Nei giorni scorsi la solita orda di analfabeti e odiatori vari in particolare feltri sta dando vita a una vera e propria gogna nei confronti di Ottavia Piana, la speleologa intrappolata e salvata in una grotta mentre faceva il suo mestiere.E puntuali, come ogni volta in questi casi, sono arrivati i commenti da bar. “Ma chi paga per i soccorsi?” “Chi gliel’ha chiesto di tornare lì?” “Se l’è cercata!” E via di tutto il repertorio di ignoranza, sessismo e antiscienza vomitato dalle proprie tastiere.
Quello che i poverini non sanno è che:Ottavia Piana non era lì per un suo capriccio ma in missione per la Società speleologica italiana.Gli speleologi sono assicurati “da quando escono dalla macchina per andare verso la grotta fino a quando ripartono per tornare a casa”.Ovvero: non avete sganciato un singolo euro per salvarla.E, anche se l’avessimo fatto, sarei stato felice di contribuire a portare in salvo una scienziata e, prima ancora, un essere umano in difficoltà.
Non solo è una follia disumana criticarla, ma dovremmo essere grati a questa donna che ha rischiato la vita per il progresso e per il Paese.
E che, grazie alla sua resistenza e la tenacia dei soccorritori, è viva, sana e salva.
Accanto alla «legge del mare», l’assessore Alessandro Bigoni ne cita una seconda: «Ne esiste un’altra, altrettanto importante: la legge della montagna. Non si lascia indietro nessuno. E lo abbiamo dimostrato». Ottavia Piana è stata portata in salvo da poche ore, dopo quasi quattro giorni bloccata sottoterra nella grotta Bueno Fonteno. E la conferenza stampa organizzata al campo base diventa anche l’occasione per rispondere a tutti coloro che, in questo lasso di tempo, hanno criticato l’attività della speleologa, mettendone in dubbio le capacità e la preparazione.
Critiche anche sugli eventuali costi legati all’operazione di soccorso della 32enne bresciana: «Il Corpo nazionale del Soccorso alpino e speleologico riceve finanziamenti annui dalle Regioni e dallo Stato che garantiscono la formazione, l’acquisto di automezzi e materiali tecnici, ma pure di affrontare le spese dei soccorsi», puntualizza il vicepresidente nazionale Mauro Guiducci. Per sgomberare il campo da pregiudizi, Guiducci fa un’ulteriore precisazione: «Ci sono altri interventi che passano totalmente inosservati. Ma che sempre per una singola persona dispersa in montagna, un escursionista, un cacciatore, un fungaiolo, richiedono ore e ore di volo di elicotteri. Vi garantisco che un intervento del genere ha costi enormemente più elevati di questo». La conclusione non può che essere che «non è corretto criticare persone che svolgono attività di carattere scientifico», evidenzia Guiducci. Tutto ciò che è stato scritto sui social contro la loro figlia è anche la ragione per cui i genitori di Ottavia, per il momento, scelgono di restare in silenzio: «Preferiamo mantenere una certa riservatezza», dice la madre Lucia raggiunta nella casa di Adro
Sui presunti costi interviene pure il presidente della Società speleologica italiana Sergio Orsini: «Non paga assolutamente il cittadino perché tutti gli speleologi sono assicurati». Sempre Orsini chiarisce che la speleologa e il suo gruppo stavano ricostruendo il percorso sotterraneo dell’acqua: «È importante — precisa — anche per capire se subisce inquinamenti».«Si può essere speleologi per spirito d’avventura e per altri mille motivi — riprende Guiducci —. Ma la speleologia è prima di tutto ricerca e studio». E cita esempi concreti: «In una grotta è possibile osservare l’andamento di una faglia, studiare il modo in cui si è formata migliaia di anni fa. All’aperto tutto questo non è possibile, perché la superficie è alterata dagli agenti atmosferici».
A cosa giova tutto questo? «Ci può dare molte informazioni anche a livello antisismico». Le analisi degli speleologi (Ottavia Piana e altri otto suoi compagni d’esplorazione sabato avevano iniziato a mappare un chilometro di galleria fino a quel momento ignota) possono fornire indicazioni utili anche a prevedere gli effetti della siccità: «In alcune grotte il livello dell’acqua può variare di decine di metri — conclude Guiducci —. Conoscere le falde, il percorso dell’acqua nelle montagne, come si modificano i bacini durante le stagioni è interessante per chi deve gestire la distribuzione dell’acqua pubblica».
