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29.7.24

non macano le bufale omotrasfobiche ., Partono i «buuu» per Van de Velde in campo a Parigi, la contestazione per l’olandese condannato per stupro .,le ragazze israeliane co un gesto simbolico chiedono di liberare gli ostaggi

 da open 

Le nuotatrici non hanno indossato dei costumi con la scritta «Not a dude?» a Parigi 2024



Le presunte foto della protesta contro i casi come quello di Lia Thomas risultano alterate



«Not a dude». Come a dire, «non sono un uomo». Questa è la scritta che secondo numerosi post sui social, condivisi mentre sono in corso le Olimpiadi di Parigi, sarebbe apparsa sul costume di alcune nuotatrici. Secondo chi condivide il contenuto, quella mostrata sarebbe una protesta con la quale le atlete prenderebbero posizione sulla controversia riguardante le nuotatrici transgender e la loro potenziale partecipazione ai giochi olimpici. In avvicinamento all’edizione parigina aveva suscitato attenzione il caso di Lia Thomas. La nuotatrice statunitense – che per l’occasione è stata oggetto di un fotomontaggio – non potrà partecipare in seguito a una decisione della Federazione Internazionale di Nuoto, la World Aquatics, la quale ha stabilito che qualunque atleta abbia e «attraversato qualsiasi momento della pubertà maschile» non può partecipare a competizioni femminili di alto livello. Come l’immagine di Lia Thomas con i genitali maschili, anche questa presunta protesta è in realtà frutto di fotomontaggi e foto alterate.
Per chi ha fretta:  l''articlo    di open   la  riassume  cosi  

Circolano diverse immagini in cui alcune nuotatrici sfoggiano, sul costume in concomitanza con il pube, la scritta «not a dude» – «non (sono) un uomo».
Si sostiene che sia una protesta contro le nuotatrici trans.
In alcuni casi si sostiene che la protesta abbia preso piede alle Olimpiadi di Parigi.Della protesta non c’è alcuna notizia.Tutte le foto usate sono state alterate.


Analisi
Vediamo lo screenshot di uno dei post oggetto di verifica. Nella descrizione si legge:


Brave nuotatrici !


A condividere un contenuto simile su X è stato anche l’esponente della Lega Simone Pillon con la seguente descrizione.
Diverse nuotatrici olimpiche hanno indossato il costume con una scritta posizionata strategicamente a specificare che “Not a dude”, non sono un ragazzo. Belle, brave e ironiche. Apprezzo moltissimo Di questi tempi andrebbe resa obbligatoria, magari illuminata a led. Voi che dite?



Lo stesso contenuto circola anche su Facebook (qui un altro esempio), e sul sito Luce Pavese con la descrizione.
Come passare un messaggio sulla partecipazione di uomini alle gare femminili senza urlarlo.
“Not a dude” ovvero “non sono un ragazzo”.Queste sono le battaglie che vanno portate avanti!!!

La foto del 2018 senza scritte

Venendo all’immagine delle ragazze con il costume blu. Anche questa risulta alterata. Infatti, la foto, senza scritte «not a dude», è stata utilizzata come immagine di copertina dalla pagina Facebook Swimmer Without Faces – NZFAE nel 2018.


Infine, ricercano informazioni sulla presunta protesta, di questa non si trova traccia su nessuna testata online.
La strana nuotatrice con il costume arancione
In questo secondo caso, sono evidenti i segni tipici dell’intelligenza artificiale sulle mani della presunta nuotatrice. Una ricerca Google del suo viso o dell’immagine offre solo risultati sui social in cui gli utenti si complimentano per la decisione.


Si può affermare che l’immagine è stata quantomeno alterata digitalmente perché ne circola un’altra versione del 22 marzo 2024.



Si notano alcuni elementi che da un lato confermerebbero si tratti perlomeno dello stesso luogo, dall’altro differiscono in maniera da generare il sospetto fondato che nessuna delle due immagini sia una fotografia scattata e pubblicata senza alterazioni.



Le gambe delle “due” nuotatrici hanno lo stesso identico aspetto, «not a dude» compreso. Anche il luogo sembra lo stesso e nello steso momento, ma con differenze che non possono dipendere solo dal tempo trascorso tra i due presunti scatti. Perché l’oggetto in basso a sinistra cambia fantasia, essendo tutto rosso nella prima immagine, e un po’ rosso e un po’ rosa nella seconda? Il logo nel cartellone ha due forme diverse tra le due immagini, come mai? Si vede la gamba di un uomo con sopra il braccio nella stessa posizione, ma in una foto la gamba è ben delineata, nell’altra sembra trascinata. Potrebbe essere una foto venuta mossa. Ma allora perché la nuotatrice è perfettamente definita?
Conclusioni
Non è in corso una protesta delle nuotatrici, men che meno quelle che partecipano alle olimpiadi, contro le colleghe transgender. Le foto che lo dimostrerebbero sono in realtà immagini alterate.

