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5.10.25

Suicidio assistito, la richiesta di Ada, malata di Sla: «Chiedo solo un po' di umanità»



Ada, 44enne campana malata di Sla, vuole il suicidio assistito e ha deciso di uscire dall’anonimato, raccontando la propria situazione in un video. A leggere le sue parole, la sorella Celeste poiché Ada, colpita dalla SLA diagnosticata lo scorso anno, non riesce più a parlare: «In meno di 8 mesi la malattia mi ha consumata. Con una violenza fulminea mi ha tolto le mani, le gambe, la parola. La vita è una cosa meravigliosa finché la si può vivere e io l’ho fatto. Ho vissuto con ardore gioie e dolori, e ho sempre combattuto per quello in cui credo, come la libertà di scelta.

. Mi sono rivolta alla mia Asl, coinvolgendo anche il tribunale, chiedendo ora quella libertà per me stessa: poter scegliere una vita dignitosa e una morte serena, vicino alla mia famiglia, nel mio Paese, quando la mia condizione diventerà definitivamente insopportabile. E ho intenzione di combattere per questo diritto finché ne avrò le forze. Ma quanto è crudele dover sprecare le ultime forze per una guerra?». Ada, infatti, dopo aver ricevuto dalla propria azienda sanitaria il diniego al suicidio assistito, ha dovuto presentare, tramite il collegio legale coordinato dall’avvocata Filomena Gallo, Segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, un ricorso d’urgenza al tribunale di Napoli, a seguito dell’opposizione al diniego, visto che l’azienda sanitaria non dava seguito alle richieste. Durante l’udienza con l’azienda sanitaria si è concordata una nuova valutazione delle condizioni di Ada. Le visite sono state effettuate e ora è in attesa

27.5.25

DIARIO DI BORDO N 122 ANNO III Daniela Strazzullo uccisa dalla compagna, Vannacci: «Perché quando una donna uccide una donna non si parla di femminilità tossica?», il turismo macabro a Garlasco ., Le cicliste in rosa per il quarto anno percorreranno l’isola in lungo e largo, toccando le principali strutture sanitarie, per sostenere le donne che hanno affrontato la lotta contro il cancro ., e altre storie

 da leggo.it     tramite  https://www.msn.com/it

Daniela Strazzullo uccisa dalla compagna, Vannacci: «Perché quando una donna uccide una donna non si parla di femminilità tossica?»

Le parole di Roberto Vannacci, vicesegretario della Lega e europarlamentare, tornano a far discutere. Questa volta lo fa con un post su Facebook, in cui, commentando la tragedia avvenuta il 23 maggio alla periferia est di Napoli - dove Ilaria Capezzuto ha ucciso la sua compagna Daniela Strazzullo prima di togliersi la vita - mette in discussione il concetto di “femminicidio” e propone un’inedita quanto discutibile categoria: la “femminilità tossica”.
DONNA UCCIDE COMPAGNA: FEMMINILITA' TOSSICA E MATRIARCATO.
Quando un uomo uccide una donna qualcuno lo vorrebbe chiamare femminicidio e si tira in ballo la mascolinità tossica e il patriarcato. Ma quando una donna uccide una donna a causa di una relazione sentimentale (per così dire) come mai nessuno fa paragoni e promuove l'espressione di FEMMINILITA' TOSSICA e il MATRIARCATO?
Quando io dico che una delle cause più accreditate di questo genere di crimini è l'aver educato dei giovani deboli e l'aver elevato la debolezza ad una virtù vengo confermato da queste purtroppo tragiche vicende.
no, spett Vanacci  ,perché il patriarcato è realtà, il matriarcato no. Il femminicidio è un omicidio figlio di una superiorità di genere maschile insita nella cultura e nella società. Quindi va da sé che non si possa parlare di femminilità tossica   e paragonarlo  al femminicidio.

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  corriere  della sera  

La Las Vegas della Lomellina dall'«acqua miracolosa» diventata «luogo del delitto»: quei tour dell'orrore a Garlasco come fu per Erba e Avetrana

di Giorgio Scianna

Prima dell'assassinio di Chiara Poggi Garlasco la conoscevano in pochi.

