Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
8.10.24
CUORE DI GRAFITE di angela melis .
28.9.23
FACEBOOK... di margherita todesco
1.9.18
dalla reazione alla Reazione
occhio ai passi indietro ed a non guardare troppo al passato
7.7.17
L'elzeviro del filosofo impertinente
28.5.16
come viaggiare senza abusare del cellulare , tablet ,ecc
- http://www.homemademamma.com/2011/07/18/consigli-trucchi-e-passatempi-per-viaggiare-in-traghetto-con-i-bambini/
In un mondo sempre più dipendente , da cui nessun sottoscritto compreso ed immune , dalle tecnologie in particolare Tablet e cellulari ecco come sono riuscito a non usare in internet ed il cellulare ed a farmi spennare visto che sulle navi sia la connessione con wifi che senza era a pagamento .
Oltre a farmi i conti su quanto avrei speso oltre la mia offerta internet ho usato i vecchi metodi pre rivoluzione digitale che valgono oltre che durante un viaggio in nave ( mio caso ) anche con altri mezzi pubblici .
Se il viaggio è di notte consiglio di dormire, se hai la cabina è meglio ! se la nave parte prima delle 22 si può prima di prendere sonno 1) leggere , se qualcuno\a di voi legge ancora, in ebook oin cartaceo un buon ( ovviamente il concetto di buono come di brutto è soggettivo ) magari un libro sulla cultura e i luoghi itinerari della sardegna se vieni dalla pensisola o o su quella zona se fai il per corso inverso . 2) sdraiarsi in cabina o in poltrona ed iniziare a fantasticare e a pensare sul futuro o cosa avreste fatto in un altra vita , insomma le seghe mentali a volte aiutano . 3) nelle sere di primavera \estate vai un pò fuori a guardare il mare che rimane sempre lo spettacolo più bello ! e facilità la fantasia ed i viaggi mentali .4) oppure per chi vuole esercitare la mente , ottimo per prevenire l'Alzheimer ed invecchiamento precoce del cervello cruciverba, gioca a carte ( possibilmente quelle vere non quelle su pc ) anche facendo solitari . 5) guardare si è, amanti del trash e cronaca nera in quanto i canali della nave sono generalmente posizionati su tali trasmissioni o meno che tu in abbia
C'è da aggiungere che la noia durante il viaggio è una cosa che accomuna tutti i passeggeri, quindi troverai tutti ben propensi a scambiare quattro chiacchierare!!!
7.10.13
All'inseguimento di un sogno: la chitarra è meglio di una laurea .o un cantante conta più d' un laureato ? la storia di roberto Palamas
(....) Mio padre in fondo aveva anche ragione a dir che la pensione è davvero importante,
mia madre non aveva poi sbagliato a dir che un laureato conta più d' un cantante: (...)
continua su angolotesti.it :
mi è venuta la domanda elucubratoria : visto che secondo Palmas la chitarra è meglio di una laurea non è che rispetto a Guccini un laureato conta più d' un cantante, i tempi stando cambiando adesso sono gli artisti più importanti dei laureati ? a voi la risposta
All'inseguimento di un sogno: la chitarra è meglio di una laurea
di GIORGIO PISANO
Da http://robertopalmas.bandcamp.com/
I have a dream. Ora, non è che Roberto Palmas l'abbia pensata proprio così, proprio proprio con queste parole. Ma un sogno, grande e irraggiungibile, l'aveva pure lui. Credeva, o forse sperava, che con l'andare degli anni lo avrebbe lasciato in pace, che insomma sarebbe finito in un cassetto dove - come tutti sanno - dorme sotto un filo di polvere l'archivio dei sogni perduti.Il guaio è che non ce l'ha fatta. Ed è felice di poterlo raccontare. A un certo punto della vita (moglie e figlio inclusi), mentre era ormai sulla rotta di un futuro programmato e programmabile, ha buttato alle ortiche la laurea e il lavoro. Addio stipendio, e ancora di più, addio dottore. S'è liberato del macchinone che uno come lui doveva necessariamente avere e ha fatto un salto lungo, lunghissimo, infinito.È diventato chitarrista. A tempo pieno. «Era quello che volevo». Cinquantasei anni, cagliaritano, figlio di un medico condotto che per hobby pizzicava il mandolino, ha iniziato da ragazzino o quasi. A essere precisi, bisogna dire che giocava in casa: familiari a parte, suonavano molti suoi parenti, quindi è cresciuto in un'atmosfera dove il virus della musica era endemico. Ammalarsi è stato un attimo.Ha fatto parte di gruppi storici della scena musicale alla fine degli anni Settanta per proseguire poi la carriera da solista e affinare qualità che aspettavano soltanto di venire allo scoperto. Tour nei circuiti importanti e, a seguire, la decisione di non fare più anticamera, come tanti suoi colleghi. «Non riesco a stare dentro certi meccanismi di potere». Sta cercando di dire che gli artigli della politica sono calati da tempo sul mondo musicale e tutto questo, se stai cercando invece «rispetto, dignità, condivisione» fa venire l'orticaria. Con le conseguenze del caso.Ha un senso lanciarsi nel buio per inseguire un sogno? Roberto Palmas lo ha fatto in scienza e coscienza (come pontificherebbe un avvocato), immaginando a cosa sarebbe andato incontro, considerando probabili difficoltà e imprevisti. A distanza di tempo può affermare con orgoglio d'aver vinto la sua battaglia, quella che gli fa dire durante l'intervista che non voleva morire pedagogo. Non riusciva a vestire i panni di uno dei tanti operatori socio-assistenziali, vivere un lavoro che non sentiva suo, governare un'esistenza che gli sembrava quella di un altro.Oggi è pronto a certificare che i sogni «possono anche non avverarsi, l'importante è non imprigionarli. Anche perché, se sono sogni veri, non ti danno tregua». E alla fine scoppiano, ti esplodono dentro come una bomba. Un attimo prima che la miccia a lenta combustione finisse, lui è riuscito a gridare basta.
