storie dal coronavirus fra coscienza , sacrificio , ed incoscienza



Parla Elena Pagliarini, 40 anni, infermiera a Cremona, ritratta stremata e addormentata in una foto che è diventata un’icona


                         DI PAOLO GRISERI


MILANO - Poi ha spinto la tastiera verso il computer e ha piegato un lenzuolo sulla scrivania, per appoggiarci la testa. "Non era ancora finito il turno ma ero stremata". Elena Pagliarini quasi si giustifica. A 40 anni, da 15 in ospedale, si stupisce ancora: "Dopo quella foto mi chiamano in tanti. Mi ringraziano. In un periodo normale mi avrebbero criticato".



per  non perdere  la memoria  di questi giorni    e  lasciare  testimonianza  a chi   sopravviverà ecco alcune storie     su tale  fenomeno
La prima  triste ed  emblematica    che  dovrebbe  far  riflettere  a  coloro    che ancora   lo sottovalutano e credono alle  bufale  ed  ai ciarlatani  ed  non vogliono fare  sacrifici  . In cina   ed  a  codogno  ( primo focolaio italiano  ) lo  hanno fatto e stanno rincominciando a vivere  , sperando  che   il loro sacrificio non sia   stato inutile a causa  d'incoscienti 

da repubblica  online de  11\3\2020

Coronavirus, bloccata in casa con cadavere marito forse contagiato
E' accaduto a  Borghetto Santo Spirito, nel Savonese. Per rimuovere salma è necessario aspettare l'esito del tampone. In quarantena fiduciaria i sanitari intervenuti per i soccorsi


fotogramma 
Costretta a rimanere in casa, in autoisolamento, con il cadavere del marito. E' quanto accade a una donna di Borghetto Santo Spirito, in provincia di Savona. L'uomo 76 anni, che da tempo mostrava sintomi riconducibili al coronavirus è deceduto nella notte, stroncato probabilmente da un malore. La moglie, anche lei potenzialmente infetta, ha chiamato subito i soccorsi: i militi di una pubblica assistenza sono entrati nell'abitazione per tentare di salvarlo con un massaggio cardiaco ma non c'è stato nulla da fare e sono ora in quarantena fiduciaria.
La salma si trova ancora adesso per terra, a faccia in giù in una stanza della casa: trattandosi di un potenziale contagio, il protocollo sanitario prevede che prima di rimuovere il cadavere si attenda l'esito del tampone, effettuato nel pomeriggio. Una situazione da incubo: "Non so nemmeno definirla a parole - ha detto il sindaco Giancarlo Canepa, giunto sul posto - Sono vicino al dolore della donna e dei parenti che stanno vivendo questa situazione surreale".
La donna fortunatamente non mostra sintomi, ma visto il potenziale contagio non può uscire di casa e per questo ha passato parte della giornata sul balcone: per tranquillizzarla le ha telefonato anche il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti. "E' disperata, non sa cosa fare e come comportarsi - hanno spiegato i parenti - non c'è nessuno con lei ad aiutarla e consolarla. Forse si potevano prevedere casi del genere e evitarle questo calvario".
Secondo quanto ricostruito l'uomo sarebbe morto per un arresto cardiaco, ma è necessario capire se avesse o meno contratto il Covid-19 e se questo possa aver influito sulle sue patologie. L'uomo avrebbe iniziato ad accusare i sintomi alcuni giorni fa e, su consiglio del medico, avrebbe anche svolto degli esami radiologici al torace dopo i quali, però, sarebbe stato dimesso. Se i tamponi dovessero rivelarsi positivi per la moglie e le altre persone venute a contatto con la vittima scatterà la quarantena.
"In riferimento al caso della donna di Borghetto Santo Spirito che si trova nella propria casa con la salma del marito, deceduto la scorsa notte, Asl2 precisa quanto segue: L’azienda esprime vicinanza alla famiglia e in particolare alla vedova. Questa sera si recherà nell’abitazione personale incaricato, non di ASL 2, per l’adeguata sistemazione del defunto, in attesa del referto del tampone faringeo. Domani mattina, secondo le procedure di legge, si provvederà al trasferimento della salma e agli accertamenti del caso".




