Spaventoso incidente ad Alatri: si filma in diretta mentre guida a folle velocità schiantandosi contro un’auto con a bordo madre e figli. Bimba ricoverata in gravissime condizioni
27enne marocchino si è schiantato ad Alatri contro una Nissan con a bordo madre e due figli. L’incidente ripreso nella diretta Facebook che l’uomo stava registrando
Spaventoso incidente ad Alatri, in provincia di Frosinone, dove un 27enne marocchino, al volante della sua Audi, si è schiantato frontalmente contro una Nissan nella carreggiata opposta. A bordo della vettura colpita, una madre con i suoi due figli. Tutti sarebbero rimasti feriti, con una bimba dichiarata in condizioni gravi. I medici dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma, dove la piccola è stata immediatamente trasferita in elisoccorso, hanno comunque assicurato che non si troverebbe in pericolo di vita.Il 27enne è ora indagato. Sulla sua posizione pesa in particolare il fatto che, nel momento dell’incidente il giovane stesse registrando una diretta Facebook. Nel video, ora al vaglio degli inquirenti, è facilmente visibile la guida sconsiderata da lui mantenuta negli attimi precedenti lo schianto. Velocità folle e sorpassi azzardati, culminati in quello che sembrerebbe la perdita di controllo dell’auto in una curva e, conseguentemente, il micidiale impatto con la Nissan su cui viaggiavano madre e bambini.
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“Non ha neanche aiutato la mia bambina svenuta. Sembrava lui la vittima”: parla la mamma dell’incidente di Alatri
Ieri pomeriggio ha incontrato la sua avvocata Cristina Corsi e con lei hanno ripercorso insieme la domenica di paura a pochi passi da casa. «Non riesco a scacciare quelle immagini. La macchina che arriva come un proiettile verso di me, l’impatto che non potevo evitare in nessun modo, i miei figli feriti e Giorgia svenuta. Ho temuto il peggio per lei», è il racconto della donna.
Fatica a parlare, è ancora dolorante, non si dà pace per quella dinamica così assurda. «Voglio giustizia - ha la forza di dire - e andrò avanti perché si deve fermare tutto questo. Non si può rischiare di uccidere per un video una famiglia che tranquillamente si trova nella sua auto».
È un grido di dolore quello della mamma di Alatri che porta alla mente il terribile incidente-fotocopia a Casal Palocco.
In quell’impatto, durante una challenge degli youtuber “The Borderline”, è morto il piccolo Manuel. Aveva 5 anni.
In quel caso la macchina venne travolta da una Lamborghini nella fiancata sinistra, quella in cui si trovava il seggiolino del bambino. Il bambino è morto sul colpo. «Molto probabilmente - spiega l’avvocata Cristina Corsi - l’impatto frontale è stato salvifico per la famiglia perché la Nissan ha delle protezioni ottime sulla parte anteriore della macchina».
Quando la Audi A4 ha invaso la corsia opposta, la donna al volante ha pensato «che fosse un automobilista che si era sentito male. Ho frenato ma non potevo far altro».
Dopo lo schianto Abdhelafid El Idrissi è sceso dall’auto. Nella diretta si sente che risponde a chi gli chiede come sta: «Normale, andavo un po’ veloce. Avevo appresso il cellulare». Ma non ha prestato il suo aiuto per la piccola Giorgia.
«È rientrato in auto e ha aspettato l’arrivo dei vigili del fuoco, sembrava lui la vittima - dice adesso la mamma della Nissan -. Non ci ha dato una mano per soccorrere la mia bambina».
Sotto shock c’è anche il figlio di 16 anni che è arrivato sul luogo dell’incidente con il padre e ha visto la sorellina priva di sensi. «Siamo increduli, miracolati e non riusciamo a farci una ragione di quanto ci è accaduto», è quanto riferisce alla legale. Giorgia è in ripresa ma ancora sedata. La mamma ha un solo pensiero, chiamare continuamente il marito. E la domanda è sempre la stessa: «Come sta la mia Giorgia?»
