Quando la malattia è piombata nella mia vita ho pensato che fosse la fine. Mi piacerebbe affermare che non è stato così, la realtà è che è stato così, e anche di più, è stata morte e rinascita. Sono passati undici anni da allora, tre terapie cambiate e la quarta in arrivo. Ormai ho imparato a districarmi tra le difficoltà burocratiche, grande fonte di stress, e a tollerare i miei stati d'animo contrastanti.
In quei corridoi illuminati dalla luce fredda, popolati da medici e infermieri affannati e pazienti in attesa, creo nuove aspettative. In quell'ambiente c'è uno strano clima, ci si guarda con gli altri pazienti, si scambiano timidamente due parole e con un po' di impaccio arriva la domanda:
"𝘢𝘯𝘤𝘩𝘦 𝘵𝘶 𝘩𝘢𝘪 𝘭𝘢 𝘴𝘤𝘭𝘦𝘳𝘰𝘴i?"
Inizia la sequela di domande, 𝘤𝘩𝘦 𝘮𝘦𝘥𝘪𝘤𝘰 𝘵𝘪 𝘴𝘦𝘨𝘶𝘦, 𝘤𝘰𝘮𝘦 𝘵𝘪 𝘵𝘳𝘰𝘷𝘪, 𝘥𝘢 𝘲𝘶𝘢𝘯𝘵𝘰 𝘵𝘦𝘮𝘱𝘰, 𝘲𝘶𝘢𝘭𝘪 𝘴𝘪𝘯𝘵𝘰𝘮𝘪 𝘩𝘢𝘪, in un vortice di domande e risposte sempre uguale ma anche diverso. Tra i termini clinici appresi si parla della vita, delle speranze, delle delusioni e illusioni, di affetti e esperienze. Di come si vive sempre sul chi va la, perché oggi stai bene, domani così e si spera sempre di non peggiorare, di non trovare nuovi termini e nuove placche nei referti. Sono passati undici anni, non sono più quella di prima. Sono un'altra che infondo, nel dolore, ha scoperto il potere della condivisione e della reciprocità, ad avere mille dubbi ma affidarmi comunque alle mani dei medici anche quando ho paura e non mi sento sicura di nulla. Ho tanto da imparare, ancora troppo. E da sperare che tutto vada per il meglio. Intanto tanti auguri a me e Clorinda, che prima o poi questa tormentata convivenza si concluda con un lieto fine per me.
P.S= per chi non lo sapesse Clorinda è il nome che ho dato alla mia sclerosi
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