Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
7.10.24
Lea e Sammy i due campioni - © Daniela Tuscano
14.6.24
Le parole del 2023 di mario domina
Lo so che tale post è cronologicamente del dicembre 2023 , purtroppo essendo iscritto a diverse cose l'hoi trovato solo ora mentre svuotavo l'email , però il post contenuto è ancora attuale perchè il contesto delle parole è ancora valido .
dal blog https://mariodomina.wordpress.com/ di Mario Domina*
La prima che mi viene in mente, inevitabilmente, è GUERRA.
La guerra non è mai scomparsa dalla scena, è presente e sempre incombente nelle relazioni umane, anche quando non si vede. Ma due guerre di questa portata – la guerra ucraina (dietro cui c’è quella tra Russia e Occidente) incancrenita, e la guerra israeliano-palestinese mai risolta – ci dicono che le relazioni internazionali stanno subendo una regressione pericolosa: non che in passato non fossero i rapporti di forza a dominare, ma per lo meno era stata costruita un’impalcatura ideologica, giuridica e dialogica, un consesso in cui si tentava di ragionare, mediare, venire a patti. Ora sappiamo che era puro teatro. La scena è nuda. Trasimaco impera.
C’è poi CLIMA. Sulla faglia di questa emergenza si sta costruendo un nuovo gioco globale in cui i fanatismi, gli interessi contrapposti e il capitalismo ridipinto di verde si vanno affrontando, spargendo fumo tutt’intorno. Occorre quindi essere chiari: non c’è una transizione ad un sistema sostenibile senza l’uscita dal Capitale – o, per lo meno, senza l’uscita da un sistema che non prevede l’autonomia del politico nei confronti dell’economico, del pubblico rispetto al privato. Senza un Noi che prevalga sull’Io.
MIGRANTI è un’altra parola-chiave. Una parola che rivela sempre di più, a dispetto di quella strana fluidità nominale dovuta alla forma del participio, una ferrea rigidità gerarchica: si spostano i disperati e i senzafuturo, i profughi che fuggono dalle guerre, ma c’è anche chi emigra per calcoli economici o per desiderio, c’è la fuga dei cervelli e quella dei giovani.
C’è l’inferno dei clandestini e il paradiso dei cosmopoliti nei resort esclusivi.
PATRIARCATO ha fatto furore negli ultimi mesi dell’anno. Mi astengo da ogni futile polemica, e mi limito a dire che “patriarcato” non va mai disgiunto dal sistema di potere socio-economico, ideologico e simbolico di cui è parte (resta da stabilire se davvero il capitalismo post-moderno se ne stia liberando, così come il capitalismo delle origini si liberò dei vincoli feudali). Registro però che: esistono ancora religioni diffuse ad impianto patriarcale (compresa la chiesa cattolica, dominata da una casta maschile) – e Dio non è certo femminile; il potere economico e politico globale è per lo più maschile; si dice ancora per lo più uomo, non essere umano; e il fatto che ai vertici bancari o dell’UE o del governo italiano ci siano donne, non significa che domini il matriarcato (che tra l’altro non è certo l’alternativa desiderabile al patriarcato). Insomma, c’è da rifletterci un bel po’.
EUROPA. Che dire di questa parola: un grande sogno (di pace, giustizia, uguaglianza, libertà) ormai tramontato o, fin dall’inizio, un grande equivoco?
Ormai è certo che Europa equivale a una scorza secca e vuota, un imbroglio per favorire un’aristocrazia ributtante e ricolma di privilegi. Ma anche del suo antonimo “sovranismo” – se non si dice qual è il soggetto e qual è il progetto – non ce ne facciamo nulla.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE. È cosa serissima, ma è anche il termine-spauracchio che più che il luddismo evoca il rovesciamento del rapporto con la tecnica: non noi agiamo la tecnica, ma ne siamo super-agiti. Il problema è che si richiede un livello altissimo di coscienza e di conoscenza per poter scegliere. E non ogni novità deve essere passivamente accolta. O lo può essere, ma con tempi e modalità decise consapevolmente, e dunque non subita passivamente. E decisa da chi, se non dalla sfera politica?