La  seconda    da  rep.repubblica   del 11\3\2020 


Io, in quarantena tra i monti. Dove la solitudine è la norma: solo l'orso non sa degli appelli a stare in casa
Nei masi sopra Montès stare a distanza è un appello incomprensibile: dai tempi della Spagnola non ci si stringe più la mano per salutarsi. E la zona rossa del Lodigiano sembra lontanissima





                                         DI GIAMPAOLO VISETTI

Montès (Trento) - Sulle gemme già gonfie degli alberi più coraggiosi, all'alba è tornata la neve. I larici stavano preparando i primi fiori rossi, ma si sono fermati. Di giorno l'erba sgela e diventa morbida. La notte il freddo indurisce gli steli come bastoni. Ignaro di tutto si è invece svegliato l'orso. Non è stato avvisato che prolungare il letargo questa volta poteva essere un gesto educato. Il virus, da Milano e dalla pianura Padana, risale invisibile anche le montagne. Adesso lo sanno tutti che è meglio rintanarsi e diventare un po' orsi. Tutti a parte lui. Non segue, ormai è chiaro, i bollettini della Protezione civile. Il sole scalda e dopo mesi si ferma, una bestia sa solo che lentamente deve far ripartire lo stomaco. Così è uscito dalla tana, sui crinali sopra Bolentina, e di buon passo ha raggiunto un apiario a Claiano. Da qui vede la Presanella e il passo del Tonale che scende verso Ponte di Legno. Controlla con il naso alzato gli ultimi sciatori che lasciano le piste chiuse e gli alberghi deserti per rientrare nelle città spazzate dalla febbre. A fine inverno non c'è miele nei telaini. Ha mangiato api e larve perché anche l'orso, come tutti in questi giorni sospesi, ha il problema di sopravvivere in qualche modo.
La quarantena in un maso isolato d'alta quota, per chi è reduce dalla zona rossa del Basso Lodigiano e dal centro mentalmente svuotato di Milano, riserva piccoli privilegi. Migliaia di persone, rifugiate nei luoghi del mondo più lontani anche da un tampone, lo sanno. Mezzo metro di neve fresca distesa su tre chilometri di pista forestale, calano un muro insuperabile tra un uomo e gli altri. Il medico, allertato per obbedienza allo Stato, è solo una voce remota nascosta nel telefono. Dice però che ha chiamato i carabinieri. Tocca a loro controllare che qui, tra Mangiasa e Montès, il letargo umano anti Covid-19 non venga interrotto. Sarà la disperazione, ma in caserma sono di buon umore. Osservano che marciare nella neve per vedere da lontano un tipo che spacca la legna per la stufa, con i tempi che corrono li lascia perplessi. Chiedono cosa sta piuttosto succedendo a Milano e questa parola viene scandita con il riguardo che si riconosce al fronte di un'estrema resistenza: a un eroe immaginato invincibile. Il patto è che, quando il letargo a termine dell'umano a rischio sarà scaduto, gentilmente si avvisi chi di dovere. Quel giorno, fatti i conti, sarà anche l'inizio della primavera. Tra le città di pianura e i villaggi di montagna, la quarantena non fa differenza: si fonda sulla fiducia ed è questa, da sempre, a permettere alle persone di vivere insieme.
Qui poi, cambiando discorso, il coronavirus nel vocabolario è già superato. A quota 1.400 metri i paesani lo chiamano "chel laòr". Ad essere pedanti, in italiano, può essere tradotto in "quel lavoro". Sulle Alpi, tra Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli, non è bello quando con sottili sfumature fonetiche si definisce qualcuno "chel laòr". Il marchio, a quel punto, resta indelebile per generazioni perché lavorare, per chi ancora lo fa con le mani, non è come bere un rosso con gli amici all'osteria. Bene, per gli ignorati delle montagne italiane che in questi giorni, dopo tanto tempo, tornano a pensare al nostro Paese malato senza più disprezzo e con una serietà che ricorda l'amore, il virus cinese è nella sostanza "chel laòr". Un "lavoro" ed è ovvio che i vecchi, i contadini e tutti quelli che ancora vivono seguendo prima di tutto la natura, vogliono dire che sono vicini a chi tra Milano, Bergamo e Venezia, oggi combatte contro questo brutto mestiere di andare avanti un giorno alla volta. 
Una differenza, tra Milano e i masi sopra Montès, ad essere onesti c'è. Sui pascoli che salgono alle malghe del Brenta, chi è isolato non si sente solo. Stare a distanza è un appello incomprensibile. Restare in casa, mentre fiocca sul coperto di larice, è un invito puerile. È dai tempi della spagnola che qui si stringe la mano del vicino solo quando alla fiera si compra la sua vacca, o un amico accompagna un parente al cimitero. Situazioni memorabili: per il resto, per salutarsi, si alza il cappello e in mancanza di questo è sufficiente sollevare il mento a bocca chiusa. Nessuno, tra chi resta sulle montagne italiane, ha finito tutte le scuole e le università. Istintivamente sentono però, non per colpa del virus, che toccarsi e parlarsi nei denti non si fa mai a cuor leggero. Le mani sono sempre state nella terra e nella stalla. Quando qualcuno dopo attente riflessioni "apre bocca", lo si ascolta con preoccupazione e restando alla giusta distanza: quella che si deve a una parola obbligatoria.
  La solitudine, quando in paese si è rimasti in quindici, non è trascorrere i giorni da soli. È sentirsi abbandonati. A Milano e nelle città chiuse, tutto questo adesso può succedere. La scomparsa della folla risulta un cimento spaventoso e insopportabile. Sulle Alpi e nelle cascine sparse di pianura, dove quietamente si accetta quello che viene, la quarantena invece non esiste perché ci si entra quando si nasce e non se ne esce più. Nessuno si sente solo, o abbandonato, perché mai qualcuno ha concepito l'idea di arrivare un passo più in là delle proprie forze. "Chel laòr" è un maestro che ha insegnato il segreto di arrivare soli in fondo al proprio destino. In alta quota si vive fino a quando si riesce ad aspettare ancora. È questo il coraggio che permette al gruppo di essere una comunità, unita davanti alla vita e alla morte che nella natura ogni giorno si danno affettuosamente la mano.
Nei luoghi anonimi, ignorati e lontani, il virus così non è ancora arrivato. Gli abbandonati dell'Italia percepiscono il ritardo come un piccolo, inconfessabile risarcimento. Del resto se tarda ad arrivare il 5G - dicono - è sacrosanto tardi a venire anche il Covid-19. Sognano sempre di trasferirsi a Milano, questo sì. Adesso però c'è meno fretta di scappare subito perché anche una metropoli, se le togli le persone e le loro idee, sembra un grande paese impreparato a resistere. Piuttosto: come se nulla fosse qui l'orso si è svegliato puntuale dal letargo. Non è un dettaglio. È il prodigio della vita, più forte anche di noi: il regalo che la montagna fa a chi, in questi giorni, costretto in città o isolato su un prato, sente che più di tutto a fargli male è la nostalgia di respirare vicino agli altri, senza pensarci e a bocca aperta.

