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4.8.17

la realtà fa ancora paura agli ambienti ecclesiastici e non solo . Il caso della fotografa irene picozzi che è costretta a scrivere al pontefice


L'artista   Irene Pigozzi  non  è  nuova  " agli scandali  "  e  alle provocazioni   (  ovviamente  non volgari  )  artistiche   ecco   lla  sua precedente    provocazione  

ecco una  delle    foto in questione

L'immagine può contenere: una o più persone, matrimonio e spazio al chiuso

Ora  vedendo  questa  foto   sono della stessa  considerazione    espressa  in merigto  al fato prima citato      da 

 [.....]   Opere semplici, delicate e innocue. Che ritraggono coppie gay nel giorno del loro matrimonio. Due uomini, due donne. Vestiti, vicini, romantici. 
Ora io non mi vergogno per la pochezza altrui. Semplicemente la pochezza altrui mi rende furiosa, perché la censura di un'artista dovrebbe far ribollire il sangue, perché spegnere la voce di un'artista significa impedire il contagio della crescita, della bellezza, del pensiero libero. In una città normale, ci si radunerebbe tutti sotto la questura a chiedere che quel progetto sia di nuovo messo a disposizione di tutti. In una città normale, si dedicherebbe spazio a Egle Picozzi e agli artisti tutti. 

Mi piacerebbe che Oristano venisse nominata da GianLuca Nicoletti della Stampa per altri edificanti motivi e non per questa squallida censura omofoba di qualche misero mentecatto e dei suoi seguaci puritani. A cui dedico tutto il mio disprezzo. Col mio nome cognome e la mia faccia. 
Chissà perché questi stronzi il nome e il cognome non ce lo mettono mai.

  e  soprattutto    come dimostrano alcuni  commenti all'articolo  dell'unione sarda  ( vedere  le  righe  successive  ) )  presenti  sulla pagina fb    del  quotidiano  . dimostrano    come      affermo nel  titolo  come  il descrivere la realtà  crei ancora  scandalo


Andrea Pala il peccato in questo caso sta nella sontuosita' delle chiese, quindi eventualmente doveva essere la fotografa e rifiutare che un gesto così grande fosse fatto in un luogo di discutibile eticità
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7 h
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Marco Scotto Atti pubblici in luoghi osceni
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Giorgio Tromba ahahah😈
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Walter Sanna che stronzate.......conoscete il significato del rispetto?
Rispondi6 h
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Giannino Bastone Il fatto che un gesto naturale sia forzato in un posto come in Chiesa mi sa tanto di provocazione voluta
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6 hModificato
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Andrea Pala differenza tra una foto ed un dipinto rinascimentale?
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6 h

    dopo   questa premesssa     vediamo  , alla   emìn essima  chiusura  mentale  , anche  se  qualcosa  (  e  ci voleva una lettera  al papa  😐😔😓 ) pare  si stia  muovendo .  vi terrrò  informati  


Per   ora   gli  è  stato negato ( e   qui la decisione  di rivolgersi  al Santo Padre )  dalla Commissione d'arte sacra della Diocesi di Oristano, nonostante l'assoluto lirismo e la forte sacralità, forse perché ritenuto "osceno"? ... L'artista scrive a Papa Francesco che, nella Cappella Sistina, non nel Duomo di Oristano, così si rivolse alle mamme e ai loro bambini: “Quando un bambino piange perché ha fame, alle mamme dico: se il tuo bambino ha fame, dagli da magiare anche qui, 
con tutta libertà”.


