Gli intellettuali e la gente che non ha il prosciutto sugli occhi e che ancora ragiona con la propria testa non mancano certo di opinioni, ma quando un tema scotta davvero, quando la
locandina del video che trovate sotto leggendo il post
controversia diventa un campo minato morale e politico, c'è un rifugio a cui ricorrono spesso: definirlo «complesso».Ma La questione plaestinese e la guerra a Gaza , ed la questione del confine fra italia e Balcani e la jugoslavia prima e poi la croazia e la slovenia ridotta solo alle foibe ,
all'esodo ed alla ritorno di triste all'italia nel 1954 sono uno di quei casi.
E sì, la storia intricata, le ferite religiose ed gli effetti degli odi nazionalistici mai rimarginate, i conflitti culturali e geopolitici rendono davvero complessi tali temi . - Ogni parte accusa l'altra di ignoranza, sventola le proprie verità e rivendica il possesso esclusivo dei fatti. Ma qui voglio fare una premessa necessaria: Non sono laureato alla facoltà di storia o a scienza e politiche , ma di lettere moderne ad indirizzo storico ., non sono un esperto d'oriente in particolare di Medio Oriente. Infatti per la questione del conflitto arabo istraeliano ed israeliano palestinese , non parlo né ebraico né arabo. Non ho mai visitato né Israele né Gaza,in quanto quando alcuni membri dell'associazione nord sud \ bottega del mondo - commercio equo e solidale sono andati in viaggio in quelle zone con un viaggio organizzato dallì'associazione \ rivista confronti , ero canvalesciente da un intervento . Ma essendomi documentato leggendo la storia della palestina fra il crollo dell'impero ottomano eil mandato britannico e poi del conflitto arabo- israeliano e israele palestinese , sentendo entrambe le parti E so riconoscere le ombre che questa guerra ha proiettato dentro casa nostra.
Io vedo chi radicalizza le università, chi brinda al massacro chi appoggia quello che israele sta facendo e lo giustifica con l'affermazione " si sta difendendo , vuole distruggee hamas , ecc . Non ho bisogno di essere un esperto per sapere da che parte stare.
Per quanto riguarda invece la questione del confine orientale cioè le celebrazioni del 10 febbraio di cui si celebrano per l'80 % l'aspetto culminante le foibe , dittature comunista e l'esodo giliano dalmata , congiura del silenzio e si tralascia o quasi il 20% cioè tutto quello che è avvenuto prima leggi antislave , deportazioni e violenze fasciste . Ho scelto non per ignavia o cerchiobottismo ma perchè oltre ad essere una situazione complessa dove memorie e storie personali s'intrecciano con le vicede storiche , ma soprattutto non si è ancora fatto completamente i conti da parte dell'italia i conti con le proprie brutture e con le cose ingnobili commesse , di non schierarmi e parlare a 360 gradi .
Per i femminicidi è vero non sono esperto di politiche sociali , ma esperienza di vita vissuta che mi ha fatto (ed ancora lo fa adesso) fare i conti e lottare contro la mia cultura sessista e maschilista mi sembra che per iundignarsi , esprimere la propria indignazione e sgomento non sia per forza necessario essere , anche se preferisco integrarla con pareri d'esperti , psicologici e\o laureati in scienze sociali .
..........
