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23.12.20

Morte pasoliniana di Pier Paolo Pasolini di Matteo Tassinari

 Mi  scuso  con l'interessato   per  il ritardo con  cui  pubblico il suo  post . Ma  fra  :  1) lavoro   , 2)  impegni  con  la  classe  per  la  festa  (  faremo solo   quelli religiosi  e non civili causa covid  ) patronale  di    agosto., 3) corvée  domestiche  , 4  )  il  blog    solo ora  trovo il tempo  . Buon lettura  








Un uomo inquieto, in tempesta col mondo
COL VENTO NEI SUOI CAPELLI IN FESTA
Nulla è più  anarchico del potere



La vittima ideale

IL GESU' "VISTO" DA PASOLINI nel film da lui diretto: "Il vangelo secondo Matteo". Una vittima ideale. Solo il volto di Pasolini era un po’ diverso, un volto profondamente segnato, un volto quasi da Cristo, ma un Cristo molto diverso dal terribile Cristo putrefatto di Matias Grünewald o, tanto meno, dal Cristo oleografico dell’iconografia cattolica. Insomma, anch’esso, un Cristo molto normale, un Cristo piccolo borghese. Pasolini non aveva, nei gesti, nel parlare, nel modo di porgersi, nulla della “checca”. Anzi, era piuttosto virile. La scena cambiava ogni qual volta stava in compagnia con sua madre e quest’uomo, l'intellettuale furioso che s'"infantilizzava" per "mendicare" coccole e la mano, in una ricerca d'affetto quasi imbarazzante nella persona da lui più amata. E' difficile immaginarsi un Pasolini, sempre a muso duro, sempre pronto a fare a "cazzotti" verbalmente con chi calpestava verità e giustizia, dare i bacini a sua madre, o tenersi mano nella mano e camminare lungo viali alberati nebbiosi. O forse è semplicissimo, quando hai tanti nemici, a tratti, hai bisogno di tornare bambino e la madre diventa la figura emblematica dell'amore e della tenerezza. Tenerezza.


A MENDICAR TENEREZZE




Adescamento bestiale Pier Paolo Pasolini - Antonello Morsillo


 Profondo  nero




NON SI PUO' TRATTARE, qui, in poche righe, l’opera di Pier Paolo Pasolini. E' possibile invece ricordare una frase che scrisse nel 1962 inserita ne “Le belle bandiere”: "Noi ci troviamo alle origini di quella che sarà la più brutta epoca della storia dell’uomo: l’epoca dell’alienazione individuale e sociale. Questo per un fiorire estremo della tecnologia che sperpera ogni tradizione culturale. La corruzione sarà il male politico da difendersi". Parole dette più di 60 anni fa. Torna il dubbio: la P2 è responsabile o complice, del delitto Pasolini? Pino Pelosi che l'anno scorso dichiarò, com'è scritto sulla prima di copertina di "Profondo Nero". I responsabili della morte di Pasolini erano cinque uomini arrivati sul 
posto all'improvviso, come d'accordo, con una moto e una Fiat targata Catania. Fra loro due habituè dei luoghi di ritrovo di uomini di estrema destra del Tiburtino, Franco e Giuseppe Borsellino. Mentre lo picchiavano, lo pestavano a sangue gridavano: "Sporco comunista! Frocio, ecco quel che ti meriti" e botte fino a sfinirlo, sfigurarlo per poi passarci sopra con la macchina spezzando il tronco corporeo per il peso della macchina. Famose le parole di Pelosi agli atti, quando disse: "Se tu uccidi qualcuno in quel modo, o sei pazzo o hai una motivazione forte. Siccome questi assassini sono riusciti a sfuggire alla giustizia per trent'anni, pazzi non sono certamente. Quindi avevano una ragione, una ragione importante per fare quello che hanno fatto". Uno spettacolo orrido, non volevano solo che morisse Pasolini, ma che soffrisse anche e tanto, quasi una vendetta per tutto quello che aveva reso noto. Pelosi, il borgataro che da ragazzino gli piovve addosso una botta di quelle che non si reggono, è a tutt'oggi impaurito da quei cavalieri della morte 60enni e come, in che maniera, hanno picchiato Pier Paolo Pasolini, anche se non si sa se siano ancora vivi.

