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7.6.21

storie dal mondo del calcio . la storia di Jorge Omar Carrascosa il capitano dell'Argentina che lasciò la nazionale per il bene del suo Paese e quella di Giovanni Branchini, a quasi 65 anni, è uno dei più vecchi procuratori di calcio italiani

Nonostante gli scandali e la fusione tra il calcio ( e lo sport in generale ) tra il mondo dello spettacolo\ gossip cioè lo Show business (spesso abbreviato in showbiz o show biz). mi piacciono e d appassionano le sue storie . Come quelle che sta facendo repubblica con la  rubrica storie  di maglie      o  fa egregiamente  il sito  https://storiedicalcio.altervista.org/ ( in questo caso ) . Una storia quella di Jorge Omar Carrascosa che è stato a lungo il capitano dell'Argentina di Menotti. A pochi mesi dal Mondiale del 1978 ha lasciato la nazionale e la fascia, quando il calcio era ancora poco inquinato e troppo lontano dall'immagine e dal denaro .
Una decisione inaspettata che l'ha trasformato in un eroe. Oggi Jorge Carrascosa non disputerebbe neppure un incontro: troppi soldi e compromessi, in giro. «Ogni epoca ha le sue sfide. Forse questa è più difficile, è tutto sempre più complesso e ingiusto: ma l’uomo deve continuare a cercare, a farsi delle domande. Chi lavora, ha l’obbligo morale di contribuire al miglioramento del suo lavoro e del mondo: coi fatti. Basta poco, ma ci vuole coerenza». intervista del protagonista a https://storiedicalcio.altervista.org/blog/jorge-carrascosa-lupo-disse-no-ai-colonnelli.html




  da STORIE  DI MAGLIA  DI REPUBBLICA  

 
di Pier Luigi Pisa
a cura di Leonardo Meuti
riprese di Luciano Coscarella
La maglia originale esposta appartiene al Museo del Calcio Internazionale


 
 

 Storie di maglie è il format Gedi Visual dedicato al racconto di leggendarie divise da calcio originali: dalla numero 14 arancione di Johan Cruyff, usata ai Mondiali del 1974, alla numero 10 bianconera che Michel Platini ha usato nel 1985 in occasione della Toyota Cup (così si chiamava all’epoca il Mondiale per club, ndr). Dalla rarissima maglia verde che l’Italia ha indossato nel 1954, contro l’Argentina, a quella del 1935 con cui Silvio Piola ha debuttato in nazionale maggiore. Un tuffo nel passato più iconico e glorioso del calcio, insomma, reso possibile dalla collaborazione con il Museo del Calcio Internazionale, esposizione permanente che vanta cimeli di ogni epoca provenienti da tutto il mondo, e con il Museo del Calcio di Coverciano, promosso dalla Figc, dedicato ai campioni della nazionale italiana.




Giovanni Branchini: “Cavalli e pugni inseguendo Clint Eastwood"
Intervista con il procuratore sportivo. Ha portato Ronaldo all’Inter ed è l’agente di Allegri ma dice: "I miei sogni più belli li ho vissuti nella boxe e nel cinema. Mio padre si faceva spedire giornali da tutto il mondo, siamo stati i precursori di Internet. Il calcio? Purtroppo è malato"




Giovanni Branchini, a quasi 65 anni, è uno dei più vecchi procuratori di calcio italiani. È l'uomo che portò Ronaldo il Fenomeno all'Inter e l'ombra di Massimiliano Allegri che non è riuscito a portare al Real Madrid perché Max ha scelto Torino e la Juventus. È grande e grosso. Avrebbe voluto fare il pugile oppure l'attore. Nello
sport comunque c'è il suo destino."I cavalli arrivarono per primi. Mio nonno Nello all'inizio del '900 trasformò nel trotto le corse dei calessini delle campagne emiliane e toscane, che erano vere e proprie sfide tra i possidenti agricoli. Qualcuno si è giocato intere cascine. Ebbe tre figli, dei due maschi di casa mio zio Fausto continuò nel solco tracciato dal padre mentre mio papà, Umberto, sposò il pugilato".



E i figli con lui?
"Eravamo tre fratelli nati a dieci anni di distanza l'uno dall'altro, il primogenito Marco, che purtroppo ci ha lasciati nel 2004, ha intrapreso la carriera di driver, io e mio fratello minore, Adriano, abbiamo seguito papà nella boxe. A 18 anni ho avuto la tessera di procuratore sportivo dalla Federazione pugilistica italiana".


Quali sono i suoi primi ricordi?
"Da bambino passavo molto tempo nello studio di mio padre che fu un vero precursore del concetto di network e in un certo senso di Internet. Infatti, già negli anni '60 riceveva in abbonamento tutte le riviste specializzate e i quotidiani sportivi più importanti a livello mondiale. Lo faceva per trascrivere su appositi cartoncini i record di tutti i pugili in attività, ricavava i risultati dalla stampa. Parlava e scriveva in inglese, francese e spagnolo, possedeva le basi di giapponese e traduceva nomi, esiti degli incontri, peso degli atleti. Una di queste riviste era double face. Aveva due copertine e testi differenti a seconda del verso da cui cominciavi a leggere, ma soprattutto da una parte c'erano foto di pugili bianchi e dall'altra erano, invece, tutti di colore. Veniva dal Sudafrica".




Fu un modo salgariano di scoprire il mondo senza muoversi di casa.
"Papà aveva corrispondenti ovunque, trascorreva la sua vita alla macchina da scrivere e non passava giorno in cui non spedisse dalle 8 alle 15 lettere, più qualche telegramma. Non vi era altro modo di comunicare sino alla creazione da parte dell'azienda telefonica dell'epoca di un sistema chiamato Gran Parlatore che dai primi anni '70 consentiva di chiamare in teleselezione a costi esorbitanti".