Primo approccio con la chitarra.
«Autodidatta. Avevo sedici anni. Mio cugino, che aveva una certa esperienza, mi ha insegnato a scoprirla sugli accordi di Fabrizio De André e Bob Dylan, che per lui era una fede più che un poeta in carne e ossa».
L'esordio di fronte al pubblico?
«Sempre da giovanissimo. Sono tra i fondatori di un gruppo che si chiamava Suonofficina. Con loro ho fatto cose importanti, per esempio un disco alla Fonit-Cetra. Era il 1976. L'esordio vero e proprio è legato all'Arci, braccio culturale del Partito comunista, che mi ha invitato a prendere parte ad un concerto. Tengo molto a dire che, nonostante le richieste, non ho mai voluto aderire a niente: io ho un nome, cognome e codice fiscale. E qui mi fermo».
Sta parlando delle Feste dell'Unità?
«Esatto. Non avevo neppure vent'anni. Mi manca un ricordo nitido. Di sicuro non ero emozionato».
E neppure autoreferenziale.
«Non mi piace parlarmi addosso. Il mio album della memoria è simile a tanti altri fino a quando non ci si è messo di mezzo il lavoro, cioè una di quelle sterzate che - piaccia o no - ti fanno cambiare vita».
Cosa significa suonare?
«Per me è un ansiolitico. Mi basta sfiorare la chitarra, qui in casa mia, per sentirmi più sereno. Sarà anche banale, ma per me suonare significa trasmettere agli altri qualcosa che ho dentro. Non potrei fare a meno della chitarra».
Che lavori ha fatto prima dello strappo?
«Ho insegnato per un po': tutti promossi... poi ho iniziato con la Pedagogia e quindi ho attraversato, una dopo l'altra, le strutture socio-sanitarie della Sardegna. Fino all'Aias, che credo sia piuttosto nota. Per ragioni rimaste misteriose fino a quando lavoravo sottopagato ero semplicemente signor Palmas. Dottori erano i miei colleghi, pedagoghi come me ma stabilizzati. Per gli altri sono diventato dottore anch'io soltanto più tardi. Dottore, s'intende poi, per modo di dire».
Perché per modo di dire?
«Perché non eravamo medici, che sono considerati dottori veri. Diciamo che noi eravamo la serie B. In compenso mi affidavano corsi di chitarra acustica che gestivo molto volentieri».
Tra queste esperienze qual è stata la più frustrante?
«Quella da pedagogo. Avevo chiesto di poter lavorare con la musica. Non quella che viene oggi chiamata musicoterapia, mi riferivo alla musica in generale. Mi è stato risposto no, senza uno straccio di spiegazione. Ne ho sofferto, soprattutto per questo: ero e resto convinto che avrei potuto recuperare qualche paziente. I Down in particolare, che spesso sono estremamente sensibili nei confronti della musica».
Così matura l'idea della fuga. Quanto ci ha pensato?
«Prima di mollare tutto credo d'aver valutato pro e contro. Ancora oggi però, quando mi capita di parlarne con gli amici, resto appeso a due aggettivi: incosciente e coraggioso. Sul serio, non ho ancora deciso se sono stato l'uno o l'altro o tutt'e due contemporaneamente».
D'accordo ma quanto ci ha pensato prima di rompere?
