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23.12.20

Morte pasoliniana di Pier Paolo Pasolini di Matteo Tassinari

 Mi  scuso  con l'interessato   per  il ritardo con  cui  pubblico il suo  post . Ma  fra  :  1) lavoro   , 2)  impegni  con  la  classe  per  la  festa  (  faremo solo   quelli religiosi  e non civili causa covid  ) patronale  di    agosto., 3) corvée  domestiche  , 4  )  il  blog    solo ora  trovo il tempo  . Buon lettura  








Un uomo inquieto, in tempesta col mondo
COL VENTO NEI SUOI CAPELLI IN FESTA
Nulla è più  anarchico del potere



La vittima ideale

IL GESU' "VISTO" DA PASOLINI nel film da lui diretto: "Il vangelo secondo Matteo". Una vittima ideale. Solo il volto di Pasolini era un po’ diverso, un volto profondamente segnato, un volto quasi da Cristo, ma un Cristo molto diverso dal terribile Cristo putrefatto di Matias Grünewald o, tanto meno, dal Cristo oleografico dell’iconografia cattolica. Insomma, anch’esso, un Cristo molto normale, un Cristo piccolo borghese. Pasolini non aveva, nei gesti, nel parlare, nel modo di porgersi, nulla della “checca”. Anzi, era piuttosto virile. La scena cambiava ogni qual volta stava in compagnia con sua madre e quest’uomo, l'intellettuale furioso che s'"infantilizzava" per "mendicare" coccole e la mano, in una ricerca d'affetto quasi imbarazzante nella persona da lui più amata. E' difficile immaginarsi un Pasolini, sempre a muso duro, sempre pronto a fare a "cazzotti" verbalmente con chi calpestava verità e giustizia, dare i bacini a sua madre, o tenersi mano nella mano e camminare lungo viali alberati nebbiosi. O forse è semplicissimo, quando hai tanti nemici, a tratti, hai bisogno di tornare bambino e la madre diventa la figura emblematica dell'amore e della tenerezza. Tenerezza.


A MENDICAR TENEREZZE




Adescamento bestiale Pier Paolo Pasolini - Antonello Morsillo


 Profondo  nero




NON SI PUO' TRATTARE, qui, in poche righe, l’opera di Pier Paolo Pasolini. E' possibile invece ricordare una frase che scrisse nel 1962 inserita ne “Le belle bandiere”: "Noi ci troviamo alle origini di quella che sarà la più brutta epoca della storia dell’uomo: l’epoca dell’alienazione individuale e sociale. Questo per un fiorire estremo della tecnologia che sperpera ogni tradizione culturale. La corruzione sarà il male politico da difendersi". Parole dette più di 60 anni fa. Torna il dubbio: la P2 è responsabile o complice, del delitto Pasolini? Pino Pelosi che l'anno scorso dichiarò, com'è scritto sulla prima di copertina di "Profondo Nero". I responsabili della morte di Pasolini erano cinque uomini arrivati sul 
posto all'improvviso, come d'accordo, con una moto e una Fiat targata Catania. Fra loro due habituè dei luoghi di ritrovo di uomini di estrema destra del Tiburtino, Franco e Giuseppe Borsellino. Mentre lo picchiavano, lo pestavano a sangue gridavano: "Sporco comunista! Frocio, ecco quel che ti meriti" e botte fino a sfinirlo, sfigurarlo per poi passarci sopra con la macchina spezzando il tronco corporeo per il peso della macchina. Famose le parole di Pelosi agli atti, quando disse: "Se tu uccidi qualcuno in quel modo, o sei pazzo o hai una motivazione forte. Siccome questi assassini sono riusciti a sfuggire alla giustizia per trent'anni, pazzi non sono certamente. Quindi avevano una ragione, una ragione importante per fare quello che hanno fatto". Uno spettacolo orrido, non volevano solo che morisse Pasolini, ma che soffrisse anche e tanto, quasi una vendetta per tutto quello che aveva reso noto. Pelosi, il borgataro che da ragazzino gli piovve addosso una botta di quelle che non si reggono, è a tutt'oggi impaurito da quei cavalieri della morte 60enni e come, in che maniera, hanno picchiato Pier Paolo Pasolini, anche se non si sa se siano ancora vivi.