il fatto quotidiano del 5 giugno 2025
-----
da facebook
“Non avevo nulla… ma sono riuscito ad addolcire il mondo intero con un bastoncino e una caramella.” Tutto cominciò alla fine del XIX secolo. Io ero Enric Bernat, un sognatore spagnolo, nipote di un pasticciere che faceva dolci in casa.Mi ossessionava vedere i bambini con le mani sporche infilarsi le dita nei dolci…e pensai: “E se inventassi un dolce che non si tocca con le dita?”In un’epoca in cui nessuno credeva a idee simili, mi diedero del pazzo.Ma io sapevo che un’idea semplice può cambiare tutto. Provai a lanciare il prodotto da solo,ma non fu affatto facile.Mi rifiutarono, mi presero in giro,arrivai perfino a ipotecare casa per poter produrre i primi bonbon con lo stecco.Molti giorni non mangiavo, pur di pagare gli stampi. Una volta mi addormentai in fabbrica con le scarpe rotte,perché non riuscivo a fermarmi.Ma la costanza è testarda.E un giorno, nacque la mitica Chupa Chups.Indovina un po’?Fu un successo clamoroso. La cosa più incredibile? Quando ormai avevo già vinto la mia scommessa,chiesi a Salvador Dalí di disegnare il logo…e lui lo fece davvero!Una caramella nata nella miseria,è finita nelle mani di milioni di bambini in tutto il mondo:dal Giappone alla Colombia,dalla Spagna alla Russia.Non ho inventato solo un dolce… ho inventato un sorriso in forma rotonda. “A volte, quella che sembra un’idea infantile…è in realtà una rivoluzione travestita da tenerezza.” — Enric Bernat (Chupa Chups )
«Mi hanno tolto la lingua per salvarmi la vita… ma con le mani, ho imparato a parlare al mondo.» Avevo 33 anni quando mi hanno diagnosticato un cancro alla lingua. Non fumavo, non bevevo… ma la malattia non bussa, entra e basta. All’inizio dissero che bastava una piccola operazione. Poi la verità: bisognava rimuoverla tutta. Mi sono svegliata dall’intervento con la gola in fiamme e un silenzio così forte… da spezzarmi. Non poter parlare era come guardare il mondo da una finestra chiusa. Per mesi ho pianto in silenzio. Cercavo di comunicare, ma nessuno capiva. Vedevo mio figlio chiedermi qualcosa… e io non riuscivo a rispondergli. Una notte ho urlato dentro così forte, che ho deciso di reagire. Mi sono iscritta a un corso intensivo di lingua dei segni. Ho imparato con rabbia, con le lacrime, con una fame immensa di farmi capire. Ogni parola con le mani era una ferita che guariva. Oggi tengo incontri motivazionali con interpreti e segni. Sono viva, sono madre, e sono voce di chi crede di non averne più. Ho fondato una rete di sostegno per persone laringectomizzate. Giro per le scuole insegnando che il corpo ha tanti linguaggi, e che il messaggio più potente… è quello che nasce dall’anima. «A volte la vita ti zittisce… per farti scoprire quanto hai ancora da dire.» – Alejandra Paz
conferma questo
cioè Dove le Parole non ArrivanoSentire a volte non basta, ascolta.
......
concludo con questa , lo so che sembrerà banale e che da trapiantato sarà di parte , ma in u periodo a cui a causa di fake news stano diminuendo le donazioni di organi , storie come questa non finiranno d'essere banali
( Barbara Todesco) Simone Mazzocchin aveva solo 27 anni quando, lo scorso 12 maggio, si è spento nel reparto di rianimazione dell’ospedale San Bortolo di Vicenza. Per due giorni aveva cercato di rimanere aggrappato con tutte le sue forze alla vita, ma le lesioni riportate nell’incidente che l’aveva visto coinvolto, mentre in sella alla sua moto viaggiava lungo la provinciale 69, non gli avevano dato scampo. Nonostante la sua giovane età, Simone, che viveva con la famiglia a Cartigliano, aveva manifestato già la sua volontà di diventare donatore di organi e così la sua scelta si è trasformata in un trapianto da record, effettuato le scorse settimane nelle sale operatorie dell’Usl 8.Il cuore, i reni, il fegato come i polmoni, gli occhi, il pancreas e i suoi tessuti hanno regalato una nuova vita a 12 pazienti che da Simone hanno ricevuto il dono più grande: quello della vita
Infatti Simone, tempo prima, aveva fatto una scelta precisa e convinta. Aveva deciso di diventare donatore di organi.C’è voluto un trapianto multiplo da record che ha coinvolto cuore, reni, polmoni, fegato, occhi e pancreas e ha visto l’intervento di medici specialisti da Roma, Milano, Padova e Pisa.E, alla fine, quell’atto di generosità ha permesso di salvare addirittura 12 persone, tra cui anche diversi bambini.È una storia che parla di agape e tanatos. Amore, quello disinteressato, universale, e morte, in una catena che invece di spezzarsi unisce e genera vita, la ricrea, la nutre e la moltiplica dove e quando sembrava ormai impossibile.
Un pensiero va a Simone, alla sua famiglia, al suo gesto enorme, a chi grazie a quel gesto ha una nuova vita davanti, ai medici e agli operatori sanitari senza i quali tutto questo non sarebbe stato possibile. Ed è così ogni giorno.
Quello che ha fatto Simone è qualcosa che ci riguarda e ci richiama tutti.
Perché questa storia non commuova e basta. Insegni.
"La pace intorpidisce" (Umberto Galimberti). "La carenza dell'Europa è che mancano guerrieri"
(Antonio Scurati). Dietro la "deterrenza" e il riarmo "solo difensivo" non smette di rombare il virilissimo zang-tumb-tumb
«Le sue parole sono esplosive». Chissà se Corrado Augias si è reso conto dell’umorismo involontario (ancorché nero) contenuto nel suo commento alla riflessione di Umberto Galimberti, ospite de «La Torre di Babele» su La7. Esplosiva, senza dubbio.
