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7.5.21

anche accettare i propri limiti è segno di grandezza . IL caso della salita su cui Girardengo disse: io mi fermo qui

Riascoltando in radio la canzone il bandito ed il campione mi sono messo a cercare news su Girardengo che non fossero solo quelle , ormai fissate dalla famosa ballata ( chi fosse interessato ne trova una sintesi qui,   meno male   che    c'è  in aiuto ,  su  https://web.archive.org/web perchè il sito  originale http://www.storiedisport.it/ sembra  che  l'abbia  rimosso    visto che in archivio  non l'ho   ritrovato tale  url  )  che lo vedono legato a Sante pollastri o Pollastro come si firmava ed ho trovato questa curiosità che riguarda il giro d'Italia del 1921 . In quell'edizione Costante Girardengo stava dominando dopo aver vinto le prime quattro tappe . Ma alla quinta tappa da Chieti a Napoli, prevede l’attraversamento dell’Appennino e alcune salite terribili. Costante rimane vittima di una caduta e si ferisce piuttosto seriamente. Sul Macerone, tre chilometri devastanti con pendenze sino al 14%, il Campionissimo inizia a soffrire. A poco a poco, sulla Vandra e sulla salita di Roccaraso, per lui diventa un dramma. Inizia l’ascesa da Rionero Sannitico al Piano delle Cinque Miglia e Costante proprio non ne ha più. Le tremende rampe si trasformano in muri quasi invalicabili, che tenta di oltrepassare facendo appello alle sue forze residue. Ed infine, la vetta: Gira ce l’ha fatta anche questa volta. Mentre la gente lo osserva stupita, Costante scende di bicicletta e traccia una croce nella polvere dello sterrato. “Girardengo si ferma qui!”, sussurra con la voce stravolta dallo sforzo, prima di abbandonare la corsa. Ora qualcuno dirà ma sono storie di cent'anni fa che senso ha raccontarle ora . Ma  :

  1. ci sono storie che non hanno età  e  che  a prescindere  al tempo rimangono impresse   e  si trasmettono alle  generazioni successive   rimanendo  nella  storia e  nella memoria generazionale   e  collettiva   almeno  fin che      ci  sarà qualcuno     che la  ricorderà  o    riuscirà   con  l'arte (  vedere  video   sotto  )  a  bloccarla    ed  evitarne l'oblio 
  2. c'è  dolore  e    dolore   

     
quindi mi trova  d'accordo   quanto   si racconta    qui sotto 

 non ho nient' altro  d'aggiungere  . allla prossima 

11.6.20

Il gelato sopravvissuto alla Guerra e all'alluvione (grazie a una donna)E che ora portano avanti i nipoti in una delle migliori gelaterie d'Italia, da Bepi a Padova



canzoni suggerite 



per  ricominciare  o almeno  provarci   a tornare  ,anche se  niente  sarà più come prima  , alla normalità    dopo il codiv 19    ecco  una  storia     di  chi   ha  saputo  dopo la  II  guerra mondiale ed  l'alluvione  del polesine    ,  rincominciare .



 da  repubblica  del 11\6\2020
Il gelato sopravvissuto alla Guerra e all'alluvione (grazie a una donna)
Il sogno di un giovane gelatiere veneto, ostacolato dal conflitto mondiale e dal Po che ruppe gli argini, che ha saputo ricominciare ogni volta con la tenacia della signora Pasqua. E che ora portano avanti i nipoti in una delle migliori gelaterie d'Italia, da Bepi a Padova
                                   DI ELEONORA COZZELLA

“Portare nel futuro il gelato del mio passato” è la missione di Jacopo Braggion che col fratello minore Nicolò continua l'attività e la filosofia di famiglia, raccogliendo un’eredità importante, lunga 83 anni, per una missione precisa: “Offrire lo stesso gelato che faceva mio nonno. Siamo puristi, integralisti del gelato, partiamo da zero, dalla materia prima, pochissimi ingredienti e 18 ore di lavoro al giorno. Se non facessi così tradirei la fiducia dei nostri clienti e l’insegnamento dei miei nonni”.
Questa missione ha un angelo custode, la bisnonna Pasqua, protagonista suo malgrado di una storia che inizia nel 1937.
Due anni prima che scoppiasse il secondo conflitto mondiale, ad Adria, in provincia di Rovigo, viene inaugurato un chiosco di gelati e dolciumi. Ad alzare la piccola saracinesca è Giuseppe Braggion, che con la moglie Pasqua è orgoglioso di essere riuscito a comprare la regina delle "motogelatiere", l'ormai storica Cattabriga da banco, per creare i suoi gelati.
Inizia allora la sua avventura e pensa sia la realizzazione di un sogno, e impara presto a fare gusti squisiti. Così, nonostante in quegli anni girino pochi soldi, l’attività prospera. Ma ecco che, mentre inizia a godersi un po' di benessere, Giuseppe è chiamato dall’esercito.