Una      storia
sbagliata


Il corpo di Pier Paolo Pasolini
dopo il pestaggio avvenuto
all'Idroscalo di Ostia la notte tra
il 1° ed il 2° novembre
ad opera dei Servizi segreti
dello Stato e mafia

La malvagità è nel non saper
nemmeno che si è malvagi
SE PETROLIO fosse stato pubblicato, Pasolini sarebbe ancora vivo. Come è vero che se Saviano non fosse riuscito a pubblicare in tempo "Gomorra", sarebbe morto come Pasolini. Stava lavorando ad un romanzo, "Petrolio", dove alludeva con fatti precisi e e puntuali all'attentato e morte di Enrico Mattei, all'epoca presidente dell'Eni. Pasolini scriveva che Eugenio Cefis, citato con un nome di fantasia che corrispondeva a "Troio Berda Inquisitorio", era responsabile di troppe illegalità. Intanto, Cefis, diventa Presidente dell'ENI. Cefis è colpevole anche di aver fondato la feccia del pianeta, la Loggia Massonica P2, assieme a Licio Gelli il Venerabile, così lo chiamavano nel linguaggio massonico. Il Governatore della Banca Italia di allora Guido Carli, lo definì un importante esponente della borghesia di Stato (?). Per i soloni spocchiosi giornalisti Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani, le penne saccenti del giornalismo economico-finanziario di Repubblica, penne “orribilis” c'era parecchia carne da mangiare. Cip e Ciop, Scalfari e Turani, hanno scritto un libro su Eugenio Cefis, dove viene presentato come una personalità rappresentante della vera "razza padrona" dell'epoca, quella del club esotico di Enrico Cuccia presidente e amministratore delegato di Banca Italia, gli Agnelli, Confindustria ed i sindacati che ci siano o no, nulla cambia.
Santa Sanctorum, la sede di Banca Italia 
ERANO GLI anni '70 e il mondo sindacale ci diede la opportunità di capire come era vuoto il peso della triade.
Per capire il personaggio Cuccia, basta dire che è stata una delle figure di spicco più importanti della scena economico-finanziaria italiana del XX secolo (60 anni di onorato lavoro ai massimi vertici) senza mai rilasciare una sola intervista. Vi sfido a trovarne un altro. Tornando al nostro all'ideatore e mandante dell'omicidio Pasolini, Eugenio Cefis, era uno che girava il mondo con tre orari diversi. I due spocchiosi cronisti, continuarono osservando che: "l'autenticità e genialità dell'uomo d’affari e su cui l’Italia poteva contare affidandogli incarichi importanti governativi". Avevano capito proprio tutto, il filosofo fallito (Scalfari) e Turani, uno che avrebbe voluto essere Franco Lattanzi, un banchiere anarchico sconosciuto, ma dalla grande capacità di decodificare i flussi economico-finanziari internazionali e soprattutto dalla penna che vibrava quando la prendevi in mano, talmente era bello leggerlo. Alto dirigente del gruppo Unicredit e agitatore della contestazione, per finire in una storia dall'epilogo sull'isola di Ventotene da sceneggiatura noir con una improvvisa caduta dalle scale e rottura dell'osso del collo. “Voleva stare da solo ed era andato nella casa del cognato”, testimonia la moglie. L'ennesimo mistero.

                                                   Giovanni Agnelli con Eugenio Cefis

MA A CAUSA DELLA SUA FUGA dall'Italia, nel '77, il suo posto fu preso da Licio Gelli. Cefis, di Cividiale del Friuli, teorizzava un golpe bianco, senza l'uso dei militari e della violenza, attraverso il controllo dei mezzi di informazione, come descritto in seguito nel "Piano di rinascita democratica" di Gelli. Per Pasolini, l'assassinio Mattei, è il 1° di una ampia carrellata di stragi di Stato di cui Cefis ha preso parte in qualche misura più o meno diretta. Opinione sottolineata da Amintore Fanfani che proprio un ribelle non era e Che Guevara pensava fosse un giocatore oriundo: "forse l'abbattimento dell'aereo di Mattei, più di vent'anni fa, è stato il primo gesto terroristico nel nostro Paese, il primo atto della piaga che ci perseguita." Se il libro "Petrolio" fosse riuscito ad uscire, fosse stato pubblicato, forse Pasolini sarebbe ancora vivo. Pensate a Roberto Saviano. Se non fosse riuscito a pubblicare "Gomorra", ora sarebbe morto da un pezzo. Quando un pezzo, un'inchiesta riesci a pubblicarla, sei quasi a posto, non si sa mai. Perché quello che era un segreto inviolabile, ormai, grazie alle inchieste pubblicate, il più è fatto. Anche se a certi livelli è obbligatorio guardarsi spesso e volentieri alle spalle, perché esiste anche, soprattutto fra i criminali, il senso della vendetta, il fartela pagare facendoti molto male, se non chiuderti la luce per sempre su questa crostone di terra che tutti i giorni calpestiamo. 