L'Unione Sarda.it » Cultura » Allattamento, no all'opera che ritrae in chiesa una mamma col bebè
CULTURA » SAN VERO MILIS
Allattamento, no all'opera che ritrae in chiesa una mamma col bebè
Oggi alle 10:06


Egle Picozzi con alcune opere





Papa Francesco lo aveva detto durante un'omelia: «Quando un bambino piange perché ha fame, le mamme possono pure allattarlo in Chiesa». E l'artista Egle Picozzi prende spunto per un progetto che cullava da tempo: fotografare una donna che allatta in una chiesa della città. Un modo per rendere omaggio e al tempo stesso attualizzare la Madonna del latte , opera consacrata nell'arte con tanti dipinti. Ma per ora è stato possibile realizzare solo un fotomontaggio. La Chiesa sembrava aver negato l'autorizzazione, ma l'artista trentasettenne non si è persa d'animo e ha scritto una lettera a Papa Francesco . E adesso si apre uno spiraglio anche da parte dell'arcivescovo Ignazio Sanna.
IL PROGETTO - "Volevo realizzare un omaggio alla Madonna del latte, rendendo questa icona contemporanea e legata ad un concetto molto alto di libertà - spiega Egle Picozzi - e così ho pensato di ritrarre una donna che allatta in chiesa, il luogo ideale per rappresentare una Madonna del latte: è come riportarla al suo luogo originario".
LE RICHIESTE - L'artista si è rivolta a vari parroci, ma ognuno rimandava all'autorizzazione dell'arcivescovo. "Ho inviato una richiesta all'arcivescovo Sanna - racconta - ma la mia proposta non è stata accolta". E così l'artista decide di rivolgersi direttamente al Santo Padre, spiegando le sue intenzioni in una lettera: "Sono sempre stata affascinata da un tema ricorrente nella storia dell'arte con la Madonna che allatta, un'opera dal carattere intimo e materno che esprime la natura umana e divina insita in Cristo". Egle Picozzi ribadisce che si tratta di uno scatto naturale senza alcuna volgarità che ritrae "un gesto dolce e delicato che da sempre caratterizza la vita". In attesa di un segnale dal Vaticano, l'artista ha realizzato un fotomontaggio esposto in pinacoteca nell'ambito della mostra "The Brig", in occasione del festival Dromos.




Il fotomontaggio con la rivisitazione in chiave moderna della Madonna del latte



L'ARCIVESCOVO - L'arcivescovo Ignazio Sanna intanto chiarisce che è necessario coinvolgere la Commissione diocesana per valutare il progetto. "Forse la fotografa ha interpretato la mia risposta come una negazione dell'autorizzazione, per me personalmente non c'è nessun problema se si volesse realizzare questo progetto". Ma serve appunto il parere della commissione diocesana. Anche don Ignazio Serra, parroco di San Vero Milis, sarebbe felice di accogliere un progetto simile. "Se l'arcivescovo lo autorizza, sono d'accordo - spiega - la nostra Madonna di Spagna è una Madonna del latte. Il gesto dell'allattamento è un gesto d'amore". Anche l'insegnante di storia dell'arte Maria Antonietta Motzo ricorda che il tema della Madonna del latte è frequente nella storia dell'arte: "Ne abbiamo tante testimonianze nell'arte spagnola ma anche in quella italiana - osserva - se il progetto vuole far riflettere e lanciare un messaggio sul ritorno alla naturalità ben venga. Del resto il ruolo dell'arte è anche quello di lanciare provocazioni".


e  qui  sotto    tratto  da  

il testo della   sua  bellissima lettera  al pontefice 



LA LETTERA DI EGLE PICOZZI A PAPA FRANCESCO







diAmbrogio Lorenzetti,
 Madonna del Latte, 1324-25,
Egle Picozzi, Madonna del latte, 2017  buil  suo per  ora  fotomontaggio
Alla Cortese Attenzione  Siena, Palazzo Arcivescovile