Quello di Galimberti è stato infatti un vero e proprio appello alle armi. Eccolo: «Guardo i pacifisti con sospetto» perché «la pace intorpidisce» e le armi sono «un ottimo deterrente». Ma Galimberti è in buona compagnia, anzi, tra buoni commilitoni. Così Antonio Scurati su «Repubblica»: «La principale carenza dell’Europa è la mancanza di guerrieri».
La pace «torpida», l’Europa privata del «senso della lotta» e dello «spirito combattivo». Questo lessico ci pare di averlo già ascoltato, masticato e sputato: da Papini ( rileggersi il leggendario « Amiamo la guerra »), ai futuristi a D’Annunzio passando per Spengler, Heidegger e naturalmente Nietzsche, è tutto un revanscismo guerriero (sempre presente nell’immaginario maschile) e una lagna ininterrotta sulla degenerazione e sull’infiacchimento dell’Europa (sono almeno 400 anni, dal razzista Gobineau in giù, che il nostro continente è dato per morto). Morte le cui cause sarebbero, naturalmente, la pace «torpida» – Galimberti dimostra di non conoscere la differenza, lucidamente delineata da Simone Weil, tra pace e pacificazione, pacifismo e nonviolenza – e in ultima analisi tutto ciò che ostacola l’espandersi della mascolinità audace, muscolare, dicotomica. O amici o nemici. È tutto così semplice. È tutto così bestiale.
Strano, vero? Galimberti e Scurati non sono mai stati dei reazionari. Erano piuttosto gli alfieri del progressismo e della correctness, postulatori della «causa» laica e liberal che adesso svela tutta la sua ipocrisia. Sembra davvero impossibile per il più dei maschi concepire una convivenza umana che possa fare a meno del dispositivo della guerra. Anche dietro ogni apparentemente “ragionevole” strategia di deterrenza, di interposizione, dell’ “avere le armi ma senza usarle” (nonsense ascoltato sabato in Piazza del Popolo alla manifestazione pro-Europa chiamata da Michele Serra), romba sempre qualche zang-tumb-tumb, uno spermatozoico e intrattenibile orgoglio guerriero che ci risveglia alla verità di una civiltà maschile che non dichiara mai la resa.
Credo di essere stata un po' innamorata di #leapericoli, da bambina. Era l'opposto di me, biondissima, aggraziata ma non leziosa, pareva non toccar mai terra. Le avevano disegnato un completo con piume di cigno, che indossava con spontaneità non umana. Quella che vedevo era un vero uccello, forse per questo mi piaceva tanto. #langelocapovolto fu il giusto titolo del suo ultimo libro. Impagabile la sua torsione berniniana, che sfidava le leggi di gravità.
Era una milanese d'Africa, vissuta ad #addisabeba. Laggiù emerse la sua passione e a quei luoghi sempre rimase legata, come ricorda nella sua autobiografia #maldafrica.Poi la terribile malattia. #Carcinomaallutero. Lo seppi dai miei genitori. Se adesso difficilmente se ne esce, nel 1972 non dava scampo. E le cure erano, come Lea stessa dichiarò, «devastanti». Quando le comunicano la notizia, sviene. Ma ricorda subito chi è. Sconfigge il #tumore. Non è finita. Il maledetto si ripresenta nel 2012, quarant'anni dopo. Questa volta al #seno. I tempi sono mutati, la medicina meno invasiva, ma Lea è sempre Lea, malgrado gli sfregi al suo corpo e alla sua femminilità. Arriva a quasi 90 anni in salute, ancora bellissima, sempre tanto bionda (ma mai troppo), elegante per antonomasia, non solo campionessa sportiva: scrittrice, conduttrice televisiva, #testimonial contro una malattia che non è riuscita a domarla, segno di speranza non solo per chi ne è preda. Muore il 4 ottobre, festa di San Francesco, coetanea di mio padre; ma l'ha superato di un anno.
Due giorni dopo la segue #sammybasso, che di anni ne ha solo 28, ma il cui fisico è già arrivato al
punto di Lea. La «bionda» di Sammy è la sua splendida madre. Lui è il più «vecchio» paziente al mondo affetto da #progeria, invecchiamento precoce e mente giovane. Due lauree summa cum laude, il sogno di lavorare al #CERN, fondatore dell'associazione per la ricerca su questo morbo raro e spietato. Ma Sammy è stato, soprattutto, uomo di #pace. «Se i grandi della terra capissero cosa significa lottare per la #vita - dice - credo non avrebbero il coraggio di fare la #guerra». La vita. L'unico valore che non s'insegna, e il solo per cui valga la pena morire.