La cronaca nera ne ha trasformato completamente fisionomia e immaginario collettivo, tra curiosi, sciacalli, questuanti di selfie e personaggi in cerca di fama

 Se per un paese di meno di diecimila abitanti finire all’improvviso sotto i riflettori del circo mediatico per un fatto di sangue è un’ubriacatura dolorosa, ricaderci mani e piedi a distanza di diciott’anni è un trauma, il riaprirsi di una cicatrice che non si sa quando potrà rimarginarsi. E poi c’è il fastidio che il proprio mondo, tutto il proprio mondo, si liofilizzi in un’espressione: il luogo del delitto. È successo ad Avetrana, è successo a Erba. Nessuno vuole diventare — o peggio ancora ridiventare — una meta di horror tour. Garlasco prima del 13 agosto 2007, il giorno del delitto di Chiara Poggi, la conoscevano in pochi. Eppure non è mai stato un paese come un altro.Quando ero ragazzo lo chiamavamo la Las Vegas della Lomellina, un ossimoro bello e buono. La Lomellina significa risaie, pioppi e rane, un’area agricola piantata nel mezzo della pianura padana industriale, campagna vera, profonda che pare a mille miglia dalle grandi città. Eppure — anche se non ci sono le luci e i casinò del Nevada — la storica discoteca delle Rotonde è sempre stata lì, così come le piscine con i trampolini, le birrerie e i ristoranti.Insomma era — e un po’ lo è ancora — un cortocircuito tra mondo contadino e divertimentificio, tra pop e arcaico. A pochi chilometri da lì c’è il santuario della Madonna della Bozzola dove anni fa centinaia di persone accorrevano ogni settimana per seguire i riti di liberazione dal maligno e dalle maledizioni. Nel 2009 si è sparsa la voce che in una cascina lì vicino zampillasse una fonte miracolosa, così migliaia di persone hanno finito per paralizzare la strada provinciale con le loro taniche. Le voci incontrollate di guarigioni da malattie della pelle e dal fuoco di Sant’Antonio sono andate avanti finché non è intervenuta l’Asl dichiarando che le acque presentavano una concentrazione talmente alta di una sostanza erbicida da non essere nemmeno potabili. Bizzarrie finite nel cassetto dei ricordi e del folklore. Per lo più Garlasco è un posto tranquillo dove si è sempre vissuto bene. La cronaca nera adesso ha invaso tutto, l’unico fondale di Garlasco impresso nell’immaginario collettivo è quello delle villette di buona fattura ai lati delle strade che sono diventate luogo del delitto, fotogramma fisso alle spalle dei cronisti nei telegiornali nazionali e icone macabre dei social. Un destino strano per Garlasco, che credo abbia, come tutti i paesi intorno, una vocazione alla discrezione. La conosco quella gente — in un paese poco distante ci sono cresciuto e ora vivo a uno sputo da lì — si sente da queste parti l’aria della Lombardia che si infila nel Piemonte. A parte i protagonismi di qualche balordo, c’è poco gusto per i riflettori, c’è una tendenza piuttosto alla vita defilata, nascosta tra i pochi amici di sempre e le serate al pub quando si è ragazzi e un pendolarismo su Milano quando si diventa adulti, senza mai tagliare il cordone con il paese.Delle frasi in pubblico della madre di Chiara, anche nel momento del precipitare delle immagini, ricordo solo parole ispirate a una compostezza assoluta. A qualcuno potranno essere sembrate strane, per me era naturale, una compostezza naturale, imprescindibile anche nella tragedia. Ne conosco di donne così, e di uomini così, io stesso sono cresciuto impastato con quella pasta.Certo, questa discrezione della vita di una provincia piccolissima può essere una trappola, a volte: da ragazzi, ma anche da adulti, preferiamo vivere vizi e virtù nascostamente. Conoscere l’altro in provincia è forse più complicato — e in alcune province come la mia forse lo è ancora di più — sarà per quello che i migliori scrittori e i migliori registi imparentati col noir e col poliziesco ambientano spesso le loro storie in centri piccoli. Questo non c’entra niente con le indagini di questo caso, c’entra con la difficoltà di afferrare le storie che vivono a queste latitudini.L’altro giorno il corso di Pavia era intasato da un gran numero di curiosi davanti al Tribunale: c’era Fabrizio Corona che faceva le sue rivelazioni, c’erano le tv… Non so quanto andrà avanti tutto questo. Sarà una mia impressione, ma oggi mi sembra che il centro della questione e della chiacchiera non sia più tanto nella lotta tra le fazioni di innocentisti e colpevolisti rispetto alle persone coinvolte.Quello che sconvolge è vedere un film già visto con i giornalisti appostati ancora in quelle tre strade del paese mentre le nuove ipotesi investigative rilanciate dai media sembrano non avere confini. C’è costernazione per una parola fine che non arriva mai.C’è, più di ogni altra cosa, urgenza di sapere che giustizia è stata fatta, qualsiasi questa giustizia sia. È innegabile che intorno a noi sia scoppiata una fiammata di curiosità, tanto improvvisa quanto forse fragile, come capita a ogni fuoco che si riaccende dalla brace dopo troppo tempo.Ma alla fine c’è l’augurio di tutti di arrivare a una verità inconfutabile, e forse l’augurio di qualcuno di trovare solo un po’ di pace.