Vi alzavate nel cuore della notte per seguire gli incontri americani?
"Il ricordo più nitido mi porta al primo Benvenuti-Griffith, al Madison Square Garden. Era l'aprile del '67. Fino all'ultimo non venne comunicato se sarebbe stato trasmesso dalla Rai in diretta. Rimanemmo svegli tentando inutilmente di sintonizzare il televisore tra Rai e Televisione della Svizzera Italiana. Ci siamo dovuti accontentare della storica radiocronaca di Paolo Valenti".




A quando risale la sua prima volta a bordo ring?
"Al 23 aprile del 1965, avevo otto anni. Eravamo al Palazzo dello Sport di Roma gremito sino all'esaurimento dei posti, mio papà con l'aiuto e l'organizzazione di Rino Tommasi era riuscito a condurre alla disputa del titolo mondiale uno dei suoi campioni prediletti, Salvatore Burruni. Nella concitazione generale non trovarono dove farmi sedere, alla fine mi sistemarono proprio all'angolo di Burruni, appena al di là delle corde. Ero rivolto verso il pubblico e ricordo di aver letto, per la tensione, l'andamento del match negli sguardi e nelle espressioni dei tifosi vip che stavano in prima fila".

Mai infilato i guantoni?
"Sì, mi sono allenato per molti anni in palestra con i nostri ragazzi e anche con degli amici ma non ho mai combattuto. Mi sarebbe piaciuto farlo. In compenso ci ha pensato mio figlio Giacomo a combattere da dilettante. Ancora oggi mi sveglio nel cuore della notte per assistere agli incontri più importanti. Grandissimi sono stati Carlos Monzon, Salvador Sanchez, Alexis Arguello, Roberto Duran, Sugar Ray Leonard, Mike Tyson. Ma ne dimentico troppi. Oggi Saul Canelo Alvarez è un campionissimo. Assieme a papà ho gestito nove campioni del mondo, ma sono legato soprattutto a un gruppetto di ragazzi: Rocky Mattioli, Loris e Maurizio Stecca, Francesco Damiani, Luigi Minchillo e Salvatore Melluzzo".

Che cos'è il pugilato?
"La boxe è verità. Non ci sono trucchi o chiacchiere, nella boxe devi essere te stesso, non puoi bluffare. La pazienza e il coraggio devono coniugarsi perché campioni non si nasce, si diventa imparando innanzitutto a camminare sul ring e poi piano piano a colpire e a non essere colpito. Il coraggio serve per ragionare non per picchiare".

Che cosa deve ai suoi genitori?
"Nella mia famiglia mamma è stata spesso anche padre. Nel '46, quando mio fratello Marco aveva appena un anno, papà partì per una tournèe negli Usa con tre atleti italiani, non lo vedemmo per diciotto mesi. Negli anni '70 gestiva un campione del mondo thailandese, Chartchai Chionoi, e quindi passava lunghi periodi in Asia. Insomma una famiglia normale, papà al lavoro e mamma casalinga, in cui ho presto imparato come il concetto di normalità sia flessibile".

Il cinema era l'avventura, il sogno?
"Credo che quelli della mia generazione siano cresciuti nei cinema molto più che davanti a uno schermo domestico. Se dovessi giocare con la risposta direi che mi sarebbe piaciuto essere il grande Peter Lorre di M - Il Mostro di Düsseldorf oppure un meraviglioso Clint Eastwood in tutte le sue interpretazioni".

Ci sono film che ha visto più di una volta?
"Moltissimi. C'era una volta in America di Sergio Leone e Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, ma tra i miei favoriti ci sono due capolavori del 1957 di Ingmar Bergman: Il Settimo Sigillo e Il posto delle fragole. Alcune opere mi hanno divertito moltissimo condizionando, credo, anche la mia ironia personale e sono Harold & Maude di Hal Hashby, Il Dittatore dello Stato Libero di Bananas di Woody Allen, Frankenstein junior di Mel Brooks e il primo Amici miei di Mario Monicelli. Se devo però dare un punto di partenza al mio amore per il cinema devo indicare alcune opere di John Cassavetes: Una moglie, La sera della prima e Gloria".

Le piace ancora il calcio?
"Amo il sacrificio dell'allenamento, l'alchimia dello spogliatoio e il valore mistico della sconfitta. Amavo soprattutto accompagnare l'opportunità che lo sport offre ad ognuno di poter crescere sul piano umano. Oggi questo concetto di sport propedeutico alla vita si è molto perduto, il guadagno è divenuto l'unico motore, la priorità invece della conseguenza".

Ma voi procuratori siete i profeti del dio denaro.
"Non siamo tutti bestie. Il potere dei procuratori è direttamente proporzionale allo spazio e alle connivenze che presidenti e club concedono. Non sono ancora riuscito a convincere i reggenti del calcio a sedersi insieme a un tavolo per resettare un meccanismo impazzito, per condividere e affrontare le sue patologie. Mi rispettano, mi ascoltano ma poi non succede nulla e tutto continua come prima".

Cosa sono i soldi per lei?
"I soldi sono spesso la conferma del valore di ciò che fai, ma sono soprattutto una scialuppa di salvataggio quando si affrontano le tempeste della vita. Senza aver mai assaltato diligenze ho potuto guadagnare con soddisfazione".