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Nel 2016 il pallavolista olandese era stato condannato a cinque anni di carcere, per la violenza sessuale su una 12enne quando lui aveva 19 anni
Pochi applausi e un bel po’ di fischi all’annuncio in campo dell’olandese Van de Velde, sceso sul campo di Beach volley sotto la Torre Eiffel con il compagno di squadra Immers contro la coppia di italiani Ranghieri-Carambula. Ben prima della sconfitta contro gli azzurri nella gara delle Olimpiadi, gli olandesi hanno dovuto affrontare i «buuu» di accoglienza del pubblico francese.
La condanna per violenza sessuale a 19 anni
Steven Van de Velde è l’atleta condannato nel 2016 in Gran Bretagna a quattro anni di carcere per aver stuprato una ragazzina che all’epoca dei fatti, nel 2014, aveva 12 anni e lui 19. I due si erano conosciuti su internet e poi l’olandese era volato da Amsterdam a Londra per incontrarla. Dopo la condanna aveva fatto un anno di prigione, poi era stato messo in libertà condizionata e aveva ripreso a fare sport, fino a guadagnarsi l’Olimpiade. Dove però, per evitare problemi a Parigi, aveva chiesto e ottenuto di non alloggiare al villaggio olimpico. Nel frattempo era stata lanciata una petizione online per chiedere al Cio la sua esclusione, che però non c’è stata.
La protesta olandese dopo i fischi
A fine gara Van de Velde ha preferito non parlare. Al suo posto è intervenuto un portavoce della squadra dei Paesi Bassi, John van Vliet, che ha provato a difenderlo: «La sua è una vicenda sicuramente molto più grande dello sport. Ma nel suo caso, abbiamo una persona che è stata condannata, che ha scontato la sua pena, che ha fatto tutto ciò che poteva per poter competere di nuovo». Seccato invece il compagno di squadra Immers: «Sì, quei fischi mi hanno dato molto fastidio. Giochiamo insieme da tre anni, lui è un ottimo ragazzo e non ho mai avuto problemi con lui. Anzi, per me è stato un esempio. Detto che comunque ha scontato la sua pena, il passato è passato, adesso basta perché questa storia potrebbe condizionarci qui alle Olimpiadi».


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non manca neppure la politica


La squadra olimpica israeliana non poteva indossare spille con nastro giallo per gli ostaggi durante le Olimpiadi di Parigi. Guardate che messaggio hanno portato





"Portateli a casa adesso!"

4.7.23

no al bavaglio del politicamente corretto

   colonna     sonora    

la  tua  libertà  - francesco  Guccini *


Non è facile definire la libertà. Si tratta della possibilità di votare? Di seguire le nostre inclinazioni? Di fare ciò che vogliamo? Un primo passo per definire questa parola è, senza dubbio, partire dal pensiero: siamo liberi solo se possiamo ragionare liberamente. Ma  ultimamente   la  : <<[...] La tua libertà\Se vuoi, la puoi trovare\E un uomo saggio\Regole farà\Una prigione fatta di parole;\I carcerieri\Di una società\Ti impediranno di cercare il sole;\La tua libertà\Se vuoi, la puoi avere [...]   La tua libertà  \Cercala, che si è smarrita . \Cercala, che si è smarrita >>*
Ora   Secondo Ortega y Gasset ( Madrid, 9 maggio 1883 – Madrid, 18 ottobre 1955 filosofo e sociologo spagnolo  )  per esempio, ogni società realmente libera dovrebbe accettare anche “idee estreme alle quali riferirsi nella disputa”. Tutto dunque è concesso. ?  secondo  alcuni  me  compreso  ( vedere  faq  ed  manifesto blog  ed appendice  social   ) Tutto ha cittadinanza ed è solo nello scontro intellettuale - quello vero, non quello dei talk show e dei maistream  - che una tesi può vincere sull’altra.Ma  purtroppo da un po’ di anni a questa parte, però, viviamo una sorta di censura collettiva. Infatti   La storia  sia   che  venga  usata  in maniera  faziosa    e strumentale  ( la  rilettura     faziosa     ed  ideologica    degli ultimi 170  anni     della  storia  nazionale  soprattutto   dal 1920   in poi  )      fa paura nella  sua  realtà  e, non potendo cancellare   fisicamnte  il passato, si eliminano o si propone    di farlo  i monumenti che lo ricordano. La  stessa  cosa    per  le  forme   del pensiero non  conforme  .  Infatti   Il pensiero fa paura e - non potendo (almeno apparentemente) entrare nella testa degli altri - si vietano parole, e dunque riflessioni, tabù. E non  almeno non solo  per un buonismo peloso. Ma perché ci si immagina una società diversa. Una cultura diversa. Uomini e donne diverse, come spiega Valerio Savioli nel suo L'Uomo Residuo. Cancel culture, "politicamente corretto", morte dell'Europa (Il Cerchio): "L'obiettivo dello scontro in corso è chiaro: rendere l'uomo solo innescando scontri tra generi, popoli e generazioni che portino alla distruzione di ogni corpo intermediario tra l'individuo e il Potere, privandolo del diritto alla dignità di contestare ciò. Il risultato sarà un uomo privo della  propria   identità culturale, religiosa e sessuale. Un essere vivente che vivrà per affogare in bisogni artificiali e scambierà questo effimero momento per libertà. Triste e desolante è il destino di ciò che rimane dell'Uomo, o meglio dell'Uomo Residuo".
Siamo uomini a metà. Restiamo ancorati a ciò che c'è di buono e di giusto, mentre ci scontriamo contro l'onda progressista. Vogliamo essere coraggiosi mentre abbiamo paura di tutto. Ambiamo, più di tutto, ad essere sicuri. "La paura è diventata la lente attraverso la quale si osserva il presente, questa predisposizione tende costantemente a calcolare il quantitativo di rischio in rapporto a ogni singola decisioni". Vogliamo essere certi che tutto vada bene. Che sulla nostra strada non incontreremo pericoli. E forse crediamo anche che sia meglio non uscire di casa, come durante la pandemia di Covid-19. "Che succede se mi infetto?", si chiedeva un terrorizzato Giuseppe Conte. È la cultura, sottolinea Savioli, del safetism. Dell'esser sicuri a tutti i costi. Questo termine "compare per la prima volta nell'opera The Coddling of the American Mind di Greg Lukianoff e Jonathan Haidt. Il termine safetism viene usato per denotare una cultura morale in cui gli individui non sono disposti a concedere compromessi rispetto ad altre pratiche morali. Per intenderci, la sicurezza diviene quindi la prerogativa principale. Una ragione essenziale. Le principali minacce alla sicurezza percepite si circoscrivono entro le tematiche di razzismo, sessismo - sul cui contesto si applica generosamente il suffisso 'fobia', concetto di per sé non comprensibile, proprio perché la fobia è considerata dalla stessa psichiatria un disturbo psichico che consiste in una paura angosciosa dettata da determinate situazioni   incrementate     da  una politica  malpancista    che ha  strumentalizzato (  e continua  )    e  sfruttato  m\  alimentato la pancia   della  gente     davanti      al distanziamento sociale indotto dalle politiche di contenimento per la pandemia".È per questo che - se non segui il pensiero dominante  \ comune (che rende l'uomo comune)   anzichè  parlare   con il cuore  e con la mente   ed  fare  autocritica  