   La  terza  
è  parziale  ma  : 1)  è tratta  dalla versione   di rep.repubblica.it  ovvero la sezione  a  €  di repubblica  ., 2)    non ne  ho voglia  , come  faccio di  solito ,  ed  ho fatto anche  prima   , di  trasformare  il testo    cioè  fare  i passaggio da  stile pagina  base  a  nessuno  stile   o  di  modificare la  sorgente  della  pagina    come  faccio spesso  .  Ma  trovate    nel video sotto la sua storia  




repubblica  10.3.2020

Coronavirus, l’infermiera della foto simbolo: “Scusate se sono crollata prima della fine del turno”

Risultato immagini per Elena Pagliarini
MILANO - Poi ha spinto la tastiera verso il computer e ha piegato un lenzuolo sulla scrivania, per appoggiarci la testa. "Non era ancora finito il turno ma ero stremata". Elena Pagliarini quasi si giustifica. A 40 anni, da 15 in ospedale, si stupisce ancora: "Dopo quella foto mi chiamano in tanti. Mi ringraziano. In un periodo normale mi avrebbero criticato". [...] 









P.s
mentre stavo scrivendo la chiusa del post d'oggi , butto l'occhio su quanto ha detto Il viceministro allo Sviluppo economico Buffagni  che  non si  può  chiudere  tutto vero . Ma  è  a causa  (  e storie    ce ne sarebbero   ma  ne  sono piene i media nazionali e  locali  o la nostra pagina  fb  ed  il mio account   fb  , ne  abbiamo  a anche   qui in sardegna    dove è a  causa  di gente  incosciente  venuta    dalle  zone in quarantena    che non sopportando la  quarantena ed  l'isolamento  è fuggita  nelle   case al mare  anticipando le  vacanze  )   di    gente, ma  non slo loro  anche  i gestori  degli aereporti ,   che   ancora   non ha  capito   le istruzioni   e le raccomandazioni    del ministero  o del Oms  e  creano  problemi al paese    .