Infine un tris concettuale e sfuggente: COMPLESSITÀ, MULTIPOLARITÀ, MOLTITUDINE.
L’ultimo – per quanto poco proficuo – vuol essere un omaggio a Toni Negri, un altro pezzo di Novecento che si stacca nostalgicamente da un soggetto di trasformazione (o dal suo spettro) che non si sa più che faccia o identità abbia. Un soggetto, direi, alla deriva psicologica.
Ma è certo che l’unificazione del mondo – un processo inesorabile, visto che siamo un’unica specie, unificata in un destino unitario – non può essere pensata se non dialetticamente come complessa e multipolare, ed insieme interconnessa ad una moltitudine di enti, viventi, processi, i più disparati. Il soggetto – se proprio deve ancora esistere – non può che essere plurale. Non un Io, ma un Noi che comprenda ben più degli umani.
(Parole-sacco, nelle quali siamo infilati, e tra le cui spire rischiamo di soffocare – come ben lo ha saputo rappresentare Goya)
*Laureatosi in Filosofia all’Università Statale di Milano con la tesi "Il selvaggio, il tempo, la storia: antropologia e politica nell’opera di Jean-Jacques Rousseau" (relatore prof. Renato Pettoello; correlatore prof. Luciano Parinetto), svolge successivamente attività di divulgazione e alfabetizzazione filosofica, organizzando corsi, seminari, incontri pubblici. Nel 1999, insieme a Francesco Muraro, Nicoletta Poidimani e Luciano Parinetto, per le edizioni Punto Rosso pubblica il saggio "Corpi in divenire". Nel 2005 contribuisce alla nascita dell’Associazione Filosofica Noesis. Partecipa quindi a un progetto di “filosofia con i bambini” presso la scuola elementare Manzoni di Rescalda, esperimento tuttora in corso. E’ bibliotecario della Biblioteca comunale di Rescaldina.
10.4.24
L’utopia ha l’ onore della pace e l’ onere della guerra di Pierluigi Raccagni
L’ utopia, dixit la Treccani in senso limitativo è un sogno irrealizzabile,in senso positivo è una critica alle cose esistenti senza fine pratico. Ad esempio la pace universale è un’utopia,la pace dopo la guerra e la guerra dopo la pace e’ il corso del mondo.La cultura del nostro tempo passa per l’ omologazione del tutto. Ma non è così.Democrazia e libertà ad esempio,costruiti nella storia da centinaia di rivoluzioni e guerre di liberazione vs.l’imperialismo fanno parte di una storia che ha emancipato donne e uomini dalla sofferenza di vivere.La sconfitta del Male Assoluto è costata milioni di morti, la pace di Hitler e Mussolini ha coinciso con le loro tombe,grazie a Dio.Ognuno pensi quello che vuole,perbacco,ma racimolare sentenze salvifiche il proprio tornaconto è lo spirito che giustifica in qualche modo la violenza sugli umili.La pace perpetua di Kant che comporta il rispetto dei vinti, l’ anarco comunismo solidale,storico,liberatorio e libertario di tradizione secolare, che rifiuta la guerra imperialista aggressiva, rimangono valori di coerenza.L’ autonomia di una ragione idealistica, che ci possa salvare dalla merceologia delle idee e già un passo avanti per non cadere nella pace assoluta solo nei tempi di guerra : la pace,solitamente,ha i suoi onori,gli oneri sono la guerra. ( oggi oltre a Gaza e Ucraina ci sono 56 guerre dimenticate,ad esempio) Anche una visione umanistica,solidale,non qualunquista, di una parte del volontariato e del terzo settore , di spiritualismo laico o religioso anche trasversale, e’ sempre una certezza di convivenza.Sì,basta che la paura di un senso comune di falsa libertà nella sfera dei consumi,non diventi il miglior modo per un ponzio pilatismo sugli affari correnti, mentre il