Un delitto infinito
Cos'è questo golpe?





Io so

Scritti Corsari
di Pier   Paolo  Pasolini

Corriere della Sera

Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974). Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum". Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista).



OGNI TANTO si avvicinavano dei ragazzi, le classiche "marchette" e scambiavano due chiacchiere in modo molto pulito e Pasolini rinasceva spiritualmente. Era vero amore quello, ve lo dico. Uno di questi lo avrebbe ucciso. Il Pci e tutti i suoi vassalli e vassallieri, nella loro ipocrisia, non hanno mai accettato che Pasolini fosse morto com'é morto. Cioè, loro, che non centravano nulla, volevano decidere i gusti sessuali di Pasolini. Come i genitori coi loro figli: "Fai il bravo a scuola e non far arrabbiare la maestra". Si sa, Colpa e pene sono gemelle, anche perché spesso è l'innocente a portare la pena del reo bastardo. Poi ci vengono a dire che la pena nell'ira non conosce né modo né misura. Come minimo doveva essere stato un complotto dei fascisti, fantasticheria cui diede voce per prima Oriana Fallaci che aveva orecchiato qualcosa dal parrucchiere mentre si faceva i bigodini blu. Non si è mai capito che il fondo
oscuro di Pasolini, era necessariamente l’humus al suo essere artista visionario e, soprattutto, un grande, grandissimo intellettuale. “L'ansia del consumo è un'ansia di obbedienza a un ordine non pronunciato. Ognuno in Italia sente l'ansia, degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell'essere felice, nell'essere libero: perché questo è l'ordine che egli inconsciamente ha ricevuto, e a cui deve obbedire, a patto di sentirsi "diverso". “Mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo periodo di tolleranza. L'uguaglianza non è stata infatti conquistata, ma è una falsa uguaglianza ricevuta in regalo”, scriveva sul Corsera Pier Paolo Pasolini, dagli Scritti corsari. Era il 1974. 
AD OGGI SI SA CHE I responsabili della morte di Pasolini erano cinque uomini arrivati sul posto all'improvviso, mentre Pasolini era in macchina con Pelosi. Come d'accordo, con una moto e una Fiat targata Catania, arrivarono sul posto improvvisamente. Si capiva che volevano 


fargli molto male, non gli bastava dargli una lezione ancorchè estremamente orrenda. Un odio profondo che Pelosi aveva avvertito e confermato ai giudici, per poi ridire tutto quanto due anni fa: "Fu un malvagio adescamento. Io ho le mie responsabilità, le conosco, ero solo un'esca utile ad attirare Paolo per poi farmi da parte. Quelli chissà da quando ci seguivano con la macchina, ma chi pensava che poi alle due di notte sarebbe successo quel che è accaduto? E poi noi due stavamo tranquilli in macchina". E' stato irretito solo come sanno irretire persone spietate, con il dovere di non ucciderlo soltanto, ma farlo soffrire col dolore di mille agonie.


2.5.18

non sono giornalista e mai lo sarò ma un uomo liberò

non sapevo che provare a raccontare o riportare storie ai margini dei media nazionali 
come quelle di cui parla  questa  canzone  



 fosse essere giornalista cosa che non lo sono e non voglio essere

2.11.15

Pier Paolo Pasolini una storia sbagliata


   tutti   quelli  \e  che   fanno  di P.Paolo . Pasolin  ( e non solo  )  il loro altarino laisìco e lava  coscienza  dopo che in virta lo insultaromo o lo ignorarano    dedico  le  prime  strofe  della colonna sonora  del post  d'oggi

cos'altro vi serve da queste vite
ora che il cielo al centro le ha colpite
ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.