Chi è stato Ronaldo?
"Ho cominciato ad assistere Ronaldo quando aveva 17 anni e da subito ho percepito due cose: la sua vivissima intelligenza e l'empatia che sapeva creare intorno a sé. Era facile condividere con lui anche le decisioni più complesse, bastava spiegargli il contesto e i motivi di una scelta. Fu così anche per la sofferta decisione di lasciare il Barcellona. Era il numero uno al mondo e aveva diritto a un contratto trasparente e cristallino. Esattamente quello che l'Inter gli garantì".

Chi è Max Allegri?
"Uno che risponde no grazie al Real Madrid. E ho detto tutto".

25.12.20

sfatiamo il luogo comune che il natale con il covid secondo gli utenti dei social ( fb in particolare ) è il peggiore .



molti su fb dicono che questo è un brutto natale e peggio di cosi non si può , ecc . da un lato li capisco abituati specie qui giù al sud e nelle isole a tavolate numerose . Passino le nuove generazioni i cosiddetti millennial generation, ( cioè generazione Y o generation next ) che non hanno nonni che hanno vissuto i primi 50 anni del secolo scorso ed i loro nonni \e nati dopo la seconda guerra mondiale o non conoscono perchè odiano i programmi soporiferi (la maggior parte ) in tv dstoria e cultura ed a scuola i
prof ( ovviamente senza generalizzare ) sono solo ligi ai programmi e quindi anziché che innovare ed andare contro corrente s'attengono passivamente a quello senza entrare , al massimo ci si ferma alla 1 guerra mondiale , nel resto del secolo breve uno dei più importanti ed ancora divisorio e usato per strumentalizzazione ideologica e retorica  del vogliamoci tutti bene  che  non  approfondisce   in quanto  ci si   dimentica  i  ruoli   che  in   tali eventi  /  27  gennaio  e  10   febbraio hanno  avuto il nostro paese    o  si studiano solo  da  una  parte  sola o  sono  usati  come   arma  contro l'Aversario politico       vedi la  giornata  sulle  foibe     )   .  Ma un altro  sono  le  generazioni   precedenti  che   hanno  lasciato  alle  spalle    oppure   sono iperprotettivi  verso i figli e   gli  illudono che  tutto  sia   buono    e bello   tenendoli lontano   da brutture  ma  poi  li parcheggiano    sul  web    dimenticandosene    che  non sempre  il natale   è    solo    allegria   e spensieratezza      .  Infatti   ci sono  stati   natali  peggiori 

 
FRONTE DELLE TOFANE: LETTERA DI UN ALPINO CHE VENIVA DAL MARE.
26.12.1915
“Carissimi,
da qualche giorno non ho vostre notizie. Vi pregherei di farvi vivi ogni giorno almeno con una cartolina. Ieri in occasione del Natale gli austriaci sono stati buoni; non hanno sparato né cannonate, né colpi di fucile, gentilezze che gli altri giorni ci somministrano in abbondanza. Non sono mai riusciti a colpirci nonostante la loro buona volontà perché siamo protetti da certe rocce che sfiderebbero i cannoni più grossi.
Ieri, per solennizzare la festa è venuto per la messa un Reverendo Cappuccino. Immaginatevi una messa all’aperto, a quest’altezza e con la neve, una neve che Dio la mandava. A funzione finita ero completamente bianco, e mi si sarebbe detto appena uscito da un sacco di farina.
Dopo abbiamo avuto un pranzo luculliano; figuratevi che non mancava neppure il pesce fresco e di mare! [nota: il rancio quel giorno fu a base di baccalà con patate]
[...... ]. Nel pomeriggio vi fu una specie di fiera di beneficenza con la distribuzione alla truppa di indumenti di lana provenienti da diversi comitati. Ma stanotte alle 12 in punto, tanto per dimostrare che il Natale era trascorso, si è cominciato lo scambio di cortesie a base di granate e di shrapnells ed altri simili ingredienti nocivi alla salute. Contro di noi hanno un bel sprecar tempo che tanto non c’arrivano ...”

Il ten. Rodolfo Rossetti (7mo Reggimento Alpini, Btg. Monte Antelao, 151ma comp.) non vedrà più la sua Latisana (UD), non vedrà più il mare. Cadrà durante un assalto sulla Bainsizza la sera del 21.08.1917, sette giorni prima di compiere 23 anni. Medaglia d’Argento al Valor Militare.


Infatti condivido il post del  9 novembre   del mio nuovo  contatto    Facebook   Laura Scianna



Immagina per un momento se fossi nato nel 1900.
Quando hai 14 anni inizia la prima guerra mondiale e questa finisce quando hai 18 anni con un saldo di 22 milioni di morti.Poco dopo, una pandemia mondiale, influenza spagnola, uccide 50 milioni di persone. Ne esci vivo e indenne, hai 20 anni Poi a 29 anni sopravvivi alla crisi economica mondiale iniziata con il crollo della borsa di New York, provocando inflazione, disoccupazione e carestia. A 33 anni i nazisti arrivano al potere.Hai 39 anni quando inizia la Seconda Guerra Mondiale e lei finisce quando hai 45 anni. Durante l'olocausto muoiono 6 milioni di ebrei. Ci saranno più di 60 milioni di morti in totale.Quando hai 52 anni inizia la guerra in Corea. Quando hai 64 anni inizia la guerra del Vietnam e finisce quando hai 75 anni.Un bambino nato nel 1985 pensa che i suoi nonni non abbiano idea di quanto sia difficile la vita, ma sono sopravvissuti a diverse guerre e catastrofi.Un bambino nato nel 1995 e oggi di 25 anni pensa che sia la fine del mondo quando il suo pacco Amazon richiede più di tre giorni per arrivare o quando non ottiene più di 15 ′′ likes ′′ per la sua foto pubblicata su Facebook o Instagram...Nel 2020 molti di noi vivono nel comfort, abbiamo accesso a diverse fonti di intrattenimento a casa, e possiamo grazie agli aiuti governativi sopravvivere pacificamente ad una nuova pandemia.Ma le persone si lamentano perché per diverse settimane devono rimanere confinati a casa. Eppure hanno elettricità, telefono, cibo, acqua calda e tetto sulla testa.Nulla di tutto ciò esisteva una volta. Ma l'umanità è sopravvissuta a circostanze molto più gravi e non ha mai perso la loro gioia di vivere. E da giorni ci lamentiamo perché dobbiamo indossare mascherine per entrare nei supermercati, fare shopping, prendere il trasporto pubblico...Forse è ora di essere meno egoisti, smettere di lamentarsi e piangere.
(Autore sconosciuto)

