La farfalla della gentilezza la storia di Pierantonio Costa, imprenditore di successo e console onorario in Ruanda. Noto anche come lo Schindler italiano.

 da  https://www.facebook.com/sandra.dimuzio


”Ho solo risposto alla mia coscienza. Quello che va fatto lo si deve fare”.
Queste le parole di Pierantonio Costa, imprenditore di successo e console onorario in Ruanda. Noto anche come lo Schindler italiano.
Pierantonio Costa si trovava in Ruanda in quei tre mesi agghiaccianti, dal 6 aprile al 21 luglio 1994, quando il buio della ragione scatenò un mostruoso genocidio. In quei tre mesi furono sterminate un milione di persone, soprattutto Tutsi, ma anche alcuni Hutu che non avevano voluto piegarsi a quell’odio interetnico tanto artificioso quanto aberrante.
Pierantonio Costa sarebbe potuto tornare immediatamente in Italia per mettersi al sicuro insieme alla sua famiglia. Invece rimase in Ruanda, che ormai da trent’anni era casa sua.
Nelle prime ore del massacro fece la cosa più immediata: rimediò delle bandiere italiane (cucite dalla moglie Mariann) da appendere sulle case delle persone che secondo lui erano maggiormente in pericolo. Un primo tentativo per provare a salvare vite umane mentre dilagava l’apocalisse.
Non sarebbe bastato, quindi contribuì a organizzare l’evacuazione degli italiani e di altri stranieri, portandoli con convogli umanitari nel vicino Burundi ma poi non rimase lì. Tornò immediatamente in mezzo all’inferno per aiutare le persone a fuggire. Poteva contare sulla sua posizione di diplomatico, sui contatti importanti e soprattutto sulla sua grande disponibilità economica. D’altronde lui in Ruanda ci era arrivato come imprenditore ed era diventato molto ricco: decise quindi di utilizzare i suoi soldi per comprare visti e lasciapassare, corrompere funzionari, pagare i soldati ai posti di blocco, per far approvare le sue ormai celebri liste (false) di persone da mettere sotto la protezione del governo italiano in Burundi. Li portava lui personalmente.
Ogni viaggio voleva dire la salvezza per un gruppo di persone, ogni viaggio vite umane salvate. In un’occasione riuscì a procurarsi tre autobus che riempì fino all’inverosimile di bambini. 375 bambini di un orfanotrofio che lui portò in Burundi, salvandoli da morte certa.
Questo perché durante i cento giorni che sconvolsero il Ruanda, Costa non si girò dall’altra parte ma accettò di correre rischi: nel buio di quei giorni terribili ebbe il coraggio di affrontare i massacratori, di trattare con i responsabili del genocidio “per ottenere il permesso di portare fuori qualche decina di persone. Loro stavano pianificando l’eliminazione di migliaia di esseri umani. E io battagliavo per una lista di qualche decina di poveracci”.
In realtà non saranno solo qualche decina: in quelle sue liste della salvezza ci finirono quasi 2000 persone, e tutte devono a Pierantonio Costa la vita.
Nel corso di quei mesi, tra quanto pagato e quanto gli è stato depredato, ha speso circa 3 milioni di dollari, però il suo cruccio non sono mai stati i soldi, ma il rammarico di non aver potuto fare di più. Le duemila persone su quelle liste sono la dimostrazione che “In mezzo a tanta violenza e sofferenza qualcosa avevo fatto”, ma “in quei consunti fogli di carta c’erano i nomi che avevo potuto scrivere. Mancavano quelli che non avevo incontrato, che non erano riusciti a raggiungere il posto convenuto di ritrovo, quelli che non avevo la possibilità di caricare a bordo, o che avevano scelto coraggiosamente di restare, per tante diverse ragioni”.
Per il suo coraggio Pierantonio Costa, che è rimasto in Ruanda fino a pochi anni fa, è stato insignito della medaglia d’oro al valore civile, è stato candidato al Nobel della Pace nel 2011 e a Milano gli è stato dedicato un albero nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo.
Purtroppo due giorni fa, a 81 anni, Pierantonio Costa ci ha lasciato.
Un uomo altruista di cui è giusto ricordare le gesta, in un mondo sempre più dominato dall’individualismo ed egoismo.
Un uomo che con il suo comportamento ci ha insegnato la banalità del bene.
🦋
(Le citazioni testuali sono tutte tratte dal libro scritto dallo stesso Pierantonio Costa insieme a Luciano Scalettari, La lista del console: cento giorni, un milione di morti, Edizioni Paoline, Milano, 2004).

20.9.18

Tempio Pausania, «Non ho saputo da nessuno che mio padre fosse morto», la storia incredibile di un 51enne campano






in sottofondo  Giacomo Spano - Eremo
Questa che trovate sotto storia raccontata da Antonio Masoni di www.galluranews.org Mi a portato a riascoltarmi questa canzone di De andre ed accorgemi che alcuni versi in particolare questi


quando la morte mi chiederà 
di restituirle la libertà 
forse una lacrima forse una sola 
sulla mia tomba si spenderà 
forse un sorriso forse uno solo 
dal mio ricordo germoglierà 

se dalla carne mia già corrosa 
dove il mio cuore ha battuto un tempo 
dovesse nascere un giorno una rosa 
la do alla donna che mi offrì il suo pianto 

quando la morte mi chiamerà 
nessuno al mondo si accorgerà 
che un uomo è morto senza parlare 
senza sapere la verità 
che un uomo è morto senza pregare 
fuggendo il peso della pietà


Una storia  d'altri  tempi   da telenovele  \  soap opere   latino  americane  \  spagnole   come il segreto  o  fiction tipo  un posto al sole  per  rimanere  in ambito italiano  