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  fonti  www. unionesarda.it ,https://www.logudorolive.it/

Pink Flamingos, sport e solidarietà con il giro della Sardegna in bicicletta

Partenza domani alle 8.30 dall’Ospedale Businco di Cagliari, arrivo sabato 31 a Molentargius



Le cicliste in rosa per il quarto anno percorreranno l’isola in lungo e largo, toccando le principali strutture sanitarie, per sostenere le donne che hanno affrontato la lotta contro il cancro.Sport e solidarietà, con tanta voglia di sano agonismo e di godersi tante splendide cartoline di Sardegna. Alla prima edizione del 2022 sono partite in 8, ma domani saranno 18 le cicliste che, alle ore 8.30, si ritroveranno davanti all’Ospedale Oncologico Businco di Cagliari per dar inizio al nuovo Tour, pronte ad accogliere lungo il percorso altre cicliste che hanno affrontato e superato un tumore o vogliono prevenire la malattia.Come si legge in un comunicato stampa, la manifestazione ciclistica a tappe organizzata dalla ASD Flamingos’s Roads ha tre forti e ambiziosi obiettivi:


1) Convincere tutte le donne che sebbene l’incontro con il cancro sia un trauma, è sempre possibile andare avanti e riprendersi pienamente, anche e soprattutto salendo in bicicletta, che si rivela un mezzo potentissimo per combattere questa terribile malattia. Pedalare sotto il sole e lungo le meravigliose strade panoramiche della nostra amata Sardegna, aiuta a contrastare la depressione e l’ansia, favorisce il recupero fisico e psicologico, migliora la qualità della vita e regala una meravigliosa sensazione di benessere;
2) Stimolare tutte le donne che, fortunatamente, la malattia non l’hanno vissuta, alla prevenzione, invitandole a seguire un’alimentazione sana e a praticare una regolare attività sportiva, in particolare il ciclismo. Pedalare permette di mantenere un peso corporeo sano,riduce i fattori di rischio per lo sviluppo di diverse tipologie di cancro, in particolare stimola il sistema immunitario, aumentando la produzione di globuli bianchi e anticorpi che aiutano a combattere le cellule tumorali; inoltre, l’attività favorisce la riduzione dei livelli di estrogeni, ormone coinvolto nello sviluppo di alcuni tumori, come quelli al seno e all’utero;
3) Incoraggiare nuove donazioni e contributi per acquistare un terzo casco refrigerante (macchinario di ultima generazione in grado di impedire la caduta dei capelli durante la chemioterapia) da donare ad un’altra struttura oncologica sarda dopo quelli già regalati all’Ospedale di Alghero (Tour del 2023) e di Lanusei (Tour 2024).