Sua Santità Francesco

Mi rivolgo a Sua Santità, speranzosa che la mia richiesta venga accolta e valutata positivamente.
Mi chiamo Egle Picozzi, sono una fotografa e sto attualmente lavorando ad un progetto artistico sulla libertà di espressione.
In questo caso, mi rivolgo a Sua Santità, dopo aver tentato di fare richiesta analoga già ai parroci e all’Arcivescovo della mia città, Mons. Ignazio Sanna, ma mi è stata negata la possibilità, con la seguente affermazione:
“La sua proposta non può essere accolta, perché non c’è possibilità di armonica integrazione con l’esistente.”
Mi spiego, l’argomento di mio interesse è l’allattamento materno, esattamente come la storia dell’arte ci insegna, con le sue numerose Madonne del latte.
Sono affascinata dalle raffigurazioni artistiche che parecchi artisti, nel corso dei secoli, hanno dedicato alla Madonna che allatta, opera dal carattere intimo e materno che vuole esprimere la natura umana insita in Cristo assieme a quella Divina, che nel tempo è diventata simbolo di sollievo alle sofferenze delle anime del Purgatorio.
Il mio intento è quello di omaggiare questa importante icona, rendendola contemporanea e legata ad un concetto molto alto di libertà, ritraendo una mamma che allatta il proprio bambino.
Prendendo appunto esempio dalle parole di Sua Santità:
“Quando un bambino piange perché ha fame, donne allattate pure in Chiesa.”
A questo proposito, chiedo il permesso e la possibilità, per questo mio scatto del tutto naturale, privo di volgarità e caratterizzato dall’eleganza del gesto materno, di poter utilizzare come ambientazione l’interno di una chiesa della mia città.
D’altronde non sto violando nessuna legge e nemmeno suscitando atti osceni, si tratta di un gesto dolce e delicato, che da sempre caratterizza il Creato e la stessa Vita.
Il fine di questo lavoro fotografico, è quello di inserirlo all’interno di un contenitore di informazione, sia per quanto riguarda la rappresentazione storica della Madonna del Latte, sconosciuta a molti, sia dal punto di vista contemporaneo della possibilità/libertà di un gesto del tutto amorevole verso il proprio figlio, pubblicandolo nel mio portfolio fotografico.Con la speranza di essere riuscita a spiegare chiaramente il mio intento,non posso che augurarmi in una risposta positiva.
La ringrazio anticipatamente per l’attenzione  e mi scuso se Le ho recato disturbo
Con ogni migliore augurio a Sua Santità.
Un saluto affettuoso,Cordialmente  Egle Picozzi

20.11.13

anche i perdenti possono essere vincitori . profeta fuori noiosa\ limitata in patria . le storie di Giorgio albertazzi e di rita pavone