Una      storia
sbagliata


Il corpo di Pier Paolo Pasolini
dopo il pestaggio avvenuto
all'Idroscalo di Ostia la notte tra
il 1° ed il 2° novembre
ad opera dei Servizi segreti
dello Stato e mafia

La malvagità è nel non saper
nemmeno che si è malvagi
SE PETROLIO fosse stato pubblicato, Pasolini sarebbe ancora vivo. Come è vero che se Saviano non fosse riuscito a pubblicare in tempo "Gomorra", sarebbe morto come Pasolini. Stava lavorando ad un romanzo, "Petrolio", dove alludeva con fatti precisi e e puntuali all'attentato e morte di Enrico Mattei, all'epoca presidente dell'Eni. Pasolini scriveva che Eugenio Cefis, citato con un nome di fantasia che corrispondeva a "Troio Berda Inquisitorio", era responsabile di troppe illegalità. Intanto, Cefis, diventa Presidente dell'ENI. Cefis è colpevole anche di aver fondato la feccia del pianeta, la Loggia Massonica P2, assieme a Licio Gelli il Venerabile, così lo chiamavano nel linguaggio massonico. Il Governatore della Banca Italia di allora Guido Carli, lo definì un importante esponente della borghesia di Stato (?). Per i soloni spocchiosi giornalisti Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani, le penne saccenti del giornalismo economico-finanziario di Repubblica, penne “orribilis” c'era parecchia carne da mangiare. Cip e Ciop, Scalfari e Turani, hanno scritto un libro su Eugenio Cefis, dove viene presentato come una personalità rappresentante della vera "razza padrona" dell'epoca, quella del club esotico di Enrico Cuccia presidente e amministratore delegato di Banca Italia, gli Agnelli, Confindustria ed i sindacati che ci siano o no, nulla cambia.
Santa Sanctorum, la sede di Banca Italia 
ERANO GLI anni '70 e il mondo sindacale ci diede la opportunità di capire come era vuoto il peso della triade.
Per capire il personaggio Cuccia, basta dire che è stata una delle figure di spicco più importanti della scena economico-finanziaria italiana del XX secolo (60 anni di onorato lavoro ai massimi vertici) senza mai rilasciare una sola intervista. Vi sfido a trovarne un altro. Tornando al nostro all'ideatore e mandante dell'omicidio Pasolini, Eugenio Cefis, era uno che girava il mondo con tre orari diversi. I due spocchiosi cronisti, continuarono osservando che: "l'autenticità e genialità dell'uomo d’affari e su cui l’Italia poteva contare affidandogli incarichi importanti governativi". Avevano capito proprio tutto, il filosofo fallito (Scalfari) e Turani, uno che avrebbe voluto essere Franco Lattanzi, un banchiere anarchico sconosciuto, ma dalla grande capacità di decodificare i flussi economico-finanziari internazionali e soprattutto dalla penna che vibrava quando la prendevi in mano, talmente era bello leggerlo. Alto dirigente del gruppo Unicredit e agitatore della contestazione, per finire in una storia dall'epilogo sull'isola di Ventotene da sceneggiatura noir con una improvvisa caduta dalle scale e rottura dell'osso del collo. “Voleva stare da solo ed era andato nella casa del cognato”, testimonia la moglie. L'ennesimo mistero.

                                                   Giovanni Agnelli con Eugenio Cefis

MA A CAUSA DELLA SUA FUGA dall'Italia, nel '77, il suo posto fu preso da Licio Gelli. Cefis, di Cividiale del Friuli, teorizzava un golpe bianco, senza l'uso dei militari e della violenza, attraverso il controllo dei mezzi di informazione, come descritto in seguito nel "Piano di rinascita democratica" di Gelli. Per Pasolini, l'assassinio Mattei, è il 1° di una ampia carrellata di stragi di Stato di cui Cefis ha preso parte in qualche misura più o meno diretta. Opinione sottolineata da Amintore Fanfani che proprio un ribelle non era e Che Guevara pensava fosse un giocatore oriundo: "forse l'abbattimento dell'aereo di Mattei, più di vent'anni fa, è stato il primo gesto terroristico nel nostro Paese, il primo atto della piaga che ci perseguita." Se il libro "Petrolio" fosse riuscito ad uscire, fosse stato pubblicato, forse Pasolini sarebbe ancora vivo. Pensate a Roberto Saviano. Se non fosse riuscito a pubblicare "Gomorra", ora sarebbe morto da un pezzo. Quando un pezzo, un'inchiesta riesci a pubblicarla, sei quasi a posto, non si sa mai. Perché quello che era un segreto inviolabile, ormai, grazie alle inchieste pubblicate, il più è fatto. Anche se a certi livelli è obbligatorio guardarsi spesso e volentieri alle spalle, perché esiste anche, soprattutto fra i criminali, il senso della vendetta, il fartela pagare facendoti molto male, se non chiuderti la luce per sempre su questa crostone di terra che tutti i giorni calpestiamo. 

Un delitto infinito
Cos'è questo golpe?





Io so

Scritti Corsari
di Pier   Paolo  Pasolini

Corriere della Sera

Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974). Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum". Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista).