Tempio Pausania, «Non ho saputo da nessuno che mio padre fosse morto», la storia incredibile di un 51enne campano.





foto galluranews

Tempio Pausania, 17 set. 2018-
“Buongiorno signor Antonio, potrei chiederle una informazione?”, tutto nasce da una richiesta via Messenger di un signore di Torre del Greco, nativo di Portici, che sul suo profilo si chiama Gianni “Napoli”. Di solito, la prima cosa che fai quando ti arrivano messaggi da chi non conosci è accettare la richiesta e poi andare a sbirciare sul suo profilo facebook per capire con chi hai a che fare. Normalmente accetto anche quando arrivano richieste strane, bizzarre-erotiche o magari legate alla partecipazione a qualche concorso fotografico dove ti si chiede di votare qualcuno o qualcosa. Eppoi, “Napoli”, che cognome sarebbe in un campano? Sicuramente è legato al tifo per la squadra del Napoli, si sa che moltissimi lo usano per identificarsi ancor di più con il calcio per il quale, spesso, si trascende, Capita ovunque e per qualsiasi squadra. Gianni “Napoli”, mi chiede una informazione relativa ad un certo Giorgio Galdi che, sul momento non collego a nessuno di mia conoscenza, non penso di aver mai sentito quel nome e così rispondo:
“No guardi non lo conosco e non ho mai sentito il suo nome – rispondo sospettoso – perché lo sta cercando attraverso me?”
” Mi è stato detto che vive in via Istria, n. 15, e lessi un articolo vostro che parlava di alcune case pericolanti in via Istria”.
E’ vero, tempo fa scrissi delle case popolari più a valle del n. 15, quelle rosse per intenderci che erano pericolanti e i residenti lo volevano segnalare. Inoltre, effettivamente abito nello stesso quartiere a poco più di 200 metri da Via Istria.
Il giorno dopo Gianni mi riscrive chiedendomi se era venuta fuori qualcosa.
Mi perdoni, ho chiesto a qualcuno del quartiere, ma nessuno sa chi sia”. Insomma, se non vado a cercare in via Istria 15 col cavolo che riesco a dare notizie a questo Gianni “Napoli” che a dire il vero si mostra educatissimo e assolutamente non fastidioso, anzi gentile e grato perché mi sto interessando a dargli questa notizia.
Sabato faccio un salto in via Istria, sulla strada davanti all’ingresso dello stabile con quel numero, il 15, un signore che conosco e che abita proprio nello stesso condominio.
“Scusa, lo conosci un certo Giorgio Galdi?”
” Certo, il signor Giorgio, abitava qui, è morto 4 o 5 anni fa – risponde – lavorava in banca a Tempio. Guarda che era quel signore magro, napoletano, che era sempre gentile ed educato con tutti. Un brav’uomo”
Un flash, quella sommaria descrizione mi fa collegare immediatamente ad un signore che andava giù e su su via Istria quando passavo in macchina su quelle vie che portano a casa, lo vedevo sempre con una busta della spesa, d’inverno con un loden verde e nelle giornate fredde con un borsalino in tinta. Come non ricordarlo? Certo, lavorava in banca a Tempio perché era capitato di vederlo quando ancora era in servizio.
Nel frattempo io e Gianni “Napoli” ci eravamo scambiati il numero di telefono. Lo chiamo e gli do la notizia.
“Senta Gianni, ho appena saputo che Giorgio Galdi è morto 4 o 5 anni fa. Ma lei che rapporti aveva con lui, per curiosità intendo, visto che lo sta cercando?”
“Giorgio Galdi era mio padre”,  mi risponde. Resto muto, ghiacciato col sole caldo che picchia sugli occhi. Piango, in risposta al pianto a dirotto che sento al telefono dall’altra parte. Un silenzio irreale spegne le parole di entrambi. Non potevo credere che un figlio non sapesse del padre morto anni prima. Com’era possibile?. Gianni, a fatica, mi ringrazia del tempo che ho dedicato a questa breve ricerca. Sono io ora che sento di aver sbagliato.
“Non potevo immaginarlo Gianni, se solo lei me lo avesse detto prima!”
“Ha ragione, signor Antonio, voi (?) avete fatto anche troppo. E pensate (sempre il voi) che io mio padre non lo vedo da quando avevo 7 anni. Andò via di casa,-  prosegue tra le lacrime – non andava d’accordo con mia madre e se ne andava spesso di casa anche quando era nata mia sorella, più grande di me di 6 anni. Quando nacqui io sembrava tornato tutto in armonia ma il rapporto con mia madre era sempre pessimo e alla fine andò via definitivamente. Mi è rimasta una sua foto con me in braccio a 6 anni, dopo che fui operato alle tonsille. Dopo un anno se ne andò via e non ho più saputo nulla di lui. Mia madre non ci permetteva di parlarne, anche per lei era morto, dopo che ci aveva abbandonato così piccoli”Tento di interromperlo ma se lo facessi cadrei nell’errore di troncare un suo legittimo sfogo, un misto di lacrime e rabbia. Aspetto che si calmi un po’ e chiedo ancora scusa per essere stato un messaggero di una così dolorosa notizia.“E come potevate saperlo che si trattava di mio padre? No, voi non avete colpe. Sono io che ho sbagliato a non dirlo subito. Vi chiedo una cortesia. Sapreste trovarmi una sua foto o magari dirmi dove riposa, se con la donna che sapevo viveva con lui avesse avuto figli, quando è morto. Sono 44 ani che voglio saperlo ma per rispetto di mia madre non l’ho fatto. Ora lei, mia madre, vive a Roma, non è più in se con la testa. A Roma ci vive anche mia sorella. Potete farmi questa cortesia di darmi notizie?”Mestizia, il sentimento che prevale, sento il dovere di sapere tutto di Giorgio Galdi, quanto mi sarà possibile. Parto dal cimitero di Tempio, non prima di chiamare al telefono il mio amico Tino che ci lavora. E’ domenica e lui è in ferie, però mi indica dove si trova la tomba di quell’uomo perché lui ricorda tutti o quasi e sa perfettamente dove sono sepolti i morti senza controllare il relativo registro. La ricerca ha esito positivo immediato. Ecco la tomba di Giorgio Galdi, deceduto in data 30/10 2011, quindi quasi 7 anni fa. Una semplice croce senza la data di nascita che ho saputo essere il 23 o 30 marzo del 1933. Un abitante del palazzo, mi dice che lui era per le cose semplici. Una croce basta e avanza, qualche pianta resistente messa a dimora, qualche altra, nessun fiore, delle erbacce e una foto che il tempo aveva staccata dal precario incollaggio col biadesivo.E questo era Giorgio Galdi, bancario che è stato a Tempio tantissimi anni e che riguardandola in tanti risaliranno a lui.Ecco cosa ci ha raccontato il figlio di Giorgio Galdi, Gianni. Il suo è un ritratto di puro sentimento, intriso dall’amarezza di non avere vissuto accanto al padre. Gianni traccia il suo profilo, come se ci fosse stato allora, che ci sia ancora oggi e sempre resterà ora che non c’è più. Ora parlano le sue lacrime, i suoi emozionanti pensieri a lui, a quell’uomo che non rispondeva alle sue telefonate, che gli rispondeva seccato, che aveva voluto restare lontano dai suoi figli, che non li ha visti crescere, diventare adulti, avere dei figli, lasciandoli anche a macerare  un rancore inevitabile per un’assenza immotivata. Ogni altra parola è superflua, così come appare superfluo, ed anche ingiusto, scrivere della compagna di vita di Giorgio che ho accompagnato in tutti questi anni a Tempio, per quasi 30 anni.