Ha scelto di festeggiare i suoi primi novant’anni nel modo che più ama: recitando su un palcoscenico. Giorgio Albertazzi – è di lui che si parla, l’unico grande “mostro” del teatro italiano che ci è rimasto, assieme ad Arnoldo Foà – ha scelto il palco della Versiliana a Marina di Pietrasanta; e ha messo in scena il recital 'Io ho quel che ho donato' omaggio a Gabriele D'Annunzio nel 150esimo anniversario dalla sua nascita. Un recital di cui è autore, regista e interprete.Scelta non casuale. “Sono nato”, racconta Albertazzi nelle note di regia, “a tre passi dalla 'Capponcina' di Settignano, la villa con i levrieri e i cavalli del Vate. Dall'altra parte della strada c'era la 'Porziuncola' di Eleonora Duse. Spiavo al di la del cancello grigio-argento della Capponcina (D'Annunzio non c'era più, la villa era stata venduta e rivenduta) se per caso arrivasse qualche segno”. Un recital che è una 'messa a nudo' del poeta, ne ripercorre la biografia e la poetica, molto più ricca e profonda di quanto il cliché non dica. Proprio alla Versiliana D’Annunzio soggiorna nell'estate del 1906 nella Villa all’epoca dei conti Digerini-Nuti. "Io sono nel più bel posto dell'universo" scrive in una lettera ad Emilio Treves del 5 luglio di quell'anno. "Quella frase di D'Annunzio 'Io ho quel che ho donato' – spiega Albertazzi - si adatta in modo perfetto allo spirito di ciò che vuole significare questo mio spettacolo che è anche, anzi soprattutto, un omaggio. Al Vate, certamente, ma anche al pubblico e, se me lo concedete, un poco a me stesso. Tante cose sono state dette, scritte e recitate su D'Annunzio. Io stesso sono stato inseguito dalla sua ombra fin da ragazzino".Un grande artista, Albertazzi, attore superbo, e per tutte le sue innumerevoli interpretazioni, valgano le amate “Memorie di Adriano” di Margherite Youcenar: le ha recitate in mezzo mondo, credo sia arrivato a oltre mille repliche, il primo allestimento pensate, è del 1990. Geniale e per tanti versi anomalo, ma regista sensibile e scrittore finissimo, con una vita che definire intensa è riduttivo, è un romanzo. Anni fa, stiamo parlando del 1988, per Rizzoli, ha pubblicato una autobiografia che ha voluto titolare – significativamente - “Un perdente di successo”.In quel libro c’è tutto l’Albertazzi che conosciamo, ma anche quello più intimo e sorprendente: l’istrione certamente, ma anche il grande professionista, l’incorreggibile snob, l’invidiato e invidiabile, irresistibile seduttore. Nel “perdente di successo” racconta tutto se stesso, non nasconde nulla: l’infanzia, l’adolescenza, i miti della gioventù che lo portano come molti della sua generazione a militare nella repubblica di Salò, assieme, per fare qualche nome, a Dario Fo, Walter Chiari, Raimondo Vianello, Carlo Mazzantini, a uno storico direttore dell’“Espresso”, Livio Zanetti; gli studi, gli amori, la guerra, il carcere, il cinema e il teatro…