Ovviamente non sono solo gli stranieri a commettere gli omicidi stradali . Infatti
La donna: "Anche una raccomandata: venite a ritirare rottami o pagate penale"
La mamma di Davide Pavon, ucciso da un poliziotto a 17 anni: “Fattura di 183 euro per pagare la pulizia del luogo dell’incidente”
La morte del figlio, travolto da un poliziotto ubriaco, e la beffa per i genitori che 16 mesi dopo ricevono una fattura dal costo di 183 euro per pulire il luogo dell’incidente dove ha perso la vita Davide Pavan. Era l’8 maggio 2022 quando il 17enne venne travolto, mentre si trovava in scooter, dall’auto guidata da Samuel Seno, 31 anni, in forza all’Ufficio Stranieri della questura di Treviso.
Il poliziotto pochi giorni fa ha patteggiato 3 anni e 6 mesi: gli sono state riconosciute le attenuanti generiche e i suoi difensori si preparano a chiedere gli sia concessa una misura sostitutiva del carcere. In una lunga intervista al Corriere Veneto, Barbara Vedelago, madre di Davide, denuncia l’orrore della burocrazia italiana che continua, anche a distanza di tempo, a far ripiombare i due genitori in quella drammatica gioranata.
Quando è arrivata la fattura “all’inizio pensavamo a un errore. Oppure a un brutto scherzo…”. Sopra c’era scritto “bonifica dell’area con smaltimento dei rifiuti e assorbente per sversamento liquidi”. La cifra di 183 euro “ci è stata chiesta per la pulizia del luogo dell’incidente, per togliere i rottami e spargere della segatura sul sangue di Davide e sui liquidi del motore rimasti sull’asfalto”.
Insomma lo Stato ha addebitato alla famiglia della giovane vittima i costi di pulizia della scena del crimine. Ma non solo. Purtroppo la lenta burocrazia italiana ha sempre la memoria corta. “Ad esempio – racconta la donna – ci è arrivata una raccomandata per avvisarci che il rottame dello scooter era stato dissequestrato e che dovevamo andare subito a ritirarlo, altrimenti avremmo dovuto pagare una penale per ogni giorno di ritardo”.
La madre di Davide racconta anche lo strazio vissuto dalla fidanzatina, la prima ad accorrere sul luogo dell’incidente: “Quel giorno Davide l’aveva appena riaccompagnato a casa”, lei “con una app di geolocalizzazione sul telefonino, aveva notato che mio figlio era fermo ormai da dieci minuti e quindi si è fatta accompagnare dai genitori per capire cosa stesse succedendo. Quando sono arrivata era distesa sopra di lui, lo abbracciava come volesse riscaldarlo con il suo corpo. È stato tremendo e ancora oggi quella ragazza deve fare i conti con ciò che ha vissuto quel giorno. Eppure il giudice le ha negato la possibilità di costituirsi parte civile: la Legge non lo prevede, perché non erano sposati e lei non è una parente”.
Barbara racconta dell’incontro avuto con il poliziotto, dopo la sentenza dei giorni scorsi: “È dal giorno dell’incidente che volevo chiedergli una cosa: se mio figlio è morto sul colpo, come ha stabilito anche l’autopsia, oppure se è sopravvissuto per qualche minuto. Questa dubbio mi tormentava: l’idea che fosse rimasto agonizzante, da solo, su quella strada…”. L’agente ha spiegato “che è sceso subito dall’auto e che ha cominciato a praticargli le manovre di rianimazione, ma che Davide era già morto. Poi ci ha detto che vive ogni giorno nel rimorso, che gli dispiace. Era molto scosso, gli occhi lucidi. Già in una lettera, scritta alcuni mesi fa, ci aveva chiesto perdono”.
Un calvario, quello di un genitore che perde il figlio, che andrà avanti per tutta la vita: “Il fratellino di Davide, ad esempio, ha 15 anni e vorrebbe il motorino. Ma io e mio marito gli abbiamo risposto di no. E anche se lui comprende i motivi di questo rifiuto, noi lo sappiamo che è un’ingiustizia ma ancora non riusciamo ad affrontare l’idea che possa accadergli qualcosa di brutto”. Barbara spiega infine che potrà perdonare il poliziotto solo quando diventerà padre: “In quel momento, guardando suo figlio, finalmente capirà cosa mi ha tolto. E allora sì, troverò la forza di perdonarlo”.