                                      foto di Vittorio Ruggero (Grazie Vittorio!)

La madre di Gianni oggi vive a Roma, così come la sorella. La compagna di vita di Giorgio, della quale manteniamo la doverosa privacy, a Calangianus. Lei, prima di conoscere Giorgio, ha avuto un marito di cui era vedova e ben 9 figli. Gianni ha un desiderio, venire a Tempio a vedere la tomba del padre, sente di doverlo fare e lo farà, forse entro quest’anno. Mi ha promesso così ed io gli farò vedere la città, lo accompagnerò per le vie e per tutti i posti dove suo padre ha vissuto. Non servirà certo a fargli riavere il tempo che non c’è stato, quello con Giorgio,  ma potrà riceverne serenità e pace. Giorgio è sepolto qui, a Tempio, dove ha vissuto una nuova vita. Nessuno provi a giudicare quanto male possa aver fatto. A Tempio, tutti lo ricordano come un uomo rispettoso, gentile, educato, cordiale. E questo basta. Il resto è nostalgia, rimpianti e tenerezza di un figlio che non ha vissuto suo padre. Un grazie a Gianni ed un abbraccio da questa comunità a lui, ed alla sua famiglia.
Gianni Galdi e sua moglie Nunzia.
« Mi chiamo Gianni Galdi e sono Figlio del signor Giorgio Galdi,
Vorrei dire un pensiero su questa mia storia, che ha inizio nel 1960 quando si unirono in matrimonio mio Madre e mio Padre, un matrimonio portato, così si dice dalle mie parti, nel senso che mia madre era innamorata di un altro. Ricordo infatti ancora oggi una foto di mia madre con mio padre che si avviano verso l’altare con  una faccia da funerale, comunque   dopo un anno nasce mia sorella, e subito i rapporti tra i miei iniziano a rovinarsi, con fughe da parte di mia madre, che si allontanava per non subire. Nel 1966 c’è una pausa, perché mio padre e mia madre cercano di ricominciare con la mia nascita nel 1967. Dopo alcuni mesi, però, si ricomincia, delle volte penso che la mia nascita sia un segno del destino, si continua con alti e bassi, stavolta è mio padre che si allontana da casa anche per delle settimane, e queste cose me le racconta mia madre. Io, però, riesco già  a ricordarle e per me sono i primi dolori della mia fanciullezza. A 6 anni vengo ricoverato ed operato alle tonsille e ricordo che lui mi teneva in braccio. Questa è la mia ultima immagine, la sola istantanee che ho. Un anno dopo, a 7 anni, in seguito all’ennesimo litigio con mia madre, era il 1974, un pomeriggio di Aprile, chiamò mio padre dal lavoro. Gli chiesi un modellino di un auto piccola, volevo la Fiat 126, mi ricordo anche il colore che doveva essere verde, ma quella macchinetta non è mai arrivata perché da allora mio padre è andato via è non l’ho visto mai più. Nonostante mi avesse abbandonato, io non mi sono perso d’animo, ho iniziato a prendere informazioni, e sono riuscito a chiamarlo erano gli inizi degli anni ’90. Lui fu freddo con me, senza chiedermi se mi fossi sposato o avessi avuto dei figli. Rammento bene la chiamata che durò una decina di minuti appena, perché lui subito mi liquidò. Piansi amaramente, passarono altri anni ed io non mi  arresi mai anche se lui non mi aveva cercato. Avevo ancora il suo numero e lo richiamai nel 2006, lo sentii un po’ stanco, ma anche in quella occasione fu freddo nei miei confronti, senza chiedermi di mia sorella o dei miei figli o che facessi nella vita. A quel punto mi arrabbiai un po’, e lui mandandomi a quel paese mi chiuse il telefono in faccia. Piansi tre volte tanto rispetto alla prima volta, non  potevo pensare perché fosse così duro nei miei confronti. La mia domanda era sempre la stessa : MA CHE GLI HO FATTO ? Dalla rabbia buttai via il suo numero, e non lo chiamai più. Da allora non ho avuto più notizie, fino a sabato scorso quando ho saputo che non c’era più, e pensai : Mio Padre e morto due volte ... .L’ho visto adesso sulla foto che mi ha inviato, Antonio, Una persona Gentile, cortese, cordiale, diciamo un Angelo che ho incontrato, che non finirò mai di ringraziare per quello che ha fatto per me.Papà io io ti ho perdonato, perché non ci dovrà più essere né odio, né rabbia…., e sono sicuro che anche Dio ti ha perdonato.E lo stesso Dio credo che ti permetterà di ascoltare queste mie parole :
PAPA’ TI VOGLIO UN MONDO DI BENE.
Ciao Papà mio, tuo figlio Gianni».