«Non moltissimo. A spingermi era qualcosa che non riuscivo ad accantonare: una passione segreta a fronte di un lavoro che non mi trascinava, non mi dava neppure tanti soldi e che, in ogni caso, consapevolmente o inconsapevolmente, desideravo rimuovere. Di una cosa ero sicuro: non volevo morire pedagogo. Devo dire anzi che all'Aias mi sono trattenuto molto, molto più del necessario».
Come mai?
«Ci promettevano, non soltanto a me ovviamente, soldi in più. Ci parlavano di stipendi futuribili, prodigiosi o quasi. E questo, ognuno ha le sue debolezze, mi ha fermato ogni volta che volevo spiccare il volo verso altri lidi».
Prima di dire basta, ha sondato gli umori in famiglia e tra gli amici?
«Naturalmente. Mio figlio era troppo piccolo per poter partecipare al dibattito. Gli altri, a cominciare da mia moglie, finivano per darmi ragione. Un secondo prima della fuga, ho lavorato anche al centro-giovani di Elmas da dove mi sono licenziato per incompatibilità col pedagogo-capo: avevamo visioni diametralmente opposte sul significato di assistenza».
Nessuno le ha detto che era matto?
«Che ero matto me lo dicevano più o meno tutti. Magari non in modo esplicito, però certi sguardi spiegano meglio delle parole. Ma poi devo confessare che i miei erano sondaggi un po' ipocriti: mentre chiedevo consigli agli amici, stavo già registrando il mio primo cd da solista. Questo vuol dire che, opinioni degli altri a parte, avevo preso da tempo la decisione finale».
Esiste una depressione da musica?
«Senz'altro. Mi imbarazza definirmi compositore, compositore per me è Mozart, tuttavia debbo dire che ci sono fasi in cui manca l'ispirazione. Non parlerei comunque di depressione vera e propria, anche perché è in quei momenti che qualche volta nasce un disco eccezionale. Da un po' preferisco in ogni caso suonare in pubblico e basta. Ho scelto di stare in un circuito molto speciale».
Ovvero?
«L'ambiente musicale è fatto di niente e di moltissimo. Io ho deciso di stare in una sorta di sottobosco, di piazza parallela a quella dei grandi circuiti. Ne sono felice perché mi ha permesso di conoscere un mondo pieno di dignità, rispetto e condivisione».
Per chi e come?
«Difficile da dire. Giorgio Gaber, riferendosi a certe idee, cantava che le aveva in testa ma non ancora nella pelle. Per dire che tutto questo fa parte del cammino iniziato molto tempo fa. Ho scelto un altro modo di vivere, tutto qui. E in quel solco mi muovo».
Com'è cambiata la sua vita?
«Mi sento più normale rispetto a me stesso. E non è poco. Prima dovevo stare a certe regole, ora non più. Per un certo periodo ho fatto anche il mercenario. Che, nel mondo musicale, significa saltare da una band all'altra: libero professionista, pagamento in contanti».
Poco dignitoso?
«No, però non facevo parte di nessun gruppo. È stato durante quella stagione che ho prodotto tre dischi. Uno è arrivato alla terza ristampa, ne sono molto soddisfatto. Nel 2010 dal Piemonte mi hanno invitato ad un festival internazionale per chitarra acustica. M'hanno scritto loro, non mi sono proposto».
Cambia qualcosa?
«Sì, molto. Vuol dire che non stai sgomitando, non stai cercando santi in paradiso per fare il prezzemolo più o meno dappertutto. Di quella splendida occasione ricordo uno strano particolare, qualcosa che nella mia Sardegna non sarebbe mai potuto accadere».
Che è successo?
«Tanto per cominciare mi hanno offerto aereo, albergo e altre spese. Dopodiché mi hanno pagato in anticipo pure il concerto. Ma a colpirmi è stato il fatto che nessuno mi ha chiesto cd in omaggio. Li hanno venduti tutti. E pure quelli m'hanno pagato».
Dove sta l'eccezionalità?
«In Sardegna è un atto dovuto regalare i tuoi cd agli assessori che hanno organizzato il concerto. Manco te lo chiedono, devi essere tu a fargliene dono subito dopo le presentazioni e dire pure che ti senti onorato».
Vendere a casa propria è facile?
«Per niente se non sei legato a un carro. Ma sono contento così. D'altra parte ho potuto togliermi grandi soddisfazioni: per esempio, fare l'artista di strada. Mi incuriosiva. L'ho fatto a Parigi (e ne ho ricavato un bel po' di quattrini), l'ho fatto a Pula (e stavo a testa bassa per timore che qualcuno potesse riconoscermi)».
Non è capitato?