Le tappe – Domenica 25 maggio è in programma la Cagliari-Oristano di 103 km (si toccherà anche il Centro Oncologico dell’Ospedale di San Gavino Monreale).

Lunedì 26 maggio sarà la volta della Oristano-Alghero di 110 km. Sarà l'appuntamento più impegnativo della settimana perché dopo aver superato le pianure del Sinis, le cicliste affronteranno la lunga salita verso Cuglieri per poi tornare al mare di Bosa e quindi percorrere la strada litoranea con i numerosi e ripidi saliscendi fino ad Alghero.

Martedì 27 maggio poi c’è la giornata ciclistica programmata in due semitappe: la prima sarà relativamente facile e pianeggiante (Alghero-Sassari di 36 km), ma dopo i previsti incontri con le Autorità cittadine e sanitarie, di vorrà proseguire nel primissimo pomeriggio per altri 64 km ben più impegnativi che porteranno all’Ospedale di Ozieri.

Mercoledì 28 maggio c’è la Ozieri-Olbia di 70 km. Giovedì 29 maggio la Olbia-Nuoro di 108 km ha come spauracchio finale la salita finale della “Solitudine”.

Venerdì 30 maggio sarà la volta della Nuoro-Lanusei, 70 km: una tappa relativamente breve che prevede però il superamento del punto più alto dell’intera settimana, i 1.062 metri della Galleria di Correboi, tra i monti del Gennargentu.

Sabato 31 maggio è in programma l’ultima tappa, la più lunga: Lanusei-Cagliari di ben 137 km. Si dovrà affrontare la salita di Campu Omu per poi scendere verso il mare di Flumini da dove, negli ultimi quindici chilometri sul Lungomare Poetto, si potrà finalmente iniziare a vivere la soddisfazione di aver portato a termine un’impresa vissuta in un'intensa settimana di pedalate e solidarietà.
LA FINALITA’. Condividere traguardi, stimolare nuove modalità di vita quotidiana, accrescere il valore dell’attività sportiva all’aria aperta. E ancora: essere d’esempio per le altre donne vittime della malattia. Sono questi i capisaldi del progetto “Pink Flamingos”. Durante la sette giorni sarà attiva anche una raccolta fondi per l’acquisto di un ecografo portatile che possa essere trasportato nelle varie parti dell’isola. Le donazioni potranno essere fatte con bonifico bancario intestato a ASD Flamingo’s Roads APS – IBAN: IT12F0103004800000003400350 – con causale: “Pink Flamingos”. 
Il “gemellaggio” – «Sarà il quarto anno di un ideale gemellaggio tra noi e gli ospedali oncologici presenti nel territori», evidenzia Cristina Concas, presidente/ciclista della ASD Flamingo’s Roads. «Con la nostra avventura vorremmo unirli idealmente in un viaggio che dal capoluogo toccherà tutte le strutture di riferimento dell'Isola». «Arriveremo a Molentargius, tra il rosa dei fenicotteri, dove gli splendidi volatili hanno trovato la sicurezza di una casa e di ambiente ideale per la loro esistenza. Un po' come il cammino di chi è riuscito, a fatica e con grande forza d’animo, a sconfiggere il cancro».I patrocini – L’iniziativa gode del patrocinio della Presidenza della Regione Sardegna, della Città Metropolitana di Cagliari e di tutti i Comuni coinvolti. Per informazioni: 349/448.9700, pinkflamingosbike@gmail.com


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repubblica 

Aggredita con il coltello  Mustafa la salva dall’ex  “Urlava, voleva ammazzarla”