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È in coma in ospedale ma si ritrova iscritto al Pd. La rabbia della moglie: «Ci siamo sentiti usati»
Tesserato Pd a sua insaputa: capita tra i democratici irpini e non è la prima volta. A novembre del 2021, il Pd guidato da Enrico Letta aveva
deciso di sospendere oltre 2.500 richieste di tesseramento, dopo aver riscontrato «una serie di
anomalie nel tesseramento della Federazione di Avellino sulla piattaforma online del Partito Democratico». Stavolta, però, la storia è ancora più triste, perché ad essere iscritto senza che ne sapesse nulla è un uomo che è rimasto ricoverato per lungo tempo in ospedale, Giovanni Mista. A denunciare il fatto è la moglie, Cristina Gabriella Monteanu, residente nel comune di San Martino Valle Caudina, in provincia di Avellino.
«Mio marito - racconta - non ha potuto firmare la tessera Pd, perché nella fase del tesseramento era ricoverato in ospedale. È stato ben due mesi in coma per un attacco celebrale, poi trasferito in una clinica riabilitativa. Non so chi ha firmato e pagato la quota della tessera, ma qualcuno a nostra insaputa,
per proprio tornaconto politico, ha utilizzato i suoi dati per sottoscrivere la tessera. Appresa la notizia per caso, ho voluto delle spiegazioni, perché mi sembrava il minimo in una situazione così paradossale. Ho chiesto delucidazioni al segretario del circolo Pd, che dopo avermi confermato che mio marito era tesserato, mi ha detto prima che il nome era stato fatto dal sindaco, salvo poi ritrattare dopo pochi minuti sostenendo che i nomi erano stati prelevati dalle liste degli anni precedenti, seppur senza alcuna espressione di volontà o adesione. Quando ho insistito per capire chi avesse avesse deciso di inserire il nome di mio marito, mi è stato chiesto chiudere in modo amichevole la vicenda con una telefonata di scuse per quanto avvenuto. Ma io non so che farmene delle scuse, perché sono entrati nella mia sfera privata».
Una vicenda che provoca ancora più amarezza per il momento difficile che vive la sua famiglia. «Ci siamo sentiti usati. Loro pensavano- aggiunge Cristina Gabriella - di essere tranquilli perché
mio marito non poteva chiedere spiegazioni. Ritenevano di avere la strada libera perché sono straniera e perché pensavano che non mi sarei interessata della vicenda. Ma non è assolutamente così. Ho chiesto chiarezza per difendere la libertà di espressione di mio marito, ma ancora oggi i chiarimenti non sono arrivati». Oltre a Giovanni, però, ci sarebbero anche altre persone ignare di essere intestatarie di una tessera del Pd. «Quello di mio marito non è un caso isolato. Anche una mia amica è stata iscritta assieme ai suoi due fratelli, a sua insaputa. E non solo. Credo che ormai siamo alla frutta, perché per interesse politico non ci si ferma nemmeno di fronte alle difficoltà gravi di una famiglia. Nel nostro caso è già la seconda volta. Lo volevano far assumere come operaio interinale, mentre lui era in coma, forse per lavarsi la coscienza».
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Storia di Masetti, l'eroe dei due mondi che andò in bici da Milano a Chicago per il «Corriere»: «Datemi 500 lire o asciugatemi il mare»
Per la Milano delle ciclabili, della mobilità a due ruote, della città a pedali prossima ventura sognata dal sindaco Beppe Sala, il papà della bicicletta non esiste. Nessun Ambrogino alla memoria, nessuna via, giardino o, meglio ancora, ciclabile dedicata all’eroe dei due mondi su due ruote, nessun posto d’onore nella cripta del Famedio, niente di niente, se non la tomba al Cimitero Maggiore, reparto 26 zoccolatura, numero manufatto 0487, anonimo tra gli anonimi. Luigi Masetti, 160 anni oggi, 18 dicembre, non ha mai trovato il posto che merita nella città dove ha vissuto.