passera   anche  questo   solo  questione    di abitudine  . bisogna    abituarsi   (  o riabituarsi   )  al  sacrificio   ,  al  fatto che niente    è  certo     a  vivere  e   a  viaggiare





Salgono i verticali i monaci in clausura
Immobili
Viaggiano l'alto il basso senza abbellimenti
Cadono di vertigine... 
Cadono di vertigine...
Strisciano verso il ritmo i tarantolati schiacciati dallo spazio senza tempo
Viaggiano i viandanti viaggiano i perdenti
Viaggiano i perdenti più adatti ai mutamenti viaggia Sua Santità
Consumano la terra in percorsi obbligati i cani alla catena
Disposti a decollarsi per un passo inerte più in là
Coprono spazi ottusi gli idoli
Clonano miliziani dai ritmi cadenzati
In sincrono [.... ]

           in viaggio  -  Csi  


    ad essere    sfigati    (  senza  esagerare   basta  il   bicchiere  mezzo  pieno   e  mezzo  vuoto  )  come   

  amiamo amando
la libertà
amiamo amando
la felicità
noi perdenti
saremo i vincenti
di un mondo intero
senza frontiere
saremo sfigati
ma siamo liberati


l'inno frigideriano composto dal pianista e compositore Giorgio Gaslini ( 1929-2014 ) ", brano composto per la ex rivista Frigidaire,


 vedi i miei  precedenti    post  

   ed  proprio    mentre  m'accingo    a  terminare  questo post   dal cd  o cellulare    di mia madre   partono  le prime     note      di   Lascia ch'io pianga  una celebre aria per soprano composta da Georg Friedrich Händel.  nella   versione più struggente   che  abbia mai sentito    

 
che  supera  addirittura  quella     di paolo fresu  




  con questo è tutto ancora  auguri  di  buon  natale  

15.1.17

A Torino la squadra peggiore d’Italia: “Perdiamo, ma sempre con il sorriso”

proprio le parole di quest'inno sono adatte a questa vicenda da " sfigati " storie disney di paperino e paperoga . Altro che le grandi squadre di serie che ad ogni sconfitta trovano sempre una scusa o la devono far passare per vittima, questa squadra di sicuro sarà la migliore perchè accetta le sconfitte e dalle sconfitte si diventa i migliori, al contrario di chi vince sempre, perchè chi vince sempre spesso  non sa  rialzarsi



Inoltre  le  sconfitte  insegnano  come dice  una puntata  di un famoso cartone animato 




se  nel caso non riusciste  a vederlo lo trovate  qui  su http://www.dailymotion.com/it


A Torino la squadra peggiore d’Italia: “Perdiamo, ma sempre con il sorriso”
La Crocetta ha il record di ko e gol subiti su mille squadre di Terza Categoria. Ma il tecnico scommette sul primo successo: «Ci divertiamo e non molliamo neanche sotto 12-0»


                                 La formazione della Crocetta al debutto stagionale. 


Girarci attorno è inutile: «Siete la squadra peggiore d’Italia». Ma la notizia non sorprende lo spogliatoio. I calciatori della Crocetta, quartiere chic di Torino, fanno spallucce. «Davvero? Allora siamo i primi degli ultimi», sorride il presidente Stefano Armitano. La squadra, al primo anno in Terza Categoria, è in fondo alla classifica a zero punti. I numeri: 11 sconfitte, 82 gol subiti e 7 fatti (il capocannoniere del campionato, da solo, ne ha segnati il doppio). Nei 148 gironi dell’ultima serie dilettantistica - oltre mille squadre in tutta Italia - nessuno ha numeri simili. In realtà chi ha fatto peggio c’è: l’African Sport United, in provincia di Catania, è a -2, ma solo a causa di una penalità.
“Presto la prima vittoria”
Malgrado la classifica la Crocetta tira dritto con un entusiasmo ingiustificato dalla valanga di gol subiti. Ma chi ve lo fa fare? «Sembra strano, ma noi ci divertiamo, la nostra è una passionaccia. E presto arriveranno i primi punti», scommette il presidente, che ha fondato la società tre anni fa. La
a squadra è il trionfo della passione sconfinata per uno sport, il calcio, ormai ostaggio del business. Sudore e fatica in campetti di provincia, lontani anni luce dai miliardari cinesi che stanno razziando i campionati europei. Il volto sano di chi perde con il sorriso. «Noi ci autofinanziamo. In pratica paghiamo per prendere tutti quei gol», scherza il presidente. Ma non chiamateli Armata Brancaleone. «Partiamo sempre per vincere. Non molliamo mai, anche se siamo sotto 12-0», spiega il tecnico Sheptim Tereziu, con un passato da numero 10 nella serie A albanese. Il tecnico con un passato in A
Lo spogliatoio della Crocetta è un crocevia di storie incredibili. Trovi fianco a fianco uno studente 18enne e un imprenditore vicino ai 50. L’allenatore, classe ‘73, ha giocato nel campionato del suo Paese d’origine contro Bogdani e Tare, vecchie conoscenze del nostro campionato. Poi è arrivato a Torino per lavoro. Un giorno, al parco, il presidente del Crocetta lo vede palleggiare: «La palla non gli cadeva mai: gli ho subito proposto di unirsi a noi». Poi c’è Giovanni Bertolotto, difensore di 26 anni. Fino a tre anni fa era protagonista nella serie A di hockey su ghiaccio. Dopo alcuni screzi ha deciso di lasciare. «Mi mancava l’agonismo e la Crocetta mi ha dato una chance per ripartire».
150 Anni in tre
Saverio Fedele, 56 anni, è invece un dirigente-giocatore. Quarant’anni fa, quando ne aveva 16, doveva firmare per la Reggina. L’affare saltò e scelse di studiare: ora fa l’avvocato. Alla prima di campionato mancava il portiere ed è stato costretto a giocare in porta. Con lui altri due ultraquarantenni, tra cui il presidente-giocatore Armitano. «In difesa avevamo 150 anni in tre - racconta ridendo -. Probabilmente un record Guinness!». Lentamente la squadra è migliorata - ha perso l’ultima per 3-2 dopo essere stata in vantaggio - e grazie agli innesti del mercato invernale («Siete proprio sicuri di cosa state facendo?» ha domandato loro il tecnico) va a caccia della prima vittoria.
La vendetta dai “Pulcini” 
E poi la Crocetta punta sulle giovanili. I pulcini hanno vinto tutte le partite, un record in Piemonte. «Saranno loro, in un futuro non lontano, a vendicarci», scommette il presidente. 


