unione del 6\5\2012
GIAMPAOLO MAINAS - FOTO MAX SOLINAS |
Si presenta negli uffici del giornale, a Quartu Sant'Elena, una mattina di pioggia. «Vorrei fare un appello per ritrovare una persona». Alla maniera di certi vecchi, usa un tono rispettoso e avanza timidamente verso la scrivania più vicina. Aspetta che gli dicano di accomodarsi e solo allora poggia la cartelletta di pelle nera che tiene stretta fra le mani. La sua idea è quella di chiedere la pubblicazione di due vecchie foto nella rubrica Come eravamo . «Io e Tina. Guardi, lei aveva diciassette anni, io venti. Tutt'e due bellissimi».
Giampaolo Mainas parla uno strano italiano, inciampa soprattutto sugli accenti. Ha le mani molto curate, occhialini leggeri, sguardo limpido che tradisce innocenza ritrovata, tipica della gente della sua età. «Mi scusi, sono stato a lungo in Francia e non riesco ad esprimermi bene».
Emigrato?
«No, in gita. Una gita a Parigi che doveva durare quattro giorni».
E invece?
«Cinquant'anni. Sono cittadino francese. Ho fatto anche il militare lì. Però sono nato a Quartu».
E adesso è rientrato.
«Giusto un paio di settimane per rivedere i fratelli e qualche parente. Ho settantotto anni, un figlio che ne ha cinquantuno e due nipoti. Vedovo da pochissimo ma la mia vita ormai resta in Francia».
Tina era sua moglie?
«No, la mia ragazza, quella con cui stavo prima della partenza per Parigi. Di cognome fa Mireddu: non lo ricordavo ma mi ha rinfrescato la memoria scoprire una sua lettera dimenticata tra le pagine di un libro».
Perché vuole ritrovarla?
«Per ringraziarla e chiederle scusa».
Di cosa?
È la domanda che Mainas aspettava da tempo, molto tempo. A questo punto sente d'avere il coraggio necessario per vuotare il sacco. Apre la cartelletta e tira fuori un vecchio portafoglio. «Avevo questo quando sono partito, nel '57». Quel portafoglio è un album della vita lasciata in Sardegna: scoppia di foto ormai ingiallite. In una c'è una dedica che farebbe sorridere se non apparisse oltraggioso. Al mio grande amore . All'epoca Tina, che faceva la bambinaia presso una famiglia cagliaritana, aveva capelli corvini tagliati corti. Nella foto con dedica è felicemente in posa: mano sotto il mento nel tentativo di darsi un'aria pensierosa e un sorriso smagliante.
Il vecchio sta ormai navigando in un mondo tutto suo, vedere quelle foto (Tina formato tessera, Tina che sorride accanto a un bimbo, Tina alle spalle di una piazza, Tina in vacanza) fa scattare un interruttore segreto. «E pensare che di questo portafoglio m'ero quasi dimenticato. L'aveva custodito Michelle».
Chi è Michelle?
«Chi era, non chi è. È morta cinque mesi fa. Era mia moglie. L'avevo conosciuta un lunedì di giugno, passavo in Vespa a Saint Denis nella pausa-pranzo della sartoria...».
Perché lei faceva il sarto.
«Proprio. Avevo bottega in via Nazionale a Quartucciu. Guadagnavo bene. Un giorno un mio amico che stava nella Legione straniera mi stuzzica su Parigi. Mi fa immaginare una città piena di bellissime ragazze e io, che avevo vent'anni, abbocco».
Abbocca?
«Sì, casco felicemente nella trappola. Decido di andarci ma giusto per dare un'occhiata. Avevo molto lavoro e non potevo permettermi più di qualche giorno».
Poi che succede?
«Succede che mi portano a Pigalle, a vedere da vicino le ragazze più belle del mondo, mi portano a ballare, mi fanno vedere la vita come non l'avevo mai vista».
Partenza rinviata, quindi?