OGNI TANTO si avvicinavano dei ragazzi, le classiche "marchette" e scambiavano due chiacchiere in modo molto pulito e Pasolini rinasceva spiritualmente. Era vero amore quello, ve lo dico. Uno di questi lo avrebbe ucciso. Il Pci e tutti i suoi vassalli e vassallieri, nella loro ipocrisia, non hanno mai accettato che Pasolini fosse morto com'é morto. Cioè, loro, che non centravano nulla, volevano decidere i gusti sessuali di Pasolini. Come i genitori coi loro figli: "Fai il bravo a scuola e non far arrabbiare la maestra". Si sa, Colpa e pene sono gemelle, anche perché spesso è l'innocente a portare la pena del reo bastardo. Poi ci vengono a dire che la pena nell'ira non conosce né modo né misura. Come minimo doveva essere stato un complotto dei fascisti, fantasticheria cui diede voce per prima Oriana Fallaci che aveva orecchiato qualcosa dal parrucchiere mentre si faceva i bigodini blu. Non si è mai capito che il fondo
oscuro di Pasolini, era necessariamente l’humus al suo essere artista visionario e, soprattutto, un grande, grandissimo intellettuale. “L'ansia del consumo è un'ansia di obbedienza a un ordine non pronunciato. Ognuno in Italia sente l'ansia, degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell'essere felice, nell'essere libero: perché questo è l'ordine che egli inconsciamente ha ricevuto, e a cui deve obbedire, a patto di sentirsi "diverso". “Mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo periodo di tolleranza. L'uguaglianza non è stata infatti conquistata, ma è una falsa uguaglianza ricevuta in regalo”, scriveva sul Corsera Pier Paolo Pasolini, dagli Scritti corsari. Era il 1974. 
AD OGGI SI SA CHE I responsabili della morte di Pasolini erano cinque uomini arrivati sul posto all'improvviso, mentre Pasolini era in macchina con Pelosi. Come d'accordo, con una moto e una Fiat targata Catania, arrivarono sul posto improvvisamente. Si capiva che volevano 


fargli molto male, non gli bastava dargli una lezione ancorchè estremamente orrenda. Un odio profondo che Pelosi aveva avvertito e confermato ai giudici, per poi ridire tutto quanto due anni fa: "Fu un malvagio adescamento. Io ho le mie responsabilità, le conosco, ero solo un'esca utile ad attirare Paolo per poi farmi da parte. Quelli chissà da quando ci seguivano con la macchina, ma chi pensava che poi alle due di notte sarebbe successo quel che è accaduto? E poi noi due stavamo tranquilli in macchina". E' stato irretito solo come sanno irretire persone spietate, con il dovere di non ucciderlo soltanto, ma farlo soffrire col dolore di mille agonie.


20.7.17

SOLO (In morte di Pino Pelosi) © Daniela Tuscano


Quella pace che non so augurarti. E di cui tu pure hai diritto. Quella pace, parola grande, imprendibile, quella pace oggi forse t'accoglierà. Cerco le tue immagini - non voglio affiancarti al poeta vivo, meglio il monumento - e ti vedo sempre estraneo, mai protagonista.
L'immagine può contenere: 1 persona, in piedi e spazio all'aperto
da  https://www.facebook.com/Pier.Paolo.Pasolini.Eretico.e.Corsaro/

 Non so se incarnassi la mutazione antropologica preconizzata da Pier Paolo. Eri semplicemente capitato lì, come un grande punto interrogativo, vagante e privo di curiosità. Con quelle rughe sbagliate, incapaci di far storia. Ogni tanto perfino sorridi, accanto ai manifesti del poeta. Ed è un sorriso, purtroppo per te, inopportuno e scentrato. Dolente? Semmai, umiliato. Vedo alle tue spalle una notte remota che mi spira ancora addosso, e vorrei tornare a quel novembre del '75, a quel tavolo, alle chiacchiere. Vorrei riavvolgere il nastro e implorare: "Fermatevi!". Oppure no, oppure mi ripeto che non può finire così, che PPP ce la farà comunque, malgrado te, malgrado anche se stesso. Ma è andata diversamente. E bestemmio quei passi, quel tragitto e quelle pietre e le erbe marce e gli avanzi di civiltà industriale vomitati tutti lì, assieme a voi, in quel nero di petrolio, e pretendo mi restituiscano Paolo.
Sono i testimoni di tutte le pesanti disgraziate notti d'Italia. Più eloquenti, nel loro solido silenzio, delle tue mille evocazioni, troppe volte smozzicate e rimangiate.
Eri solo, ostinatamente e forzatamente solo. Anzi, isolato. Anche in questo, cifra del nostro millennio al declino, lo sbriciolarsi degli ideali, degli abbracci, delle relazioni, degli inni e delle bandiere. Dei cori e dei baci. Eri il nostro rischio, la nostra perdizione.
Sì, abbi pace. Hai sepolto con te ogni segreto, ogni verità. L'umana, inesausta domanda s'arresta davanti ai misteri, ma la coscienza individuale può sempre aprirsi al Mistero, supremamente giusto ma immensamente misericordioso.
© Daniela Tuscano