ed  provi ad  usare    il  tuo  spirito critico   \  libero arbitrio    - ti viene appiccicata l'etichetta di omofobo, di zenofobo, e ovviamente anche di retrogrado. E poco importa che tu non lo sia. Il tuo pensiero viene giudicato tale solo perché va controcorrente. E si ostina a farlo. La marea politicamente corretta sale. Armiamoci di libri  per salvarci. Per comprendere ciò che sta accadendo attorno a noi. Per discernere la realtà. Per essere uomini. Veri. Completi. Per riprenderci la nostra integrità ed la nostra  libertà decidendo   cosa  è  giusto  o sbagliato  ed  non siano  gli altri   a imporcelo .

1.9.22

Single shaming: perché essere single dopo i 40 anni è ancora motivo di "vergogna"

   da  repubblica  

LEGGI  ANCHE  

Famiglia allargata: nuove tradizioni per dire "basta" ai tabù (alfemminile.com)


L'Italia è un Paese in cui sempre più spesso si sceglie una strada alternativa alla coppia. Secondo l'Istat, più del 33 per cento delle persone vive da solo, eppure c'è ancora chi pensa che le persone non sposate e senza figli siano incomplete o infelici. La storia di Daniela e i consigli della psicologa per liberarsi di uno stigma sociale




L’Italia è diventato un Paese di single. Secondo gli ultimi dati dell’Istat, il 33,2 per cento degli italiani, cioè 8,5 milioni di persone, vive da solo. E per la prima volta la famiglia mononucleare supera quella costituita dalle coppie con figli, il 31,2 per cento. Tanti, per essere considerati un’eccezione. Eppure, ancora oggi molti subiscono la discriminazione del “single shaming”, la vergogna di essere single.
Spesso a patirla sono soprattutto le donne e ad alimentarla sono i pregiudizi e gli stereotipi sociali che associano il non avere un partner a una sorta di colpa, un difetto, una mancanza che va colmata. Chi è single spesso viene ancora bersagliato da domande fastidiose e scomode - “Come mai sei ancora da solo o da sola?”, “Possibile che non trovi nessuno?”. Interrogativi che possono sminuire e offendere, come se vivere o meno in una relazione determinasse il proprio valore. Invece non è certo lo status sentimentale a decidere chi siamo e quanto valiamo, nessuno dovrebbe sentirsi sbagliato o in difetto discriminato perfino, solo perché non è parte di una coppia.

La storia di Daniela

“Non ho mai pensato che avere accanto un uomo potesse essere motivo di vanto, ma neanche di dovermi vergognare per non averne uno. Eppure, ancora oggi, il fatto che io sia single a 43 anni a molte persone non va proprio giù. Non parlo della pressione dei parenti, di mia madre soprattutto, che vedono nella mia vita senza marito e figli motivo di infelicità. Mi riferisco piuttosto ai miei coetanei e alle amiche, che guardano alla mia singletudine con imbarazzo, nonostante mi conoscano bene. Mi guardano con occhi compassionevoli, cosiderando 'proprio strano che una donna in gamba come me non abbia ancora un partner'. I più temerari mi propongono appuntamenti al buio per risolvere quello che per loro è un grave problema, cosa che per me non è. Anzi. A dirla tutta la mia vita mi piace così com’è: sono libera di decidere per me stessa e di cambiare i programmi anche all’ultimo; le amicizie non mi mancano e ho la mia indipendenza economica. Fino a due anni fa avevo una storia ma quando è finita ho deciso di prendermi del tempo da dedicare a me stessa. E ora ammetto, ci ho preso gusto ad essere single, e anche se per alcuni sono una zitella un po’ sfigata, vado dritta per la mia strada. Se incontrerò un uomo che mi piace, accoglierò l'amore e quel che verrà, ma cercarlo a tutti costi non è un obiettivo che voglio pormi. Vorrei che gli altri rispettassero questa mia scelta senza metterla in discussione o doverla sempre rimarcare come se fosse insana e inappropriata”.Di “single shaming” abbiamo discusso con Nicoletta Suppa, psicologa, psicoterapeuta e sessuologa, per partire dalla storia di Daniela e trarne conclusioni utili a molti.





Cos’è il single shaming?

“Letteralmente l'espressione vuol dire vergognarsi di essere single. È un fenomeno di natura sociale che spinge le persone a sentirsi in difetto per il proprio status sentimentale, poiché non è aderente alle aspettative sociali. Uno stigma che nasce da stereotipi ancora radicati nella nostra cultura basata sulla famiglia: si giudica negativamente chi a una certa età non si è sposato e non ha avuto figli, non avendo aderito alle fasi canoniche di una vita considerata “normale” e standardizzata. Il single shaming viene alimentato dall'atteggiamento e dalle domande delle persone che sul single riversano le aspettative dello stare in relazione. Le domande più frequenti rispecchiano un atteggiamento di attesa, come ad esempio: "Che aspetti a fidanzarti?". Le continue pressioni esterne fanno sentire il single inadeguato e inadempiente. Questo succede a maggior ragione quando la persona non vive in maniera del tutto serena la propria singletudine. Ma può generare comunque malessere anche a quei single che non hanno nessun disagio”.

Quali sono le cause di questo fenomeno?

