Cinquant’anni fa moriva Sergio Ramelli ( per chi volesse approfondire o ricordare leggere Omicidio di Sergio Ramelli - Wikipedia ) dopo lunghi giorni di agonia Aveva diciotto anni. Otto militanti di Avanguardia operaia gli sfondarono il cranio a colpi di chiave inglese per aver scritto un tema (non un decreto legge, non una sentenza d’assise o un fondo sul Corriere: morì per un compito in classe😥 ) in cui condannava le Br e si rammaricava del silenzio della politica davanti all’assassinio di due esponenti missini avvenuto Il 17 giugno 1974 dalle le BR commisero a Padova il loro primo delitto: nel
corso di un'incursione nella sede del MSI di via Zabarella, furono uccisi, pur in assenza di pianificazione, Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola. Il nucleo veneto gestì l'evento, rivendicandolo all'interno della pratica dell'antifascismo militante . Tanto bastava per farlo diventare un sub-umano da eliminare. E così fu. Ieri il ministro Valditara – azzeccandone una alla faccia dei bookmaker - ha scoperto una targa sulla facciata della sua scuola. È molto semplice, senza la retorica di parte di cui sarebbe stato facile e forse anche legittimo se si vuole ricordare a senso unico gonfiarla. Dice che Ramelli era uno studente di quell’istituto e che fu ucciso per le sue idee. Ma contro quella targa c’è stata una raccolta di firme e c’è stato un presidio che urlava “Via i fascisti dalla scuola”. Ora mi chiedo visto che il mese prossimo festeggeremo, il 25 aprile , ovvero la Liberazione da un regime totalitario che oltre agli oppositori schiacciò la libertà di pensiero e di espressione. Se non riusciamo a riconoscere e a onorare una vittima dell’intolleranza a meno che non la pensi esattamente come noi, se dopo mezzo secolo non abbiamo pietà e rispetto di un ragazzo, allora il fascismo che lo abbiamo buttato giù a fare?
Mentre cercavo notrizie pe r il 50della strage di piazza della loggia ( Brescia 28 maggio 1974 ) ho trovato su www.giornaledibrescia.it queste due storie interessanti
Cesarina Pasquali e Paolo Del Pani, coniugi di Borgosatollo, hanno anche avuto l’opportunità di assistere due simboli come Marco Zingarelli e Rosa Ambrosi
----- Per riconoscenza nei confronti della Penna nera e della famiglia italiana che lo ospitò dopo la tragedia, Oleg Sorokin l’ha raccolto la terra dove tanti giovani italiani caddero, spedendola a Rezzato
Per riconoscenza nei confronti della Penna nera e della famiglia italiana che lo ospitò dopo la tragedia di #cernobyl , #OlegSorokin l’ha raccolto la terra dove tanti giovani #alpini italiani caddero durante la campagna di russia , spedendola a Rezzato
Il suo nome è Oleg Sorokin, abita nella russa città di Tula, ed è lui che per tre giorni ha vagato per le sterminate campagne della Russia, in cerca della terra, sotto la cui coltre sono stati sepolti migliaia di nostriAlpinimorti in guerra.Zolle di terra, che poi ha inviato, non senza difficoltà e varie peripezie, a Rezzato, dove ora questa terra è posta in una teca di vetro incassata nel pavimento, della neorestaurata Chiesetta del Gruppo Alpini di Rezzato.
A portarla lì è una storia di riconoscenza e amore nei confronti dell’Alpino e della sua famiglia italiana (che desidera mantenere l’anonimato) che da piccolo lo avevano amorevolmente accolto dopo la terribile tragedia di Chernobyl, ma anche di ricordo verso gli Alpini che in quella terra di Russia hanno trovato la morte, combattendo per la pace. La sua storia dimostra quanto le due parole, se lo si vuole, siano strettamente collegate. Oleg, oggi 41enne, a Rezzato venne per la prima volta nel 1993. Era un bambino di Chernobyl e aveva 10 anni. Molti bambini erano, come lui, in un orfanotrofio e soffrivano ancora le conseguenze della radioattività; per questo fra Russia e Italia in quell’occasione si era instaurato un ponte solidale. Da subito, in quella famiglia italiana che gli fu assegnata, Oleg respirò quell’affetto e quella tenerezza, che ogni bambino dovrebbe avere, e che ancora oggi lo fa sentire figlio e fratello. I primi soggiorni furono brevi, ma man mano divennero sempre più lunghi, in particolare quando Oleg si ammalò di tubercolosi, e fu amorevolmente curato in ospedale e a casa, per poi riandare nel suo orfanatrofio con tutti i medicinali di cui aveva bisogno per curarsi, grazie anche alla generosità alpina.