Da ex tifoso Juventino , poi diventato causa la corruzione del sistema moggi e non solo vedi calciopoli, di nessuna squadra e sempre più tiepido a livello di di tifo , capisco la smania di festeggiare la propria squadra ( l'inter in questo caso ) soprattutto quando essa ritorna a vincere dopo 11 anni e lo fa in periodo difficile per il calcio italiano causa pandemia
Ma se La gioia è comprensibile, l’irresponsabilità intollerabile, specie in una regione che ha avuto 33mila morti e ha pagato un prezzo altissimo alla pandemia. quindi come suggerisce
Lorenzo Tosa Eviterei di farne questione di tifo, in un senso come nell’altro. Non è che sia “colpa” degli interisti, così come essere interisti e aver vinto uno Scudetto non esenta da alcuna responsabilità. Poteva esserci qualunque altra tifoseria di qualsiasi altra squadra, in qualsiasi città, sarebbe finita allo stesso modo. Il problema è culturale. Il problema è che ancora, dopo oltre un anno, non abbiamo capito chi e cosa stiamo affrontando e combattendo. E lo paghiamo e lo pagheremo ancora a lungo.
Verificando nei motori di ricerca le visualizzazioni del blog ho trovato ed riportato qui nel presente postla notizia dei L'irresponsabile voglia di far festa,
A questo punto ognuno festeggiasse quel cappero che piace e buonanotte al secchio
in un momento in cui gli assembramenti sono vietati perché ad alto rischio contagio, ha avuto la meglio, da Milano a Roma,
con eventi organizzati negli hotel, in club sportivi o ville private,
preannunciati anche pochi giorni prima sui social. In alcuni
casi, le
forze dell'ordine sono intervenute e hanno messo fine ai party
semi-clandestini che, violavano alcune delle norme anti-contagio
contenute nel Dpcm. Ma in altri, si è cenato, ballato e bevuto, rigorosamente senza neanche l'impiego delle mascherine. Dalla lettura mi è venuta a caldo / di getto questa "lettera " che costituisce il post d'oggi
Cari amanti del divertimento sfrenato Capisco il comune desiderio d'esorcizzare il Covid ed d'andare contro le regole lo facevo anch'io fino a qualche tempo fa infischiandomene ed aggrava il mio stato ed i miei problemi di salute ( ne sto pagando le conseguenze) .
Ma qui a farne le pese non siete solo voi ma anche noi che dobbiamo curarvi ed ora anche prenderci il contagio per causa del vostro comportamento incosciente. Quindi mettete da parte io vostri edonismo sfrenato e date retta avete tutta la vita per fare cionfra casino e divertirvi. Quindi accolgo l'appello di
Ora io dico, ma ce la fate, proprio voi ragazzi, a capire che l’Italia e il mondo intero stanno rischiando una catastrofe sanitaria ed economica e chi ne pagherà il prezzo maggiore saremo noi, sarete voi, soprattutto?
Ce la fate a capire che quello che stiamo costruendo è il vostro futuro mondo “da grandi”?
Ce la fate a capire che se andate in giro senza mascherina, vi assembrate, addirittura vi baciate tra amici, sarà tutto un vero casino solo per voi, per il mondo che verrà?
Ma non riuscite a capire che quelli che non avranno più i soldi per comprarvi l’ultimo smartphone, le scarpe che vi piacciono e la felpa che sognate saranno proprio i vostri genitori che il lavoro rischiano di perderlo come minimo per un anno?
Vi prego, è il VOSTRO MONDO, è il NOSTRO MONDO.
Siate intelligenti e soprattutto smettetela di pensare che non indossare la mascherina sia da fighi.
Fare così è esempio di immaturità, perché, come vedete, gli adulti che non hanno nulla da dimostrare, la mettono.
Lo dico per voi, per noi, per tutti, se no non ne usciamo più e ci saranno solo guerre civili tra poveri disperati nelle piazze.
Parla Elena Pagliarini, 40 anni, infermiera a Cremona, ritratta stremata e addormentata in una foto che è diventata un’icona
DI PAOLO GRISERI
MILANO - Poi ha spinto la tastiera verso il computer e ha piegato un lenzuolo sulla scrivania, per appoggiarci la testa. "Non era ancora finito il turno ma ero stremata". Elena Pagliarini quasi si giustifica. A 40 anni, da 15 in ospedale, si stupisce ancora: "Dopo quella foto mi chiamano in tanti. Mi ringraziano. In un periodo normale mi avrebbero criticato".