«Saranno loro, in un futuro non lontano, a vendicarci», scommette il presidente.

8.3.09

"8 marzo: una bambina, una donna, senza Chiesa"

Carissimi,

“Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna” (Mt 5, 20-22). Parole severe quelle di Gesù. Non dissimili da quelle di alcuni maestri del suo tempo, che ricordavano: il comandamento è di non spargere il sangue, ora, chiunque umilia il suo prossimo, chiunque lo fa arrossire di vergogna, è come se ne spargesse il sangue, è perciò lui stesso omicida. La mattina, alla preghiera, noi non siamo molti, sei, sette, otto persone al massimo. Che oggi, quando, in apertura, si è fatta la memoria della vita, erano tutte, tra lo smarrito e l’indignato. Perché noi non siamo abituati a pastori così. Come quello che è entrato, alla stregua di un carro armato, in una storia, già di per sé fin troppo dolorosa, triste e drammatica. La storia parla di una bambina di nove anni che, assieme alla sorella quattordicenne (handicappata psichica), era costretta da tre anni a subire le violenze del giovane patrigno. Tali violenze si sono tradotte negli ultimi tempi in una gravidanza gemellare per la bambina più piccola, un fuscello di trentasettechili di peso. Che sua madre, il giorno in cui questa accusa forti dolori al ventre, porta in ospedale a Recife. E lì viene fuori la verità, amarissima. Con tutto ciò che ne segue. L’arresto del patrigno e la decisione di interrompere la gestazione della bimba. La storia potrebbe anche chiudersi qui, con in più, soltanto, il rispetto, il silenzio, l’abbraccio umano di quanti sono ancora capaci di voler bene. Tra cui, sperabilmente la gente di chiesa. Per alleviare, se mai fosse possibile, l’eccesso del dolore. E invece. Invece arriva fuori lui, il pastore, che da Gesù dovrebbe aver imparato il primato della misericordia, l’invito a non giudicare, la generosità fino al dono della vita. Ma che, sfortunatamente, “mica tutti ne sono capaci”. E così lui sale in cattedra, non sia mai per denunciare i potenti, ma per umiliare e schiacciare i poveri e chi si è fatto toccare dall’enormità della loro sofferenza. E scomunica quanti, per altro, hanno agito nel rispetto della legge: la direzione dell’ospedale dove si è svolto l’intervento, l’équipe medica che lo ha realizzato, la madre che lo ha autorizzato. La bambina non ha invece potuto formalmente scomunicarla, ma solo perché è minorenne. Fosse stato per lui, chissà! Del resto lui è lo stesso “pastore” inviato nel 1985 all’arcidiocesi di Olinda e Recife, per sostituire dom Helder Câmara, normalizzare quella chiesa, demolire sistematicamente il lavoro pastorale del profetico arcivescovo dei poveri. Il medico che ha coordinato l’intervento, il dott. Rivaldo Mendes de Albuquerque, cattolico, ha dichiarato: “Non riceviamo un solo centesimo per questo tipo di operazioni. Lo facciamo per il rispetto che una donna (in questo caso una bambina!) vittima di violenza merita, e che l’arcivescovo, sfortunatamente, tratta senza nessuna misericordia. È curioso che chi ci ha condannato alla scomunica non ha proferito una sola parola diretta all’uomo che ha stuprato questa bambina. Per dom José Cardoso Sobrinho, l’unica cosa che conta è il Diritto Canonico. Gli manca il cuore. Ho compassione del nostro arcivescovo, che non ha saputo essere misericordioso con una bambina innocente”. Ha ragione il dott. Rivaldo: non smarrimento, non indignazione, solo compassione. Chissà che domani, salendo all’altare quel vescovo riesca a ricordare la frase di Gesù: “Se presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt 5, 23-24), e magari, tutto paramentato, vada a cercare quella madre e le sue bimbe, e gli si inginocchi davanti e chieda loro perdono. Per intanto facciamolo noi, ci sarà rimasto qualche cristiano nella chiesa di Olinda e Recife, vero?



