Ricollegandomi a quanto dicevo nel mio post precedente sul tipo di eroi , sia i fatti che sotto vado a narrare ( ed a riprendere perchè ne avevo già parlato in qualche post , sul blog ) e la canzone che trovate alla fine sembrano che mi diano ragione e in culo a tutto il resto
Reportage di
www.linkiesta.it/ 12 maggio 2012 - 09:24
Storia eroica di un impiegato costretto a diventare imprenditore
Sembrava finita. Dopo la chiusura dello stabilimento della Metal Welding Wire, che lavorava il ferro, Stangalini e i suoi colleghi erano stati licenziati. Sembrava che ci fosse solo la cassa integrazione, e poi il nulla. Ma Stangalini non molla e, convinto che il settore fosse comunque in espansione, decide di vendere la casa per trovare il capitale iniziale e fondare una nuova impresa. Ce la fa e riassume i suoi vecchi colleghi. Una storia che finisce bene nell’Italia in cui chi riesce a fare impresa diventa un eroe.
ARZERGRANDE (Padova) – Cristian Stangalini, imprenditore quarantaquattrenne lombardo, è seduto dietro la scrivania dell’ufficio della sua O.m.p. Fili. L’azienda, quasi due anni di attività, produce fili per saldatura e ha sede nella zona industriale tra Piove di Sacco e Arzergrande, nel padovano. «La cabina elettrica dell’Enel è quella». Si gira un attimo, scosta la tenda che copre la vetrata dell’ufficio e indica una torretta dall’altra parte della strada, a pochi metri di distanza dal cancelletto d’ingresso. «Non hanno dovuto fare 150 chilometri di oleodotto per andare in una turbina. Il cavo passa proprio sopra di noi».
È il novembre 2010 quando Stangalini e moglie fanno apposita richiesta all’Enel. L’allacciamento, tuttavia, arriva solo nel giugno del 2011. Per sei mesi l’imprenditore paga l’affitto del capannone e (a vuoto) il noleggio di cabina elettrica e trasformatore. L’intoppo burocratico sull’elettricità, dice Stangalini, «è l’unica cosa che ci ha fatto veramente traballare». Di farsi rifondere le spese anticipate, però, neanche a parlarne. «Il consulente che mi seguiva dal lato energetico ha detto: “lascia perdere, te l’han data. Ringrazia il cielo che te l’han data”».
Qualche mese prima, nel luglio 2010, la Metal Welding Wire – un grosso gruppo della lavorazione del ferro con sede principale a Bergamo – decide di
chiudere lo stabilimento di Corezzola (provincia di Padova) che impiegava quarantadue operai e in cui Stangalini ricopriva il ruolo di direttore di produzione. In questo primo momento, i destini degli impiegati e dell’allora manager si dividono. I primi entrano in cassa integrazione, mentre il secondo rimane in azienda per «seguire l’eventuale possibilità di cercare di vendere gli impianti e del materiale rimasto a magazzino». Vengono licenziati tutti. Giampiero Cutraro – 36 anni, siciliano, ex operaio della Metal Welding Wire e ora “braccio destro” di Stangalini – descrive nitidamente quel periodo: «Andava tutto bene, poi da un momento all’altro abbiamo trovato un foglio sulla porta che diceva che si chiudeva tutto. C’è stato il panico totale. Ho due figlie e non sai nemmeno come comportarti in queste occasioni. L’unica cosa che a cui ti aggrappi e che ti dà un po’ di speranza è la cassa integrazione». Quest’ultima, fortunatamente, dura relativamente poco. Stangalini, infatti, ha un progetto.
chiudere lo stabilimento di Corezzola (provincia di Padova) che impiegava quarantadue operai e in cui Stangalini ricopriva il ruolo di direttore di produzione. In questo primo momento, i destini degli impiegati e dell’allora manager si dividono. I primi entrano in cassa integrazione, mentre il secondo rimane in azienda per «seguire l’eventuale possibilità di cercare di vendere gli impianti e del materiale rimasto a magazzino». Vengono licenziati tutti. Giampiero Cutraro – 36 anni, siciliano, ex operaio della Metal Welding Wire e ora “braccio destro” di Stangalini – descrive nitidamente quel periodo: «Andava tutto bene, poi da un momento all’altro abbiamo trovato un foglio sulla porta che diceva che si chiudeva tutto. C’è stato il panico totale. Ho due figlie e non sai nemmeno come comportarti in queste occasioni. L’unica cosa che a cui ti aggrappi e che ti dà un po’ di speranza è la cassa integrazione». Quest’ultima, fortunatamente, dura relativamente poco. Stangalini, infatti, ha un progetto.