Ho sentito le sue grida mentre ero a lavoro. Urlava e chiedeva aiuto. Così sono corso da lei per salvarla». Un agguato in mezzo a un parcheggio a Prato che rischiava di essere l’ennesimo femminicidio se non fosse stato per l’intervento coraggioso di Mustafa, egiziano di 25 anni, e di altri due ventenninordafricani, un ragazzo e una ragazza, accorsi per liberare una professoressa di 52 anni dalla morsa feroce del suo ex compagno, 35 anni e residente a Pistoia, che stava tentando di soffocarla. «Lui ha cercato di ammazzarla: le voleva mettere un sacchetto attorno alla testa e l’ha picchiata: aveva il volto insanguinato quando sono arrivato» racconta ancora Mustafa, «in Italia da tredici anni, prima a Livorno e ora, da due anni, a Prato» dove lavora come dipendente di un autolavaggio in un distributore di benzina. Era lì, accanto ai rulli rotanti e alle auto in coda, quando martedì mattina, pochi minuti dopo le 9, ha sentito le grida della professoressa. Si è fiondato da lei. E non è indietreggiato neppure quando l’uomo ha brandito una lama. Poco dopo sono arrivati anche gli altri due giovani: «Aveva un coltello — aggiunge il venticinquenne — ma non ho avuto paura: in quella situazione, quello che ho fatto assieme agli altri due ragazzi è stato normale. Per fortuna siamo riusciti a liberarla, lei dopo ci ha ringraziato». Quella mattina la donna, mentre si spostava in auto, aveva notato di essere seguita dall’ex compagno. Sperando di essere al sicuro, si è fermata nel parcheggio di un centro commerciale cittadino. Ma l’uomo ha accostato, è sceso dalla macchina, ha iniziato a colpirla con un bastone e poi ha tentato di soffocarla con un sacchetto di nylon fino all’arrivo dei tre giovani che lo hanno costretto alla fuga. Più tardi è stato rintracciato al pronto soccorso di Pistoia, dopo essersi inflitto da solo alcune ferite. Il trentacinquenne, ha raccontato la donna, si sarebbe scagliato con rabbia contro di lei dopo l’ennesimo rifiuto di riallacciare la relazione. «Il coraggioso intervento dei tre cittadini stranieri, rivelatosi decisivo per salvare la vittima — sottolinea Luca Tescaroli, procuratore capo di Prato — costituisce un’icastica rappresentazione di integrazione con la comunità italiana». La docente, che ha riportato dieci giorni di prognosi, ha spiegato che la furia dell’uomo non si sarebbe fermata «fino alle estreme consegu

enze». L’aggressore è stato arrestato per atti persecutori e lesioni personali aggravate .

Ennesima dimostrazione che la bontà e la cattiveria non hanno etnia, ma albergano nell’animo umano di qualunque razza o colore. Sarebbe ora sfatare la falsa retorica che gli immigrati, specie quelli di colore, siano tutti criminali. Ringraziamo Mustafa e i colleghi qui con lui hanno evitatoquesta ennesima tragedia.

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3.11.22

NUOVE TERAPIE E VECCHIE PERPLESSITÀ- Angela Melis

 Quando la malattia è piombata nella mia vita ho pensato che fosse la fine. Mi piacerebbe affermare che non è stato così, la realtà è che è stato così, e anche di più, è stata morte e rinascita. Sono passati undici anni da allora, tre terapie cambiate e la quarta in arrivo. Ormai ho imparato a districarmi tra le difficoltà burocratiche, grande fonte di stress, e a tollerare i miei stati d'animo contrastanti.


In quei corridoi illuminati dalla luce fredda, popolati da medici e infermieri affannati e pazienti in attesa, creo nuove aspettative. In quell'ambiente c'è uno strano clima, ci si guarda con gli altri pazienti, si scambiano timidamente due parole e con un po' di impaccio arriva la domanda:

"𝘢𝘯𝘤𝘩𝘦 𝘵𝘶 𝘩𝘢𝘪 𝘭𝘢 𝘴𝘤𝘭𝘦𝘳𝘰𝘴i?"
Inizia la sequela di domande, 𝘤𝘩𝘦 𝘮𝘦𝘥𝘪𝘤𝘰 𝘵𝘪 𝘴𝘦𝘨𝘶𝘦, 𝘤𝘰𝘮𝘦 𝘵𝘪 𝘵𝘳𝘰𝘷𝘪, 𝘥𝘢 𝘲𝘶𝘢𝘯𝘵𝘰 𝘵𝘦𝘮𝘱𝘰, 𝘲𝘶𝘢𝘭𝘪 𝘴𝘪𝘯𝘵𝘰𝘮𝘪 𝘩𝘢𝘪, in un vortice di domande e risposte sempre uguale ma anche diverso. Tra i termini clinici appresi si parla della vita, delle speranze, delle delusioni e illusioni, di affetti e esperienze. Di come si vive sempre sul chi va la, perché oggi stai bene, domani così e si spera sempre di non peggiorare, di non trovare nuovi termini e nuove placche nei referti. Sono passati undici anni, non sono più quella di prima. Sono un'altra che infondo, nel dolore, ha scoperto il potere della condivisione e della reciprocità, ad avere mille dubbi ma affidarmi comunque alle mani dei medici anche quando ho paura e non mi sento sicura di nulla. Ho tanto da imparare, ancora troppo. E da sperare che tutto vada per il meglio. Intanto tanti auguri a me e Clorinda, che prima o poi questa tormentata convivenza si concluda con un lieto fine per me.
P.S= per chi non lo sapesse Clorinda è il nome che ho dato alla mia sclerosi 😅

qualcosa di buono Regia di George C. Wolfe un film che i contrari al testamento biologico dovrebbero vedere


Basato sul romanzo di Michelle Wildgen, il film è la storia di una donna  pianista affetta da SLA e della giovane universitaria che per  sbancare il  lunario oltre  a fare  la  cantante  nei pub  , si trova quasi per caso a farle da badante e con cui diventerà amica intima . Una  storia   toccante    e drammatica  , con punte  di  ironia e  sagacità ,  senza  scadere   o  quasi  ( ma  dall'altronde  in  film come questi  è difficile  soprattutto  a  chi   ha un sesto senso  spiccato  o  gli  piace    farsi i  film  su cosa  succederà  nelle  scene    o  nel finale  ) . Una  storia  bellissima ed  intensa   pari  a    tre  film  : 1 )  Mare dentro (Mar adentro) è un film del 2004 diretto da Alejandro Amenábar ., 2) Quasi amici - Intouchables (Intouchables) è un film del 2011 diretto da Olivier Nakache e Éric Toledano. 3)  Le invasioni barbariche (Les Invasions barbares) è un film del 2003 diretto da Denys Arcand che  trattano   tematiche    della malattia  degenerative  e di malattie   senza  cura  e allo stadio  terminale , testamento  biologico  ,   eutanasia  , cure palliative  . La  versione femminile    del secondo film .Un film che  , come  ho già detto  nel titolo  del post ,  che  tutti   coloro che  non vogliono o ostacolano il tentamento  biologico  e  non lasciano la possibilità    a chi è colpito da tali malattie  la  possibilità  di scelta    se vivere    o moire  con dignità    rifiutando l'accanimento terapeutico  costringendoti  ad andare  all'estero o farlo  clandestinamente 

23.6.21

Antonio malato di Sla prende la laurea magistrale con 110 e lode e la dedica alla mamma scomparsa un mese fa

 Antonio, 45 anni, di Villa Literno, malato di Sla da 20, ha conseguito la laurea magistrale in Scienze Economiche con 110 e lode, frequentando a distanza i corsi universitari.Ha voluto dedicare la sua tesi all'amatissima mamma Brigida, scomparsa un mese fa. Tantissimi i messaggi di congratulazioni arrivati ad
Antonio per l'importante traguardo raggiunto.
"Non mi sono voluto fermare alla laurea triennale – racconta Antonio Tessitore – Avevo l'obiettivo di completare tutto il percorso di studi. E sono contento di esserci riuscito, specialmente in un periodo difficile come questo segnato dalla pandemia del Covid19. Userò tutte le mie conoscenze per garantirmi una vita adeguata".