Il Postino della Comunità “Evangelho è Vida” del Bairro Rio Vermelho di Goiás (Brasile) - Testo raccolto da don Paolo Farinella





7.3.09

Luca aveva 33 anni... ed era gay è non è stato cantato a San remo


Ora che le polemiche   suscitate   dalla  canzone  ( musicalmente  è buona  , soprattutto perchè ha   avuto  buon gioco  di farsi accompagnare  da  una   ,  da  quell poco  che  da  profano  ne  capisco  ,  bellissima   voce  femminile  )   di  povia Luca  era  gay  il cui testo :  secondo  l'autrice  di eka.iobloggo.com/ : << (...)  Secondo me c'è poco da dire/da lamentare: fa cagare, e non solo per il tema decisamente opinabile, poco e mal argomentato ( che si studi Freud, prima di citarlo in maniera errata) ed alquanto idiota (tizio era gay, adesso sta con lei...), sapientemente studiato per provocare tutto il marasma che si è portato dietro -per non parlare di Luxuria sempre in televisione, (....)  Fa cagare, punto. >> qui il   resto dell'articolo  in questione  )  , sono mature   per  parlare  " pacamente   "  (  per parafrasare  un  noto politiko italiano   che    ha  capito  dopo varie  batoste    di farsi da parte  )   di   tali argomenti   e  proporre  , vedi titolo , la storia    di un 'altro Luca  .
L'occasione  viene  da un post  riportato  Dall'altro nostro (   per   chi ha  anche  blogger  come   blog  principale  e solo  l'account  in splinder    ) blog  riporto  qui l'url  per chi non lo ricordasse o non  lo conoscesse  ancora  www.ulisse-compagnidistrada.blogspot.com pubblico questa  toccante  storia  riportata  dalla  cdv  (   sia   in  splinder  sia  in blogger  )  daniela  tuscano  .

<<


Riceviamo e volentieri pubblichiamo.



Cara Daniela,
Povia afferma che il "suo" Luca ex gay in realtà porta un altro nome, ora ha 58 anni, è sposato, ha una figlia e ha finalmente raggiunto felicità e benessere interiore.
Io invece voglio raccontarti d'un altro Luca. Che si chiamava proprio così, e la cui storia è un po' diversa da quella cantata a Sanremo.
Luca aveva 33 anni quando ci ha lasciati! Ma la sua energia è ancora dentro tutti coloro che l'hanno conosciuto. Come a me e a Matteo.

Io e Matteo siamo due volontari di una pubblica assistenza di Firenze, e ci venne chiesto se volevamo fare un servizio di assistenza domiciliare in una casa vicino a dove abitavamo noi. L'impegno era soltanto per due volte alla settimana e si trattava di preparare la cena, se lo sapevamo fare, oppure andare a fare la spesa, perché questa una viveva sola e non poteva uscire perché malata. Negli altri giorni altri volontari a svolgevano questo servizio, ma eravamo liberi di andare a trovarla ogni volta che volevamo.


Così io e Matteo accettammo; in fondo bastava organizzarci per chi dei due andava a comprare le cose mentre l'altro preparava la cena. Sarà la solita vecchina o vecchino solo senza famiglia, o con la famiglia che se ne fregava, pensammo. Dissi a Matteo: "Perché non facciamo un salto domenica sera a vedere un po' com'è la situazione? Così ci organizziamo di conseguenza". E così, la domenica, andammo all'indirizzo che ci avevano dato. Aprimmo con le chiavi forniteci dall'organizzazione in quanto il padrone di casa non sempre era in grado di alzarsi dal letto.
Ci trovammo in un piccolo salotto molto accogliente, con un gran divano che prendeva tutta la parete e dava di fronte alle finestre spalancate su un piccolo giardino molto ben curato. In un angolo, su una sedia a dondolo c'era un ragazzo molto giovane, con una sigaretta tra le dita, molto magro e pallido. Ci disse buonasera e io e Matteo ci guardammo un po' stupiti. Si presentò dicendo di chiamarsi Luca e che era lui il bisognoso di assistenza perché malato di Aids; se questo ci avesse creato problema, lui avrebbe capito e richiesto altre persone. Io, superato il primo momento d'imbarazzo, mi avvicinai e mi presentai e gli dissi che per quanto mi riguardavanon ci sarebbero stati problemi. Non ci furono neanche per Matteo. Così cominciò la nostra avventura con Luca. Cominciammo ad andare due volte, che poi diventarono tre, poi quattro, e tutte le domeniche sere restavamo a cena con lui. Divenne la nostra vita. E noi la sua. Non passava momento libero che non fossimo con Luca. Aveva lasciato i genitori a 20 anni per andarea vivere da solo con il suo compagno, ma tutto in gran segreto, perché i genitori rifiutavano totalmente l'idea di avere un figlio gay. Quando andavano a trovarlo, doveva cacciare di casa il compagno perché, se lo avessero visto in compagnia di un uomo, da solo in casa, sarebbe successo il finimondo.