“Sono sociali e culturali. Tutto si riduce alla considerazione che l'essere single è una fase di attesa tra una relazione e l'altra ma non sempre è così. Partendo da questo presupposto, molti considerano il single come qualcuno che è manchevole, che non è completo poiché non ha una relazione. Altri, per questioni culturali profondamente radicate in alcuni contesti, arrivano a pensare che single sia sinonimo di solitudine e di fallimento, perché se non si è in coppia non si ha ottenuto nulla nella vita. Per queste persone la realizzazione personale è strettamente legata alla coppia e alla famiglia”.

Perché ancora oggi si giudica negativamente chi non ha un partner?

“Si tende a pensare che chi non è in coppia è incapace di avere una relazione perché è problematico o troppo selettivo e non sarà mai felice. In questo modo si perde di vista l'elemento dell'individualità che invece può portare una persona a scegliere, in base a considerazioni personali, di essere single e di cercare la sua personale strada della felicità. Molte persone preferiscono ad esempio vivere al di fuori di una relazione stabile, perché non vogliono rinunciare ad una maggiore libertà o perché vogliono dedicarsi ad altri aspetti della propria vita come ad esempio il lavoro”.

Il single shaming colpisce più le donne?

“Sì, perché ancora esiste un doppio standard di valutazione: spesso gli uomini single non sono giudicati male, mentre le donne vengono stigmatizzate con il classico stereotipo della zitella. Resta viva l'idea che la realizzazione personale di una donna debba passare necessariamente per la costruzione di una famiglia, e diventare moglie e madre. È come se l'essere donna fosse meno importante del suo ruolo sociale.La conferma? Molte donne, una volta sposate e con i figli, sembrerebbero rinunciare a spazi personali e all'espressione della propria individualità. Al contrario, è comune una visione dell'uomo che si realizza anche al di là della famiglia, con il lavoro e non solo. Si giustifica l'uomo single che insegue le proprie passioni considerandole prioritarie rispetto ad una relazione stabile. Molte donne poi hanno assorbito questo modo di pensare e soffrono non tanto perché provano disagio, ma perché credono di non potersi affermare al di là dei ruoli di moglie e madre. In questo modo si perde di vista quella che è la priorità personale dell'individuo: il realizzarsi al di là dei ruoli sociali imposti”.



Perché non bisogna mai vergognarsi di essere single?

“Perché è una condizione che rende l'individuo comunque completo, capace di stare con sé stesso. Questo traguardo individuale non è scontato e può minare l'autostima. Cosa fare se accade? È bene chiedersi se siano gli altri a farci sentire così. Se non fosse per quelle continue domande o quei commenti fuori luogo, proveremmo imbarazzo? Se la risposta è no, il nostro problema non è la vergogna, ma il potere che stiamo dando agli altri di giudicare la nostra vita. Pur non essendo facile, sarebbe utile lavorare su sé stessi per essere più centrati e dare valore a ciò che siamo”.

Come si fa a neutralizzare il single shaming?

“Per far capire agli altri che non è una vergogna essere single, il primo passo è sentirsi in sintonia con la propria scelta e non provare nessun disagio a vivere così. Per sbaragliare chi non smette di fare domande sconvenienti sul perché siamo single, può essere efficace usare l'ironia, che serve a depotenziare il giudizio dell'altro. Con ironia si può rispondere ponendo dei confini con frasi come: "Perché ti preoccupi che io sia single? Hai mai pensato che non è poi così male?" Un'altra arma utile nei confronti del single shaming è quella di mostrare i lati positivi dell'essere single, che spesso chi è in coppia invidia, in modo sottile. Primo tra tutti la libertà di cui gode un single e la capacità di stare da solo. Teniamo sempre presente che il giudizio e la critica spesso nascono da un senso di frustrazione per la propria vita. Alcuni di coloro che disapprovano i single potrebbero anche invidiarli in fondo, poiché sono incastrati in relazioni non sempre felici e incapaci di prendersi le proprie libertà”.

21.4.22

Michele Campanella sfatò un tabù: fu il primo comunista della Liberazione a entrare nelle forze dell'ordine. L'omaggio di Genova ai 100 anni del "comandante Gino"

 per  approfondire  

https://it.wikipedia.org/wiki/Polizia_partigiana


da https://www.ilsecoloxix.it/genova/2012/06/04/

Genova - Quella sporca dozzina. Dodici furono all’inizio i volontari, tutti di provata esperienza, cui il comando partigiano, nel settembre 1944, affidò un compito di particolare audacia: portare la guerriglia in città. Così nacque la squadra volante Severino, che in collaborazione con le Sap, le Squadre di azione patriottica attive dall’estate in ambito urbano, avrebbe dovuto costituire una pressante minaccia per tedeschi e fascisti con improvvise puntate in val Bisagno e nei quartieri periferici genovesi. Alla testa di quegli uomini vi era Michele Campanella, nome di battaglia “Gino”, destinato a divenire una delle figure di maggior rilievo della Resistenza nella VI Zona operativa, corrispondente a grandi linee con il territorio dell’attuale provincia genovese, e che nel dopoguerra sarà insignito della medaglia d’argento al valor militare e della Bronze Star Usa. Il comandante Gino è morto ieri a Monzuno, nel Bolognese, dove era andato a vivere i suoi ultimi anni. Le sue ceneri, come ha disposto nelle ultime volontà, saranno disperse nelle montagne dell’entroterra di Genova, teatro delle sue leggendarie imprese.