Un po’ di tutto questo lo si ritrova negli articoli pubblicati appunto in occasione dei 90 anni. Albertazzi racconta dei suoi progetti futuri, tanti e impegnativi per i prossimi novant’anni; di come, con una punta di amarezza vede il mondo peggiorare, “con l’avidità di ricchezza che produce sofferenza, e la necessità di ritrovare il sorriso, la “leggerezza”, il senso del limite, se non si vuole precipitare in un rovinoso appiattimento”. Gli hanno chiesto tante cose, e tante cose ha detto Albertazzi in questi giorni; e probabilmente dice anche cose che non sono state riportate. Impossibile, per esempio, che in tanto discorrere non gli sia uscito nulla sulla sua cinquantennale amicizia con Marco Pannella e i radicali. Perché Albertazzi in tutte le occasioni che contano, ogni volta che ce n’era bisogno, è sempre stato, generosamente e disinteressatamente, vicino ai radicali, a fianco di Pannella.E allora torniamo a quel “Perdente di successo” scritto nel 1988. Non sono tanti – anzi sono proprio pochi – i politici citati in quel libro: una fugace citazione di Alcide De Gasperi, Mario Scelba, Giuseppe Di Vittorio, Palmiro Togliatti e Nilde Iotti, silenzio su tutti gli altri. Però a pagina 224 e 225 un lungo, affettuoso brano dedicato a Marco Pannella e a Emma Bonino: “Solo dei matti come i radicali potevano rivolgersi a me: Emma Bonino, mirabile ragazza, Spadaccia  e Pannella. Con Pannella ho avuto sempre quella specie di complicità che c’è tra attori (o gitani) da ‘dietro le quinte’. Capace di grandi impennate giacobine e coup de théatre (digiuni, bocche bendate in TV) di grande effetto, Pannella è, nel mare magnum dei politici italiani, il solo capace di intuizioni non legate all’apparato, non di parte, cioè, ma ‘politiche’ nel senso più alto, di filosofia. Passammo una notte intera alternandoci  ai microfoni di ‘Radio Radicale’ e la sua pervicacia e la fiducia nella propria parola di convincimento  e nella bontà della lotta, erano di grande qualità umana, quasi mistiche… Pannella è comunque uno che fa in un mondo di gente che ‘dice’ di fare guardandosi bene dal farlo, e in questo senso è un rivoluzionario…”.E più di recente: “Per mia natura sono un anarchico, per essere più precisi mi sono sempre definito un anarchico di centro. Nel senso che non amo la violenza, che ha pure una sua bellezza, ma le vittime della violenza sono sempre i più deboli, quindi la rivoluzione armata non mi interessa. Mi interessano invece le battaglie per i diritti civili. Ho fatto tutte le battaglie con i radicali, dal divorzio all’aborto, le ho sostenute tutte  e ho trascorso molte notti insonni con loro. Sono anche a favore della campagna che vorrebbe Pannella senatore a vita sarebbe bello dopo tutte le battaglie civili che ha combattuto”.Sarebbe bello, sì, e le istituzioni ne guadagnerebbero. Sarebbe bello se il presidente Napolitano ne nominasse tre di senatori a vita, lo può fare, tre grandi giovani vecchi: il rabbino emerito della comunità ebraica di Roma Elio Toaff; Marco Pannella; e  lui, Giorgio Albertazzi.             