dogmatismo Komunista a prescindere sa di nostalgia canaglia stalinista.L’utopista narcisista invece è il piccolo borghese qualunquista, che trova giovamento in un irrealizzabile, che adombra la responsabilità quotidiana verso l’ ingiustizia. Quando con presunzione ci si pone davanti alla storia come fossimo solo noi a interpretarla, ci si traveste da guerrieri quotidiani del pacifismo bellicista( l’ ossimoro è in voga in questi tempi),nell’ autorefenzialita’ dell’ essere anticonformisti,contro il pensiero unico.Sai quanta gente ogni giorno sceglie con piccoli grandi gesti di umanità , solidarietà, sincerità percorsi di umile utopia senza fanfare filantropiche?Soprattutto quando rifiuti il servilismo verso i potenti,non ti giri dall’ altra parte verso le ingiustizie ,conscio di sapere di non sapere.I desideri di volontà di potenza scambiati per bisogni,il menefreghismo totale sulla complessità della vita, le avversioni da basso ventre contro i diritti civili: i tifosi dell’ utopia mercantile contro l’ Europa e l’ Occidente del capitale e delle multinazionali, sono la vulgata corrente pure dall’ estrema destra.Non parliamo dell’ antisemitismo di moda,si tifa per la guerriglia degli ultimi,ma solo su Facebook. Alla fine tutto va bene. Pure il generale fascista può sembrare un antagonista,vs i poteri forti.Perché oggi se vince la sinistra vince il falso progressismo,se vince la destra trionfa la libertà di essere fascisti. Intanto vado al massimo in attesa della rivoluzione…degli altri…
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7.11.22
se i fumetti sono per bambini come mi dicono i miei perchè li si usa come propaganda ed strumentale della storia ? il fiumetto vergognoso sul Milite Ignoto che il Ministero della Difesa si prepara a distribuire nelle scuole
Infatti è di qualche giorno fa questa notizia

Ora molti voi si chiederano ma come _: ti commuovi davanti alla storia della vicenda del milite ignoto .
- Fango e gloria - La Grande Guerra (2014) è un film per la televisione diretto da Leonardo Tiberi, incentrato sulla figura del Milite Ignoto; fu realizzato in occasione delle commemorazioni per il centenario dall'entrata in guerra dell'Italia.
- La scelta di Maria (2021) è un docufilm diretto da Francesco Miccichè, interpretato da Cesare Bocci, Sonia Bergamasco e Alessio Vassallo, presentato alla Festa del Cinema di Roma e in programma in prima serata su Rai 1 il 4 novembre 2021.
31.8.19
Gian Marco Carboni, ex Dimonios, strappò alla morte un carabiniere Premiato con la medaglia d’argento, ora fa il passacarte. Il motivo: è bipolare

Dodici novembre del 2003. ore 10,30. «Svolgevo le visite mattinali negli ambulatori dell’infermeria della Brigata Sassari. Avevo 28 anni, ero sottotenente medico del 151° reggimento fanteria: ero un Dimonios. All’improvviso udii un forte botto, e pensai a un petardo. La nostra base, White Horse, distava 7 chilometri da Nassiriya. Uscii e guardai la piana sterminata: vidi una coltre di fumo densissima, e capii che doveva essere successo qualcosa di grave. La chiamata radio, qualche secondo dopo, confermò i miei timori». Carboni organizza rapidamente la squadra sanitaria e si dirige verso l’esplosione. «A un centinaio di metri dal luogo dell’attentato c’era un ponticello. Lì vidi un carretto pieno di frutta, e attaccato un mulo. All’animale mancava il ventre, perché l’onda d’urto era stata talmente devastante, da avergliela asportata». Quell’animale sbudellato sarà una delle sequenze di morte trasmesso in loop dal soffitto insonne.