Nato a Genova il primo maggio 1922 in una famiglia antifascista, sin da giovane Michele Campanella era stato oggetto delle attenzioni della polizia politica fascista, che lo sospettava, non a torto, di attività antifasciste. Chiamato alle armi e arruolato in Marina, fu a Spalato che Michele Campanella si trovò l’8 settembre 1943 quando, al pari di milioni di italiani e dei combattenti sui vari teatri di guerra, venne a sapere dell’avvenuto armistizio con gli anglo-americani. In assenza di chiari ordini e lasciata colpevolmente in balia degli eventi dalla monarchia e dalle supreme autorità civili e militari, la nazione si trovava allo sbando. Che fare? In quale Italia identificarsi, in quella rappresentata dal sovrano e dal governo Badoglio, firmatario dell’armistizio, o nella Rsi di Mussolini, Stato-fantoccio al servizio del Terzo Reich? Nessun dubbio attraversò la mente di Campanella che, riuscito a rientrare in patria, tornò a Genova, riprendendo i contatti con l’ambiente antifascista.


 e  da  REPUBBLICA 




in un periodo quello della guerra fredda soprattuttto in una delle fasi più acute cioè quella fra il 1945\50 i ruoli dele forze dell'ordine erano in mano agli ex fascisti o a i non comunisti ecco perchè la storia di Michele Campanella sfatò un tabù: fu il primo comunista della Liberazione a entrare nelle forze dell'ordine. L'omaggio di Genova ai 100 anni del "comandante Gino"

2.3.22

Il sacrificio di Giorgio e Toni, morti per amore cambiando la storia del costume d’Italia

da  Profondo Giallo | Fanpage

Il 31 ottobre 1980, sotto le fronde di un albero in un agrumeto di Giarre, a mezzora da Catania, vengono trovati distesi vicini due corpi senza vita. Uno accanto all'altro, con le mani intrecciate ci sono  Giorgio Agatino Giammona, 25 anni, e Antonio Galatola, detto Toni, 15 anni, gli ziti (i fidanzati), come li chiamavano in dialetto catanese, di Giarre. Accanto ai corpi viene trovato un biglietto che riporta poche parole, secondo le quali i ragazzi si sarebbero uccisi perché non potevano vivere liberamente il loro amore.
La storia del delitto di Giarre

Erano passati cinque anni da quando, con il suo martirio, Pier Paolo Pasolini aveva acceso i riflettori sull'odio di cui erano oggetto gli omosessuali. Nonostante la vicenda pubblica e personale di uno dei più grandi poeti del Novecento, a Giarre gli omosessuali erano ancora considerati dei ‘malati', degli individui deviati che nella migliore dell'ipotesi meritavano di essere ignorati e isolati. Nella Sicilia che nulla sapeva di Pasolini, le famiglie Galatola e Giammona avevano provato in tutti i modi a dividere i due ragazzi ma loro, invece di smettere di vedersi, erano rimasti stretti l'uno all'altro, senza paura, senza ridicoli imbarazzi, senza pudori, tra lo scherno e la condanna dei loro paesani, fino al giorno in cui erano stati trovati sdraiati uno di fianco all'altro nell'agrumeto.
Un crimine d'odio
Il ritrovamento di una pistola Bernardelli, calibro 7,65, sepolta sotto poche manciate di terra a pochi passi dall'albero, con tanto di sicura inserita, però, getta a mare la tesi del suicidio. A Giarre, paesello di poche anime tra il gigante Etna e il mare, viene invasa da frotte di giornalisti da tutta Italia. Per la stampa nazionale è chiaro che si tratta di un delitto a sfondo omofobico, un crimine d'odio, come lo chiameremo oggi; per la piccola comunità di Giarre, invece, è solo un fattaccio da dimenticare. "Se la sono cercata", dicono i più indulgenti, mentre per i più accaniti conservatori, tutta quella faccenda getta un'onta imperdonabile sulla reputazione dei cittadini. "Ora penseranno che a Giarre siamo tutti finocchi".
L'assassino di Giorgio e Toni
Il 3 novembre i giornali rivelano l'identità dell'assassino: colui che aveva fatto fuoco a sangue freddo sui due ragazzi, l'aguzzino dei fidanzati, è un bambino di 13 anni, il nipote di Giorgio, Francesco Messina.  "O ci uccidi o ti uccidiamo noi", lo avrebbero minacciato i ragazzi e lui, Francesco, un ragazzino paffutello e lentiginoso che andava a lavorare tutti i giorni con i nonni in campagna, avrebbe premuto il grilletto. In cambio di quel ‘favore' le vittime gli avrebbero regalato un orologio. Una versione poco credibile per tutti, meno che per i carabinieri, che abbracciarono la strada del bambino killer.
E i colpevoli morali
Quando un giornalista de ‘L’Ora' di Palermo avvicina Franco per sentire dalla sua bocca cosa era successo quel giorno, il ragazzo crollò: "Non li ho uccisi io, ho detto così perché mi avevano dato schiaffi, mi sono fatto pure la pipì addosso". Il quotidiano diede la notizia dell'interrogatorio a suon di schiaffoni e minacce. "Dicevano che se non confessavo arrestavano il nonno Francesco "- aggiungerà il piccolo Franco, facendo finire i carabinieri al centro di una tempesta mediatica. Nemmeno il sostituto procuratore di Catania, Giuseppe Foti, a capo dell'inchiesta, credette a quella confessione che non aveva difficoltà a definire ‘estorta' eppure, quando il fascicolo d'indagine arrivò sulla sua scrivania, nonostante i convincimenti dichiarati alla stampa, Foti archiviò il caso. Nessun delitto d'onore a sfondo omosessuale: a Giarre non era successo un bel niente niente.
La memoria di Giorgio e Toni
Da allora, a prescindere da chi avesse premuto il grilletto, la responsabilità morale di quel duplice omicidio si abbatté come un macigno sulla comunità dell'entroterra catanese. Il delitto di Giarre non cambiò il nocciolo duro della società, che della storia dei fidanzati preferì dimenticarsi presto, ma smosse le coscienze più sensibili. Poco dopo nacque a Palermo il primo nucleo di Arcigay, ad opera di don Marco Bisceglie, sacerdote gay, e di un giovanissimo Nichi Vendola. Oggi Franco Messsina vive solo e in condizioni di degrado. A Giarre, dove per Toni e Giorgio non c'è nemmeno una targa, neanche il pino all'ombra del quale furono trovati i fidanzati esiste più. Si dice sia stato incenerito da un fulmine.