per non perdere la memoria di questi giorni e lasciare testimonianza a chi sopravviverà ecco alcune storie su tale fenomeno
La prima triste ed emblematica che dovrebbe far riflettere a coloro che ancora lo sottovalutano e credono alle bufale ed ai ciarlatani ed non vogliono fare sacrifici . In cina ed a codogno ( primo focolaio italiano ) lo hanno fatto e stanno rincominciando a vivere , sperando che il loro sacrificio non sia stato inutile a causa d'incoscienti
da repubblica online de 11\3\2020 Coronavirus, bloccata in casa con cadavere marito forse contagiato
E' accaduto a Borghetto Santo Spirito, nel Savonese. Per rimuovere salma è necessario aspettare l'esito del tampone. In quarantena fiduciaria i sanitari intervenuti per i soccorsi
fotogramma
Costretta a rimanere in casa, in autoisolamento, con il cadavere del marito. E' quanto accade a una donna di Borghetto Santo Spirito, in provincia di Savona. L'uomo 76 anni, che da tempo mostrava sintomi riconducibili al coronavirus è deceduto nella notte, stroncato probabilmente da un malore. La moglie, anche lei potenzialmente infetta, ha chiamato subito i soccorsi: i militi di una pubblica assistenza sono entrati nell'abitazione per tentare di salvarlo con un massaggio cardiaco ma non c'è stato nulla da fare e sono ora in quarantena fiduciaria.
La salma si trova ancora adesso per terra, a faccia in giù in una stanza della casa: trattandosi di un potenziale contagio, il protocollo sanitario prevede che prima di rimuovere il cadavere si attenda l'esito del tampone, effettuato nel pomeriggio. Una situazione da incubo: "Non so nemmeno definirla a parole - ha detto il sindaco Giancarlo Canepa, giunto sul posto - Sono vicino al dolore della donna e dei parenti che stanno vivendo questa situazione surreale".
La donna fortunatamente non mostra sintomi, ma visto il potenziale contagio non può uscire di casa e per questo ha passato parte della giornata sul balcone: per tranquillizzarla le ha telefonato anche il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti. "E' disperata, non sa cosa fare e come comportarsi - hanno spiegato i parenti - non c'è nessuno con lei ad aiutarla e consolarla. Forse si potevano prevedere casi del genere e evitarle questo calvario".
Secondo quanto ricostruito l'uomo sarebbe morto per un arresto cardiaco, ma è necessario capire se avesse o meno contratto il Covid-19 e se questo possa aver influito sulle sue patologie. L'uomo avrebbe iniziato ad accusare i sintomi alcuni giorni fa e, su consiglio del medico, avrebbe anche svolto degli esami radiologici al torace dopo i quali, però, sarebbe stato dimesso. Se i tamponi dovessero rivelarsi positivi per la moglie e le altre persone venute a contatto con la vittima scatterà la quarantena.
"In riferimento al caso della donna di Borghetto Santo Spirito che si trova nella propria casa con la salma del marito, deceduto la scorsa notte, Asl2 precisa quanto segue: L’azienda esprime vicinanza alla famiglia e in particolare alla vedova. Questa sera si recherà nell’abitazione personale incaricato, non di ASL 2, per l’adeguata sistemazione del defunto, in attesa del referto del tampone faringeo. Domani mattina, secondo le procedure di legge, si provvederà al trasferimento della salma e agli accertamenti del caso".
La seconda da rep.repubblica del 11\3\2020
Io, in quarantena tra i monti. Dove la solitudine è la norma: solo l'orso non sa degli appelli a stare in casa Nei masi sopra Montès stare a distanza è un appello incomprensibile: dai tempi della Spagnola non ci si stringe più la mano per salutarsi. E la zona rossa del Lodigiano sembra lontanissima
DI GIAMPAOLO VISETTI
Montès (Trento) - Sulle gemme già gonfie degli
alberi più coraggiosi, all'alba è tornata la neve. I larici stavano
preparando i primi fiori rossi, ma si sono fermati. Di giorno l'erba
sgela e diventa morbida. La notte il freddo indurisce gli steli come
bastoni. Ignaro di tutto si è invece svegliato l'orso. Non è stato
avvisato che prolungare il letargo questa volta poteva essere un gesto
educato. Il virus, da Milano e dalla pianura Padana, risale invisibile
anche le montagne. Adesso lo sanno tutti che è meglio rintanarsi e
diventare un po' orsi. Tutti a parte lui. Non segue, ormai è chiaro, i
bollettini della Protezione civile. Il sole scalda e dopo mesi si ferma,
una bestia sa solo che lentamente deve far ripartire lo stomaco. Così è
uscito dalla tana, sui crinali sopra Bolentina, e di buon passo ha
raggiunto un apiario a Claiano. Da qui vede la Presanella e il passo del
Tonale che scende verso Ponte di Legno. Controlla con il naso alzato
gli ultimi sciatori che lasciano le piste chiuse e gli alberghi deserti
per rientrare nelle città spazzate dalla febbre. A fine inverno non c'è
miele nei telaini. Ha mangiato api e larve perché anche l'orso, come
tutti in questi giorni sospesi, ha il problema di sopravvivere in
qualche modo.