Questo è durato per 10 anni, fino a quando il suo compagno è morto per Aids. Luca aveva contratto la malattia due anni prima che morisse il suo compagno, e per i tre anni che sono seguiti prima della sua morte, aveva tagliato i ponti con tutti. I genitori sono venuti a sapere che il loro figlio era gay e pure malato soltanto dopo la morte del partner, perché glielo aveva rivelato lui stesso. Da quel momento i genitori non erano più esistiti per Luca, e lui, di conseguenza, aveva cambiato serratura alla porta e annullato il contratto telefonico. Comunicava solo con il cellulare.
Quando ha cominciato a stare molto male si è rivolto alla nostra associazione per chiedere se poteva avere assistenza domiciliare. Così siamo entrati in gioco noi. Tra noi era nato un legame fortissimo, un'amicizia senza limiti. Matteo aveva due videoregistratori e ne portò uno a casa di Luca. Io ho circa 500 film, ogni volta gli facevamo scegliere tra generi diversi. Nei periodi in cui stava meglio e aveva voglia di uscire, lo portavamo al cinema, sua grande passione, in giro per la Toscana. Poi cucinavamo di tutto facendo un gran casino, e lui rideva come un matto.
Per l'unico Natale passato insieme, gli comprammo l'albero e anche il regalo. L'albero non lo aveva più fatto da quando era mancato il suo compagno. Trascorremmo insieme anche l'ultimo dell'anno. Anche di sesso parlavamo. Tra noi erano caduti tutti i muri. Eravamo diventati una famiglia. Ma cosa importante, eravamo riusciti a farlo sorridere di nuovo.


Diventammo anche la voce dello scandalo per gli inquilini. Quel via vai di uomini in quella casa. Se incrociavamo qualcuno, non ci salutavano o ci guardavano di traverso.
Poi venne aprile. Quella sera, quando arrivammo noi, lo trovammo a letto. Non riusciva neanche a parlare. Trovai il numero di telefono del medico e lo chiamai subito. Mi disse che si trattava d'una nuova crisi, di dargli quelle medicine di sempre e che, se Dio avesse voluto, si sarebberipreso. Non si riprese più. Quella notte noi rimanemmo lì. Io nel letto con lui, Matteo sul divano. Nella notte ci lasciò. Svegliai Matteo per avvisarlo. Lui chiamò il medico, che accorse subito. Poi di nuovo facemmo il nostro lavoro. Lavammo Luca, lo vestimmo e aspettammo che l'ambulanza lo portasse via. Solo quando si udì la sirena, quelli del primo piano chiesero cosa fosse successo. Per mia fortuna non avevo voglia di parlare, se no non so se sarei riuscito a controllarmi. Neanche Matteo rispose.
Dopo che l'ambulanza si fu allontanata, io e Matteo ci guardammo negli occhi gonfi per il pianto e per la notte insonne. E in quella, Matteo fece un gesto che, lì per lì, mi sorprese: in quel momento, nel giardino, davanti a quegli occhi curiosi e indifferenti, mi baciò. Matteo è eterosessuale e solo più tardi capii che quel bacio era per Luca, per provocazione a quella gente che per quei 7 mesi che noi eravamo stati lì, non si era mai presentata a chiedere se avesse bisogno di qualcosa.
Questa storia ci ha lasciato una grande ferita, che ha portato me e Matteo a non vederci quasi più. Io non faccio volontariato da quasi due anni. Matteo lo sento ogni tanto per telefono. Ci incontriamo il giorno del compleanno di Luca per andare insieme a messa. Non essendo parenti, non abbiamo saputo neanche dov'è sepolto, anche se forse dentro di noi, in realtà non lo vogliamo sapere.Preferiamo ricordarlo nella nostra intimità. Per Matteo è stata la prima esperienza con una persona sofferente che poi è morta. Per me, invece, la seconda. Il 2 gennaio del 1991 ho perso mia madre per leucemia.

                                                              Daniele Bausi
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Dovrei concludere  qui  ., ma datro che ci sono  ne  approfitto    per  rispondere   alla  grilo  a chi   mi scrive  (  nell'email  riportasta  sotto  i post  , o a quella di splinder  )  o  mi  sms    chiedendomi  e  scrivendomi :
1)   visto  che  parlate   di gay  , lesbiche  , siete per  caso gay  o lesbiche  ?
2) il  vostro sito  è  una  comunità   omosessuale  ?
3)   se  sei  etero  perchè  .......  ti schieri con quella  feccia  e  malati  ed  esibizionisti  bvedi le  loor  pagliacciate  di  gay  pride   e adesso lesbo pride  ? che voglionoisposarsi  ed  adottare bambini  non c'è più   religione  , roivinano la  famigflia  , ecc 
4)  e  altri commenti  neofascisti  e razzistici   che  mi viene  il disgusto   solo  a  ripeterlli e  a riportarli  .

Lo sò che  dovrei fare  come dante  non curarti di loro  , ma  certe cose  mi fanno vergognare   oltre che  (  come  mi  è sucesso   quando  ho visto  il film Philadelphia  del 1993, diretto da Jonathan Demme con Tom Hanks) piangere  nel vedere  che un uomo o  una donna  nel 21  secolo  sia  discriminagto per  le  sue scelte sessuali  .