«Sì, proprio a Pula. Un amico. Ma anziché regalarmi un po' di pietà a buon mercato, ha preferito farmi i complimenti. E quando gli ho detto che sotto sotto mi vergognavo... e di cosa?, mi ha chiesto: stai spiegando ai sardi che anche questa è cultura».
Di musica si vive?
«Direi di sì. Certo, ci sono alti e bassi, momenti più o meno felici. Ma questo è un problema secondario, comunque ci sto provando. Resistere non è poi una gran fatica: ho un'auto di seconda mano che tento di tenere in vita, abolita la tivù e altre cosucce assolutamente inutili. Nel frattempo tiro avanti come voglio io: sono il cittadino Roberto Palmas e nient'altro, appartengo solo a me. Felice d'una malattia adolescenziale che mi perseguita ancora adesso: sono e resto un fan. Sindrome di Peter Pan, si dice?»
Dica la verità, tornerebbe all'Aias.
«Neppure per un minuto. Vivere con la musica e per la musica mi rende felice. Sa cos'è la felicità? Io l'ho incrociata tante volte. Dura un istante ma è indimenticabile. Ricordo un concerto magico, una serata che - vai a scoprire perché - tutto ha girato a meraviglia. Alla fine, siamo scesi dal palco ad abbracciare il pubblico. Meraviglioso».
Ha ragione Edoardo Bennato a dire che senza padrini non si suona?
«Purtroppo sì. È il senso della politica per la musica».
pisano@unionesarda.it
Da http://robertopalmas.bandcamp.com/ |
10.9.13
Notte di fine estate
23.12.09
Senza titolo 1720
28.9.09
CONTINUA...
aiutatemi...
8.9.09
3.9.09
RABBIA GIOVANE
RABBIA GIOVANE da blog http://www.diteloame.splinder.com di rossella drudi.
muovono come fronde al vento, nei fragili germogli sterili allo sbocciar d'idee ...
narcolessi di coscienze sotto spirito...
Sentimenti in scatola, emozioni da discount ...
Palpiti di cuore, battiti di ciglia stipate al buio delle cantine murate,
vuote, e replicanti ... Chiusi nell'io imperativo, ingannati
dal nuovo riflettente illusioni, nuotano nel sè dell'egoismo narciso, affogando l'un l'altro ... piccoli tenui vagiti del noi ...
Ancora una volta sordi alle risa cristalline dell'insieme, ciechi ai bagliori del futuro, muti nell'oceano del confrontarsi, sempre più nero e in secca, vinti nei deserti di rabbia, ove l'eco dell'incertezza, alimenta panico nella paura del dover soffrire poi, nel dolore dell'abbandono, fine di un amore o sconfitta ... Chiudono la vita fuori dai recenti sicuri, rinunciando ad essere per non darsi... Sperando in un domani che non è in vendita, nè plasmabile, nei ricordi appena passati e mai defunti, di una spenzieratezza eterna, mai reale,
meglio non darsi, continuando a fingere di esistere, facendosi schiacciare da chi ha interesse che sia così ...
Rossella Drudi.
7.3.09
Luca aveva 33 anni... ed era gay è non è stato cantato a San remo
Ora che le polemiche suscitate dalla canzone ( musicalmente è buona , soprattutto perchè ha avuto buon gioco di farsi accompagnare da una , da quell poco che da profano ne capisco , bellissima voce femminile ) di povia Luca era gay il cui testo : secondo l'autrice di eka.iobloggo.com/ : << (...) Secondo me c'è poco da dire/da lamentare: fa cagare, e non solo per il tema decisamente opinabile, poco e mal argomentato ( che si studi Freud, prima di citarlo in maniera errata) ed alquanto idiota (tizio era gay, adesso sta con lei...), sapientemente studiato per provocare tutto il marasma che si è portato dietro -per non parlare di Luxuria sempre in televisione, (....) Fa cagare, punto. >> ( qui il resto dell'articolo in questione ) , sono mature per parlare " pacamente " ( per parafrasare un noto politiko italiano che ha capito dopo varie batoste di farsi da parte ) di tali argomenti e proporre , vedi titolo , la storia di un 'altro Luca .
L'occasione viene da un post riportato Dall'altro nostro ( per chi ha anche blogger come blog principale e solo l'account in splinder ) blog riporto qui l'url per chi non lo ricordasse o non lo conoscesse ancora www.ulisse-compagnidistrada.blogspot.com pubblico questa toccante storia riportata dalla cdv ( sia in splinder sia in blogger ) daniela tuscano .
<<
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Povia afferma che il "suo" Luca ex gay in realtà porta un altro nome, ora ha 58 anni, è sposato, ha una figlia e ha finalmente raggiunto felicità e benessere interiore.