La quarantena in un maso isolato d'alta
quota, per chi è reduce dalla zona rossa del Basso Lodigiano e dal
centro mentalmente svuotato di Milano, riserva piccoli privilegi.
Migliaia di persone, rifugiate nei luoghi del mondo più lontani anche da
un tampone, lo sanno. Mezzo metro di neve fresca distesa su tre
chilometri di pista forestale, calano un muro insuperabile tra un uomo e
gli altri. Il medico, allertato per obbedienza allo Stato, è solo una
voce remota nascosta nel telefono. Dice però che ha chiamato i
carabinieri. Tocca a loro controllare che qui, tra Mangiasa e Montès, il
letargo umano anti Covid-19 non venga interrotto. Sarà la disperazione,
ma in caserma sono di buon umore. Osservano che marciare nella neve per
vedere da lontano un tipo che spacca la legna per la stufa, con i tempi
che corrono li lascia perplessi. Chiedono cosa sta piuttosto succedendo
a Milano e questa parola viene scandita con il riguardo che si
riconosce al fronte di un'estrema resistenza: a un eroe immaginato
invincibile. Il patto è che, quando il letargo a termine dell'umano a
rischio sarà scaduto, gentilmente si avvisi chi di dovere. Quel giorno,
fatti i conti, sarà anche l'inizio della primavera. Tra le
città di pianura e i villaggi di montagna, la quarantena non fa
differenza: si fonda sulla fiducia ed è questa, da sempre, a permettere
alle persone di vivere insieme.
Qui poi, cambiando discorso, il
coronavirus nel vocabolario è già superato. A quota 1.400 metri i
paesani lo chiamano "chel laòr". Ad essere pedanti, in italiano, può
essere tradotto in "quel lavoro". Sulle Alpi, tra Piemonte, Lombardia,
Veneto e Friuli, non è bello quando con sottili sfumature fonetiche si
definisce qualcuno "chel laòr". Il marchio, a quel punto, resta
indelebile per generazioni perché lavorare, per chi ancora lo fa con le
mani, non è come bere un rosso con gli amici all'osteria. Bene, per gli
ignorati delle montagne italiane che in questi giorni, dopo
tanto tempo, tornano a pensare al nostro Paese malato senza più
disprezzo e con una serietà che ricorda l'amore, il virus cinese è nella
sostanza "chel laòr". Un "lavoro" ed è ovvio che i vecchi, i contadini e
tutti quelli che ancora vivono seguendo prima di tutto la natura,
vogliono dire che sono vicini a chi tra Milano, Bergamo e Venezia, oggi
combatte contro questo brutto mestiere di andare avanti un giorno alla
volta.
Una differenza, tra Milano e i
masi sopra Montès, ad essere onesti c'è. Sui pascoli che salgono alle
malghe del Brenta, chi è isolato non si sente solo. Stare a distanza è
un appello incomprensibile. Restare in casa, mentre fiocca
sul coperto di larice, è un invito puerile. È dai tempi della spagnola
che qui si stringe la mano del vicino solo quando alla fiera si compra
la sua vacca, o un amico accompagna un parente al cimitero. Situazioni
memorabili: per il resto, per salutarsi, si alza il cappello e in
mancanza di questo è sufficiente sollevare il mento a bocca chiusa.
Nessuno, tra chi resta sulle montagne italiane, ha finito tutte le
scuole e le università. Istintivamente sentono però, non per colpa del
virus, che toccarsi e parlarsi nei denti non si fa mai a cuor leggero.
Le mani sono sempre state nella terra e nella stalla. Quando qualcuno
dopo attente riflessioni "apre bocca", lo si ascolta con preoccupazione e
restando alla giusta distanza: quella che si deve a una parola
obbligatoria.