  


da la domenica di repubblica del 17\11\2013

Dopo pappe e palloni a un certo punto la Rai la ostracizzò. Lei se ne andò in America, in tv con la Fitzgerald,Eco ne descrisse la fenomenologia e i Pink Floyd quasi divennero suoi fan Ora l’ex ragazzina terribile è tornata dal suo 


esilio dorato per realizzare il disco della vita: “Per troppotempo la mia immagine è rimasta legata a un solo personaggio Ma io sono anche altroe adesso voglio il meglio” 

MILANO 
La locandina è lì, visibile a chiunque con un minimo di ricerca. È del 7 marzo 1965 ed elenca gli ospiti della puntata dell’Ed Sullivan Show, rete televisiva Cbs, alle otto di sera, mezza America in visione: «C’era Duke Ellington,subito sotto c’era Ella Fitzgerald e più sotto ancora ci sono io, ovvero Rita Pavone». Andava così, e pur ingigantendo un po’, una cosa del genere la racconti a tutti anche mezzo secolo dopo. E soprattutto chiedi rispetto per quella storia, che portò la ragazza celebrata in patria per cose tipo Pappa al Pomodoro e Partita di Pallone (guai a chi le tocca,s’intende, un sacco di
lettere P come lei, Pavone) a girare il mondo e a costruire ricordi non proprio alla portata di chiunque. «Da ragazzina a Torino le mie coetanee, ma proprio quelle più trasgressive, tolleravano al massimo Natalino Otto. Io ascoltavo Sinatra e quelli come Sinatra. Lo potevo fare grazie a un amico di mio padre che viaggiava spesso verso Oltreoceano e mi portava i dischi che facevano davvero impazzire gli americani».Nasce tutto lì, appunto a Torino, con il padre alla Fiat in quella che tecnicamente era la perfetta famiglia torinese con lavoro alla Fiat. E poi evolve in una storia pazzesca, che si divide tra i successi internazionali, versioni multilingue di ogni canzone di successo e i lacci e lacciuoli del paesone Italia, che alla ragazzina con androginia evidente regalò una popolarità assoluta, quella vera,dei tempi, con le apparizioni sull’unico  canale tv da venti milioni di spettatori a botta: ma che non le perdonò nulla.Rita Pavone è tornata in circolazione dagli esili dorati della Svizzera e di Maiorca, ha passato guai con la salute, si è ripresa e ora ha coronato un sogno definitivo, ovvero il disco della vita: «È quello che avrei voluto fare dall’inizio,se non fossi finita subito, da ragazzina,nel meccanismo del grande successo di pubblico in Italia, con la televisione, le canzoni, i tanti dischi venduti e soprattutto quell’immagine, un personaggio che non mi piace granché ricordare come unica cosa forte della mia vita, anzi».Ed ecco così un doppio cd, Masters, che sta ricevendo critiche sontuose e inattese: un pugno di standard americani ma senza piacionismi — nessun pezzo stra famoso e acchiappa pubblico ma brandelli magici di soul, swing, pop: autori come Bacharach, Hoagy Carmichael,Bobby Darin, Libby Holden.Trattasi di autentico sfizio, al punto da dire, come ha detto: «Voglio il meglio e lo voglio come una volta. A me va benissimo che oggi con il computer si possa fare tutto con la musica, ma   ci tenevo tanto a lavorare, cantare e suonare come   si faceva una volta: anche  perché se non ci riuscivo così non avrebbe avuto senso un’operazione simile». Un disco sorprendente, ma tanto, tirando fuori quella voce assurda per potenza e grinta.Ovvero, lo sfizio riuscito. Avercene.In realtà succedeva ed è successo di tutto, attorno a lei e al suo successo spaziale,al tempo: «Tutti i problemi, quelli che hanno portato alla fine dell’epoca d’oro, sono arrivati col matrimonio».Ovvero quello con Teddy Reno — lui giàsposato (e separato) — ad Ariccia alle porte di Roma, quel prete cui Rita va a chiedere speciali dispense, lui si mette a farle la predica e spiegarle il perché e il percome: «Gli risposi, con rispetto: le ho solo chiesto se si può fare. Se non si può,niente. Andrò a vivere nel peccato, ma nel peccato mi ci avete messo voi». La sposò poi un prelato, che capì le sue istanze («E dire che per una promessa fatta a mia madre io ero arrivata casta al matrimonio»). Ma al quale tolsero  subito importanti incarichi. E intanto là fuori,l’Italia gossippara che impazziva appresso alla maternità-scandalo. Un giorno, il patatrac. In tv va alla grande Alighiero Noschese con le imitazioni,Rita è un suo cavallo di battaglia (una volta la trasforma in Nilde Iotti che si lamenta con Togliatti: “Perché perché la domenica mi lasci sempre andare  al comizio del partito di Baffone?”).Ma una sera a Doppia Coppia aNoschese scappa del tutto la frizione: e la imita incinta, con feroci ironie sul bellissimo ma spiantato Teddy accalappiato dalla cantante e sul sesso del nascituro.