Un’autocisterna carica di nafta aveva puntato a tutta velocità sulla santa barbara della caserma dei carabinieri e si era fatta saltare in aria. Il cratere scavato dalla deflagrazione, la palazzina dilaniata, la devastazione fisica del paesaggio è un’altra istantanea che contaminerà per sempre i pensieri.
«Io mi ritrovai in mezzo a uno scenario di guerra, con i caricatori e le munizioni custoditi nella riservetta che, avvolti dalle fiamme, continuavano a sparare proiettili intorno. Colpi di ak 47, beretta calibro 9, ar 70-90, uno dietro l’altro. Era come stare sotto tiro. Vidi un Vm blindato ribaltato su un lato, con il portellone aperto. Mi levai il casco per entrare, violando qualunque norma sulla sicurezza. Tirai fuori con tutta la forza che avevo un ragazzo. Mi accorsi subito che c’era poco da fare. Ma non volevo lasciarlo lì. Aveva 24 anni, volevo dargli una chance. Quando provai a rianimarlo era già morto».
Non c’è paura in questi scenari estremi. Il cervello va in autoprotezione, ti immerge in un liquido amniotico di imperturbabile onnipotenza: «Io non so se ci fosse già lo zampino della mia patologia, che cominciava già a lavorare sulla testa, fino a quel momento non mi aveva dato segnali. Però io, in quel frangente, mi sentivo immortale. Ricordo bene questa sensazione, e so di non essere l’unico soldato ad averla provata. Io dopo Nassiriya non ho più paura. Temo solo che i miei figli si possano ammalare. Posso avere incubi, rivedere fantasmi. Ma la morte non mi spaventa più».
L’ha vista posarsi da un corpo all’altro, mentre l’ospedale degli americani in pochi minuti si trasformava in una catena di montaggio. I soccorritori arrivavano come tante formichine che depositavano uomini fatti a pezzi. Un ufficiale a un certo punto grida: «We need a surgeon, ci serve un chirurgo». Gian Marco Carboni si fa avanti. «Avevano bisogno di me per un carabiniere colpito da una scheggia, con una emorragia toracica. Si chiamava Vittorio De Rasis, un abruzzese, che riconobbe la mia divisa e mi disse: tenente la prego mi salvi, ho dei bambini a casa che mi aspettano. Guardai la ferita e applicai un trucco che avevo “rubato” al mio primario Mario Trignano. Spruzzai dell’acqua ossigenata, che fa schiuma, per individuare l’origine del fiotto di sangue. E alla cieca tamponai il danno: era impensabile isolare l’arteria e suturarla. Feci la cosa più immediata per non farlo morire: chiusi il rubinetto con una pinza. E grazie a questo accorgimento un po’ rudimentale, De Rasis rivide i propri figli».
Il direttore sanitario del presidio Usa il giorno dopo si complimenta. «Mi fece chiamare e mi disse: “You are very qualified”. Io, specializzando al terzo anno, risposi: I’m very lucky. Sono solo fortunato».
Ma quel piccolo miracolo, assieme al coraggio e all’energia dimostrata durante i soccorsi, nel maggio del 2006 gli sono valsi la medaglia d’argento al valore militare. Che non equivale esattamente a un “bravo” accompagnato da una pacca sulla spalla. «Alla cerimonia di consegna ricordo un colonnello che, davanti alla mia onorificenza, è scattato sull’attenti». Poi però la medaglia e soprattutto i ricordi hanno un loro peso, e finiscono per trascinare a fondo Gian Marco Carboni. La sindrome bipolare a distanza di un anno presenta il conto. «Ha fatto un bel po’ di casino nella mia testa, e ci sono voluti cinque specialisti per rimettere ordine». Per risalire a galla bisogna spogliarsi dei fardelli, e dopo il congedo dalla Brigata l’ex medico del fronte comincia a denudarsi degli orpelli in maniera molto francescana. Il 12 luglio del 2013 regala la sua medaglia d’Argento al Museo della Brigata Sassari. «L’ho fatto per tre motivi: per prima cosa volevo lasciare un ricordo di quel che è accaduto a Nassiriya. Ritengo sia stato il più terribile attentato subito dall’Italia, ancor più di Piazza Fontana. Voglio che tutti sappiano cosa sia capace di fare l’uomo a un altro uomo. Poi l’ho fatto per me: per alleggerirmi di un peso, perché quell’esperienza è una ferita aperta. E infine perché ai miei figli un giorno possa capitare quel che è già successo a mio nipote. In gita scolastica al museo, ha guardato la mia foto e ha esclamato: ehi, ma quello è mio zio! E i compagni: non dire cazzate! Ma sì, c’è il nome: Gian Marco Carboni».