I luoghi simbolo
Non appena saputo del progetto di portare un po’ di terra russa presa là dove erano caduti i nostri Alpini, per metterla nella chiesetta a loro dedicata, si è messo in viaggio non senza difficoltà con la moglie e con uno dei suoi due bambini, per raccoglierla nei luoghi simbolo della guerra dove caddero a migliaia. Il più noto è stato Nikolajewka, dove non ha potuto avvicinarsi al luogo esatto delle fosse comuni per ragioni di sicurezza. L’altro luogo è Rossosch, dove sino a poco tempo fa un cippo collocato dall’Associazione Nazionale Alpini, ed ora distrutto, ricordava, in segno di fratellanza, tutti i Caduti nella Seconda Guerra Mondiale. Da ultimo, il sito di Nowo Postojalowka, costato una ricerca difficile e infruttuosa per un intero giorno. Era ormai sera, e Oleg, senza speranze ma non arreso, trovò l’anziano avventore di un bar, che, sentendo le sue domande, lo ha accompagnato sul luogo dove c’è la fossa comune, al cui interno, all’epoca, gli abitanti furono costretti a buttare i corpi di migliaia di soldati emersi, nel disgelo, dalla neve. Solo allora per Oleg è stata missione compiuta. In Italia la terra avrebbe voluto portarla lui, ma troppe le difficoltà burocratiche, perciò ha spedito la terra accompagnata da un video, in cui ha filmato e raccontato il suo viaggio per raccoglierla. Dopo 79 anni, quella terra resa sacra dal sacrificio di tanti uomini, lancia il suo messaggio di speranza per la pace e la libertà.
Firenze, l'amarezza dei familiari del rider morto: "Lo hanno 'licenziato' dopo il decesso"
Lo sconcerto della zia: "Da Glovo è arrivata una comunicazione, gli hanno disattivato l'account per mancato rispetto di termini e condizioni". Ma lui era deceduto per un incidente stradale. L'azienda si scusa: "Messaggio inviato per errore"
di Luca Serranò
"Non ci sono parole, lo hanno licenziato". C'è amarezza tra i familiari di Sebastian Galassi,
il rider fiorentino di 26 anni morto per le conseguenze di un incidente durante il turno di consegne, sabato sera in zona Rovezzano, alla periferia di Firenze. Un'altra ferita, racconta la zia Mirella Bilenchi, si è aperta tra le persone più care di Sebastian. Tutto colpa di una paradossale mail inviata ieri mattina da Glovo sulla casella postale del giovane rider: un testo "standard", in cui si annuncia di fatto il licenziamento "per il mancato rispetto di termini e condizioni".
In serata l'azienda ha contattato la donna, così come il padre di Sebastian, per fare le condoglianze e scusarsi, parlando di un testo "inviato per errore", dicono da Glovo: "Il suo account è stato sospeso per proteggere l'identità del suo profilo e quel messaggio è partito in automatico - viene spiegato - Siamo profondamente dispiaciuti e ci scusiamo per l'accaduto". Ai familiari resta forte l'amarezza per quel messaggio gelido, per quelle poche righe arrivate a poco più di ventiquattro ore dalla notizia della morte. "Si sono scusati e hanno promesso di inviare un contributo per le spese del funerale" spiega ancora Mirella Bilenchi.Il padre, Riccardo, tiene per prima cosa al ricordo del figlio, della sua figura gentile: "Un ragazzo serio, che amava tutto quello che faceva e che si voleva realizzare, anche lavorando - racconta - Ci mancherà tantissimo". Ci accoglie nella casa del fratello, a Coverciano. Ha gli occhi segnati dopo una notte a scalciare pensieri come pietre. E la voce bassa, appiattita dal dolore. "Il primo pensiero è per suo fratello gemello Jonathan, erano legatissimi, sarà molto dura per lui. Ora è in camera a riposare, è distrutto". Il telefono non smette di squillare. Riccardo, avvocato civilista in pensione, risponde con lo stesso tono ad amici e conoscenti. È stanco, stanchissimo, ma c'è tanto da fare. "Vogliamo capire che cosa è successo, se ci sono state responsabilità, vogliamo sapere", dice sull'incidente, su quel violentissimo scontro con il Suv sul lungarno De Nicola.Non c'è rancore nelle sue parole, neanche quando racconta del doppio lavoro del figlio, dei suoi viaggi in lungo e in largo per la città a consegnare cibo a domicilio, tutto per rendersi autonomo e non pesare sul bilancio familiare. "Non si sentiva oppresso, aveva iniziato un corso di design e quei soldi extra gli facevano comodo per la retta - racconta ancora - Ero contento che facesse quel lavoretto, alleggeriva anche me che sono pensionato".