Infatti non voglio tediarvi annoiarvi con il solito pistolotto storico culturale ,  cercate  su intertnet  li trovate  quello che  vi serve  , tanto se vedete la tv o vedete i giornali in questi giorni sarete sommersi da fiumi d'inchiostro \ bit ipocriti e pulisci coscienza ( prima gli getti addosso merda fango e poi l'osanni\ mitizzi , vedere a proposito il post su queste pagine dell'amica \ utente Daniela Tuscano , lo trovate fra gli url sopra su di lui ) preferisco sintetizzare la sua figura attraverso una canzone ( seconda me canzone \poesia visti i labilissimi confini tra i due generi artistico \ letterari )





  che  da' esito  a  diverse interpretazioni     . Eccone  due   provenienti dalla mia bacheca    come commento  ad  un mio post in cui ricordavo  la canzone  qui citata




Antonino Di Stefano Questa canzone non fu pubblicata su nessun disco di Faber , fino a poco tempo fa , perchè lasciava intendere che in realtà non si trattava di nessun complotto ma di una squallida storia con sottoproletari adescati alla stazione Termini . Per il conformismo di allora e di oggi la verità non andava detta .

Non mi piace più · Rispondi · 1 · Ieri alle 21:06


Cristina Ziccanu Non credo che la chiave di lettura sia questa, Antonino Di Stefano, fino a poco tempo fa semplicemente non si parlava di Pasolini più di tanto, De Andrè non c'entra niente!

Mi piace · Rispondi · 9 h

2.11.13

L'ULTIMA NOTTE AL MONDO di Daniela Tuscano

  musica  consigliata
  Una storia  sbagliata  di F. De. Andre  
  Wake Me Up di Avicii

Caro Pier Paolo,




è la notte più nera, questa. La notte in cui ti cancellarono il viso, lasciando al suo posto una informe maschera cremisi. Notte esausta. Notte da macelleria.
Era notte anche in Calabria, da bambina. Udivo, senza comprenderli, oscuri e sommessi muggiti, mischiati agli aromi squillanti della pasticceria sotto casa, in un buio già africano. A pochi passi da me c'era un macello clandestino: e quei muggiti erano l'estremo e inutile lamento di povere bestie senza scampo.
Ecco, immagino quella tua ultima notte nello stesso modo: un che di impietoso e, al tempo stesso, d'inesorabile. Tu che tentavi la fuga, venivi riacciuffato, macellato, violato...
Intorno, un'ovatta d'indifferenza.
Il giorno dopo, poeta fosti. 
Sipario. Letteralmente, ti velasti, separasti ai nostri sguardi. 
Il tuo, ormai altrove. Per sempre. Ricordi? Da vivo, lo nascondevi spesso dietro occhiali nerofumo. Scrutavi con svagatezza febbrile, come quel Cristo di Porta Venezia, a Milano, ricavato nella nicchia d'un albergo diurno. Un Grande Fratello macilento, senza cattiveria. Forse era pudore. Forse paura. Privi di quella protezione, restavano i tuoi occhi chiari, dilatati, eccessivi. Per te e chi li incrociava.
Di te raccontò, molti anni dopo, un artista popolare: "Non volli conoscerlo. I miei amici della borgata mi dicevano che era un tipo poco raccomandabile. Così, ne avevo paura".
Poco raccomandabile, senza dubbio. Infatti non ti raccomandò nessuno. Tu rischiavi in proprio e, se cercavi il martirio, lo facevi perché costretto. Avevi un destino di testimonianza, volevi espiare vivendo. 
Già: poco raccomandabile, naturalmente strano. Eliminandoti, tentarono di cancellare lo specchio dei loro peccati. Quei tuoi occhi chiari rimandavano ai tuoi interlocutori la loro cattiva coscienza. No, non eri proprio da raccomandare.
Non creasti un idioletto. "Sono un passatista", ripetevi. Le tue poesie restavano imperfette. Qualcuno cercò d'imitare la tua estetica della miseria. Ma restò un epigono. Gli mancava la tua forza remota, la tua estraneità tutta italiana, d'una italianità rinascimentale, all'Italia borghese ed esangue. Inodore come plastica.
E ora? Ora permane un sabato santo, senza resurrezione che non sia del popolo. Restano poche sentinelle nel deserto, anche d'immagini. Ma quella massificazione da te denunciata permette anche, sparsi tra pulvini lumescenti, di ritrovarci se vogliamo, e comunque adesso ci è dato vivere. La notte va superata qui, su questa terra. Uniti. Sotto le belle bandiere.