Deve appendere al muro la giacca bianca da gelatiere e indossare la divisa, posare la spatola e imbracciare il fucile. Con lui al fronte, ad occuparsi degli affari resta la moglie, che si chiama Pasqua perché è nata il 4 aprile del 1920. Ha solo 19 anni, ma con piglio imprenditoriale si rimbocca le maniche - come hanno fatto moltissime donne in tempi di guerra - e insieme alle sorelle e alle sue cognate prende in mano la piccola attività.
  da  https://www.tripadvisor.it/

Il gruppo di donne è talmente in gamba, che prima che la guerra finisca riesce ad aprire un’altra gelateria: non più un chiosco, ma un vero e proprio locale con 150 posti a sedere. Lavorano giorno e notte. Alla fine del conflitto mondiale, dopo anni di assenza, quando Giuseppe ritorna a casa ferito, ritrova non solo il suo chiosco, ma anche la grande novità nella centralissima piazza Mazzini.


Il gelato dei Braggion piace, tant’è vero che pian piano acquistano delle lambrette che adibiscono a carrettini per la vendita dei gelati “a domicilio”. Chi non è più giovanissimo ricorderà il carretto dei gelati, il richiamo con la campanella del gelataio che passava tra le vie. Ecco, la squadra di Braggion non faceva eccezione: davanti alle scuole, nei parchi, nelle piazze dei paesi limitrofi e della costa adriatica. Le lambrette di Giuseppe e Pasqua si moltiplicano: nel 1951 sono ben 18.
Da soli sei anni era finita la seconda guerra mondiale con i suoi 60 milioni di morti, ma i sopravvissuti pur sfiniti, stavano ricostruendo un Paese pieni di speranza. E tutto sembrava filare finalmente liscio quando in una tremenda notte del novembre 1951 il Po rompe gli argini e invade terre, boschi, paesi, città. Il 52% dell’intero Polesine fu spazzato via. Le cronache del 18 novembre riportano queste parole: “dopo millenni di storia viva, Adria diverrà una città morta. Se le acque si ritireranno, i suoi trentamila abitanti, che la amavano e sognavano che ridiventasse una città di traffici, di cultura, di opera, non vi potranno mettere piede. Tanto tempo questa gente dovrà rimanere lontana, quante cose care dovrà lasciare!”.
Tanti non sono mai tornati.