«Mentre sistemavo i bagagli, il solito amico mi dice: perché non resti qui?, ti trovo lavoro in un attimo. E in un attimo è successo davvero: abbiamo attraversato la strada, ci siamo infilati in un palazzetto di fronte e un minuto dopo eravamo nella sartoria di un ebreo».
Assunto?
«All'istante. Ha capito che non ero un pivellino. Così, inizio l'avventura dimenticandomi della bottega a Quartucciu ma non di Tina: sapevo che mi stava aspettando e poi, ad essere sincero, l'amavo veramente».
Però...
«Però Parigi è Parigi. Contavo di rientrare in Sardegna ma nel frattempo mi divertivo come non era mai accaduto prima. Poi c'è stato quel lunedì che mi ha bloccato».
Giampaolo la racconta in modo preciso, con un residuo di antico entusiasmo. Dunque lui gironzolava in Vespa in attesa di tornare al lavoro quando vede Michelle. Pausa, fruga nella cartelletta e spiega: «Mi piace documentare quel che dico». Ecco la foto di Michelle, viso affilato, naso perfetto. «Era una tentazione». Prova ad agganciarla offrendole un passaggio, la ragazza rifiuta. Ma lui l'accompagna lo stesso, senza scendere dalla Vespa. A passo d'uomo sullo scooter, la bombarda di domande qualunque. Lei abbandona la timidezza iniziale e risponde con qualche monosillabo. Gli comunica che sta per andare in villeggiatura e che quindi possono salutarsi in via definitiva fin da subito: non ci sarà seguito, insomma.
Ma lei non s'arrende.
«Aspetto un mese e la metto alla prova. Carico un'amica sulla mia Vespa, vado sotto casa di Michelle e la chiamo finché non s'affaccia alla finestra. Scendi, le dico. E lei incredibilmente viene giù».
Ed eravate in tre, giusto?
«Sì, a Parigi può succedere. Le presento la mia amica e le chiedo d'uscire insieme il giorno dopo. D'accordo, dice lei. E se ne va quasi senza salutare. A pensarci mi viene da ridere».
Perché?
«Mi sono ricordato d'aver abbandonato la scuola in prima media perché non sopportavo il francese».
L'ha imparato sul campo, il francese.
«Naturalmente. Dopo quell'incontro con Michelle, ho smesso di fare il sarto. E, nonostante fossi astemio, ho preso in gestione un bar».
Che c'entra essere astemi?
«Mi sembrava un controsenso. Quel bar, comunque, l'ho tenuto per tredici anni. Poi ho venduto tutto e mi sono preso un anno di riposo. Nel frattempo però c'è stato l'incidente e qui torna in causa Tina».
Che incidente?
«Una sera Michelle mi dice d'essere incinta. Anche se può far ridere detto da me, non sono di quelli che se la squagliano davanti alle proprie responsabilità. Decido: mi sposo. Ma prima devo avere la forza di dirlo a Tina».
Allora?
«Torno in Sardegna. E mi sento un mascalzone. Durante il viaggio ripenso alle lettere che le ho spedito, ricordo persino di quella volta che mi ero fatto accompagnare a Jerzu, dove abitava la sua famiglia, per parlare coi suoi».
Ci è andato con suo padre?
«Quando mai. Avevo l'amico giusto, uno che sembrava avanti con gli anni e vestiva sempre in abito completo. Sono andato con lui e l'ho presentato come zio».
Ha chiesto la mano di Tina?
«Essendo zio ed essendosi pure inventato che suo fratello (cioè mio padre) non poteva essere presente, ha girato attorno all'argomento lasciando tutti felici e contenti».
Poi?
«Come, poi? Poi ho fatto la gita, poi non sono tornato in Sardegna, poi ho conosciuto Michelle e l'ho messa incinta. È per questo che cercavo Tina».
Com'è andata?