27.12.11

Dietro il nulla

C’è qualcosa che accomuna la morte della ventenne prostituta romena e quella di Francesco Panariello, fratello del più celebre Giorgio, abbandonato (o, più probabilmente, trascinato) su una panchina della pineta di Viareggio: ed è appunto la trascuratezza, l’anonimato. La squallida odissea di Francesco
Panariello è persino più stridente: la sua fine ha qualcosa di caravaggesco, di febbricitante, è una conclusione stordita e in fiamme, pur se avvenuta nel freddo di dicembre. Lo scenario maestoso del litorale toscano, la parentela illustre, la vicinanza con le feste natalizie hanno messo ancor più in risalto quell’anonimato da poveracci, quella realtà di minuzie e ferraglia, il tedio, l’orizzonte obliquo d’un futuro grigio, piatto, esangue. Francesco è morto nell’odore muschioso delle conifere, insensibile e alieno al paesaggio circondante, magari eliminato o gettato là, tra le immondizie d’un’autostrada, mentre tentava di rimediare un tondino, “c’ho i soldi, giuro”. La giovane romena la immagino urlante, dai capelli graziosi e l’incarnato sbattuto, estenuato e bianco. Una sarabanda d’inutili suoni. Si trovava lì, confinata in due stanze, con questo ragazzo ingombrante e ansioso, molto carino, pur se non bello. Dal ciuffo nero e caduco. Che la riempiva di carnalità sbuffante, animale, per comunicarle il segno inintelligibile del suo primitivo amore: “Io ti salverò”. Non l’ha salvata invece, ma l’ha stretta così forte, e se l’è trovata esanime e stupida, bambola di cera, nella sua sensualità disarmata e disperante, e anch’egli allora ha urlato, al mondo, quella loro solitudine pesante e cupa.
Morti violente e passeggere, vite accartocciate e spente, da subito, da prima. Notizie interne di cronaca nera, che ci assalgono ora con tutta la loro bava, il loro inarticolato bisogno d’aiuto, bestemmie dell’ingiustizia e del degrado. Essi lì, poveri cani, randagi e pencolanti, a rammentare che ognuno è misero, affranto dall’insignificanza, sconfitto dall’analfabetismo d’amore. Dalle nostre anime frettolose, impalpabili, straziate.

13.11.11

L'odore del silenzio

C'è sempre, in ogni vicenda umana, un momento di ricapitolazione, una pausa in cui il respiro rallenta, o addirittura si ferma. E' un momento timido, che svanisce non appena ne percepisci la presenza; eppure è anche una luce. Te ne puoi nutrire, senza però possederla. Devi fare un passo indietro, permetterle di invaderti. E allora, lei ti restituisce a te stesso. Pienamente, completamente.

Quando usciva dal Quirinale, nella lunga notte di ieri, Silvio Berlusconi è stato restituito, o forse donato, a sé stesso. Non coglierà l'occasione, lo sappiamo. Tornerà, entro brevissimo tempo, il Berlusconi che abbiamo sempre conosciuto: un Berlusconi non super-umano, non post-umano, bensì para-umano. Qualcosa che sta accanto all'umanità senza esserlo. Una carcassa vuota, un'apparenza di vita, esattamente come le immagini dei dépliant pubblicitari.

Perché questo e null'altro è stato il senso della sua avventura "politica": una strenua difesa della roba (sua), una roba per la quale s'è immolato - e da cui, ironia della sorte, è stato disarcionato -, con un fideismo da martire. Martire del profitto, dell'accumulazione. "Credo nella società occidentale, credo nel libero mercato" è stato uno dei primi slogan da lui lanciati, in quel para-italiano semplificato da piazzista tv. Semplificato, ma non insignificante. In quelle due frasi si condensava tutta la para-filosofia berlusconiana: l'identificazione della "società occidentale" (crocifissi in legno versus crocifissi della vita, Bianco Natale e dio Po, bestemmie in barzelletta e orge in abito da suora) col "libero mercato", quasi fossero sinonimi. Non tanto per contrapposizione al collettivismo comunista (tra i migliori amici del Cavaliere, oltre a dittatori e satrapi, figurava l'ex agente Kgb Vladimir Putin), quanto per marcare una differenza antropologica, diremmo razziale (il mercato è razzista) tra "noi" e "loro". "Noi", quelli per cui il pensiero è un inutile fardello, quelli per i quali la vita si mangia e si ruba, e non puoi guardare in faccia nessuno: nemmeno tua madre (cfr. Terry De Nicolò, una delle tante prostitute foraggiate da B.). Noi, quelli che hanno successo - o s'illudono d'averlo: e poi, sullo sfondo, reietti, tutti gli altri. Noi, quelli che viva gli oggetti. L'anima non c'è. Dopo questa esistenza non ce ne sarà un'altra.