Non sempre   quindi  è necessario andare  a  chi lo ha  visto  o simili  . Basta  fare  (come si faceva un tempo ) una semplice, con il rete è un po' più facile , una  telefonata  ad un cronista locale : Oppure    ed  qui mi hano fatto ritornare  alla mente   un vecchio episodio più precisamente il n 42  di questo mio cartone animato  della mia  infanzia   oppure andarlo a cercare  o  " lanciare  un  message in a bottle parafrando una famosa canzone dei police "


11.8.17

legge del contrappasso vai a .boicottare le ong che salvano i migranti e poi lanci un SOS perchè sei in avaria e ti soccorrono loro

Ricordate la legge del contrappasso? La nave fascista C-Star, in mare per fermare i salvataggi dei migranti da parte delle Ong, è in panne. Il centro di coordinamento della Guardia Costiera manda la nave di una Ong tedesca Sea-Eye ad aiutarli

L'immagine può contenere: 1 persona, con sorriso, oceano e acqua

3.8.17

Studentessa di Medicina, aveva compromesso la sua salute con 'annoresia ma La promessa di un book fotografico l’ha convinta a guarire

un esempio di  come l'arte  , in questo caso la  fotografia  , possa  aiutarti  e   salvarti la  vita

da http://mattinopadova.gelocal.it/padova/cronaca/2017/08/03

Spenta dall’anoressia Francesca “risorge” davanti all’obiettivo


Studentessa di Medicina, aveva compromesso la sua salute La promessa di un book fotografico l’ha convinta a guarire

MONSELICE
Sono passati mesi da quando il fotografo Manuel Favaro, noto per i suoi meravigliosi scatti dei Colli Euganei, ha proposto alla giovane Francesca, in pieno periodo di cura per liberarsi dalla “bestia nera” dell’anoressia, di fare un servizio fotografico “come si deve” solo una volta ristabilita: questo piccolo incentivo alla guarigione ha funzionato e ora la ragazza, bella e solare come non mai, posa sorridente negli scatti che sono il coronamento di un percorso duro e difficile affrontato con forza e determinazione.



Non è stato di certo facile uscire da quel “tunnel” mentale che è l’anoressia ma la ventiquattrenne monselicense Francesca Bertazzo, studentessa di Medicina e Chirurgia, ce l’ha fatta, ha vinto la sua battaglia«Avevo cominciato a mangiare poco» racconta, «nel maggio-giugno 2015 in concomitanza di un esame importante e con la perdita del lavoro di mio padre. Ho iniziato con una banale dieta, iniziando a togliere quegli alimenti che consideravo iù calorici. Utilizzavo un’app conta calorie in cui annotavo ogni cosa e non andavo sopra le 1000 Kcal (il fabbisogno giornaliero è di 2000 Kcal). La cosa è stata piuttosto subdola e lenta e io non mi rendevo conto di mangiare poco e male fino a raggiungere i 42 chili
Tenendo conto che sono alta 1, 70 è poco, avevo un indice di massa corporea di 14, 8 e quindi un sottopeso grave». La salvezza di Francesca è stata rivolgersi al Centro Disturbi Alimentari di Padova, dove è stata seguita sotto il profilo psichiatrico e nutrizionale. «Ho avuto la fortuna» conferma, «di trovare medici competenti ed empatici che hanno saputo “prendermi” nella giusta maniera e con tanta pazienza indirizzarmi verso il riacquistare la salute fisica e mentale e un rapporto sano con il cibo». Le conseguenze dell’anoressia si ripercuotevano su tutto il corpo: «Avevo una pressione bassissima» spiega Francesca, «il mio cuore batteva lentissimo, soffrivo di parestesie, facevo veramente molta fatica a studiare e ricordare le cose perché non avevo energie. Ero diventata apatica, senza emozioni, l’unica mia ossessione era il cibo, come organizzare i miei pasti per non far preoccupare chi mi stava attorno ma al tempo stesso non aumentare le calorie».Francesca aveva notato da tempo gli scatti dei Colli Euganei pubblicati da Manuel nel gruppo social del paese (anche lui è di Monselice), e gli ha chiesto l’amicizia. «A un certo punto del mio percorso ho deciso di non vergognarmi» racconta la ragazza, «e di raccontare la mia storia su Facebook. Manuel mi ha notato in un post dove elencavo una serie di cose che volevo fare prima di morire, tra queste c’era un servizio fotografico. Lui si è scherzosamente offerto e io l’ho preso in parola aspettando di essere guarita, di avere bei capelli ricci - non i quattro peli sfibrati che mi ha regalato l’anoressia - delle forme femminili e soprattutto un sorriso sincero». Adesso Francesca pesa 10 chili in più (è quasi giunta al normopeso) ed è felice, il suo sogno è di diventare psichiatra per aiutare altri ragazzi che vivono condizioni di disagio.