2.6.14

L'AMORE INCOMPIUTO di daniela tuscano







Scorro il silenzio delle vecchie immagini, al Museo del Risorgimento, dedicate a "La Nebbiosa", il film mai girato di Pier Paolo Pasolini su Milano. E, come tanti, mi chiedo: perché non c'è riuscito? Non l'amava? È un luogo comune duro a morire, avverte la guida. Eppure, di quella sceneggiatura, sono rimaste solo pagine sparse. Pagine belle: alcune, magnifiche. Ciò che maggiormente colpisce è il riferimento ossessivo alla luce.
Forse, l'aspetto di Milano più caratteristico. Ma - attenzione - si tratta pur sempre della luce d'una Nebbiosa. Luce avvolta, soffocata, che si fa largo, ed esplode, in violenti bagliori. C'è ghiaccio in quella luce, o forse nemmeno: non vi si trova natura, né umanità. Roma è sempre ritratta d'estate, Milano accoglie il poeta coi suoi inverni, stagioni oggi scomparse, come la nebbia dileguatasi al largo, ostaggio di rade periferie o signora, incontrastata, delle campagne. Eppure, il sole esiste anche a Milano, impigrito e canagliesco, e sa essere duro, umido e repulsivo. È un sole sensuale, di macchia, ma a PPP si nega; infatti, egli vi preferisce la notte. Una notte di cui crede di svelare i segreti. Ma la notte di Milano non è uniforme. Milano è una totalità frastagliata. Non si risolve in una rapina o in uno stupro, non nella marginalità dei teddy boys, non nei fianchi delle magnifiche borghesi cotonate da vezzi di perle (così lontane dal generone romano!), non negli sterri diMetanopoli né nelle coppie attempate del centro, lei dai capelli a fil di ferro, lui prossimo all'infarto. Milano: è tutto questo, ma anche di più. Forse - caso più unico che raro - può essere descritta solo da chi ci vive e la vive. Perché Milano, anche quando coinvolge, sa mantenere le distanze. È ancor nebbiosa, non climaticamente, ma nel cuore. Perciò appare, lei - o lui, in dialetto è maschile - la città più europea d'Italia, e anche la più araba: cosmopolita e velata. Attuffata. Non si concede facilmente nemmeno a un occhio dolce e indagatore. La Milano marginale e periferica aveva già il suo cantore, Giovanni Testori da Novate. E già il suo cattolicesimo: pur'esso, impossibile da ritrarre. Ampio. Roma era il barocco, il Concilio di Trento: quello e null'altro. Ma Milano... Milano era la fabbrica del Duomo, un gotico fiammeggiante e operoso.

 Con quel suo rito mezzo bizantino, Milano era - ed è - Ambrogio, i Borromeo, il Martini innamorato di Gerusalemme. Non Alessandro Farnese. Come la città, come le sue guglie, sale. E si distende. Il cattolicesimo ambrosiano è locale ma non territoriale. Ha vocazione planetaria. Manzoni l'ha rivelato. Solo qui percorri un nastro d'asfalto, fra dirupi di grattacieli senza cielo, e all'angolo vedi una sagoma umana, rattrappita, e sei in Occidente e in Palestina. Anche la miseria è così universale. Quel cattolicesimo invena lo spirito del cittadino, non ne vellica la pagana, mediterranea rassegnazione. La teppa milanese non è la plebe. Milano è la borghesia, l'unica esistente in Italia. Pier Paolo, che la odiava, non poteva prescinderne; la ritrovava ovunque. A bloccargli sguardo e cuore. Milano, a differenza di Roma, non era mai stata un grosso mercato. Nelle sere morbide, galleggianti, che pure qui hanno un fascino strano, imprendibile e vellutato, nessuna donna in scialle nero stendeva i polpacci congestionati su qualche sedia di paglia, fuori del cortiletto. Restava, semmai, dietro le tende, piegata su una vecchia Singer. Il suo sguardo celava una letizia soave. Rintracciarla però era impresa disperata. La non-immediatezza di Milano disarmò Pier Paolo? Egli vi trovò, o intuì tutto e doveva solo contemplarlo. Lasciare la città al suo segreto, ai mezzitoni che lui non poteva usare. Gli rimaneva solo la desolazione, quella desolazione che talvolta ti prende nel percorrere, la notte, il cavalcavia Renato Serra: "Di nuovo nessuno gli risponde: e, fuori, quel paesaggio ossessivo di immagini tristi di case, di viali, senza speranza".





25.8.13

La pasoliniana morte di Pier Paolo DI MATTEO TASSINARI

 Sulle  note  di quel  matto sono io  dei Mnegramarò



 Ho letto   il commento  a    questo mio post  sulla mia  bacheca fb

 Il problema è avere occhi e non saper vedere, non guardare le cose che accadono, nemmeno l’ordito minimo della realtà. Occhi chiusi. Occhi che non vedono più. Che non sono più curiosi. Che non si aspettano che accada più niente. Forse perché non credono che la bellezza esista. Ma sul deserto delle nostre strade Lei passa, rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi di infinito desiderio.