Ad essere spazzato via anche il chiosco di gelati e la gelateria artigianale che con tanta fatica le donne della famiglia Braggion avevano custodito negli anni della guerra e rilanciato nel dopoguerra. L’alluvione, racconta oggi il bisnipote Jacopo -  “portò con sé non solo le gelaterie, ma anche tutti i sogni e le speranze di una vita finalmente serena”.
Per cinque anni tutta la famiglia si è spostata in varie regioni d’Italia, sfollata come ai tempi di guerra. Giuseppe ha 72 mila lire in tasca e una grande voglia di non arrendersi. Sceglie come sua nuova città Padova per ricominciare. 
Giuseppe ha un chiodo fisso: riprendere il mestiere che ama e conosce bene. “Mio nonno, deciso nonostante tutto, che fare il gelato sarebbe stato il nostro futuro - racconta Jacopo - comincia a riflettere su come potersi attrezzare per iniziare una nuova realtà lavorativa a Padova”. Il problema però era che non aveva più nulla: perdute la motogelatiera, le lambrette, le poche finanze. L’unico bene rimasto era un vecchio motocarro, un Motom 48 cc.
Come ricostruisce nei suoi libri la storica Luciana Polliotti, massima espera di storia del gelato internazionale e curatrice del Museo del Gelato Carpigiani,  "a un certo punto Giuseppe era venuto a sapere che a Bologna i fratelli Bruto e Poerio Carpigiani avevano brevettato una nuova macchina per fare il gelato, una Autogelatiera che lo lavorava davvero bene, come piaceva a lui, e possedevano un’officina a Bologna.
Decide di provarci:  sale sul suo Motom e va a Bologna. Ad accoglierlo nella storica ditta bolognese però non ci sono entrambi i fratelli, perché Bruto, che aveva progettato la Autogelatiera, era deceduto nel 1945 a seguito di una malattia. Fu, quindi, solo Poerio a raccogliere le confidenze di Giuseppe: la situazione tragica in cui si trovava la sua famiglia a causa dell’alluvione, il dolore di non poter provvedere al mantenimento dei figli, la paura di perdere l’unico bene che gli era rimasto: la sua dignità. Risulta persuasivo e ottiene un’Autogelatiera, una L16 da banco (gli appassionati sanno che si tratta di un gioiello), per ricominciare, con la promessa che l'avrebbe pagata quando si fosse rimesso in piedi. Così quella L16 nuova di zecca segna l’inizio di una nuova vita".
Ora la Gelateria Braggion ha compiuto 83 anni di attività, fiera che nel conteggio compaiano anche gli anni di Adria.
Quella macchina, con il suo libretto di istruzioni originale, è ancora esposta nella gelateria in segno di gratitudine. Con la L16 sono esposti anche decine di oggetti per la produzione del gelato e il suo modellaggio che Jacopo e Nicolò, i nipoti di Giuseppe, hanno raccolto in questi anni.
La “bottega” come detto prima è oggi dei fratelli Jacopo e Nicolò Braggion, i nipoti di quei nonni leggendari e figli di Giovanni. Ne hanno fatto un luogo che vale la pena visitare, sia per la qualità del gelato - insuperabile la fragola nei mesi di maggio e giugno, come il sorbetto di melograno in inverno -  ma anche perché è un tuffo nei ricordi, per l'arredamento e  gli oggetti da collezione, strumenti di lavoro ormai antichi, in una specie di piccolo museo organizzato da Sarah, moglie di Jacopo, architetta.
Oggi come allora solo materie prime fresche, preparazioni fatte a mano rifuggendo da qualsivoglia addensante, semilavorato, prodotto trasformato altrove. Per esempio, "la settimana prossima usciamo con la mora di Vignola Igp - spiega Jacopo - una ciliegia eccezionale che mi costa 10 euro al chilo e che la mattina vado a comprare al mercato alle 6, per essere il primo a scegliere. Potrei usarne di altro tipo, potrei usarne di surgelate, potrei usare delle puree già pronte. Ma tradirei il mio cliente. Impiego tre ragazzi solo a mondarle a mano una a una. Costa più degli altri? Certo. Ma ogni cliente è felice, perché sa che sta mangiando un prodotto unico. Vengono dalle altre regioni con le borse frigo a fare scorta".
E la filosofia produttiva dei fratelli si fonda sulla tradizione ma anche su un continuo desiderio di innovazione e di didattica. "Mia nonna - ricorda ancora Jacopo - mi diceva sempre di non portarmi nella tomba il nostro sistema di produzione, sennò non lascia nulla". Così per diffondere il verbo del gelato puro i fratelli hanno creato uno spazio del laboratorio dove, in bassa stagione, a numero chiuso, fanno corsi di gelato. Quel gelato di assoluta digeribilità, che lascia "pulizia in bocca, il gusto intatto della materia prima, nessuna sensazione di grasso o sete".
In gelateria non mancano mai i classici: pistacchio, nocciola, cioccolato fondente, ma anche - dice Jacopo - "un fiore, un formaggio e una verdura sempre a banco (a seconda delle stagioni, sedano, zucca, salvia), ma la mia soddisfazione più grande sono la frutta. Richiede tantissima manodopera ma dà tantissima soddisfazione assaporare la schiettezza di un'anguria, un melone, un melograno. La chiave è la semplicità".
Nel laboratorio a vista sono continuamente in movimento ben quattro pastorizzatori e quattro mantecatori; una cella frigorifera contiene grandi quantità di frutta di stagione. Tre volte al giorno il gelato esce fresco di macchina per essere venduto immediatamente e, raccontano i fratelli, a volte non fanno i tempo a metterlo nelle carapine che è già finito. I gelati "gastronomici" - comunemente detti 'salati' - sono stati introdotti dal papà Giovanni: salmone, funghi porcini, Gorgonzola, Parmigiano, zucca, patata americana, e ancora rosa, gelsomino, rosmarino. Nel laboratorio sono in bella vista grandi barattoli di vetro contenenti petali di rosa, fiori di gelsomino, foglie di salvia e quant’altro possa occorrere per realizzare gli infusi.
A suo modoinfatti anche il papà, Giovanni Braggion, è stato un grande innovatore e ha raccolto molti riconoscimenti e in tempi non sospetti, come l’Oscar per il gelato al sedano nel 1976 e nel ’77 per il sorbetto alla grappa; ha ricevuto un attestato dell’Accademia della cucina Triveneto, quali primo e unico produttore di gelato gastronomico a “ciclo continuo”. Inoltre, visite, articoli, citazioni e riprese da parte di reti televisive internazionali.
Jacopo e Nicolò non fanno eccezione e portano avanti la loro battaglia del gelato, con la mentalità che è ancora quella dei nonni, quella che "la fatica paga". È un gelato diverso da tutti quelli in circolazione, sottolinea Jacopo: "meno arioso e un po’ più freddo, all’inizio si sente quasi lo choc. Ma poi il palato e la pancia ringraziano. Sono bravi tutti a fare un gelato goloso con una lista ingredienti di 19-20 prodotti".
La vera difficoltà insomma, è essere semplici.