28.1.17

Voci dal silenzio. Un documentario sugli eremiti d’Italia in crowdfunding






Voci dal silenzio
vocidalsilenziodoc

Cari amici, la campagna di crowdfunding terminerà tra 4 giorni, resta dunque poco tempo per sostenere il progetto prenotandone in anticipo la visione su https://www.produzionidalbasso.com/project/voci-dal-silenzio/
Vogliamo ringraziare tutti coloro che hanno apprezzato l'iniziativa accompagnandoci in questa avventura. Il budget raccolto in questa prima fase ha coperto le spese vive necessarie ad avviare il progetto, compresi i costi relativi al viaggio. Ci saranno ancora passaggi importanti da dover affrontare, ma la bellezza di certi incontri, delle immagini e dei contenuti raccolti ci da molta fiducia. Approfittiamo infine di questo spazio per ringraziare Stefano Signori, Michele Cumo - Massaggi Professionali, Barbara Esposito, Maurizio Vezzoli Photography, Davide Della Penna, Serena Frailis, Fabio Romantini, Aurelio Manzoni, Manuel Prighel, Tommaso Goisis, Giuseppe Savino, Pasquale Verdicchio, Stefano Dell'Orto, Alexander Mutschechner, Viviana Bassan, Maria Giulia Terenzi - arte e restauro di suoli e territori, Giuseppe Gavazza e Mario Nava, per il sostegno dato al nostro lavoro.


Lo   so che   non sono più in tempo   per   poter  contribuire    a tale iniziativa lontana   dalla mediocrità   e  che  rispecchia  la  bellezza  ai  margini  e   ha  un notevole valore antropologico e culturale   di  un mondo  che resiste    alla  mediocrità della  vita    e    che     sembrava   scomparso \1 estinto con l'illuminismo   e le rivoluzioni culturali    del  XIX e XX  secolo  ma  come  unfenomeno  carsico  riemerge   e ritorna  . Quindi  è  un piacere   segnalare e parlare ( anzi in realtà lascio che a parlare sia l'articolo e il video o riportato sotto ) di tale iniziativa



VOCI DAL SILENZIO

Un documentario sugli eremiti d’Italia

UN VIAGGIO, DAL NORD AL SUD DELL’ITALIA,
PER RACCOGLIERE LE TESTIMONIANZE DI CHI,
ATTRAVERSO UNO SLANCIO INTIMO E SOLITARIO,
HA INTRAPRESO UN AUTENTICO PERCORSO DI RICERCA


SOSTIENI IL PROGETTO
VAI SU "PARTECIPA" E SCOPRI LE DIVERSE RICOMPENSE PREVISTE PER OGNI TIPO DI CONTRIBUTO

INTRO

Ogni eremita è un mondo a sé. C’è chi ispirato da una fede cristiana, musulmana o buddista, chi dagli insegnamenti delle sacre scritture, dei maestri, dei profeti, chi invece da valori laici. C’è ancora, tra loro, chi ha cercato di elevarsi e chi invece ha scavato nelle profondità dell’animo e della psiche. Abisso e vetta, a nostro avviso, delimitano l’ambito di un’investigazione infinita poiché rivolta a una meta che appare irraggiungibile: l’ascesi. Eppure la scelta del vivere in solitudine resta, agli occhi dei più, una decisione enigmatica e controversa, se non incomprensibile. Da qui l’idea di sviluppare un’opera visiva che possa diventare un ponte e condurre lo spettatore dal mormorio mondano a quel silenzio a noi ignoto, intriso di spiritualità, di cui è pervasa la vita ascetica.




IL DOCUMENTARIO

Viaggeremo per vie solitarie, spesso inospitali, in eremi distanti dalle voci del mondo, all’interno di luoghi caratterizzati dal silenzio e dal raccoglimento. Riprenderemo il rapporto con la solitudine, il silenzio, i riti quotidiani, la preghiera, le esperienze estatiche. Ci immergeremo all’interno delle singole storie, raccontandone il passato, la vocazione, i conflitti e le battaglie. Tutto ciò con l’obiettivo di partecipare a un dialogo tra le varie tradizioni, poiché l’eremita, nella sua ricerca sempre autentica e originale, è per noi esempio d’unione e fusione delle diverse esperienze religiose. Il documentario ritrova così il suo vero “oggetto di ricerca” nella mistica, intesa come dialogo diretto tra uomo e Dio, una comunicazione altra, non verbale, non razionalizzabile , cuore unico e pulsante di ogni tradizione, philosophia perennis.




COME NASCE IL PROGETTO

Il progetto nasce dall’incontro con Federico Tisa, fotografo torinese che nella primavera del 2014 decise di attraversare l’Italia a piedi, zaino in spalla e macchina fotografica, con l’intento di creare una relazione intima con gli eremiti. Una scelta dettata da una duplice motivazione: lasciarsi alle spalle il brusio urbano per riscoprire una dimensione contemplativa e documentare fotograficamente una storia che pochi conoscono. Ne è nato un reportage marcatamente espressivo e intenso: Visita Interiora Terrae




“Nutrivo il desiderio di comprendere, e realizzare, che un modo di vivere più semplice e più puro è possibile. Così, per esplorare autenticamente la dimensione umana e il suo rapporto con ciò che la circonda, ho affrontato questo viaggio a piedi, poiché solo a piedi e con i propri mezzi ritengo possibile integrarsi pienamente con la natura stessa di questo percorso. Camminando s’intuisce il peso reale del proprio corpo sulla terra, i limiti e le necessità concrete, non quelle imposte dall’esterno. Dormire, mangiare, respirare a pieni polmoni, affrontare ciò che è sempre stato umano e che ora trascuriamo. E, cosa per me più importante, porre lo sguardo verso un orizzonte lontano, dove la vista si perde e lo stare al mondo acquista un nuovo significato”.
Federico Tisa