«Era una parodia crudele. Non doveva tirare in ballo il figlio che stava per nascere: feci causa alla Rai, la vinsi. Il giorno stesso il presidente Leone firmò un’amnistia generale che cancellò anche quel reato». E insomma, niente,la storia di un clamoroso successo da noi finisce in pratica lì, con la Rai che si offende per la causa e l’ostracismo per gli anni a venire e, va ricordato sempre, l’ostracismo Rai, allora, era ostracismo da tutto. Per fortuna in America c’era Ed Sullivan…. «Mi aveva preso in simpatia,ed era curioso dell’Italia: un’altravolta al suo show c’eravamo io, Paul Anka e Topo Gigio». Prego? «Lui. Con lo stesso staff italiano e il doppiatore Mazzullo che  parlava in inglese». Ecco.Oggi possiamo arrivare però a una decisione finale. Quello della partita di pallone, il maschio, non andava alla partita, vero? «Diciamo che rimanemolto ambigua la cosa, quella che è molto chiara è lei, il senso del messaggio è quello e il richiamo brusco di lei».Fino a che è diventata simbolicamente una storica avversaria del calcio. «Ma quando mai? Mio padre mi portava alle partite, girando il mondo ho conosciuto i più grandi, una volta a Mosca c’erano Pelè e Garrincha: ho una foto con loro due». Insomma, tornando al fattaccio,il paese era cambiato, la tv era reclusa ma ci fu molto altro, gli show, le parti d’attrice anche per La strada, in una post-Gelsomina: «Avevo lavorato con Giulietta Masina: pensi che alla sera veniva Fellini a prenderla, così, tranquillo,come se fosse un qualsiasi impiegato.La Wertmüller mi diceva che io e Giulietta avevamo lo stesso sguardo». Oggi, questo esilio ben riparato in Svizzera e Spagna, è sempre per farla pesare un po’ a questo paese? «L’Italia è fantastica ma è un paese senza memoria,come sfuggire al confronto con gli altri posti? Giorni fa era l’anniversario di Edith Piaf, in Francia speciali su speciali in tv, da noi non accadrebbe». Non si può far stare dentro tutto quanto in una rievocazione: dell’ascesa, caduta — dorata anch’essa — e traversie e gli specchi del Paese che un po’ evolve e molto no. Qualche spunto, aneddotica fantastica qui e là. Umberto Eco, per dire. Che nelDiario Minimosi occupò per diverse pagine della Rita e lanciò una sentenza definitiva: «Lei è Lolita spiegata per la prima volta al popolo». Nel senso che Nabokov era  riservato una ristretta cerchia di perversi lettori di libri (perversi in quanto lettori, non per Nabokov) prima volta pubblicamente a milioni di persone l’impulso chiarissimo della sessualità giovane — se poi ci aggiungiamo la famosaandroginia di facciata la faccenda diventava pressoché esplosiva. Quelle pagine di Eco campeggiano nel sito ufficiale,ricchissimo, della cantante: «Ricordo benissimo quei giorni, ero stupefatta:uno come Eco parlava di me. Mi sarebbe andata benissimo anche se mi avesse maltrattato per tutte quelle pagine». È tornata, Rita, in grande stile allo show tv recente di Gianni Morandi. Rievocazioni  insieme, medley da mandare ai matti il pubblico sui sessanta (ovvero, la maggior parte o quasi) e i ricordi degli inizi: «Entrambi giovanissimi eravamo stati reclutati dalla Rca che ci teneva in una pensioncina di piazzale  Clodio, avevamo anche una specie di tutor». Un giorno Gianni rientra e la trova che si sbaciucchia con Bruno Filippini,bellone canterino d’epoca. Ma è vero che le urlò “Lo vado a dire alla tua mamma”? «Verissimo: aveva una cotta per me, ma io filavo con Bruno». E dire che Morandi era il versante progressista del paese — la Rita, con quella parte lì e in generale con i moralismi rigidi non si è mai trovata bene — e quanto al discorso di come lo scricciolo androgino attirasse ragazzi e uomini che potevano permettersi quello che volevano,beh, insomma, c’era appunto Eco a spiegarlo, se proprio si vuole lasciar perdere la perfidia del gossip d’epoca.Resterebbero i Pink Floyd. In realtà resterebbero tre o quattro libri da scrivere, ma quella dei Pink Floyd è deliziosa.Siamo già in epoca web. «Un giorno scopro che un sito scrive che i Pink Floyd parlavano di me in un vecchio brano, che si chiamava San Tropez: addirittura un verso che dice “prenderò un appuntamento con Rita Pavone”».In realtà il testo dice che prenderà un appuntamento al telefono (“Making a date for later by phone”) ma in rete c’è chi sostiene di aver sentito benissimo “Rita Pavone”. Balla colossale, ma lei si diverte e ci marcia su: «Ma è vero: una volta, in Costa Azzurra stavo per conoscere i Pink Floyd che erano nello stesso albergo, allora l’ho raccontato  scherzandoci un po’». Ma a quel punto il web non lo tiene più nessuno. E Rita va, la leggenda urbana le si addice fermo restando che ora, essendosi tolta la voglia di fare il disco definitivo, se ne va tranquillamente a inseguire la leggenda e basta. In caso contrario fa lo stesso, come disse quella volta al prete.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...