È il nipote, che siede davanti a lui e non lo perde di vista un secondo, a lanciare il sasso: "Lavorava la sera e durante i festivi per guadagnare di più, perché altrimenti la paga sarebbe stata da fame". "Seicento euro al massimo - aggiunge il padre - oltre quella soglia cambia il regime fiscale e si finisce per lavorare di più e guadagnare di meno".L'idea che Sebastian possa diventare simbolo delle ingiustizie subite dai "nuovi" lavoratori, e in particolare dai rider, non lo convice. "L'immagine del lavoratore sfruttato non lo rappresenta, era contento di rendersi autonomo e io approvavo quella scelta. Questo affetto però ci aiuta, non ci fa sentire soli".Sebastian, racconta, aveva il sogno di affermarsi come grafico e per questo, dopo aver rinunciato alla laurea, si era iscritto a un corso di grafich design. Le sue giornate trascorrevano tra qualche lavoro saltuario come grafico, le partite di calcetto, e le consegne per Glovo. "Era molto preso dalla fidanzata, Valentina, con gli amici di lei si era creata molta sintonia". L'ennesima telefonata interrompe i ricordi. Ci sono le tristi incombenze da sbrigare, e c'è da nominare un avvocato per fare i primi passi con la giustizia. "Non sappiamo molto - conclude - se c'è stata una manovra sbagliata o altro". Nessun contatto, fino a ieri mattina, con il conducente del Suv. "Ma ci aspettiamo una telefonata".
onde evitare d rovinarsi il pranzo e la giornata natalizia si sconsiglia la lettura istantanea di questo post e si consiglia la lettura nei giorni successivi
Stavo cercando un slide diapositiva fotografica pubblicata tempo fa sula mia bacheca di Facebook ed trovo questa che trovate sotto , dimenticata dall'atmosfera natalizia .
Micio paralizzato "scaricato" davanti ai bidoni dell'immondizia: caccia al colpevole
Alla cattiveria non c'è mai fine. Un gatto adulto affetto da una paralisi è stato abbandonato questa mattina davanti ai bidoni dell'immondizia davanti al Palazzo della Regione, in riva Nazario Sauro. A denunciare l'accaduto è una triestina con un eloquente ma quanto mai triste post su Facebook: «Qualcuno ha scaricato questo povero gatto fuori dai bidoni della spazzatura davanti al palazzo della Regione di Riva Nazario Sauro. Hanno buttato il trasportino nella spazzatura. Il micio e' stato portato dal veterinario, che ha accertato le gravi condizioni dovute ad un trombo agli arti inferiori in corso gia' da giorni e ora tentano di salvarlo. L'hanno scaricato paralizzato.... questo gatto e' di casa...si vede. Chi ha potuto commettere un gesto così inumano??? Condividete il post nella speranza di trovare il colpevole, grazie».
Ovviamente il post ha scatenato la rabbia e lo sgomento del popolo social. Qualcuno si è subito fatto avanti per adottarlo. Il micio purtroppo però non ce l'ha fatta, è morto questo pomeriggio alla clinica Catalan di via Rossetti dove era stato portato per ricevere le cure necessarie.
Questo Un abbandono ancor più delinquenziale, vista la malattia del micio e la sua successiva morte. Mi auguro che si riesca a capire la responsabilità: l'abbandono è' anche un reato o,tre che un gesto vigliacco e crudele ! Ce tristezza e che che schifo ...anche il mio precedente gatto
ha avuto lo stesso problema ... almeno credo ma è deceduto a casa .Mi chiedo ( le solite domande destinate a rimanere senza risposta ed a voltare nel vento ma queste persone sono costoro andranno a messa a natale -Ma come si fa... tenere in casa e vivere con una bestiola per anni, poi, appena sta male buttarla nella spazzatura come una scarpa rotta? Lasciarlo là ad agonizzare? Lasciarlo là,iin qualche canile al massimo , se non si vuole soffrire vederlo troppo morire , o fargli quando ormai non c'è più niente da fare una puntura e via da parte del veterinario Non riesco a concepire come si possa arrivare a tale livello di crudeltà e mancnza di rispetto anche di un moribondo !