Così, in uno spirito di piena collaborazione con Federico, abbiamo preso spunto da questa sua avventura per sviluppare un progetto documentaristico che ne ampli e completi la ricerca.
Questo progetto ha per noi un carattere fortemente simbolico, ritorniamo infatti a ciò che diede l’avvio alla nostra carriera documentaristica. Era il 2010 e a bordo di un camper sgangherato degli anni 80 attraversammo anche noi l’Italia. Incontrammo monaci, eremiti, alchimisti, sciamani. Privi dell’esperienza acquisita nel tempo e attenti più alle necessità di riscoprire noi stessi nella relazione con l’altro, non abbiamo mai orchestrato quelle riprese all’interno di un’opera. Eppure quel viaggio ha sancito l’amore per la ricerca documentaristica. Oggi, a distanza di 6 anni, crediamo sia giunto il momento di ritornare su quei primi passi e concludere un ciclo.





L’EREMITAGGIO

L’eremita è una figura onnipresente nella storia dell’umanità. In ogni secolo ci sono stati uomini che hanno intrapreso una via solitaria all’interno dell’esperienza spirituale. Hanno messo in pratica gli insegnamenti dei testi sacri, hanno seguito i passi dei profeti o la spinta di una voce interiore, attraversando il deserto, il pellegrinaggio, l’isolamento e mirando alla coincidenza di teoria e pratica religiosa, di mondo terreno e ultraterreno.
Attraverso il loro cammino si vivifica e attualizza la relazione tra Dio e l’uomo, dialogo in cui si sviluppa la ricerca umana dell’identità.
Immerso negli eventi mondani dell’ambiente sociale che lo circonda, ogni uomo deve e vuole sforzarsi di ritrovare se stesso, di scavare nella propria anima per comprendere la sua vera identità e la sua origine al di là dei lavori imposti, di ciò che la società gli ha richiesto e delle grandi opere che può realizzare. Ma nessuna scalata, nessun panorama – per quanto vasto – sulla bellezza straniante di questo mondo, potranno restituirgli il senso della sua vera casa, i confini infiniti e misteriosi dell’io che anima il suo corpo.




NOTE DI REGIA

All’inizio di questo film c’è solo l’indicazione di una direzione, di un orizzonte, di un'inclinazione. Perché filmare è, prima di ogni altra cosa, intessere una relazione. Nessuna sceneggiatura dunque. In questo caso si tratta di raccontare ciò che è invisibile, impalpabile. La cinepresa si adatta a quello che accade nel momento, col fine di coglierne la verità che si manifesta nel suo movimento, eludendo le false evidenze, immergendosi nelle sfumature meno appariscenti. Il reportage seguirà il ritmo del viaggio, quello esistenziale prima di tutto. Viaggio di ricerca di sé, di scoperta e conquista dell’universo interiore. Alla successione di testimonianze delle figure incontrate farà da eco il lucido travaglio dei viaggiatori, immersi all’interno di un appassionato viaggio on the road a bordo di un vecchio camper.
La regia orchestrerà il tutto in un’unica esperienza corale restituendo allo spettatore il senso dell’erranza, della ricerca, del raccoglimento. Le immagini si accompagneranno ai racconti degli eremiti, alle riflessioni degli autori, alle voci della natura, ai silenzi. Le riprese poetiche, puramente musicali, che si riempiono di gesti e di attimi, avranno il fine di riaffermare le forme del nostro immaginario.
Ciò che mostreremo sarà sempre il frutto di un atto condiviso, di una piena adesione al progetto da parte degli eremiti che incontreremo. Alcuni li conosciamo già e sappiamo che sposeranno le nostre finalità. Altri hanno creato un rapporto di fiducia con Federico e sarà lui a introdurci nel loro paesaggio emotivo. Altri ancora saranno invece nuovi incontri, perché i viaggi lenti nascondono la sorprendente capacità di aprire sempre scenari nuovi e inaspettati.




CHI SIAMO

I REGISTI

Alessandro Seidita - Joshua Wahlen

Nati entrambi a Palermo, si laureano con il massimo dei voti. A. Seidita in Filosofia della Conoscenza e della Comunicazione, discutendo una tesi sulle tecniche di trasformazione dell’Io nel percorso psicanalitico, J. Wahlen al D.A.M.S trattando una tesi sui linguaggi multimediali. Nel 2008 si trasferiscono a Torino. A. Seidita prosegue gli studi in ambito antropologico. J. Wahlen si specializza in tecniche audiovisive al V.R.M.M.P.

Nel 2009 vincono il premio Mind the Difference con l’Approsimatio in Tempora, video sperimentale sul disagio psichico. Nel 2010 ottengono il primo premio al XXVIII VideoCinema&Scuola con Non Tentarmi, video intervista finalista in numerosi festival nazionali. Lo stesso anno intraprendono un viaggio on the road, alla ricerca delle nuove forme di spiritualità. Nel 2013 rientrano in Sicilia. Qui firmeranno due documentari che raccontano la condizione attuale dell’Isola, Viaggio a Sud (2014) - che indaga il complesso rapporto che gli abitanti dei piccoli centri rurali tessono con la memoria - e Corrispondenze (2016), poema visivo nato dalla collaborazione con i detenuti della Casa di Reclusione di Noto.