Leggi la storia di Antonio su:
http://fanpa.ge/xKrEJ

8.2.18

La scelta di Patrizia Cocco, 49enne di Nuoro affetta da Sla, di rinunciare alle cure che riteneva inadeguate alla sua sofferenza e malattia, ha suscitato commozione in tutta Italia. Ma anche qualche affermazione "pesante" e l'accusa di suicidio di stato

keggendo  , vedere  articolo sotto   , dele reazioni a tale  scelta   mi  viene     ( anche se  spesso cado anch'io   , nessuna è infallibile  )   da    dire  a tali  persone  i cazzi ( scusate la volgarità no ) vostri no ?Inoltre  << Credo che non è giusto giudicare la vita degli altri, perché comunque non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri. Credo che per credere, certi momenti ti serve molta energia. Ecco, allora vedete un po' di ricaricare le vostre scorte con questo... [ parte Rebel Rebel di David Bowie]  >>  cit    cinematografica  





 L'Unione Sarda.it » CRONACA » NUORO

"Un suicidio di Stato". No: "Patrizia amava la vita"

Oggi alle 13:42 - ultimo aggiornamento alle 14:27

Patrizia Cocco
La scelta di Patrizia Cocco, 49enne di Nuoro affetta da Sla, di rinunciare alle cure che riteneva inadeguate alla sua sofferenza e malattia, ha suscitato commozione in tutta Italia. Ma anche qualche affermazione "pesante".
La rinuncia alle terapie le ha permesso di lasciare questa vita senza dolore, senza infrangere alcuna legge e senza perdere la propria dignità, eppure qualcuno parla di "suicidio di Stato".
Nessuna iniezione letale, nessuna azione diretta a toglierle la vita è stata messa in pratica. Non è eutanasia.
"Siamo davanti al primo caso nazionale di morte per legge, attraverso un atto eutanasico", ha invece affermato Alberto Agus, coordinatore regionale del Popolo della famiglia, che aggiunge: "È un suicidio di Stato".
"Nessun suicidio di Stato", replica il cugino di Patrizia, Sebastian Cocco, avvocato. "Patrizia amava la vita, ha sfruttato quest'opportunità, la nuova legge sul biotestamento, quando ha capito che la malattia non le avrebbe più dato scampo".
A Cagliari è attivo il Registro del biotestamento. I cittadini possono iscriversi fin da oggi.



30.3.17

gli ultimi saranno i primi la storia di Isabella Springmuhl, la stilista Down e Andrea ha 29 anni ed è affetto da Sla, ma, anche se non muove più il suo corpo, riesce a fare il dj con gli occhi

  in sottofondo  Fiorella Mannoia - Che sia benedetta - Sanremo 2017 ed  a   seguire  Ermal Meta - Vietato Morire (Official Video) [Sanremo 2017]


Chi è Isabella Springmuhl, la stilista Down che incanta il mondo
Isabella Springmuhl è sotto le luci dei riflettori per essere diventata la prima stilista down di cultura Maya