Io invece voglio raccontarti d'un altro Luca. Che si chiamava proprio così, e la cui storia è un po' diversa da quella cantata a Sanremo.
Luca aveva 33 anni quando ci ha lasciati! Ma la sua energia è ancora dentro tutti coloro che l'hanno conosciuto. Come a me e a Matteo.
Ci trovammo in un piccolo salotto molto accogliente, con un gran divano che prendeva tutta la parete e dava di fronte alle finestre spalancate su un piccolo giardino molto ben curato. In un angolo, su una sedia a dondolo c'era un ragazzo molto giovane, con una sigaretta tra le dita, molto magro e pallido. Ci disse buonasera e io e Matteo ci guardammo un po' stupiti. Si presentò dicendo di chiamarsi Luca e che era lui il bisognoso di assistenza perché malato di Aids; se questo ci avesse creato problema, lui avrebbe capito e richiesto altre persone. Io, superato il primo momento d'imbarazzo, mi avvicinai e mi presentai e gli dissi che per quanto mi riguardavanon ci sarebbero stati problemi. Non ci furono neanche per Matteo. Così cominciò la nostra avventura con Luca. Cominciammo ad andare due volte, che poi diventarono tre, poi quattro, e tutte le domeniche sere restavamo a cena con lui. Divenne la nostra vita. E noi la sua. Non passava momento libero che non fossimo con Luca. Aveva lasciato i genitori a 20 anni per andarea vivere da solo con il suo compagno, ma tutto in gran segreto, perché i genitori rifiutavano totalmente l'idea di avere un figlio gay. Quando andavano a trovarlo, doveva cacciare di casa il compagno perché, se lo avessero visto in compagnia di un uomo, da solo in casa, sarebbe successo il finimondo.
Quando ha cominciato a stare molto male si è rivolto alla nostra associazione per chiedere se poteva avere assistenza domiciliare. Così siamo entrati in gioco noi. Tra noi era nato un legame fortissimo, un'amicizia senza limiti. Matteo aveva due videoregistratori e ne portò uno a casa di Luca. Io ho circa 500 film, ogni volta gli facevamo scegliere tra generi diversi. Nei periodi in cui stava meglio e aveva voglia di uscire, lo portavamo al cinema, sua grande passione, in giro per la Toscana. Poi cucinavamo di tutto facendo un gran casino, e lui rideva come un matto.
Per l'unico Natale passato insieme, gli comprammo l'albero e anche il regalo. L'albero non lo aveva più fatto da quando era mancato il suo compagno. Trascorremmo insieme anche l'ultimo dell'anno. Anche di sesso parlavamo. Tra noi erano caduti tutti i muri. Eravamo diventati una famiglia. Ma cosa importante, eravamo riusciti a farlo sorridere di nuovo.
Poi venne aprile. Quella sera, quando arrivammo noi, lo trovammo a letto. Non riusciva neanche a parlare. Trovai il numero di telefono del medico e lo chiamai subito. Mi disse che si trattava d'una nuova crisi, di dargli quelle medicine di sempre e che, se Dio avesse voluto, si sarebberipreso. Non si riprese più. Quella notte noi rimanemmo lì. Io nel letto con lui, Matteo sul divano. Nella notte ci lasciò. Svegliai Matteo per avvisarlo. Lui chiamò il medico, che accorse subito. Poi di nuovo facemmo il nostro lavoro. Lavammo Luca, lo vestimmo e aspettammo che l'ambulanza lo portasse via. Solo quando si udì la sirena, quelli del primo piano chiesero cosa fosse successo. Per mia fortuna non avevo voglia di parlare, se no non so se sarei riuscito a controllarmi. Neanche Matteo rispose.
Dopo che l'ambulanza si fu allontanata, io e Matteo ci guardammo negli occhi gonfi per il pianto e per la notte insonne. E in quella, Matteo fece un gesto che, lì per lì, mi sorprese: in quel momento, nel giardino, davanti a quegli occhi curiosi e indifferenti, mi baciò. Matteo è eterosessuale e solo più tardi capii che quel bacio era per Luca, per provocazione a quella gente che per quei 7 mesi che noi eravamo stati lì, non si era mai presentata a chiedere se avesse bisogno di qualcosa.
Questa storia ci ha lasciato una grande ferita, che ha portato me e Matteo a non vederci quasi più. Io non faccio volontariato da quasi due anni. Matteo lo sento ogni tanto per telefono. Ci incontriamo il giorno del compleanno di Luca per andare insieme a messa. Non essendo parenti, non abbiamo saputo neanche dov'è sepolto, anche se forse dentro di noi, in realtà non lo vogliamo sapere.Preferiamo ricordarlo nella nostra intimità. Per Matteo è stata la prima esperienza con una persona sofferente che poi è morta. Per me, invece, la seconda. Il 2 gennaio del 1991 ho perso mia madre per leucemia.