Ma ieri, solo ieri, in quei fuggevoli istanti, Berlusconi ha avuto l'opportunità di lasciarsi invadere da quella timida luce. E ne avrebbe avuta ancor di più, se invece del giubilo e dei fischi da stadio che hanno accompagnato la sua uscita di scena (intonati, peraltro, da figuranti in larga parte, e in tempi non lontani, suoi accaniti sostenitori) l'avesse accolto un lungo silenzio; un silenzio severo, anche giudice, ma lento e contemplativo; misericordioso. La misericordia non dimentica, ricrea; la misericordia non cancella il passato, lo condanna con forza; ma salva l'attimo di sincerità dell'uomo. Anche dell'uomo Berlusconi. Della sua debolezza, della sua fragilità, del suo dolore, della sua vecchiaia che mai come ieri è apparsa così crudele e impietosa.

Egli non coglierà l'attimo, dicevamo. Possiamo, dobbiamo però coglierlo noi.

Ci attende un percorso tutto in salita. Senza guide, senza sogni plastificati, senza (para) uomini della Provvidenza, soffocati e attossicati da una roba dal cui dominio è necessario liberarsi. Non è il periodo delle maschere urlanti. Ci hanno già storditi troppo. E' l'avvento del silenzio. Quotidiano, alacre, essenziale. Enrico Deaglio ha affermato che il '94, anno della fatale "discesa in campo" (un altro dei para-linguaggi di questo tempo violentato), è stato un anno inodoro, asettico, televisivo e abbastanza crudele. Il silenzio, invece, ha un odore: l'odore inconfondibile e discreto della casa, della normalità, degli affetti, dei libri, dei mobili e dei ricordi. E' un odore strano, cui siamo talmente abituati da non sentirlo nemmeno più. E, per questo, lo copriamo con insensati, chiassosi odori artificiali. Solo quando manca, ci sentiamo soffocare.

2.11.11

Ingrata patria...


Nessun ricordo ufficiale per il volontario sardo-ligure che ha donato la vita per salvarne altre


Per Lui, SANDRO USAI, nessuna diretta televisiva... solo: Sul coperchio un mazzo di piccole orchidee e le lacrime della moglie Elena, che non ha abbandonato un istante la bara... è quello che capita spesso ai "veri eroi"...

(Domenico Savino)

27.10.11

La fine d'un mondo

Era proprio Finisterre. Un suono, prima d’un luogo. La brughiera di Liguria, là dove si congiungeva, tra rigagnoli cinerei e mari in tempesta, con la parte alta della Toscana, luogo misterioso e battuto dai venti, selvaggio, impenetrabile. Luogo di frontiera, dalla lingua sconosciuta. Lo splendore delle Cinqueterre. Ma anche, per me che l’attraversavo di rado, una terra incognita, in cui la ruvidezza spartana dei liguri si confondeva con la grazia scapigliata degl’ignoti, leggeri toscani del Nord.

Zona di passaggio, d’immigrazione. La mia bisnonna vi era salita dalla Lunigiana, anche questo un nome rarefatto, quasi spettrale. Dietro code di bauli, schiene, carri. E s’era poi insediata nel rigoglioso Ponente, concluso un matrimonio borghese, vissuta - poco tempo - felice.
Luogo di pietra e di storia. Da pochi giorni cancellato, travolto, assorbito da una colata di fanghiglia e liquame. Una storia sgretolata, assieme con le code di bauli, i frantoi, la grazia mediterranea, le poesie di Montale, l’ansia scalpitante di vita. Un mondo intero è stato distrutto e sepolto, per l’oblio d’un paese di montagna convinto d’essere un paese di pianura (Ascanio Paolini). Per la sciatta dimenticanza della nostra storia impervia e onerosa.

