C’è qualcosa che accomuna la morte della ventenne prostituta romena e quella di Francesco Panariello, fratello del più celebre Giorgio, abbandonato (o, più probabilmente, trascinato) su una panchina della pineta di Viareggio: ed è appunto la trascuratezza, l’anonimato. La squallida odissea di Francesco
Panariello è persino più stridente: la sua fine ha qualcosa di caravaggesco, di febbricitante, è una conclusione stordita e in fiamme, pur se avvenuta nel freddo di dicembre. Lo scenario maestoso del litorale toscano, la parentela illustre, la vicinanza con le feste natalizie hanno messo ancor più in risalto quell’anonimato da poveracci, quella realtà di minuzie e ferraglia, il tedio, l’orizzonte obliquo d’un futuro grigio, piatto, esangue. Francesco è morto nell’odore muschioso delle conifere, insensibile e alieno al paesaggio circondante, magari eliminato o gettato là, tra le immondizie d’un’autostrada, mentre tentava di rimediare un tondino, “c’ho i soldi, giuro”. La giovane romena la immagino urlante, dai capelli graziosi e l’incarnato sbattuto, estenuato e bianco. Una sarabanda d’inutili suoni. Si trovava lì, confinata in due stanze, con questo ragazzo ingombrante e ansioso, molto carino, pur se non bello. Dal ciuffo nero e caduco. Che la riempiva di carnalità sbuffante, animale, per comunicarle il segno inintelligibile del suo primitivo amore: “Io ti salverò”. Non l’ha salvata invece, ma l’ha stretta così forte, e se l’è trovata esanime e stupida, bambola di cera, nella sua sensualità disarmata e disperante, e anch’egli allora ha urlato, al mondo, quella loro solitudine pesante e cupa.
Morti violente e passeggere, vite accartocciate e spente, da subito, da prima. Notizie interne di cronaca nera, che ci assalgono ora con tutta la loro bava, il loro inarticolato bisogno d’aiuto, bestemmie dell’ingiustizia e del degrado. Essi lì, poveri cani, randagi e pencolanti, a rammentare che ognuno è misero, affranto dall’insignificanza, sconfitto dall’analfabetismo d’amore. Dalle nostre anime frettolose, impalpabili, straziate.
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
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