«Avevo avuto altre richieste e altre possibilità lavorative sia dall’Italia e dall’estero – racconta l’imprenditore – non sarei rimasto a casa». Nel frattempo la sua famiglia si trasferisce, direttamente dalla provincia di Como, a Piove di Sacco. Stangalini decide di mettere in vendita la casa di Como e prospetta alla moglie due soluzioni: o si rimette a girare il mondo come ha fatto fino a sette, otto anni prima, oppure si investono i soldi ricavati dalla vendita dell’abitazione. Prevale la seconda opzione. L’imprenditore, nonostante imperversi la crisi, è convinto che nel settore ci siano ancora lavoro e ottime potenzialità. Ma ci sono anche una serie di ostacoli, a partire dal reperimento dei fondi necessari ad avviare la nuova attività.
«In quel periodo sono diventato un internauta micidiale. Cercavo dappertutto. Mettevi dentro startup e veniva fuori di tutto, poi dopo vai a vedere ed erano tutte cavolate. Sono andato presso queste banche, tra l’altro una banca primaria, tosta, e gli ho detto di avere bisogno di 150.000 euro. Mi hanno chiesto come garanzia altri 150.000 euro – spiega Stangalini – Spiegami la stupidità di una persona che ha 150.000 e te ne dà 150.000 dovendoti pagare anche gli interessi. Tanto vale investirli direttamente in azienda». La situazione si sblocca grazie ad una linea di credito aperta da una banca austriaca e successivamente da altre tre banche del territorio.
E le istituzioni? «Per quello che mi riguarda sono state totalmente assenti», afferma Stangalini, che racconta anche come una sera, mentre stava seguendo un programma televisivo in cui si parlava di sostegno alle imprese, abbia scritto di getto una mail riepilogativa della sua storia a Luca Zaia. La persona indicata dall’ufficio di Gabinetto del Presidente della Regione Veneto, tuttavia, per una serie di motivi non riesce a garantire alcun tipo di apporto. Stangalini si rivolge così a Massimiliano Malaspina, all’epoca assessore leghista alle attività produttive della provincia di Venezia. I due si sentono più di una volta. Il rapporto si interrompe quando, nel luglio 2011, Malaspina è silurato dalla presidente della Provincia Francesca Zaccariotto. Dopo questi sporadici contatti, il nulla: «Abbiamo bussato a parecchie porte ma c’è stato un disinteressamento totale».
Dopo l’arrivo dell’agognata corrente, a metà luglio dello stesso anno la nuova azienda di Stangalini incomincia finalmente a produrre il filo per saldatura. Gradualmente quindici operai della ex Metal Welding Wire di Correzzola, sia stranieri che italiani, vengono riassunti. Il rapporto con i dipendenti è familiare: «Uno dei miei ragazzi, ad esempio, ha comprato la mia cucina quando io ho venduto la casa a Como – dice il titolare dell’azienda – Tra l’altro quando sua moglie ha avuto un bambino gli abbiamo fatto un regalo e portato le paste. C’è un bel rapporto con tutti. Poi con un paio sono amici. Quando vieni da una distanza di 300 chilometri cerchi di stringere qualche amicizia».
Tra settembre e dicembre il capannone si riempie di macchinari – anche grazie all’aiuto di ditte “concorrenti” – e la scrivania di fatture e ordini, per il 95% dall’estero (Germania, Austria, Olanda, Belgio, Francia, Svizzera). «Abbiamo pagamenti velocissimi, tra i 15 e i 20 giorni, contro i pagamenti italiani 60/90 che poi diventano 150/180, quando addirittura non devi arrivare a metterci di mezzo il legale», sostiene l’imprenditore. «Quando chiedi a uno straniero il pagamento anticipato, non c’è problema. Lo chiedi a un italiano, si strappa le braccia. Sembra che gli stai facendo un’offesa pazzesca». L’intuizione di Stangalini si rivela giusta: ora la O.m.p. Fili fattura 400mila euro al mese e, sebbene il ciclo di produzione non si fermi mai, quasi fatica a stare dietro al volume di ordini.