Pier Paolo Pasolini

 dell'amico  ed nostro    utente Matteo Tassinari http://mattax-mattax.blogspot.it/


Come in un suo libro

di Matteo Tassinari

La morte di Pier Paolo Pasolini, di cui il 2 novembre ricorrerà la 37esima celebrazione (immagino senza particolari entusiasmi) è una morte molto pasoliniana, un romanzo scritto da lui stesso. Normale, piccolo borghese, era il quartiere dove abitava, così come la sua casa, con i centrini sotto i vasi di fiori, i ninnoli, i comodini e tutto quanto. Una casa piccolo borghese. Non aveva, Pasolini, a differenza di tanti altri intellettuali italiani (parlo di quelli di allora, s’intende, oggi è una razza estinta), la conversazione spumeggiante, il linguaggio pirotecnico, la citazione seducente, ma il modo di parlare piano, pacato, rettilineo, modesto di chi è consapevole della propria cultura e perciò non la esibisce perché ne capisce la vanitosa inutilità. E in questa atmosfera anche le cose che diceva, le stesse che scritte suscitavano scandalo, irritavano o entusiasmavano, parevano cose normali, elementari e quasi banali, per lui. I gesti erano misurati, tranquilli, ma micidiali, quanto meno inusuali per l'élite intellettuale del periodo. Divorava la sua esistenza con un appetito insaziabile. Come finirà tutto ciò? "Lo ignoro. Sono scandaloso. Lo sono nella misura in cui tendo una corda, anzi un cordone ombelicale, tra il sacro e il profano".


*Vittima ideale*

Se incontravi quel volto non lo dimenticavi, uno sguardo profondamente segnato, ruvido, un Cristo. Ma un Cristo diverso da quello terribile e putrefatto di Matias Grünewald o, tanto meno, dal Cristo oleografico dell’iconografia cattolica. Insomma, anch’esso, un Cristo molto normale, un Cristo piccolo borghese. Pasolini non aveva, nei gesti, nel parlare, nel modo di porgersi, nulla della “checca”. Era anzi piuttosto virile. La scena cambiava ogni qual volta era con la mamma e quest’uomo, l'intellettuale furioso s'infantilizzava, per sdilinguarsi in bacini e bacetti, in puci-puci imbarazzanti con la persona da lui più amata certamente. La Chiesa l'ha maledetto, mettendo l'omosessualità tra "i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio". Il padre si vergognava di lui, ma ritagliava tutti i suoi articoli. A Casarsa, Pasolini è sepolto insieme alla madre, in una tomba doppia, una tomba matrimoniale. Il padre sta da solo, distante. La psicanalisi non l'ha aiutato (è andato in analisi da Cesare Musatti, ma dopo sette-otto sedute s'è ritirato). Queste sono le nostre colpe. Non l'abbiamo capito. Cerchiamo di capirlo adesso, e accettiamolo per quel che è stato. La sua scrittura grande era e grande resta. La sua vita è finita com'è finita. Non illudiamoci: la passione non ottiene mai perdono fra gli umani.

Pier Paolo Pasolini e la signora maestra Susanna Colussi, sua madre

Un delitto senza fine
"Forse qualche lettore troverà che dico cose banali. Ma chi è scandalizzato è sempre banale. E io sono scandalizzato. Resta da vedere se, come tutti coloro che si scandalizzano (la banalità del loro linguaggio lo dimostra), ho torto, oppure se ci sono delle ragioni speciali che giustificano il mio scandalo. Il vero scandalo di questi scritti è nella loro severità. Essi toccano fatti che coinvolgono, in modo patente o oscuro, la vita e la coscienza di milioni di uomini. Sono duri, aspri, "scandalosi" argomenti che Pasolini affronta senza indulgenza, senza approssimazioni. Il lettore degno della "scandalosa ricerca" trova qui degli scritti di "attualità" certo non effimeri, in cui si cerca di decifrare la fisionomia degli anni a venire. La tragica morte dello scrittore e le reazioni che ne sono seguite rivelano la terribile qualità profetica, il sicuro presagio nascosti in questo libro".                     (Pier Paolo Pasolini)