Ecco le  mie risposte  .
1)    qui parlo per  me  ,  gli altri  non sò  se  vogliono possono replicare nei  commenti  , non lo sono  . E  se poi lo fossi  vi cambierebbe  qualcosa  ? 
2  )  ma  prima  d'aprire  quella  cloaca di boccca  ti sei accorto    d'aver   collegato bocca  con il  cervello  ?  l E’ stato anche dimostrato che una quota significativa di individui eterosessuali può manifestare dei comportamenti omosessuali in circostanze in cui l’accesso all’altro sesso è impedito o reso impossibile per le più varie ragioni (scuole, servizio militare, carceri, etc.).
E’ anche importante fare una istinzione tra l’orientamento sessuale omosessuale (il fatto cioè di avere preferenza esclusiva per una sessualità di tipo omosessuale) ed il comportamento omosessuale. Il comportamento omosessuale è infatti piuttosto comune nell’adolescenza, mentre la prevalenza dell’orientamento sessuale omosessuale nell’adulto è di circa il 7% nei maschi e di circa il 4% nelle femmine (anche se si ritiene che questi dati siano stimati per difetto).
In tutti i paesi europei l’omosessualità è considerata un comportamento assolutamente legale purché venga messa in atto da individui considerati in grado di intendere e di volere e consenzienti.
E per finire l’omosessualità è scomparsa da diversi anni anche dai manuali psichiatrici non essendo più considerata una malattia psichiatrica.Infatti    già  da  (  trovate la  copertina sotto  di un suo libro  )  Alfred Adler(1870 –1937) psichiatra e psicoanalista austriaco .
L’omosessualità non è una malattia".  Infatti  egli  : <<   (...)  . Nella fase dello sviluppo, il bambino affronta problemi e situazioni creando stratagemmi che ricava dalla propria esperienza e dal confronto con quelle degli altri, soluzioni che adotta come schemi del suo comportamento, ai quali si conformeranno da allora le sue risposte. Le ricerche della psicologia individuale hanno inoltre dimostrato che un bambino sarà tanto più perverso quanto più sarà accresciuto in lui il senso di inferiorità. Naturalmente sotto questa chiave anche l'educazione assume un senso di primaria importanza: un padre-tiranno, che offusca la personalità espressiva del figlio, può essere causa dell'insicurezza dello stesso, creando un grave senso di inferiorità, ed egli si oppone all'autorità del padre in modo nascosto, acquisendo le doti tipiche del perverso. Stessa cosa accade se la madre é forte e possessiva: il bambino avrà, un domani, un forte senso di scoraggiamento e quindi di repulsione verso la donna. La fuoriuscita dallo schema tradizionale fa sì che l'omosessuale sia scarsamente adattabile alla vita sociale, dove infatti egli è condannato ad essere considerato immorale. E' molto complicato curare l'individuo omosessuale perché si tratta di una nevrosi individuale costituita in età giovanile: é necessario estirparne l'omosessualità acquisita nell'infanzia, quindi rilevare in modo preciso la distanza dal partner sessuale, evidenziare l'aspetto dell'antisocialità ed infine sciogliere il senso di superiorità adottato per compensazione. L'omosessualità, come si diceva, é un fattore di educazione dell'infanzia. La vasta diffusione di questo fenomeno, normale nei tempi antichi come tutt'oggi in ogni classe sociale, fa ad Adler dedurre che l'omosessualità sia una perversione non curabile.>> (  tratto dalla sua biografia su   filosofico.net  )  Può sembrare assurdo doverlo ripetere nel 2006 ma l’Associazione Americana di Psicologia è stata costretta, nel corso di una settimana di convegni appositamente organizzati a New Orléans, a ribadire le posizioni stabilite ufficialmente nel lontano 1975.“L’omosessualità non è una scelta ma una condizione naturale, dunque non vi si può guarire” ha affermato l’Associazione degli Psicologi di fronte alle pressioni dei movimenti cosiddetti “ex-gay” come Exodus, secondo cui sarebbe possibile guarire dall’omosessualità abbracciando la fede religiosa. “Chi afferma il contrario - puntualizzano gli organizzatori - fa riferimento a pratiche religiose e non scientifiche, sul cui reale funzionamento non esistono prove scientifiche e che anzi possono essere fonte di discriminazione sociale.”Al convegno scientifico hanno trovato spazio anche associazioni come “Truth Wins Out”, che è da tempo impegnata nel portare alla luce le truffe e i raggiri che spesso stanno dietro ai presunti guaritori dal 'male' dell’omosessualita'.
3)  solo perchè  ......   con l'ano  e con la  bocca    non sono diversi da noi   .  Non sono malati   e tutti esisbizionisti , esperienza  personale  ( ne  ho conosciuto    e   alcuni li  frequento tutt'ora    ed altri non faccio nomi  per  privacy   e perchè  essere homosex  oggi     viene considerato oggi un tabù  e non mi và   ed0'essere  coresponsabile  d'averlo messo   alla  pubblica  gogna  , scrivono quoi  da  noi  ) .
Io  ho forti dubbi  sull'adozione   dei bambini a  coppie  gay e  Lesbiche    e non mi piace il matrimonio  omosessuiale   meglio  un pacs  o il solo matrimonio   laico in comune  )  .   i gay  pride  sarebbero delle    carnevalate   ( pagliacciate  non mi piace   come termine  )   se  non ci fosse  una cultura  (    sia  a destra , sopratu tto per  esperienza personaloe  e per  qule che vedo e sento  ,  sia   a sinistra  e ila  storia  di P.P.Pasolini lo dimostra  )  Poi  condivido  in parte   (  pnon  mi dilungo  , poer  non annoiarci   , ma sopratutto     perchè  chi mi legge   sa  cosa  condivido  d''esspo  ,  cmq    se  volete   sui  può approfondire  nei commenti   o  in  privato  )  quello che ha detto  nel discorso  di parlamentare   di cui riporto sotto la  prima parte Carmen Montón,  ministro del governo zapatero (  ha lo stesso ruolo di mara  Carfagna  )  che ha collaborato alla stesura della legge per il riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso. É corrispondente alla "nostra" Mara Carfagna. durante  l'iter legisloativo   della  legge di Zapatero  suoi matrimoni omosex 




trovate buzzintercultura.blogspot.com/ più  precisamente  qui se   non avete  voglia  di   cercare  nel suo archivio  .

  con questo è tutto alla prossima 

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