Daniele Bausi
>>
Dovrei concludere qui ., ma datro che ci sono ne approfitto per rispondere alla grilo a chi mi scrive ( nell'email riportasta sotto i post , o a quella di splinder ) o mi sms chiedendomi e scrivendomi :
1) visto che parlate di gay , lesbiche , siete per caso gay o lesbiche ?
2) il vostro sito è una comunità omosessuale ?
3) se sei etero perchè ....... ti schieri con quella feccia e malati ed esibizionisti bvedi le loor pagliacciate di gay pride e adesso lesbo pride ? che voglionoisposarsi ed adottare bambini non c'è più religione , roivinano la famigflia , ecc
4) e altri commenti neofascisti e razzistici che mi viene il disgusto solo a ripeterlli e a riportarli .
Lo sò che dovrei fare come dante non curarti di loro , ma certe cose mi fanno vergognare oltre che ( come mi è sucesso quando ho visto il film Philadelphia del 1993, diretto da Jonathan Demme con Tom Hanks) piangere nel vedere che un uomo o una donna nel 21 secolo sia discriminagto per le sue scelte sessuali .
Ecco le mie risposte .
1) qui parlo per me , gli altri non sò se vogliono possono replicare nei commenti , non lo sono . E se poi lo fossi vi cambierebbe qualcosa ?
2 ) ma prima d'aprire quella cloaca di boccca ti sei accorto d'aver collegato bocca con il cervello ? l E’ stato anche dimostrato che una quota significativa di individui eterosessuali può manifestare dei comportamenti omosessuali in circostanze in cui l’accesso all’altro sesso è impedito o reso impossibile per le più varie ragioni (scuole, servizio militare, carceri, etc.).
E’ anche importante fare una istinzione tra l’orientamento sessuale omosessuale (il fatto cioè di avere preferenza esclusiva per una sessualità di tipo omosessuale) ed il comportamento omosessuale. Il comportamento omosessuale è infatti piuttosto comune nell’adolescenza, mentre la prevalenza dell’orientamento sessuale omosessuale nell’adulto è di circa il 7% nei maschi e di circa il 4% nelle femmine (anche se si ritiene che questi dati siano stimati per difetto).
In tutti i paesi europei l’omosessualità è considerata un comportamento assolutamente legale purché venga messa in atto da individui considerati in grado di intendere e di volere e consenzienti.
E per finire l’omosessualità è scomparsa da diversi anni anche dai manuali psichiatrici non essendo più considerata una malattia psichiatrica.Infatti già da ( trovate la copertina sotto di un suo libro ) Alfred Adler(1870 –1937) psichiatra e psicoanalista austriaco .L’omosessualità non è una malattia". Infatti egli : << (...) . Nella fase dello sviluppo, il bambino affronta problemi e situazioni creando stratagemmi che ricava dalla propria esperienza e dal confronto con quelle degli altri, soluzioni che adotta come schemi del suo comportamento, ai quali si conformeranno da allora le sue risposte. Le ricerche della psicologia individuale hanno inoltre dimostrato che un bambino sarà tanto più perverso quanto più sarà accresciuto in lui il senso di inferiorità. Naturalmente sotto questa chiave anche l'educazione assume un senso di primaria importanza: un padre-tiranno, che offusca la personalità espressiva del figlio, può essere causa dell'insicurezza dello stesso, creando un grave senso di inferiorità, ed egli si oppone all'autorità del padre in modo nascosto, acquisendo le doti tipiche del perverso. Stessa cosa accade se la madre é forte e possessiva: il bambino avrà, un domani, un forte senso di scoraggiamento e quindi di repulsione verso la donna. La fuoriuscita dallo schema tradizionale fa sì che l'omosessuale sia scarsamente adattabile alla vita sociale, dove infatti egli è condannato ad essere considerato immorale. E' molto complicato curare l'individuo omosessuale perché si tratta di una nevrosi individuale costituita in età giovanile: é necessario estirparne l'omosessualità acquisita nell'infanzia, quindi rilevare in modo preciso la distanza dal partner sessuale, evidenziare l'aspetto dell'antisocialità ed infine sciogliere il senso di superiorità adottato per compensazione. L'omosessualità, come si diceva, é un fattore di educazione dell'infanzia. La vasta diffusione di questo fenomeno, normale nei tempi antichi come tutt'oggi in ogni classe sociale, fa ad Adler dedurre che l'omosessualità sia una perversione non curabile.>> ( tratto dalla sua biografia su filosofico.net ) Può sembrare assurdo doverlo ripetere nel 2006 ma l’Associazione Americana di Psicologia è stata costretta, nel corso di una settimana di convegni appositamente organizzati a New Orléans, a ribadire le posizioni stabilite ufficialmente nel lontano 1975.“L’omosessualità non è una scelta ma una condizione naturale, dunque non vi si può guarire” ha affermato l’Associazione degli Psicologi di fronte alle pressioni dei movimenti cosiddetti “ex-gay” come Exodus, secondo cui sarebbe possibile guarire dall’omosessualità abbracciando la fede religiosa. “Chi afferma il contrario - puntualizzano gli organizzatori - fa riferimento a pratiche religiose e non scientifiche, sul cui reale funzionamento non esistono prove scientifiche e che anzi possono essere fonte di discriminazione sociale.”Al convegno scientifico hanno trovato spazio anche associazioni come “Truth Wins Out”, che è da tempo impegnata nel portare alla luce le truffe e i raggiri che spesso stanno dietro ai presunti guaritori dal 'male' dell’omosessualita'.