Fonte: Instagram


La moda oltre che indice di tendenza può rappresentare molto spesso un’apertura verso altre culture e modi di pensare: è questo il caso di Isabella Springmuhl, stilista affetta dalla sindrome di Down, che ha portato una ventata d’aria fresca. In Italia grazie all’opera dell’ambasciata del suo paese e anche dell’Istituto Italo-Latino Americano, la ragazza guatemalteca ha raccontato la sua storia e svelato alcuni interessanti informazioni.
“Amo quello che sono, – confida con soddisfazione – amo la mia vita, amo quello che faccio. Sono una ragazza down di 19 anni, faccio la disegnatrice di moda, voglio diventare famosa in tutto il mondo”. Il 21 marzo è la Giornata Mondiale della sindrome di Down: Isabella è un simbolo di come si possa realizzare le proprie aspirazioni, con impegno e determinazione.
Apparizione alla London Fashion Week e sogni di vita
Arrivata in Italia per la presentazione di “Sogni – Del tamaño de tu sueños así serán tus logros”, progetto del Gruppo Artistico “Guatemala es Guatemala”, ha avuto modo di spiegare quello che per lei è la moda che la contraddistingue e cosa rappresenta per lei il paese da cui proviene: “Amo il Guatemala, amo la cultura Maya, voglio portarle per il mondo. I tessuti maya sono ricchi di colore, e io mi identifico con loro proprio perché sono spensierati, come me”.
L’invito alla London Fashion Week l’ha resa la prima stilista down ad avere l’opportunità di mettere in mostra i suoi disegni ispirati alla cultura maya. Insomma, un onore immenso e inaspettato, che ha colpito anche la sua famiglia: “Non ho mai cessato di considerarla un dono del cielo, anche se non avrei mai pensato di poterla accompagnare in giro per il mondo a parlare delle cose che ha realizzato”.Come è iniziata la sua carriera
La mamma dell’ormai astro nascente, Isabel Tejada, ha creato una fondazione con altre madri, aiutando circa 5.500 ragazzi affetti dalla sindrome di Down. La moda è sempre stata ospite costante nella loro casa e Isabella Springmuhl ha sin da piccolissima lavorato coi suoi tessuti su bambole comprate dalla madre.
La spinta decisiva alla carriera della giovane stilista è dovuta all’impossibilità di iscriversi all’università per diniego esterno a causa della sua malattia: “È stato un no che ho voluto trasformare in un grandissimo sì”. Da quel momento ha deciso di creare una linea che potesse adattarsi sia alle caratteristiche fisiche che alle esigenze estetiche di persone affette come lei dalla sindrome di Down, per poi espandersi a tutti.



La storia di Andrea, malato di Sla che fa il dj con gli occhi


Fonte: Facebook


La Sla gli ha tolto la voce e la capacità di muoversi, ma non la voglia di fare musica e così Andrea Turnu oggi fa il dj con gli occhi, utilizzando un sintetizzatore vocale. La musica è sempre stata la sua grande passione e quando ha scoperto di essere affetto da Sla è diventato il suo modo per combattere la malattia e dire sì alla vita. Oggi ha 29 anni e da quattro lotta senza sosta contro la sclerosi laterale amiotrofica, che gli ha tolto la capacità di muovere braccia e gambe, di parlare, ma non di sognare.
Dalla sua stanza, nel letto in cui è costretto a stare, Andrea si è trasformato in DjFanny e ogni giorno propone agli ascoltatori della radio locale la sua playlist personale. Di recente ha annunciato anche l’uscita del suo primo singolo, che si intitola “My window on the music”, disponibile su iTunes. Il brano è cantato dal ragazzo grazie al sintetizzatore vocale, attivato con il movimento degli occhi, e servirà a raccogliere fondi per la ricerca sulla Sla.
Ad annunciare l’arrivo del brano è stato lo stesso Andrea, sulla sua pagina Facebook “Con gli Occhi”, in cui racconta la vita con la Sla e la passione per la musica. “Signore e signori, manca pochissimo… – ha scritto nel suo post Andrea – per la prima volta “il mondo della notte” farà qualcosa di concreto per la ricerca sulla SLA: a brevissimo, l’mp3 nel quale, con la voce metallica del comunicatore, racconto della malattia, del mio modo di affrontarla e di vedere la vita, sarà scaricabile su iTunes. Ribadisco che il ricavato andrà alla ricerca quindi spero col cuore di avere il sostegno di tutti, tutti, tutti! Insieme possiamo fare tanto ed io non vedo l’ora”.
“Il mio obiettivo è sempre lo stesso – ha spiegato Andrea parlando del singolo – dare un senso alla vita. La musica mi aiuta a superare tutte le barriere che la malattia mi ha costruito intorno. Anche io volevo dare un contributo alle battaglie dei malati di Sla: non me la sento di partecipare alle varie manifestazioni di piazza e ho scelto di sfruttare la musica. Quella house, la mia più grande forza. Per questo, dunque, tutti i soldi ricavati dalla vendita del brano saranno destinati alla ricerca scientifica. E ora preparatevi a sentire la mia voce metallica”.

Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

   Dopo  la  morte  nei  giorno scorsi  all'età  di  80 anni   di  Maurizio Fercioni ( foto sotto  a  sinistra )  considerato il primo t...