La solitudine, quando in paese si è
rimasti in quindici, non è trascorrere i giorni da soli. È sentirsi
abbandonati. A Milano e nelle città chiuse, tutto questo adesso può
succedere. La scomparsa della folla risulta un cimento spaventoso e
insopportabile. Sulle Alpi e nelle cascine sparse di pianura, dove
quietamente si accetta quello che viene, la quarantena invece non esiste
perché ci si entra quando si nasce e non se ne esce più. Nessuno si
sente solo, o abbandonato, perché mai qualcuno ha concepito l'idea di
arrivare un passo più in là delle proprie forze. "Chel laòr" è un
maestro che ha insegnato il segreto di arrivare soli in fondo al proprio
destino. In alta quota si vive fino a quando si riesce ad aspettare
ancora. È questo il coraggio che permette al gruppo di essere una
comunità, unita davanti alla vita e alla morte che nella natura ogni
giorno si danno affettuosamente la mano.
Nei luoghi anonimi, ignorati e
lontani, il virus così non è ancora arrivato. Gli abbandonati
dell'Italia percepiscono il ritardo come un piccolo, inconfessabile
risarcimento. Del resto se tarda ad arrivare il 5G - dicono - è
sacrosanto tardi a venire anche il Covid-19. Sognano sempre di
trasferirsi a Milano, questo sì. Adesso però c'è meno fretta di scappare
subito perché anche una metropoli, se le togli le persone e le loro
idee, sembra un grande paese impreparato a resistere. Piuttosto: come se
nulla fosse qui l'orso si è svegliato puntuale dal letargo. Non è un
dettaglio. È il prodigio della vita, più forte anche di noi: il regalo
che la montagna fa a chi, in questi giorni, costretto in città o isolato
su un prato, sente che più di tutto a fargli male è la nostalgia di
respirare vicino agli altri, senza pensarci e a bocca aperta.
La terza
è parziale ma : 1) è tratta dalla versione di rep.repubblica.it ovvero la sezione a € di repubblica ., 2) non ne ho voglia , come faccio di solito , ed ho fatto anche prima , di trasformare il testo cioè fare i passaggio da stile pagina base a nessuno stile o di modificare la sorgente della pagina come faccio spesso . Ma trovate nel video sotto la sua storia
repubblica 10.3.2020
Coronavirus, l’infermiera della foto simbolo: “Scusate se sono crollata prima della fine del turno”
MILANO - Poi ha spinto la tastiera verso il computer e ha piegato un lenzuolo sulla scrivania, per appoggiarci la testa. "Non era ancora finito il turno ma ero stremata". Elena Pagliarini quasi si giustifica. A 40 anni, da 15 in ospedale, si stupisce ancora: "Dopo quella foto mi chiamano in tanti. Mi ringraziano. In un periodo normale mi avrebbero criticato". [...]
P.s
mentre stavo scrivendo la chiusa del post d'oggi , butto l'occhio su quanto ha detto Il viceministro allo Sviluppo economico Buffagni che non si può chiudere tuttovero . Ma è a causa ( e storie ce ne sarebbero ma ne sono piene i media nazionali e locali o la nostra pagina fb ed il mio account fb , ne abbiamo a anche qui in sardegna dove è a causa di gente incosciente venuta dalle zone in quarantena che non sopportando la quarantena ed l'isolamento è fuggita nelle case al mare anticipando le vacanze ) di gente, ma non slo loro anche i gestori degli aereporti , che ancora non ha capito le istruzioni e le raccomandazioni del ministero o del Oms e creano problemi al paese .
11 marzo 2020
ROMA - “Dovrebbero essere controlli per difenderci dal virus, qui invece siamo da due ore in coda ammassati come bestie. Altro che prevenzione, questo e il perfetto incubatore per il corona virus” dice una signora esasperata. Sono le 5 e 30 di mattina all’aeroporto di Fiumicino e al controllo passaporti degli arrivi internazionali i varchi aperti per gli europei sono tre su 40 postazioni. La coda di viaggiatori si snoda per decine e decine di metri tra volti stanchi, abbronzati, mascherine di tutti i tipi, da quelle più tecnologiche al fai da te del fazzoletto. Hanno tutti passato lo scanner che controlla la febbre ma questo ormai non rassicura nessuno vista la quantità di casi senza sintomi. In mano tengono tutti il foglio che da quando l’Italia e stLa maggior parte sta rientrando dalle vacanze. Partiti quando il virus sembrava faccenda solo della Cina e al massino del nord del Paese, hanno visto da lontano lo scenario cambiare completamente, avanzare le zone rosse, arrivare divieti, imposizioni. Fino al timore non rientrare in patria mentre le compagnie straniere cancellavano i voli e ripetizione e gli italiani venivano banditi dai luoghi di sogno della vacanza.