11 marzo 2020



ROMA - “Dovrebbero essere controlli per difenderci dal virus, qui invece siamo da due ore in coda ammassati come bestie. Altro che prevenzione, questo e il perfetto incubatore per il corona virus” dice una signora esasperata. Sono le 5 e 30 di mattina all’aeroporto di Fiumicino e al controllo passaporti degli arrivi internazionali i varchi aperti per gli europei sono tre su 40 postazioni. La coda di viaggiatori si snoda per decine e decine di metri tra volti stanchi, abbronzati, mascherine di tutti i tipi, da quelle più tecnologiche al fai da te del fazzoletto. Hanno tutti passato lo scanner che controlla la febbre ma questo ormai non rassicura nessuno vista la quantità di casi senza sintomi. In mano tengono tutti il foglio che da quando l’Italia e stLa maggior parte sta rientrando dalle vacanze. Partiti quando il virus sembrava faccenda solo della Cina e al massino del nord del Paese, hanno visto da lontano lo scenario cambiare completamente, avanzare le zone rosse, arrivare divieti, imposizioni. Fino al timore non rientrare in patria mentre le compagnie straniere cancellavano i voli e ripetizione e gli italiani venivano banditi dai luoghi di sogno della vacanza.
“Io torno a casa e starò attenta a non uscire troppo, ho una nipotina di due anni, una nuora incinta, bisogna stare accorti, lo faccio più per loro che per me, bisogna pensare anche agli altri”, sbotta Cinzia Innocenti, toscana verace che non la manda a dire quando critica la disorganizzazione all’indomani del decreto zona rossa.




“Lo sapevano da ieri che dobbiamo consegnare queste autocertificazioni, a Fiumicino non potevano riorganizzare i turni, aumentare gli addetti? Il risultato di questa inefficienza è che da due ore e mezza stiamo qui stretti come sardine e non è sano se tutti ripetono che bisogna stare anche a tre metri...” E’ stanca ma combattiva dopo un viaggio in crociera in cui ha visto soprattutto navi nei porti e mare aperto ma poche città perché nessuno dei Paesi orientali tra Malesia, Tailandia voleva le navi con italiani. “Qualcuno ha detto che vi erano dei positivi a bordo, cosa non vera, e ci trattavano come appestati anche l’unica volta che siamo scesi a Singapore. Meno male che Costa ci ha ripagato tutto”.
“Se ne dovrebbe ricordare il signor Salvini cosa significa sentirsi discriminati, noi in Italia abbiamo fatto ben di peggio, alcuni cinesi visti come untori sono stati malmenati” ricorda Vincenzo Calabrese, 37 anni, avvocato societario di ritorno da una lunga vacanza nelle Filippine. “Quando sono partito tutti mi dicevano: ma sei matto, il pericolo e lì. Ora negli ultimi giorni è l’opposto: ma sei proprio sicuro che vuoi tornare?”
La coda va a passo di lumaca, le mascherine si alzano, si abbassano, perdendo la loro funzione ma la stanchezza e tanta quanto l’arrabbiatura. Perché se all’inizio erano tutti convinti che il virus riguardasse gli altri, ora la realtà e più tangibile.
“Da lontano, all’inizio, ci sembravano notizie un po’ montate. Ora invece di andare in palestra andrò a correre a parco o al mare”, dice Giuseppe, pensionato che trova assurdo usare la polizia per “queste faccende burocratiche di autocertificazioni. Siamo in emergenza, polizia e medici hanno già troppo e troppe cose serie da fare, usino qualche d un altro`”.
Anche Giuseppe, che se ne torna a Grosseto, “dove c’erano pochi casi prima che i Lombardi venissero a piazzarsi li nelle seconde case” cambierà stile di vita. Fa il pasticcere, lavorerà solo di notte producendo prelibatezze da vendere al mattino. In beata, sicura solitudine. Sempre che questa coda finisca. Alle 7 arriva qualche rinforzo in divisa, ma anche gli aerei atterrati sono aumentati e la coda non accenna a diminuire.





non oso pensare  cosa  sarà  con la stagione estiva  quando tutti  vorremo andare  al mare











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