22.11.18

mancanza del senso del pudore parte II . confusione fra sensualità e volgarità

canzone  cosnigliata 
nostra  signora  dell'ipocrisia  -  Francesco  Guccini

 potrebbe essere  utile
https://www.facebook.com/GiorgiaVezzoliVitaDaStreghe/
http://www.retedelledonne.org/mappatura/blog-di-donne-e-per-le-donne-altri/blog-su-temi-femminili
http://www.retedelledonne.org/mappatura/blog-di-donne-e-per-le-donne-altri/blog-su-temi-femminili/page2
http://www.retedelledonne.org/mappatura/blog-di-donne-e-per-le-donne-altri/blog-su-temi-femminili/page3


discutendo su fb del mio precedente post riguardante il senso del pudore oggi mi sono accorto che ha ragione  questo  commento:
******
 un mio contatto fb quando risponde al mio post ri portato su fb https://bit.ly/2OSdThn Se metti una foto provocante sei sessista.
Ma se la trovi provocante sei bacchettone.
Non se ne esce.

ecco  la  mia  risposta   \   il mio pensiero in merito  . 

N.b
 Ho preferito   usare  il blog   siua perchè sono ancora  legato    al blog  , sia perchè fb      mi sembra  inadatto per  post  tropo lunghi   .


 vero  . il problema  e  che  si   vede  la    provocazione   come qualcosa  di negativo  .  Non si riesce più   a  distinguere  sensualità  e  volgarità .
Per  me  è   volgarità  e  quindi sessismo   quando in  questo caso  mi riferisco  alle foto  alle immagini    il corpo di  una donna  o pose  provocante     viene  usata  "  decontestualizzata  "  in pubbblicità  non attinenti  (   biancheria intima , profumi , assorbenti  , prodotti per  l'igiene intima  )  come quelle citante  nel post    citato prima  . Oppure   l'uso che  se  ne  fa  in certi  programmi  tv   o  in certe pubblicità vedere    IL corpo  delle  donne  di Loredana  Zanardo
Per  il  resto è fuffa


  Ora   per  spiegarmi  meglio     ed  seguendo   l'esempio   di Giulietto chiesa  e   poi  della  Zanardi (n url  )   che   combatttono  gli stereotipi di  genere  ed  educano   alla lettura  delle  imagine    ho  messo  due  tipi  di  foto 
  erotico \  sensuale  il primo  tipo
account   istragram di  @danilo_loriga


Risultati immagini per sensualità

   pubblicità sessiste    e    volgari   a  doppio senso

Risultati immagini per pubblicità sessiste


Risultati immagini per pubblicità sessiste

10.8.15

Cocorico : bisbigli e sussurri i le coccopinion's \ la mattanza delle opinioni ancora polemiche sui fatti delle morti per droghe di questi giorni

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sul blog http://wwwhete.blogspot.it/2015/08/les-cocopinions.html  dell'amico   Matteo tassinari   trovo questo  articolo  interessante  di    Leonardo Montecchi
Psichiatra, psicoterapeuta, nato a Novafeltria nel 1952 lavora nel campo delle dipendenze patologiche 
dal 1978. Ha contribuito a fondare la cooperativa CentoFiori che a Rimini gestisce la comunità terapeutica di Vallecchio, il centro diurno di via Portogallo 10 e l'appartamento di reinserimento. Ha fondato e dirige la scuola di prevenzione, psicanalisi operativa e concezione operativa di gruppo J.Bleger. www.bleger.org è editor della rivista www.pol-it per la parte dipendenze. E' socio della associazione internazionale di psicoterapia di gruppo. Dirige la collana i sintomi della salute per Pitagora di Bologna



Esso riguarda le ultime   morti per  droga  avvenute in questi giorni   

Come sa chiunque si sia occupato da un punto di vista antropologico o sociologico delle feste da ballo sia all’aperto che al chiuso queste due posizioni si ritrovano sempre.
Sono convinto che la repressione dell’aspetto dionisiaco della vita, per dirla alla Nietzsche, sia un grave errore. Penso che il muro di Berlino sia caduto più per The Wall dei Pink Floid che per le politiche di Reagan, e mi è sempre più chiaro che è difficilissimo irregimentate chi sperimenta la libertà, sia pure la libertà di un corpo che danza senza schemi precostituiti e senza regole.











L’aspetto dionisiaco si accompagna sempre con la musica ed anche con sostanze che favoriscono la dissociazione. A cominciare dal vino che si è sempre servito nei locali da ballo e nelle feste private. Negli anni 60 nel nord europa e negli USA si assumeva amfetamina, Jack Kerouac in on de road ci descrive concerti di Jazz con assolo di sax alla Charlie Parker con gente fatta di metedrina. Chi ascoltava la musica beat o anche faceva parte di quella sottocultura è facile che usasse pasticche come il Pronox o il Roipnol, barbiturici. Con la musica psichedelica arrivò l’hascisc e la marijuana. Il sergente Pepper diffuse LSD senza il quale è impensabile la musica dei Pink Floyd.
L’eroina stava lì come un cinese ad aspettare i cadaveri e se si sente Lou Reed o anche Sister Morphine dei Rolling Stones ma meglio ancora il punk demenziale degli Skinantos: "sono andato alla stazione ho comprato il metadone…". Si capisce quali droghe e musica sono adatte per il movimento che proclamava con i Sex Pistol No future


E’ con l’hip hop, passando per il reggae e il raggamuffin che ritorna la marijuana, invece con la nascita della techno cambia il panorama musicale. Niente più rock star con cui identificarsi la musica da sfondo diventa figura, come dice Phipip Tagg,lo spazio viene delimitato dagli impianti e le vibrazioni sonore si sentono in tutto il corpo e non solo con le orecchie. Questa musica genera i rave party che si diffondono dalla fine degli anni ’80 e producono, nella migliore delle ipotesi quelle zone temporaneamente autonome o TAZ che ha teorizzato Hakim Bey. Il Cocorico è diventato un tempio di questa musica nomade. Non è facile diventare un tempio di un movimento internazionale, non è l’unico tempio, ma non ce ne sono molti altri. La chiusura, contrariamente alla volontà proibizionista e perbenista, lo trasformerà ancora di più in un mito.