     

1.12.14

non sempre i bambini\ gli adolescenti sono bimbiminkia la storia del piccolo Santiago [ argentina ] e di Maggie [inghilterra ]

per  chi volesse  approfondire


 Sono due  bellissime  ,prese  (  commenti compresi  ) da  http://www.caffeinamagazine.it/bambini/
 non so da  quela  incominicare  ,  esse    smontano  il  luogo  comune  che  tutti i  bambibni\e  siano     dei  bimbiminkia .
 
Ecco ora  ci sono   ho scelto d'iniziare  da  quella  di Maggie  perchè  
 
 << 

Laura Shiatsu · Milano
minchia chissa che rompicoglioni sara da grande!!!

"Anche a me piacciono i robot" e la bambina di 7 anni denuncia il supermercato
 



Mentre camminava tra gli scaffali di Tesco (la nota catena inglese di distribuzione alimentare) Siamo nel reparto giocattoli e Maggie, accompagnata dalla mamma, nota un cartello che la disturba, c'è scritto: "Regalo divertente per maschietti". Ma perchè? In fondo sono dei robot ed anche a lei piacciono, proprio come gli piacciono gli zombie e Spiderman. Allora non ci sta e convince la madre a farsi fotografare con la faccia imbronciata davanti al cartello incriminato. (continua dopo la foto)



Il tweet di Karen Cole, la mamma giornalista e blogger, è stato condiviso quasi diecimila volte e ha convinto la Tesco a ritirare i giocattoli con quella scritta per accontentare la bimba.
Il fatto non è sfuggito ai coordinatori della campagna "Let toys be toys" (lasciate che i giocattoli siano i giocattoli, ndr) che ha l'obiettivo di lasciare liberi i bambini e le bambine di giocare con ciò che desiderano, senza limitazioni di genere: femminucce con i robot e maschietti con le bambole, se lo vogliono.


  
Infatti  .  Io     fin da piccolo   , quando andavo   a  giocare  con le  figlie  dei vicini di nonna    materna  giocavo anxche  con le  bambole  ,  ed  adesso se pove    e  prendo un ombrello  anche donna  .  Condivido pienamente ! pure non avendo  figli\e  il pensiero  di   Paola Tamino · Roma
Ho avuto due gemelli: un maschio e una femmina e hanno giocato insieme, senza distinzione di sesso (il più possibile) e sono cresciuti in armonia fra loro. Purtroppo , una volta diventati più grandi,io stessa ho dovuto fare delle distinzioni, come ad esempio, uscendo sola da una festa tardi, lei correva più pericoli del fratello . Ora sono loro ad educare i figli e ad affrontare il problema, non aiutati però dall'industria del giocattolo che accentua le differenze per motivi economici, , per andare sul sicuro." Speriamo che ce la caviamo" .
 
La seconda  storia   invece  Lezione   di Umiltà e semplicità , valori che stanno scomparendo  al mond  d'oggi   
 
 

Solo un "tagliere" per regalo: il figlio ringrazia. Ma poi arriva il regalo vero. E la felicità

 
 
Ci troviamo in Argentina, nei pressi di Bahia Blanca. Il piccolo Santiago è un bambino che fa parte di una povera famiglia. E' il suo compleanno e la mamma gli da in dono una regalo incartato, lui lo scarta e scopre di aver ricevuto un tagliere, si un tagliere di legno, quello utilizzato da tutti noi per affettare le verdure. La cosa sembra strana ma il ragazzo ringrazia e abbraccia la mamma, conscio del fatto che in una famiglia povera anche un oggetto come quello può essere tanto. 
 

 
Ma la vera sorpresa deve ancora arrivare. Alla fine dei ringraziamenti per il tagliere, la mamma fa notare a Santiago che i regali non sono finiti e che deve ancora scartane uno. Nel nuovo pacco avvolto dalla carta regali c'è un tablet, bello e nuovissimo con il quale il piccolo potrà giocare, studiare e rimanere connesso col mondo. A questo punto arrivano le lacrime, l'abbraccio alla mamma è commovente e rappresenta al meglio la gioia di un bimbo che riesce a dare un valore immenso ai sacrifici della propria famiglia. Un bel messaggio in vista del periodo natalizio che si sta avvicinando. 
 

finalmente si usa il corpo di uomo e non di una donna per una pubblicità

finalmente uno spot nel quale il corpo usato è quello di un uomo non quello della donna, come sempre accade.Obbiettivo raggiunto  ma perché ...