IL FOTOGRAFO

Federico Tisa

Nato nel 1982 a Torino, dove tuttora vive. Frequenta la Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino. Comincia a occuparsi di fotografia nel 2009, dopo un diploma conseguito presso l’Accademia di Fotografia F.A. di Torino, collaborando con diverse web magazines e riviste che trattano di musica. Nel 2013 in seguito ad un master in fotogiornalismo seguito presso Obiettivo ReporterM.A.F. a Milano, decide che il fotogiornalismo è il modo migliore per comunicare con e del mondo esterno. Dal 2014 è membro della Eikòn, associazione che si occupa di fotogiornalismo.



PERCHE’ SOSTENERE IL PROGETTO

La comunicazione pervade oggi ogni singolo istante del vivere, fluendo nella mente, nell’occhio e nell’orecchio come una selva di stimoli d’intensità inumana. Una colata di contenuti marcatamente ipocriti, superficiali, accattivanti, pubblicitari. In un tale contesto, l’eco di alcune domande - “Dove sono?”, “Dove sono diretto?” - viene svuotato di senso concreto, quando lontanamente udibile. Da qui l’importanza di un cinema che prenda volutamente le distanze dal chiacchiericcio contemporaneo e rieduchi all’ascolto, al confronto, a una presa di coscienza personale e soggettiva. Con Voci dal Silenzio vorremmo dare un contributo in tal senso. E vorremmo farlo a partire da ciò che si pone come antitesi della distrazione e del rumore: il silenzio e la contemplazione. Sotto questa particolare gradazione, ancor più che le parole, le scelte attuate dagli eremiti possono diventare un monito per lo spettatore, stimolo concreto per tornare a dirigere il proprio tempo verso panorami più vasti, riscoprire il piacere della concentrazione e tornare a dare un giusto peso agli ostacoli e alle effimere conquiste del quotidiano. Dall’incontro con queste figure potremmo, forse, trarre l’impulso a riequilibrare il nostro stare al mondo, dando a esso un significato personale, profondo e spirituale.

Per realizzare tutto ciò è indispensabile il tuo contributo. Ci permetterebbe anche di:

- coprire le prime spese di produzione necessarie ad avviare il documentario
- emanciparci da quei sistemi produttivi che tendono a privilegiare tematiche che abbiano maggiore potenziale economico e mediatico
- attuare una ricerca libera e non condizionata da committenze che richiedono, sovente, linguaggi codificati, stereotipati, semplicistici, televisivi
- abbandonare l’idea di un cinema come puro intrattenimento a favore di una ricerca tesa ad esplorare nuovi e sinceri orizzonti espressivi.





SOSTIENI IL PROGETTO



VOCI DAL SILENZIO

UN PROGETTO DI: Uroboro Project

UNA PRODUZIONE: Joshua Wahlen e Alessandro Seidita

IN COPRODUZIONE CON: Arte Senza Fine

IN COLLABORAZIONE CON: Federico Tisa

DOCUMENTARIO: 52 min. c.a.

FORMATO: Full Hd

LINGUA: Italiano

REGIA e MONTAGGIO: J. Wahlen e A. Seidita

PROGETTO FOTOGRAFICO: Visita Interiora Terrea di F. Tisa


Le fotografie qui mostrate fanno parte del reportage fotografico di Federico Tisa. Per saperne di più visate la sua pagina personale www.federicotisa.com o dell'Associazione Eikon, di cui è membro attivo www.eikonassociazione.com

  da
http://www.farecultura.net/wordpress/arte-cultura/cinema-teatro/2568/voci-dal-silenzio-un-documentario-sugli-eremiti-ditalia/







Un viaggio, dal nord al sud dell’Italia, per raccogliere le testimonianze di chi ha intrapreso una ricerca intima e solitaria

Ogni eremita è un mondo a sé. C’è chi è mosso da una fede cristiana, musulmana o buddista, chi dagli insegnamenti delle sacre scritture, dei maestri, dei profeti, chi invece da valori laici. C’è ancora, tra loro, chi ha cercato di elevarsi e chi invece ha scavato nelle profondità dell’animo e della psiche. Abisso e vetta, a nostro avviso, delimitano l’ambito di un’investigazione infinità poiché rivolta a una meta che appare irraggiungibile: l’ascesi. Eppure la scelta del vivere in solitudine resta, agli occhi dei più, una decisione enigmatica e controversa, se non incomprensibile. Da qui l’idea di sviluppare un’opera visiva che possa diventare un ponte e condurre lo spettatore dal mormorio mondano a quel silenzio a noi ignoto, intriso di spiritualità, di cui è pervasa la vita ascetica.Rosalba – Val di Susa

Viaggeremo per vie solitarie, spesso inospitali, in eremi distanti dalle voci del mondo, all’interno di luoghi caratterizzati dal silenzio e dal raccoglimento. Riprenderemo il rapporto con la solitudine, il silenzio, i riti quotidiani, la preghiera, le esperienze estatiche. Ci immergeremo all’interno delle singole storie, raccontandone il passato, la vocazione, i conflitti e le battaglie. Tutto ciò con l’obiettivo di partecipare a un dialogo tra le varie tradizioni, poiché l’eremita, nella sua ricerca sempre autentica e originale, è per noi esempio d’unione e fusione delle diverse esperienze religiose. Il documentario ritrova così il suo vero “oggetto di ricerca” nella mistica, intesa come dialogo diretto tra uomo e Dio, una comunicazione altra, non verbale, non razionalizzabile , cuore unico e pulsante di ogni tradizione, philosophia perennis.
Paola – Piemonte