Spirito Apollineo, Spirito Dionisiaco.
Il Caos e la Legge Henri Matisse, La dance (1909)
Lo scopo della tecno, come di qualsiasi altra musica dionisiaca è accedere ad uno stato modificato di coscienza,questo sarebbe lo sballo. Perché c’è questo desiderio di “sballo”? Forse perché lo stato di coscienza ordinario è diventato insopportabile, la multidimensionalità dell’essere umano è precipitata in una unica dimensione,come aveva visto Marcuse, la dimensione lavorativa.
Futuri collassati Di più, nella nostra contemporaneità, chi non ha un lavoro, e sono tanti, non ha coscienza, ed è privo di quella che chiamo identità analogica cioè una dimensione storica di se stesso. Il futuro per lui e’ già collassato ma scompare anche il passato ed emerge una identità digitale puntiforme che si costruisce nel momento che si sta vivendo. Tutto il movimento techno e’ un movimento di dissociazione collettiva dallo stato di coscienza ordinario. Non è certamente psicopatologia.


La stanza di un Hikikomori


anche questo movimento,che dura da più di venti anni e’ in fase discendente, la tendenza emergente e’ un altra molto più inquietante. Si tratta di un isolamento in casa, una chiusura al mondo e a qualsiasi socialità che non sia una connessione internet. In Giappone ci sono già più di un milione di Hikikomori che si separano dalla società.

Aumentano i suicidi è un dato emergente giovanile e si diffonde sempre di più quella che Soren Kierkegaard chiamava la malattia mortale, cioè la disperazione. In questo panorama desolante che ci siano moltitudini che ballano e cercano di modificare il loro stato di coscienza è un sintomo di salute non certo una psicopatologia. Non mi pare che i fondamentalisti di qualsiasi tipo amino la musica ed il ballo.Quelli si fanno esplodere
per un paradiso futuro
Il ballo è, come mostrava il Living Theatre, Paradise now. Bisogna però capire che per produrre uno stato di dissociazione nella era della globalizzazione sono necessari degli induttori, gli induttori non necessariamente 
Soren Kierkegaard 

sono delle sostanze, possono essere la moltitudine delle persone, le luci stroboscopiche, la massa, gli odori, i profumi, ma soprattutto la musica che arriva dritta alla testa e al cuore. La frequenza dei BPM il volume dei bassi, la sapienza dei DJ nella manipolazione e mescolamento delle piste sonore in relazione alla moltitudine danzante. E poi, appunto, il ballo per tante ore. Tempo che si vuole vivere ma è come essere assenti e il cuore a quel punto potrebbe complicare di non poco la situazione. Passare la notte ballando in uno spazio del genere produce uno stato dissociato che genera fenomeni specifici come una forma di comunicazione non verbale molto intensa.Diffusione dei culti greci Nel 186 avanti Cristo il senato romano proibì la celebrazione dei baccanali. I baccanali erano feste in onore di Bacco, che in Grecia è conosciuto come Dioniso in cui si beveva vino si ballava in un clima orgiastico per raggiungere uno stato modificato di coscienza in cui poteva avvenire la possessione rituale da parte delle divinità. Le feste erano caratterizzate da musica che veniva ballata da maschi e femmine











. Nel senato romano prevalse la tendenza di Catone e della oligarchia senatoria che vedeva in queste feste un pericolo perché gli uomini ballando si effeminavano e le donne che partecipavano si trasformavano in prostitute non adatte ad essere madri di famiglia romana. Qualcuno ha visto nella repressione di questi culti un attacco politico al circolo degli Scipioni che favoriva una diffusione dei culti greci e una promozione delle classi più basse in una ottica di allargamento della cittadinanza romana.







  concludo con questa  frase    presa  da


3.2.15

Dagli archivi della Casa Bianca emerge un telegramma inviato dalla star di Hollywood alla coppia presidenziale. Ma i Regan dissero NO

  fno a che punto  l'amicizia può arrivare ?  , mi chiedo leggendo  questa  storia 

Dagli archivi della Casa Bianca emerge un telegramma inviato dalla star di Hollywood alla coppia presidenziale.

 
Rock Hudson (a sinistra) con Nancy e Ronald Reagan
1985: Rock Hudson sta per morire di Hiv e chiede aiuto al suo amico Ronald Reagan, presidente degli Stati Uniti. Vorrebbe partecipare a una cura sperimentale contro l'Aids, in Francia. La risposta della coppia presidenziale è netta: "No". Ora emerge un telegramma, rintracciato negli archivi della Casa Bianca, che riporta la disperata richiesta di aiuto, e sembra che sia stata proprio Nancy Reagan a decidere di non tendere la mano alla star di Hollywood. La scusa: non si possono chiedere raccomandazioni per i propri amici per qualcosa che non si può garantire a tutti gli americani. Dietro, invece, ci sarebbe l'imbarazzo per l'omosessualità dell'attore.

21.12.14

perchè si parla solo di violenza sulle donne e non di violenza delle donne su gli uomini ?