Scriveva il giornale «Il Ciclo» nell’anno di grazia 1893: «Se Masetti fosse stato francese sarebbe stato portato sugli scudi, se fosse stato americano si sarebbe fatto una sostanza, ma è italiano, non è quindi da stupirsi, se fuor che da pochi, il suo viaggio ardito è calcolato un nonnulla». Più di un secolo dopo nulla è cambiato. Eppure Luigi Masetti ha tutto per piacere ai contemporanei: era globale quando le frontiere erano muri, era social quando il mondo non aveva neanche la radio, era eco friendly cent’anni prima dei Fridays for Future, con la sua bicicletta Eolo, tutta verniciata di bianco e con il manubrio all’ingiù.
Nessuno come lui ha anticipato i tempi anche se sembra uscito dai libri di Jules Verne e Robert Louis Stevenson. Il navigatore universale del padre del cicloturismo italiano era una cartina geografica strappata da un atlante scolastico: con quello, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, percorre più di centomila chilometri attraverso tre continenti: dall’Africa a Capo Nord, dalla Russia al Bosforo, da Milano a Chicago, non c’è strada e avventura a cui sappia dire no. Parte da Aosta per arrivare in Egitto lungo la rotta della campagna di Napoleone fino alla Piramide di Cheope; raggiunge il Marocco per poi invertire la bicicletta e dirigerla verso la Norvegia, direzione Capo Nord; da Mosca, dove si merita l’amicizia e l’ammirazione di Lev Tolstoj, uno dei giganti della letteratura del Novecento, punta verso Costantinopoli, in Turchia. Senza più freni scrive al Corriere della Sera: «Voglio andare in bicicletta da Milano a Chicago: datemi 500 lire o asciugatemi il mare».
Il direttore Eugenio Torelli Viollier gli risponde: «Ci piacciono le imprese condite d’audacia e di bizzarria. Accettiamo». A un patto però: che racconti l’America vista dalla sella di una bici. Il 15 luglio del 1893 parte dall’Arco della Pace, 7000 chilometri di percorso, 930 lire di spesa. Quando torna, il 19 novembre, «i curiosi uscivano dalle case dalle botteghe e si affacciavano alle finestre per vedere il reduce del lungo viaggio. La folla andò man mano ingrossandosi lungo il popoloso Corso Magenta e più sul Corso Dante e in piazza del Duomo. Quando entrò in galleria echeggiarono applausi ed evviva». Il Corriere della Sera lo ribattezza «il Napoleone delle due ruote», il suo diario di bordo è un successone, come un blog di viaggio che esce ogni lunedì sul Corriere: da Filadelfia a New York, da Cleveland a Washington, da Pittsburgh a Buffalo. Viene ricevuto alla Casa Bianca dal presidente degli Stati Uniti Grover Cleveland «un uomo sulla sessantina - lo descrive nelle sue corrispondenze -, piuttosto panciuto, di statura alta, dal viso aperto e molto affabile», all’Expo di Chicago viene accolto come un eroe che arriva dal futuro. E forse era così.
Abitava in via Cesare da Sesto 11, a Porta Genova, con le due sorelle, in un appartamentino che, raccontano le cronache dell’epoca è «un vero museo storico-geografico-etnografico colli oggetti e col nome della località di origine» e per raggiungere il quale bisognava fare ottanta scalini a piedi. Milano, che fu per lui, polesano di nascita, città di adozione e di vita, è in quel momento una città dove sferragliavano i tram, tra carrozze, carretti ingombranti e le prime automobili «quelle automobili - che sentenziava profetico - divoreranno gli spazi che io mi precorro pedalando senza fine e senza sosta».
Il viaggio del cicloturismo è partito da lì e da lui, per arrivare ai numeri rivelati dall’ultimo rapporto Isnart e Legambiente sul cicloturismo in Italia: 56,8 milioni di presenze nel 2023 con un impatto economico diretto di più di 5,5 miliardi di euro, in crescita del 35% sul 2022. Peccato solo che nella Milano delle 330mila biciclette e dei 312 chilometri di corsie ciclabili, papà Masetti «fuor che da pochi, è calcolato un nonnulla».