*"Il cuore te lo spaccano una sola volta,

poi sono solo graffi che non senti più" P.P.P.*

Ogni tanto si avvicinavano dei ragazzi, le classiche “marchette”, e si scambiava due chiacchiere in modo molto pulito. Uno di questi lo avrebbe fatto uccidere. L’intellighentia di sinistra italiana, nella sua ipocrisia, non ha mai accettato che Pasolini fosse morto, com'é morto. Come minimo doveva essere stato un complotto dei fascisti, fantasticheria cui diede voce per prima Oriana Fallaci che aveva orecchiato qualcosa dal parrucchiere. E invece andò proprio così. “Pino la rana” si ribellò ad una richiesta sessuale particolarmente umiliante di Pier Paolo e contando sui suoi diciassette anni, nonostante Pasolini fosse ancora un uomo atletico (giocava a calcio, che gli piaceva moltissimo) lo ha ammazzato. Così come questa intellighenzia non ha mai capito che il fondo oscuro di Pasolini era proprio l’humus necessario al suo essere artista e, soprattutto, un grande, un grandissimo intellettuale. “L'ansia del consumo è un'ansia di obbedienza a un ordine non pronunciato. Ognuno in Italia sente l'ansia, degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell'essere felice, nell'essere libero. Perché questo è l'ordine che egli inconsciamente ha ricevuto, e a cui deve obbedire, a patto di non sentirsi diverso. Mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo periodo di tolleranza. L'uguaglianza non è stata infatti conquistata, ma è una falsa uguaglianza ricevuta in regalo. La diversità è una grande ricchezza”, scriveva Pasolini nel 1974 sulla prima pagina del Corriere, come non si possono accantonare le seguenti sue parole: "Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell'aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell'omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano – cosa comune a tutti gli uomini – io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente".

                                                                                  *Adescamento*

Ma non si può trattare, in poche righe, l’opera di Pier Paolo Pasolini. E' possibile invece ricordare una frase che scrisse nel 1962 inserita ne “Le belle bandiere”"Noi ci troviamo alle origini di quella che sarà la più brutta epoca della storia dell’uomo: l’epoca dell’alienazione individuale e sociale. Questo per un fiorire estremo della tecnologia che sperpera ogni tradizione culturale. La corruzione sarà il male politico da difendersi". Parole dette 50 anni fa. Torna compulsivo il dubbio: la P2 è responsabile, o complice, del delitto Pasolini? Pino Pelosi, l'allora ragazzino accusato dell'omicidio, lo scorso anno dichiarò, come riportato nel libro: "Profondo Nero", che i responsabili della morte di Pasolini erano cinque uomini arrivati sul posto, come d'accordo, con una moto e una Fiat targata Catania. Tra loro due frequentatori della sezione del Msi del Tiburtino, Franco e Giuseppe Borsellino. Mentre lo picchiavano a morte gridavano: "Sporco comunista! Frocio, ecco quel che ti meriti" e botte fino a sfinirlo, sfigurarlo per poi passarci sopra il corpo tramortito con la macchina.



Icorpo massacrato di Pasolini

Famose le parole di Pelosi agli atti: "Se tu uccidi qualcuno in quel modo, o sei pazzo o hai una motivazione forte. Siccome questi assassini sono riusciti a sfuggire alla giustizia per trent'anni, pazzi non sono certamente. Quindi avevano una ragione, una ragione importante per fare quello che hanno fatto". In breve, chi l'ha ucciso, sa bene quando l'ha voluto e come. La lotta sul corpo di Pasolini ebbe varie fasi e si svolse in vari posti, accanto all'auto, a trenta metri, a settanta metri, a dieci. Nel primo posto fu trovato un anello di Pelosi. Lui lo riconobbe. Con la prima versione gli è stato sfilato nella colluttazione. Con la seconda versione, non riesce a dire perché gli sia caduto lì. Nel secondo posto Pasolini si fermò, si sfilò una maglietta, si asciugò il sangue. Poi arrivò il branco nascosto dietro Alfette in borghese ma appartenenti ai Servizi. A questo punto è interessante evidenziare la ferocia sanguinosa con cui gli assassini hanno massacrato Pasolini. Come se fosse un punto non casuale ma voluto, come a scorticare una razza una categoria: gli omosessuali. Direi che i tempi sono cambiati in meglio rispetto agli anni '70, ma sono ancora tantissimi gli omofobi che per motivi religiosi, politici, culturale calpestano i diritti di persone che non chiedono nulla se non di assomigliare a ciò che sentono dentro. Purtroppo c'è gente, ancora, che vuole cambiarti, che vuole decidere lei come devi comportarti. Per dire che la lotta per la salvaguardia dei diritti degli omosessuali è ancora sulle cime tempestose, e non pochi sono i segnali inquietanti che giungono da tutte le parti del mondo, anche da dove addirittura ti uccidono se dimostri tendenze "diverse" dal gregge.