In un’intervista a Il Mattino di Padova, il presidente di Confindustria Padova Massimo Pavin ha dichiarato: «La vicenda di Cristian Stangalini è una lezione positiva per tutti. Un altro segno non isolato che si può ancora credere nel nostro territorio e scommettere su questo Paese». E ha aggiunto: «Fare impresa in Italia, ce lo ricordano puntualmente tutte le classifiche internazionali, è operazione al limite del temerario. La burocrazia spegne ogni entusiasmo, la giustizia civile è un terno al lotto, il peso del fisco è schiacciante, i giovani con buone idee ma con pochi quattrini o relazioni che “contano” guardano altrove, delusi. La penuria di credito completa il quadro».
In effetti, nell’«Index of Economic Freedom 2012» stilato dall’Heritage Foundation (think tank di Washington), l’Italia si piazza al 92esimo posto, preceduta da Azerbaijan e seguita dall’Honduras, paese dove quattro anni fa c’è stato un colpo di stato militare. Inoltre, stando a uno studio effettuato dal Cerved e pubblicato pochi giorni fa, i primi tre mesi del 2012 hanno registrato un aumento dei fallimenti in tutta la Penisola, ad eccezione di Veneto (-12,3% rispetto allo stesso periodo del 2011) ed Emilia Romagna (-12,2%). Ma queste due regioni sono «zone manifatturiere che hanno già pagato il prezzo della crisi negli anni passati». A completare il quadro c’è anche il profondo pessimismo – raccolto dalla Fondazione Nordest in un paper di marzo 2012 – di soggetti appartenenti al mondo economico e imprenditoriale locale: il 65,8% dei giudizi di quest’ultimi ritiene che l’economia nordestina sia «in netta caduta» o «in leggera flessione»; mentre sull’economia italiana i giudizi negativi arrivano fino all’82,7%.
Insomma, costituire un’impresa è diventato per forza un atto di eroismo? «Abbiamo avuto anche una grandissima fortuna», risponde Stangalini all’interno del capannone, il rumore degli impianti di lavorazione a sovrastare la sua voce. «Non è una questione di eroismo, è comunque una questione di cercare di darsi una smossa, perché non ti arriverà mai niente da nessuno. Devi arrangiarti. La situazione oggi è quella che è. In più abbiamo uno Stato che...francamente mi interesso molto poco di politica, ma a sentire certe cose ti viene anche il voltastomaco».
Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/stangalini-azienda-eroe#ixzz1udt93cuk
e ora il video di
che capita proprio a fagiolo sia sul mio post precedente ( vedere url ) sia con questa storia . Infatti Tratta di un operaio precario, Luigi delle Bicocche appunto, che, nonostante le varie difficoltà che incontra (tra cui la tentazione di giocare al videopoker e di chiedere prestiti agli usurai) riesce a mandare avanti una famiglia, che secondo il rapper è una cosa eroica nei nostri giorni.Questo è anche il primo brano di Caparezza a far parte della colonna sonora di un film, ovvero il film del 2009 Fuga dal call center di Federico Rizzo. Nel - secondo la voce omonima di wikipedia della canzone di cui ritrovate sopra il video -- Nel videoclip Caparezza rappresenta, usando una metafora, la vita difficile degli operai e dei lavoratori sottopagati attraverso un cappio al collo che non si stacca, facendoli soffrire ma allo stesso tempo senza dare il colpo di grazia. Solo a fine video il protagonista si libera del cappio. Durante il video vengono anche inscenati alcuni "eroi" vestiti con costumi di cartone.Il video è stato girato nelle Dune di Piscinas (Arbus), in Sardegna. Sono infatti riconoscibilissimi alcuni dettagli come le alte dune di sabbia e il rio Piscinas, meglio conosciuto come "fiume Rosso" a causa del colore rossastro dell'acqua per via dei residui minerari disciolti
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