Il progetto nasce dall’incontro con Federico Tisa, fotografo torinese che nell’autunno del 2013 decise di attraversare l’Italia a piedi, zaino in spalla e macchina fotografica, con l’intento di creare una relazione intima con gli eremiti. Ne è nato un reportage marcatamente espressivo e intenso: Vita Interiora Terrae Abbiamo così preso spunto da questa sua avventura per sviluppare un progetto documentaristico che ne ampli la ricerca.
Questo progetto ha per noi un carattere fortemente simbolico, ritorniamo infatti a ciò che diede l’avvio alla nostra carriera documentaristica. Era il 2010 e a bordo di un camper sgangherato degli anni 80 attraversammo anche noi l’Italia. Incontrammo monaci, eremiti, alchimisti, sciamani. Privi dell’esperienza acquisita nel tempo e attenti più alle necessità di riscoprire noi stessi nella relazione con l’altro, non abbiamo mai orchestrato quelle riprese all’interno di un’opera. Eppure quel viaggio ha sancito l’amore per la ricerca documentaristica.
Oggi, a distanza di 6 anni, crediamo sia giunto il momento di ritornare sui quei primi passi e concludere un ciclo.Padre Isacco – Liguria

L’eremita è una figura onnipresente nella storia dell’umanità. In ogni secolo ci sono stati uomini che hanno intrapreso una via solitaria all’interno dell’esperienza spirituale. Hanno messo in pratica gli insegnamenti dei testi sacri, hanno seguito i passi dei profeti o la spinta di una voce interiore, attraversando il deserto, il pellegrinaggio, l’isolamento e mirando alla coincidenza di teoria e pratica religiosa, di mondo terreno e ultraterreno. Attraverso il loro cammino si vivifica e attualizza la relazione tra Dio e l’uomo, dialogo in cui si sviluppa la ricerca umana dell’identità. Immerso negli eventi mondani dell’ambiente sociale che lo circonda, ogni uomo deve e vuole sforzarsi di ritrovare se stesso, di scavare nella propria anima per comprendere la sua vera identità e la sua origine al di là dei lavori imposti, di ciò che la società gli ha richiesto e delle grandi opere che può realizzare. Ma nessuna scalata, nessun panorama – per quanto vasto – sulla bellezza straniante di questo mondo, potranno restituirgli il senso della sua vera casa, i confini infiniti e misteriosi dell’io che anima il suo corpo.Eremo- Piemonte

La comunicazione pervade oggi ogni singolo istante del vivere, fluendo nella mente, nell’occhio e nell’orecchio come una selva di stimoli d’intensità inumana. Una colata di contenuti marcatamente ipocriti, superficiali, accattivanti, pubblicitari. In un tale contesto, l’eco di alcune domande – “Dove sono?”, “Dove sono diretto?” – viene svuotato di senso concreto, quando lontanamente udibile. Da qui l’importanza di un cinema che prenda volutamente le distanze dal chiacchiericcio contemporaneo e rieduchi all’ascolto, al confronto, a una presa di coscienza personale e soggettiva. Con Voci dal Silenzio vorremmo dare un contributo in tal senso. E vorremmo farlo a partire da ciò che si pone come antitesi della distrazione e del rumore: il silenzio e la contemplazione. Sotto questa particolare gradazione, ancor più che le parole, le scelte attuate dagli eremiti possono diventare un monito per lo spettatore, stimolo concreto per tornare a dirigere il proprio tempo verso panorami più vasti, riscoprire il piacere della concentrazione e tornare a dare un giusto peso agli ostacoli e alle effimere conquiste del quotidiano. Dall’incontro con queste figure potremmo, forse, trarre l’impulso a riequilibrare il nostro stare al mondo, dando a esso un significato personale, profondo e spirituale.VIDEO – Estratto dall’intervista a Giancarlo Bruni
(Clicca sull’immagine per aprire il video)

All’inizio di questo film c’è solo l’indicazione di una direzione, di un orizzonte, di un inclinazione. Perché filmare è, prima di ogni altra cosa, intessere una relazione. Nessuna sceneggiatura dunque. In questo caso si tratta di raccontare ciò che è invisibile, impalpabile. La cinepresa si adatta a quello che accade nel momento, col fine di coglierne la verità che si manifesta nel suo movimento, eludendo le false evidenze, immergendosi nelle sfumature meno appariscenti. Il reportage seguirà il ritmo del viaggio, quello esistenziale prima di tutto. Viaggio di ricerca di sé, di scoperta e conquista dell’universo interiore. Alla successione di testimonianze delle figure incontrate farà da eco il lucido travaglio dei viaggiatori, immersi all’interno di un appassionato viaggio on the road a bordo di un vecchio camper.VIDEO – Estratto dell’intervista a fra Cristiano
(clicca sull’immagine per aprire il video)

La regia orchestrerà il tutto in un’unica esperienza corale restituendo allo spettatore il senso dell’erranza, della ricerca, del raccoglimento. Le immagini si accompagneranno ai racconti degli eremiti, alle riflessioni degli autori, alle voci della natura, ai silenzi. Le riprese poetiche, puramente musicali, che si riempiono di gesti e di attimi, avranno il fine di riaffermare le forme del nostro immaginario.
Ciò che mostreremo sarà sempre il frutto di un atto condiviso, di una piena adesione al progetto da parte degli eremiti che incontreremo. Alcuni li conosciamo già e sappiamo che sposeranno le nostre finalità. Altri hanno creato un rapporto di fiducia con Federico e sarà lui a introdurci nel loro paesaggio emotivo. Altri ancora saranno invece nuovi incontri, perché i viaggi lenti nascondono la sorprendente capacità di aprire sempre scenari nuovi e inaspettati.

Testo redatto e immagini e video forniti dagli autori Joshua Wahlen e Alessandro Seidita 


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