E la chiesa settecentesca di Monterosso rimembrava quella, inerpicata e inagibile, di Bussana vecchia: anch’essa distrutta, da un terremoto, centocinquant’anni fa. In una disgrazia, però, telluricamente “normale”. Qui no, qui la natura sembra essere impazzita, disfatta e ribelle di fronte allo scialo di cemento, oggetti, bitume, grattacieli ammassati per avidità, incuria, e - anche in tal caso - oblio.

Lo strazio si è ripetuto a Pompei. Ancora una volta. La città campana sembra essersi sciolta nel pianto. Il suo è un lungo, straziato “basta”. Anneghi il rosso pompeiano, le Ville dei Misteri, quella nostra antichità pagana e orientale che ci ricapitolava come uno scrigno prezioso. Crolla qui l‘Italia: nell’asettica indifferenza d’un popolo smemorato, infisso nell’indifferente pianura dell’oggi, e che si ritroverà un giorno del tutto scalzato, e demotivato, e nullo, senza capir perché.

23.10.11

L'abdicazione

"L'uomo si vide perduto: il terror della morte l'invase e, con un senso per avventura più forte, il terrore di diventar preda de' monatti... E cercando la maniera d'evitare quest'orribile sorte, sentiva i suoi pensieri confondersi e oscurarsi, sentiva avvicinarsi il momento che non avrebbe più testa, se non quanto bastasse per darsi alla disperazione" (A. Manzoni, I Promessi Sposi, cap. XXXIII).

Il terrore della morte è naturale e, per questo, momentaneo. Nemmeno il più profondo. La morte vera viene da dentro, direbbe ancora Manzoni; è il senso del giudizio individuale; è, in fondo, la solitudine tremenda. Gheddafi, un tiranno sanguinario, che non aveva avuto pietà dei suoi nemici, ora, in mezzo alla folla dei suoi carnefici, i monatti che di lì a poco l'uccideranno, è dunque tornato a essere un uomo, un uomo-preda, dall'occhio incredulo e annebbiato, incapace di comprendere il mistero della sofferenza. Ma riottoso ad essa. Tra quelle mani adunche che lo strattonano, la sua umanità assopita ha conosciuto un moto di ribellione antica, la percezione d'una profanazione, lo stupro del corpo umano, la più elevata delle creazioni.

La vendetta, rispetto alla giustizia, ci getta brutalmente in faccia il lato ferino dell'uomo, la sua degradazione. Capovolge i valori morali. Snuda la parte selvaggia e tremebonda del Sapiens in lotta per uscire dalla bassa naturalità. E, al tempo stesso, fa risorgere fra gl'intricati pruni della bestialità quel grido, quel no, quell'eccesso cui non sappiamo, non vogliamo più abituarci. E occorreva un despota abbattuto, ormai ridotto al rango d'animale braccato, a dimostrare che niente, e nessuno, potranno mai giustificare quel ritorno all'origine, quella desacralizzazione della sofferenza ancor prima che della fine. E non importa si tratti di malattia, di esecuzione o altre modalità con cui un uomo viene eliminato: importa quel modo, quella deprivazione, quell'umiliazione, quell'abdicazione direi, dalla nostra completezza, quando torniamo semplice grumo e polvere, per mano d'altri grumi, d'altra polvere, in un flusso continuo, in una casualità dove gl'individui, le cose, il mondo, la terra, non hanno alcun vettore e alcuno scopo, un brulicare infame e negletto, una cellula sclerotizzata, un errore di laboratorio.

A questo siamo ridotti? Sic transit gloria mundi? Le parole sono importanti, scandiva Nanni Moretti, e il contesto pure, aggiungeremmo noi. La disumanizzazione parte sempre dal linguaggio. Lo scempiato che di recente ha piegato il motto dell'Imitatio Christi ai suoi interessi di bottega, e che del dittatore libico si proclamava grande e sincero amico, avrebbe potuto benissimo evitare di spacciarlo per eufemismo e manifestare il suo vero pensiero con un più banale e volgare, ma almeno sincero: e chi se ne frega. Era ciò che intendeva. Un cinico, aziendalistico voltar pagina: via uno, avanti il prossimo. E' la legge del mercato.