« Dipende dai punti di vista. Ero imbarazzato. Avevo anche saputo che era venuta a cercarmi in sartoria facendosi passare per la figlia di un cliente. Ha detto due parole ed è fuggita».
Perché?
«Era disperata. Ma il pomeriggio che ci siamo incontrati non me l'ha fatto vedere. Mentre passeggiavamo lungo la strada di Giorgino, le ho detto che Michelle aspettava un bambino e che io non potevo tirarmi indietro».
E lei?
«Lei niente. Ha detto solo: va bene così, se è quello che vuoi. Quando l'ho lasciata sotto casa, mi ha stretto la mano e se n'è andata».
Com'è stata la vita con Michelle?
«Bellissima. Sono stato fortunato. Col cuore non l'ho mai tradita».
E col resto?
«A Saint Denis c'erano le belle ragazze di un tempo. Ogni tanto, perché l'uomo ha certe esigenze, sono andato con loro. Per questo dico che col cuore non l'ho mai tradita».
Avete mai parlato di Tina?
«Mai. Debbo dire che mi ero scordato del mio vecchio portafoglio. L'ho visto riapparire ad un tratto un giorno che Michelle chiacchierava con due amiche. All'improvviso ha detto: ora vi faccio vedere una vecchia fiamma di Giampaolo, ditemi voi chi di noi due era più bella».
E lei?
«Io sono letteralmente scappato. Solo più tardi ho scoperto che durante tutti quegli anni, il mio portafoglio era stato custodito dentro una scatola nell'armadio delle cose da non buttare. C'erano tutte le foto di Tina, compresa quella con la dedica al mio grande amore».
Quand'è tornato a casa, ne avete parlato?
«Nemmeno una parola. Michelle era straordinaria proprio per questo. Siamo tornati in Sardegna quasi ogni anno per le vacanze estive e non mi ha mai chiesto di Tina. Chessò, dove abitava, se l'avevo per caso rivista».
Cosa avrebbe risposto?
«La verità: di Tina, dopo quel giorno in cui le ho confessato di Michelle, non ho più avuto notizie».
Le è mai tornata in mente?
«Credo sia stato qualcosa che si è addormentato nella mia anima. Addormentato, non dimenticato. È rimasto lì ad aspettarmi finché Michelle non è morta».
Nella biografia di Giampaolo Mainas manca qualche dettaglio. Dopo un intero anno di riposo per riprendersi dalle fatiche della gestione del bar, ha acquisito una fabbrica di confezioni che stava andando in malora. È arrivato ad avere trentasei dipendenti e, come ricorda malvolentieri, a perdere il tesserino di artigiano per acquisire quello di industriale. «E gli industriali, in Francia, sono martoriati dalle tasse».
Perché vuole ritrovare Tina?
«Vorrei rincontrarla, chiederle che vita ha fatto perché io non ho più saputo niente di lei. Vorrei anche ringraziarla della sua gentilezza».
Ma se non ricordava nemmeno il cognome.
«Che c'entra? Quelli sono scherzi dell'età. Sono sicuro che se Tina vede la mia e la sua foto di allora, ricorderà immediatamente tutto».
Cosa le fa credere che non l'abbia dimenticata?
«È una speranza che vivo come una certezza. Eppoi, c'è anche un'altra ragione che mi spinge a cercarla».
Quale?
«Vorrei fare qualcosa per lei. Io sto bene economicamente e mi farebbe felice poterla aiutare. Sono qui: basta che mi contatti attraverso il giornale. Succeda quel che deve succedere».
Per esempio?
«Mettiamo che sia libera. Per il momento non ho posto per nessuno nel mio cuore: Michelle è morta da pochissimo e non mi sembra il caso. E se, incontrandoci, la fiamma dovesse riaccendersi?»
E se?
«Se è libera, la posso portar via subito. In Francia, per quel che ci resta da vivere. Dove la trovo una donna come lei, una donna che si è sacrificata per la mia felicità?»
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