Lo so che perderò contatti , ma la verità e la corretta informazione sta nel mezzo .  Io  sono , meglio specificarlo   onde  evitare  che  le  lettrici   di questo blog  e   quelle  che sono   fra i  miei contatti  o mi seguono sui social mi  rimuovano  o    fraintendano  , contro qualunque   tipo di violenza  venga  essa  commessa   su una persona   e su  un animale  Coso come sono contro i  tabù   come quello   di cui parla   l'articolo sotto  preso da  da  http://www.sardegnablogger.it/perche-la-violenza-femminile-e-un-tabu/

[...]
Ci impegnamo a favore degli uomini che sono diventati vittime di violenze domestiche, con o senza figli. Questo può comprendere casi di violenza da parte del partner (tanto maschile, quanto femminile), ma anche in senso più ampio la violenza all’interno della famiglia.E intendiamo dire che si tratta di più che un ceffone. Con “violenza” si intendono tanto i maltrattamenti fisici quanto quelli psichici.
Penso che la maggior parte di quelli che leggono queste parole reagiranno con incredulità.Ad altri forse verrà da ridere.
Io una volta mi son trovato costretto a chiedere aiuto, urlando nella tromba delle scale.La mia partner di allora mi stava picchiando e io avevo paura di non riuscire a controllarmi più.
I vicini hanno chiamato la polizia ed è stata una delle esperienze più umilianti della mia vita, anche se i poliziotti non si sono mostrati per niente stupiti.
Mi è venuto da piangere e uno dei poliziotti mi ha detto: “Succede nelle migliori famiglie.”
Ho chiuso la storia con quella donna e non ho più pensato a quell’esperienza.L’ho raccontata forse a due persone in tutto e sono passati quasi 25 anni.
Non è facile parlarne.
La violenza femminile esiste e non c’è motivo per cui non dovrebbe esistere.
L’emancipazione e la liberazione femminili hanno liberato tutte le donne da molti degli schemi sociali che le ingabbiavano nel passato.
Tutte.
Non solo quelle buone e giuste, ma anche le altre, quelle che non sono meglio degli uomini peggiori.
Questo è uno dei prezzi da pagare per essere tutti più liberi, uomini e donne.In una società più libera c’è–e ci deve essere–più libertà per tutti, anche per i “brutti, sporchi e cattivi”.
Almeno fino a quando non passano i limiti del codice penale.
E allora perché far finta che non esistano donne guaste, così come esistono gli uomini guasti?
E, se state pensando che, comunque sia, le donne violente siano numericamente inferiori agli uomini, questo è in generale anche vero, ma non all’interno della coppia: “A Chicago, tra il 1965 e il 1993 ci sono stati 2556 omicidi compiuti all’interno di una coppia e di queste 2556 vittime 1271 erano di sesso femminile, uccise dal partner maschile, e 1227 di sesso maschile, uccise dal partner di sesso femminile”. (MANUALE di CRIMINOLOGIA CLINICA – Pagina 357 – Resultaten voor Z)
Certo, questi dati possono riferirsi solo a un paese in cui la vendita delle armi è libera: ammazzare il marito con una pistola è molto più facile che farlo a mani nude o con un ferro da stiro.
Ma–a meno di non voler finire a pensare che le donne americane siano intrinsicamente più feroci di quelle italiane–mi chiedo perché la violenza femminile in Italia non faccia notizia.
Visto che è impossibile che non esista, penso che questo silenzio sia il risultato di una “congiura” tra femministe assatanate e maschi retrogradi: a nessuno dei due gruppi fa comodo parlarne.
Alle femministe, per ovvi motivi–“Le donne sono tutte buone e sempre vittime dei maschi”–mentre ai maschi retrogradi, perché non ci fanno una bella figura a far sapere in giro che esistono anche donne che menano i partner.
Secondo me, invece, la violenza femminile è soltanto un’inevitabile sottoprodotto della liberazione femminile e in questo senso un segnale positivo, per quanto “sgradevole”, soprattutto per le vittime.
La violenza femminile esiste ed è inevitabile.Negarne l’esistenza serve soltanto a incoraggiarla.

P.S
 ebbeh; e io mica dico che la violenza femminile sia sempre una cosa brutta: http://goo.gl/S9oS6X


A  chi leggendo quiesto  post  mi  accuserà   di sesssimo  lo invito  oltre  a rileggersi  il manifesto e le  faq   ma  soprattutto  questa discussione (   che  riporto sotto  )  fatta    su questo argomento   e presa  dal mio  facebook


27.4.13

ma in rai cos'hanno segatura nel cervello o sono ancora relegati alla vecchia morale ? censurato lo spot contro l'omofobia

qualche  giorno fa  avevo sentito " integralmente  tale spot "   , poi  ieri se non ricordo male   non  ho più  sentito queste parole  . Poi ho scoperto  su   http://www.fanpage.it che  




La Rai censura lo spot contro l'omofobia

La Rai blocca la messa in onda dello spot contro l'omofobia del Ministero per le pari opportunità perché contiene le parole "gay" e "lesbica".





ora posso capire che sia : << orribile, non lascia alcun segno, non attira l'attenzione, 

passa inosservato e quindi perde di qualsiasi possibile efficacia. L'idea e' banalissima, lo slogan e' orrendo, il montaggio e la regia sembrano esser stati curati da gente laureata in scienze della comunicazione. >> ( djandreal ) o che : << Da lesbica dico ke va veramente cagare !!! (Francesca Rizza ) .
Ma perché censurarlo ? Sembra tornati alla morale della prima metà del secolo scorso . cosi come si stupisce o l'ignoranza o l'ipocrisia del deputato del Pd, Ivan Scalfarotto
di Queste parole non sono parolacce ed è inutile dargli un'accezione negativa. La conoscenza è la base della convivenza. La Rai come servizio pubblico dovrebbe essere il primo canale della promozione della convivenza. E' importante dire le parole con rispetto senza attribuirgli significati che non gli appartengono


Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...