Ma l'uomo è davvero solo mercato? Solo grumo? Solo naturalità? Solo vendetta? E, anche, solo gloria e potenza?

No. L'uomo è uomo senza aggettivi. L'uomo coi suoi limiti, con le sue paure, con la sua profonda cattiveria e la sua celeste bontà. L'uomo non è solo. Non può esser solo. Nel momento della massima debolezza, nel momento dell'abbandono, l'uomo deve prendersi cura di sé stesso, e degli altri. Se degrada l'altro, degrada la sua stessa immagine.

Ci resta il sapore del disgusto, dell'orrore, e, perché no, della pietà di fronte all'immagine del Gheddafi macilento e sballottato verso un abominio che nemmeno comprende appieno. Perché quell'icona, per quanto bestemmiata in vita, è anche la nostra. E' per noi che tremiamo. E' per quell'istintualità senza Dio, per quella fessura da cui passeremmo tutti, se Qualcuno non ci richiamasse a un più intimo, rotondo e pieno senso di noi stessi.




11.3.11

Siamo creature

Questo giorno 11, così maledetto. Sempre ricorre, ultimamente. E dopo, solo il silenzio. Una strana, forse stolida consolazione, nello stordimento afasico di Hiroki Azuma: "Faccio lo scrittore - egli afferma - ma non sono ancora stato capace di mettere in parole ciò che stiamo vivendo". E, quando tace l'artista, tace l'uomo.

Sconvolto il Giappone da un tremendo tsunami e un altrettanto tremendo maremoto, che ha mietuto cinquemila vittime accertate. E poi, l'incubo nucleare. A Fukushima si sta verificando un principio di fusione. Il resto, per questo popolo che così dignitosamente subisce e galleggia su un infiammato lago di dolore, non riusciamo a immaginarlo. Affermare, come Azuma, che "niente sarà più come prima" non è un'espressione sciatta del linguaggio medio-quotidiano; è semplicemente vero; e la verità è nuda, cruda, scabra, materica.

Noi continueremo a scrivere, per sentirci vivi. Perché siamo obbligati, dannati all'esistenza. Perché non ci è lecito arrenderci, dopo l'ennesimo sfregio alla natura. Natura e cultura costituiscono i due cardini sui quali cresce il vilucchio della persona umana. Scinderli, allo stesso modo in cui avviene una scissione atomica, è contrastare, sovvertire il nostro status.

Rievoco, sgomenta, i miei autori. Il primo, senza dubbio, è Akira Kurosawa che, in quel lussureggiante affresco in celluloide dal titolo Sogni, aveva previsto la catastrofe nucleare. La Ballata del vecchio marinaio di Coleridge, dove il protagonista viene punito con la morte-in-vita per quel gesto di malvagità totalmente gratuita. Un simbolo, l'assassinio dell'albatro, della nostra invidia d'un volo perduto: quello dell'anima.


La profezia di Kurosawa: nel lungometraggio del 1990 era il vulcano Fujiama a risvegliarsi, provocando un'ecatombe nucleare. In basso, l'episodio finale del film: l'umanità riscopre la semplicità e il dialogo con la natura.

Ma, più ancora, mi tornano alla mente versi franti, anch'essi scissi, sbocconcellati, come ruderi immoti dopo un'immane rovina. Sono una creatura di Ungaretti. Sì, egli la compose sotto le armi, mentre infuriava la guerra. Ma anche noi, oggi, siamo in guerra. Contro la nostra stessa ragion d'essere, contro la madre che abbiamo rinnegato.

"Sono una creatura" è un attestato, un vocabolo denso, delicato e donativo, relazionale, sponsale: è forza e fragilità. E' riconoscimento della propria natura, in un contesto del tutto scarnificato e isterilito. Della dipendenza da un'origine. Ma ricapitola, anche, quella cultura, quel progresso, quel futuro che può verificarsi soltanto col riconoscimento del proprio limite. Altrimenti, come il volo d'Ulisse, rimane follia, baratro, mare di fuoco su una terra desolata.

E non ci resta che questo stordimento, questa solitudine tremenda. Siamo creature; lo riconosciamo; come l'aveva riconosciuto l'epilogo del film di Kurosawa. Sono creature le vittime del lontano e vicinissimo Giappone, nostro autentico fratello in questa Terra ormai divenuta limbica, trasparente.



emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...