“Io torno a casa e starò attenta a non uscire troppo, ho una nipotina di due anni, una nuora incinta, bisogna stare accorti, lo faccio più per loro che per me, bisogna pensare anche agli altri”, sbotta Cinzia Innocenti, toscana verace che non la manda a dire quando critica la disorganizzazione all’indomani del decreto zona rossa.
“Lo sapevano da ieri che dobbiamo consegnare queste autocertificazioni, a Fiumicino non potevano riorganizzare i turni, aumentare gli addetti? Il risultato di questa inefficienza è che da due ore e mezza stiamo qui stretti come sardine e non è sano se tutti ripetono che bisogna stare anche a tre metri...” E’ stanca ma combattiva dopo un viaggio in crociera in cui ha visto soprattutto navi nei porti e mare aperto ma poche città perché nessuno dei Paesi orientali tra Malesia, Tailandia voleva le navi con italiani. “Qualcuno ha detto che vi erano dei positivi a bordo, cosa non vera, e ci trattavano come appestati anche l’unica volta che siamo scesi a Singapore. Meno male che Costa ci ha ripagato tutto”.
“Se ne dovrebbe ricordare il signor Salvini cosa significa sentirsi discriminati, noi in Italia abbiamo fatto ben di peggio, alcuni cinesi visti come untori sono stati malmenati” ricorda Vincenzo Calabrese, 37 anni, avvocato societario di ritorno da una lunga vacanza nelle Filippine. “Quando sono partito tutti mi dicevano: ma sei matto, il pericolo e lì. Ora negli ultimi giorni è l’opposto: ma sei proprio sicuro che vuoi tornare?”
La coda va a passo di lumaca, le mascherine si alzano, si abbassano, perdendo la loro funzione ma la stanchezza e tanta quanto l’arrabbiatura. Perché se all’inizio erano tutti convinti che il virus riguardasse gli altri, ora la realtà e più tangibile.
“Da lontano, all’inizio, ci sembravano notizie un po’ montate. Ora invece di andare in palestra andrò a correre a parco o al mare”, dice Giuseppe, pensionato che trova assurdo usare la polizia per “queste faccende burocratiche di autocertificazioni. Siamo in emergenza, polizia e medici hanno già troppo e troppe cose serie da fare, usino qualche d un altro`”.
Anche Giuseppe, che se ne torna a Grosseto, “dove c’erano pochi casi prima che i Lombardi venissero a piazzarsi li nelle seconde case” cambierà stile di vita. Fa il pasticcere, lavorerà solo di notte producendo prelibatezze da vendere al mattino. In beata, sicura solitudine. Sempre che questa coda finisca. Alle 7 arriva qualche rinforzo in divisa, ma anche gli aerei atterrati sono aumentati e la coda non accenna a diminuire.
non oso pensare cosa sarà con la stagione estiva quando tutti vorremo andare al mare
non sono genitore , ma avendo amici e conoscenti con figli di quell'età o adolescenziali e vedendo , abitando in una zona di locali , vedendo ragazzini\e d'età inferiore a quelle delle due ragazze morte , in giuro fino alle 4 del mattino o in coma etilico ( o morto vicino ) non solo a carnevale o ( ovviamente non tutti ) fare danni ed atti di vandalismo do ragione ed non biasimo tale articolo . Lo dice un libertario ed un ribelle .
Siamo nell'era del figliarcato: i genitori non sanno più imporre regole. Il commento di Giulio Gambino
Mi rendo perfettamente conto che quello che sto per scrivere sarà impopolare. Ma voglio dirlo lo stesso. Il punto è che a 16 anni, da sola in giro per Roma, all’una di notte, mia figlia non ci dovrebbe girare. E meno che mai attraversare una strada sotto il diluvio, iper-trafficata, ormai più simile a un’autostrada per le velocità di percorrenza che a una via del centro città. Non è bigottismo o ritorno alle vecchie maniere, è buon senso.