3) solo perchè ...... con l'ano e con la bocca non sono diversi da noi . Non sono malati e tutti esisbizionisti , esperienza personale ( ne ho conosciuto e alcuni li frequento tutt'ora ed altri non faccio nomi per privacy e perchè essere homosex oggi viene considerato oggi un tabù e non mi và ed0'essere coresponsabile d'averlo messo alla pubblica gogna , scrivono quoi da noi ) .
Io ho forti dubbi sull'adozione dei bambini a coppie gay e Lesbiche e non mi piace il matrimonio omosessuiale meglio un pacs o il solo matrimonio laico in comune ) . i gay pride sarebbero delle carnevalate ( pagliacciate non mi piace come termine ) se non ci fosse una cultura ( sia a destra , sopratu tto per esperienza personaloe e per qule che vedo e sento , sia a sinistra e ila storia di P.P.Pasolini lo dimostra ) Poi condivido in parte ( pnon mi dilungo , poer non annoiarci , ma sopratutto perchè chi mi legge sa cosa condivido d''esspo , cmq se volete sui può approfondire nei commenti o in privato ) quello che ha detto nel discorso di parlamentare di cui riporto sotto la prima parte Carmen Montón, ministro del governo zapatero ( ha lo stesso ruolo di mara Carfagna ) che ha collaborato alla stesura della legge per il riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso. É corrispondente alla "nostra" Mara Carfagna. durante l'iter legisloativo della legge di Zapatero suoi matrimoni omosex
trovate buzzintercultura.blogspot.com/ più precisamente qui se non avete voglia di cercare nel suo archivio .
con questo è tutto alla prossima
17.2.09
Senza titolo 1277
Queste storie non sono vere, giornali e tv non ne parlano
e anche su internet non si trova quasi niente.
Il grande fratello- quello vero -decide che è solo una favola
bella o brutta non importa che illude e c'illude
che questi bambini sono solo comparse di un film senza distribuzione
e tu la mia regina
non ero entrato in niente
e niente era entrato in me
sognavo io e te nel mondo bianco splendente
poi sei arrivata tu
vita
madre natura
hai fatto del tuo meglio per farmi nel sole andare
nel mondo bianco e rosso -hai detto -
non ci potevo stare
un sole cosi' forte senza protezione
che neri, neri ci ha fatto diventare
Cos' è questo mondo selvaggio
non è cosi' che l'avevo sognato
sì, in qualche modo me ne andrò in giro
quaranta kilometri al giorno per prendere l'acqua
e a questo che serve la mia vita?
solo bambini come carne da macello?
organi da trapiantare?
un Kalaskinov in mano a quattro anni
è per questo che mi hanno messo al mondo?
un Africano sono io
uno nato nero per tua fortuna non sarai mai
ma mentre vivevo e respiravo
mi hai sussurato non c'è più niente da mangiare
mi sono perso e questa terra non ha più un nome
con dittatori che ci fanno morire di fame
sei morta mamma che mi tenevi vivo
chi sono io che sono arrivato fino a qui?
in questo accampamento trattato come un animale
mentre io sognavo di vivere e girare il mondo
in silenzio tu con tanti nomi mi hai ucciso
ma non ti perdono anche se non serve a niente
cuori freddi vedono e ascoltano il nostro calvario
-qualcuno dei potenti ci deve pensare-
sei bimbi come me ogni quattro secondi muoiono di fame
e non ha senso ripetere ancora una volta questa storia
non è colpa vostra se noi crepiamo,
**********************************
Nel silenzio mediatico per interessi commerciali e industriali,
nel continente Africano è in corso la prima guerra mondiale Africana,
guerra paragonabile alla seconda guerra mondiale con stermini di intere popolazioni, colpevoli solo di appartenere all'etnia più sfortunata.