Il corpo di Pier Paolo Pasolini, la mattina del 2 novembre 1975 ad Osta

Bombardamento ideologico televisivo
"Il bombardamento ideologico televisivo non è esplicito. esso è tutto nelle cose, tutto indiretto. Mai come oggi, un modello di vita ha potuto essere propagandato con tanta efficacia che attraverso la televisione. Il tipo di uomo e di donna che conta, è moderno, è da imitare, e da realizzare. Non è descritto, raccontato nella sua verità. E' decantato o rappresentato, alterato, plastificato". Da "Il bombardamento ideologico televisivo".                       (P.P.P.)                                                           

"Una storia sbagliata"
"Una Storia Sbagliata" di Fabrizio De André
Se "Petrolio" fosse stato pubblicato, Pasolini forse sarebbe ancora vivo. Com'è vero che se Roberto Saviano non fosse riuscito a pubblicare "Gomorra", ora, probabilmente, sarebbe morto
 Epoca alienante per i mal disposti

Pasolini stava lavorando a un romanzo-denuncia, "Petrolio", rimasto incompiuto e pubblicato postumo, quello che può a tutti gli effetti essere considerato il suo vero “romanzo delle stragi, in cui alludeva all'attentato a Enrico Mattei, presidente dell'Eni. E forse è proprio in Petrolio che si trova la chiave della morte del suo autore, legata a un altro mistero italiano: la “strana” morte diEnrico MatteiPasolini era venuto in possesso di informazioni scottanti, riguardanti il coinvolgimento di Eugenio Cefis nel caso MatteiPasolini scrive che Eugenio Cefis, citato con il nome di fantasia di Troya, diventa a sua volta presidente dell'Eni e questo "implica la soppressione del suo predecessore". Cefis, secondo il Sismi, è il fondatore della P2. Alla sua fuga dall'Italia, nel 1977, il suo posto fu preso da Licio Gelli.Cefis, secondo Pasolini, teorizzava un golpe bianco, senza l'uso dei militari e della violenza, attraverso il controllo dei mezzi di informazione, come descritto in seguito nel "Piano di rinascita democratica" di Gelli. Per Pasolini, il delitto Mattei è il primo di una lunga serie di stragi di Stato.
"Io ti ricordo, Narciso, avevi il colore | della sera, quando le campane | suonano a morto"                   PPP
Una tesi sostenuta persino da Amintore Fanfani: "forse l'abbattimento dell'aereo di Mattei, più di vent'anni fa, è stato il primo gesto terroristico nel nostro Paese, il primo atto della piaga che ci perseguita". In "Petrolio" descrive la storia del colosso industriale Eni ed in particolare quella del suo presidente Eugenio Cefis. Lo fa con un espediente letterario: il personaggio inventato di Troya, ricalcato sulla figura di Cefis."L'intellettuale - ha scritto Pasolini -deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento". Più semplicemente, se "Petrolio" fosse stato pubblicato, forsePasolini sarebbe ancora vivo. Come se Saviano non fosse riuscito a pubblicare "Gomorra", sarebbe già morto. 
Sul set di Uccellacci e uccellini, 1966, con Totò
Frocio comunista? Cefis!
A questo puntoseguendo tale ragionamento, ci dovremmo chiedere perché un gruppo di picchiatori della malavita romana uccide un poeta? Allo stato dei fatti ci sono due ipotesi ritenute tra le più fondate. La prima è che Pasolini sia morto così perché è così che si moriva allora. Quelli sono gli anni '70, gli anni di piombo e gli anni della "violenza diffusa" e "trasversale". Sono gli anni in cui si ammazza le gente per quello che è, perché è diversa, politicamente e culturalmente. Ci sta che un gruppo di persone, spontaneamente o spinte da qualcuno che sta più in alto e coltiva una sua relativa "strategia della tensione", si organizzi per dare una lezione a quel "frocio comunista", come Pino Pelosi oggi solo racconta di aver sentito durante il massacro di Pier Paolo Pasolini. E dare una lezione può anche essere sinonimo di ammazzare, come era successo soltanto pochi mesi prima a Sergio Ramelli, militante dell'Msi ucciso da estremisti di sinistra a Roma, o ad Alberto Brasili, simpatizzante di sinistra ucciso da estremisti di destra a Milano, e come sarebbe successo anche dopo quel 2 novembre. La seconda ipotesi, invece, ha a che fare col lavoro di Pasolini, col suo essere lo scrittore di quel "Io so." di pochi ma potenti e pronti a tutto che vuole raccontare la misteriosa, confusa e drammatica storia del nostro Paese. Pier Paolo Pasolini lo stava facendo con un romanzo molto moderno, rimasto incompiuto che si chiama "Petrolio". In quel romanzo ci sarebbe un capitolo importante che parlerebbe dei risvolti politici e criminali che girerebbero attorno all'Eni e al suo direttore Cefis e al suo predecessore Enrico Mattei, ucciso com'è stato poi provato in seguito.
Un oceano di occhi, veleni, depistaggi, diffamazioni, prevaricazioni
Cos’è questo golpe? Io so
Pasolini, nel famoso editoriale apparso sul Corriere della Sera “Cos’è questo golpe? Io so”, diceva che l’intellettuale deve avere il coraggio della verità. Deve saper dire la verità. È ancora possibile parlare di verità, alla quale si può aggiungere la giustizia) senza cadere nel dogmatismo? Un esempio per capire il suo anticonformismo dalle maglie larga d'umanità. Oriana Fallaci lo intervistò per l’Europeo, in quella che resta una straordinaria testimonianza del modo d’essere di Pasolini, il suo cercare l’umanità dove il senso comune rifugge e resta, all’artista, l’inesauribile voglia di capire, sapere, conoscere."La notte scappa agli inviti e se ne va solo nelle strade più cupe di Harlem, di Greenwich Village, di Brooklyn, oppure al porto, nei bar dove non entra nemmeno la polizia, cercando l’America sporca infelice violenta che si addice ai suoi problemi, i suoi gusti, e all’albergo in Manhattan torno che è l’alba: con le palpebre gonfie, il corpo indolenzito dalla sorpresa d’essere vivo. A volte penso che se non smetto me la trovo una pallottola in cuore o la gola tagliata". Ma è pazzo a girare così per New York, scriveva la Fallaci e Pasolini replicava con una dichiarazione d’amore per la città: Vorrei aver 18anni per vivere tutta una vita quaggiù".