Siamo nell’era del figliarcato e il dramma è che i genitori sono sempre più stanchi e arrendevoli di fronte a coloro ai quali, come i propri figli, viene concesso ogni genere di permesso. Non è modernità, è menefreghismo. Del resto se a mio figlio dico sempre sì, penserà di poter fare quel che vuole, cosa per altro irrealistica e mai vera nel mondo reale. Ma, soprattutto, penserà di poter essere così forte da avere i super-poteri e attraversare una strada in piena notte (non sulle strisce) sotto il diluvio, scavalcando un guard rail.
Non sto colpevolizzando Gaia e Camilla, e meno che mai assolvendo Genovese: per quello che mi riguarda sono tutti e tre innocenti, responsabili solo di essere nati in una società in cui regna una parziale degenerazione delle regole, e anche dei comportamenti genitori-figli così come delle lezioni che i primi devono impartire ai secondi.
Temo che questo laissez-fairismo sia il frutto di un fortissimo senso di colpa che caratterizza i genitori di oggi, privi di forza contrattuale nel rapporto padre-madre/figli poiché consapevoli del fatto che i valori a cui loro stessi hanno col tempo ceduto oggi non abbiano più senso per la propria prole: una crisi di identità e valoriale senza precedenti nella storia della società italiana, forse.
Mi hanno colpito le parole del padre di una delle due ragazze, anche lui vittima di un incidente in passato e per questo finito su una sedia a rotelle: “Adesso non ho ragioni per andare avanti”. O della sorella di Camilla: “Oggi ho scoperto il senso vero della mia vita, quel senso sei tu”.
Ciascun padre/madre si comporta come meglio crede, ma i primi a dover ripensare il loro modo di agire sono i genitori. Usare il pugno duro non significa tenere a casa in castigo i figli. Dire anche di No non equivale a essere troppo apprensivi. E non dare ai figli alcune regole, peraltro sane nella vita di ogni giovane, significa soprassedere al proprio ruolo di genitore.
È evidente che non siamo di fronte a un fenomeno universale, né possono esistere cifre e numeri a sostegno di quanto scriviamo. Questo non è un inno al non prendere più l’auto o al trincerarsi in casa: gli incidenti a volte non dipendono da noi, li subiamo e basta, ma quello che dobbiamo assolutamente recuperare è il ruolo centrale dei genitori e, da parte loro, una presa di posizione più consapevole a costo di essere impopolari o severi; a costo di risultare i genitori che non fanno fare questa o quella cosa ai proprio figli.
L’incidente avvenuto nella notte tra il 21 e il 22 dicembre a Roma, in cui Gaia e Camilla sono morte dopo essere state investite da un loro quasi coetaneo a bordo di un auto, non è il primo né l’ultimo di questa serie. Quella stessa notte, poche ore più tardi, un altro tragico incidente è avvenuto nel quartiere Ostiense, vicino alla Piramide, su viale Marco Polo, quando un ragazzo è morto dopo essere stato investito. Se ne è parlato molto meno anche perché in quel caso ad investire e uccidere accidentalmente il ragazzo è stato un anziano, che diversamente da Genovese non aveva bevuto e, soprattutto, non è il figlio di un noto regista.
Non solo: pochi giorni fa una persona a bordo di un motorino è stata investita su viale Gregorio VII (quartiere Boccea). I vigili stanno ancora cercando testimoni di quello che credono essere un pirata della strada, colpevole di aver investito la persona a bordo del motorino e di essere poi fuggito.
Voi stessi lettori ce lo avete segnalato lamentando da parte dei media due pesi e due misure nel trattare questi incidenti, specie poi quando i riflettori delle nostre telecamere si sono accesi, venerdì 27 dicembre, sui funerali di Gaia e Camilla, per un vizio mediatico a volte inspiegabile che rende una notizia più ‘importante‘ di altre. Ma non è così: ogni 14 ore in media viene investito un pedone a Roma. Solo nella capitale, nel corso del 2019, ci sono stati almeno 43 morti investiti. E queste notizie vengono spesso coperte dai giornali, anche se non tutte assumono la stessa mediaticità (e non sempre per volontà dei media).
È dunque possibile rallentare la spirale di incidenti mortali che da sempre avvengono ovunque nel mondo? Quasi impossibile. Ma quello a cui possiamo porre rimedio, partendo proprio dal tragico e brutale incidente avvenuto a ridosso della vigilia di questo Natale, è il comportamento di alcuni genitori che oggi sembrano aver perso il proprio ruolo.