Bambini di 10 anni vengono rapiti e con un Kalaskinov in mano vengono messi a guardia degli accampamenti , dalla paura si abituano a non dormire piu'
Bambine di 12 anni rapite e stuprate per non restare in cinta vengono date in pasto alle truppe e mandate a rifornire le truppe attraversando campi minati.
LETTURE
VIAGGIO ALLE RADICI DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE AFRICANA 17/11/04Jean Léonard Touadi (giornalista congolese ) |
Mercoledi' 17 Novembre 2004
“Da otto anni(ora 12 anni) (1996-2004), nella Repubblica democratica del Congo (RdC) si sta consumando la prima guerra mondiale africana nel silenzio dei grandi mezzi di comunicazione e nella cinica indifferenza della comunità internazionale”. Queste parole, che vanno dritte al cuore del problema, aprono un libro snello ma accurato e intelligente che, come indica il sottotitolo, punta a spiegare la complessa crisi della regione africana dei Grandi Laghi e i legami di causa-effetto che uniscono i destini di Congo, Ruanda e Burundi. . Touadi permetteì anche al lettore più estraneo di avvicinarsi e approfondire le ragioni di una guerra che non ha mai “bucato lo schermo”. E così, oltre a fare conoscenza con i protagonisti della crisi, dal presidente post-genocidio del Ruanda, Paul Kagame, al successore di Mobutu alla guida dell’ex Zaire, Laurent-Désiré Kabila, e di suo figlio Joseph, l’attuale presidente della RdC, è possibile riportare alla luce le cause della crisi. Che da un lato rimandano indietro al momento dell’indipendenza e alla pessima gestione degli affari congolesi nei successivi trent’anni da parte di Mobutu, mentre dall’altro si legano a nodo doppio al genocidio del Ruanda del 1994. A fare da background e da terreno di cultura delle pretese dei contendenti, la corsa allo sfruttamento delle ricchezze del Congo e i contrapposti interessi di protettori d’eccezione, Francia e Stati Uniti, come spiegano bene le voci “materie prime” e “competizione franco-americana”.
Il quadro che emerge non sembra rassicurante. I paesi della regione si trovano in una fase molto critica e le sfide per il futuro sono tantissime. Il Burundi sta affrontando una difficile transizione. In Ruanda, il tutsi Kagame ha creato un regime autoritario sfruttando a proprio favore la difficile eredità del genocidio. Le regioni orientali del Congo, il Kivu e l’Ituri, sono ancora altamente instabili. C’è da affrontare il problema dei profughi, come anche quello della circolazione di un ingente numero di armi. “Purtroppo – sostiene Touadi – molto dipenderà da come si comporterà la comunità internazionale. Innanzitutto l’Onu, su cui pesano le responsabilità degli errori degli anni Sessanta e che ha preso impegni concreti sia in Burundi che in Congo. Bisognerà vedere se saprà mantenerli in modo coerente. L’altra grande incognita è costituita dal braccio di ferro tra gli interessi anglo-americani e quelli francesi. Non solo nella regione dei Grandi Laghi, ma anche in Angola e altrove. C’è poi la prospettiva interna: Kagame continua a pensare che il Kivu sia lo sbocco naturale del Ruanda, dove la questione demografica è un problema reale. Per risolvere tutti le questioni sul tappeto, a partire dalla sovrappopolazione di Ruanda e Burundi e passando per la gestione dei flussi di profughi, si potrebbe riattivare la comunità economica dei Grandi Laghi. Serve una soluzione globale ai problemi della regione, non è pensabile che ognuno faccia per sé, pestando i piedi al vicino. Questo può scatenare solo altre tensioni.”Il Congo presenta un punto di forza. È la sua società civile, una delle più vitali del continente, che ha un ruolo importante nella pacificazione del paese. “Durante gli ultimi anni di Mobutu lo stato era praticamente inesistente – ricorda Touadi. Questo ha scatenato la spontanea reazione della popolazione, che doveva trovare degli strumenti per la sopravvivenza, soprattutto economica. . Una società che si potrebbe definire “dell’indisciplina”, che si sta sviluppando anche in altri paesi martoriati, come Liberia e Sierra Leone: nel caos politico ed economico si assume l’indisciplina come struttura alla vita civile, ottimizzando l’anarchia. Può sembrare un paradosso, ma è un paradigma che può funzionare. “E aiuta a riscoprire i saperi basici dell’Africa – aggiunge Touadi.
Recensione di Irene Panozzo
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