 Lo scritto "Corsaro" che scelse la sua fine
Quale sia in assoluto la verità nessuno lo sa a parte quelli che credono in Dio. L’intellettuale deve dire onestamente quello che pensa e non è detto che sia in assoluto giusto, a prescindere da qualsiasi legame di tipo partitico o, se vogliamo, per usare l’espressione che ha usato lei, feudale. Pasolini è un ottimo esempio, nel senso che diceva quello che pensava. Non è detto che tutto quello che pensava Pasolini fosse giusto, ma era il punto di partenza che era giusto e onesto. L’intellettuale, ma anche il giornalista, non dovrebbe essere legato a gruppi di potere, altrimenti non fa più il giornalista o l’intellettuale. Ad esempio un giornalista dell’Unità degli anni ’50, lì giustamente poiché dichiarato, non faceva il giornalista, ma il propagandista.
Cos'è questo golpe? Io so. 


di Pier Paolo Pasolini
dal Corriere della Sera, 14 novembre 1974
                                 *Io so*
Io so i nomi del gruppo di potenti che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine deicolonnelli greci e della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) unacrociata anticomunista, a tamponare il 1968, e, in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastrodel referendum. 

                   Brescia, Bologna, Italicus: regia occulta
Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974). Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum". Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano) o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli. Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari. 
Il corpo di Pasolini ritrovato dopo il massacro a Ostia. Una notte sbagliata.
 La tensione di Pasolini


Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi. Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.


"Il coraggio intellettuale della verità e la politica
sono cose inconciliabili in Italia"

La poetica di Pasolini è la realtà in cui viveva, tanto che alcuni l’hanno definito “poeta civile e moralista”. Ma sono “prediche” che piacciono, queste di Pasolini, perché con la sua schiettezza esce dagli schemi, presentandoci quasi un diario politico, culturale, cronachistico e letterario dell’epoca, che vale la pena leggere anche nei nostri giorni. egotismo, non v'è orizzonte, alcuna prospettica. Così, quello che ha fatto Pasolini in quegli anni è grande giornalismo, altro che Montanelli. Un giornalista racconta quel che succede, lo osserva e lo comprende. E Pasolini capiva, intuiva e scriveva, buttando poesia e letteratura nella cronaca e nel racconto. L’autore ha cioè interpretato a suo modo una forma di giornalismo culturale che all’epoca era poco in voga, ma di cui anche oggi avremmo un disperato bisogno: per capire, interpretare e avere il coraggio di mescolare la realtà alla poesia.Nessuno è più disposto a gridare che il Re è nudo. Nessuno è più capace di denunciare nulla. Un'abulia totale come nella "Domenica delle palme" di De André, dove le cicale parlano al nostro posto, incapaci di reagire ad ogni vessazione sociale, culturale e politica. Vedo persone col naso all'insù, ammirare le stelle, fregandosene del marcio su cui camminiamo e indifferenti al rumore di questo motore, gonfi di pregiudizi deteriorati appartenenti ad una società collassata. Tra mele marce, c'è poca scelta. 
Pasolini sulla tomba di Antonio Gramsci

*Infine*
Cosa vedeva Pasolini che gli altri intellettuali non vedevano? Cosa sapeva che numerosi portaborse sapevano ma non dicevano? Vede trame stragiste, servizi segreti deviati, corruzione politica, misfatti compiuti e perpetuati dalla legge. Vede la mutazione antropologica della classe dominante riverberarsi nel linguaggio narcotizzante della televisione e nell’immutata logica del nuovo Potere che ha portato alla cattiva società dei ceti immobili, del finto sviluppo senza vero progresso, delle diseguaglianze senza ascensore sociale, "in un Paese orribilmente sporco e privo di mobilità, stagnante". Vedeva l'Italia di oggi.
Monumento, ripulito, a Pasolini nel piazzale dov'è stato ucciso ad Ostia

«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...