Un mese fa è andato all’ospedale di Ozieri alterato. «Avevo pasticciato con i farmaci, non mi rendevo conto, ero in fase ipomaniacale». Significa irascibilità a dieci tacche, niente freni inibitori, un traliccio ad alta tensione. «Ho avuto un diverbio con una collega, c’era il mio primario e una paziente: ho perso il controllo e sono andato in escandescenze. Tre mesi dopo, a causa del mio disturbo, sono stato sollevato dagli incarichi assistenziali e chirurgici e trasferito a San Camillo a sbrigare compiti burocratici. In pratica mi stanno ammazzando una seconda volta».
Prende ancora un respiro, lascia andare piano le parole: «Io ho sempre tenuto un profilo basso, ho preferito privarmi di ogni luccichio. Ma ora la mia medaglia la tiro fuori. Perché se non sono morto a Nassiriya non voglio morire pian piano nella depressione. Ho dato tanto e pretendo una possibilità. La sindrome bipolare è una patologia che si può controllare, come il diabete. E io resto un bravo chirurgo. Non ho mai avuto una denuncia, mai un danno a un paziente. La mia capacità diagnostica mi viene riconosciuta, so gestire un reparto, posso dare il mio contributo. Non pretendo di operare, ma in un momento di difficoltà non merito di essere gettato via così».
Perché il soffitto della sua stanza, da qualche tempo non è più solo uno schermo che trasmette i ricordi: rischia di diventare un buco nero che assorbe la luce della vita.
sta combattendo contro il suo ( e di tutti quelli che tornano da guerre )
mi ha dato la forza di riprendere a leggere il suo nome era guerra ( ultimo n di dylan dog )

un numero : Fiero ed indigesto l'ultimo Dylan dog visto gli elementi di rottura che ci sono contenuti per coloro abituato al vecchio stile ,i nostalgici insomma, o abituati che una cosa non cambi o si trasformi . Ottimo uno, forse il più bello ,di questo ciclo . Speriamo che lo sceneggiatore vi rimanga in pianta stabile . Un po' Troppo splatter da non leggere di notte e prendersi dopo averlo letto una bella camomilla antiemetico come fa Block
con questo è tutto alla prossima
6.8.19
la guerra non è mai finita .
Nadia Siviglia Pubblicato il 28 dic 2009Pubblicato il 28 dic 2009ISCRIVITI 9 Chissà se i grandi del mondo hanno i sensi di colpa...Chissà se quando ordinano le guerre pensano ai bambini, ai loro occhi, alla loro tristezza, alla fame, alle sofferenze. Bambini che non crescono, perché non mangiano o, ancor peggio, perché mettono loro in mano un fucile e li spingono a sparare ad un nemico che non conoscono. Alcune immagini riflettono guerre dimenticate, sopite o concluse, ma sono state inserite per il loro valore e drammaticità.
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la guerra non è mai finita .
«Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre».
Primo Levi
emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello
Apro l'email e tovo queste "lettere " di alcuni haters \odiatori , tralasciando gli insulti e le solite litanie ...

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