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12.11.19

morti di nassyria eroi -martiri o itliani mandati al macello ?

 di cosa  stiamo parlando
Padre Alex
Padre Alex Zanotelli: "Non parliamo di martiri per le vittime di Nassiriya, eravamo là per difendere il nostro petrolio"
Salvini: "Dovrebbe vergognarsi, scriverò al Vaticano". Meloni: “Parole gravi, chieda scusa alle famiglie dei caduti”


 come  ho già detto qui   sulla  nostra  appendice   facebook 


Compagnidistrada
Pubblicato da Giuseppe Scano8 min
#iostoconalexzanotelli . #italianimandatialmacello #sanguedelnostrosanguenervideinostrinervi . I morti di #nassyria e non solo non sono eroi
ma poveracci mandati ( o costretti ad arruolarsi ed scegliere la carriera militare per poter sfamare la famiglia ., sono pochi qiuelli che lo fanno per convinzione e per servire #lapatria ) a morire per politiche scriteriate ed di leccaculismo all'amico americano . Che violano la stesa costituzione. #meloni #salvini #larussa fncl . mandate pure i vostri fans haters #squadristidigitali ( sopratutto tu Matteo Salvini a riempirmi di .... 💩😡 . #iononhopaura


 e  voi  


5.7.19

come lo stato ti iusa per farsi gaggio e poi quando non servi ti butta via e se ti ribelli te la fa pagare .Superstite di Nassiriya restituì la medaglia al valore, ora gli chiedono i soldi del conio

per approfondire
https://www.facebook.com/pietro.sini.52/
Incredibile. Da quando in qua i regali non accettati devono essere rimborsati al mittente? Cioè, metti che uno faccia una proposta di matrimonio e riceva un secco "no", mica chiede indietro i soldi dell'anello. Anche perché la medaglia è stata restituita, quindi il "debito" semmai è già stato pagato col valore stesso dell'oggetto, che può essere rifuso e rilavorato.
è stato usato dallo stato per fare gazzosa e poi quando ha chiesto un ulteriore aiuto per la sua invalidità ha ricevuto porte in faccia.! Allora avendo protestato restituendo la patacca ops medaglia 🥉 gli l'hanno fatta pagare. Quindi Il danno e la beffa. Inqualificabile. Che vergogna, le istituzioni fanno la solita figura meschina nei confronti di quelli che ci hanno rimesso la vita o, come te, l'anno messa a rischio anche nel tentativo di salvare i commilitoni.

Superstite di Nassiriya restituì la medaglia al valore, ora gli chiedono i soldi del conio

L'ex appuntato dei carabinieri di Porto Torres denuncia: «Sono stato colpito per il mio rifiuto»

Pietro Sini mentre restituisce la medaglia al valore

SASSARI. Oltre al danno la beffa. Assume contorni paradossali la storia di Pietro Sini, 55 anni di Porto Torres, appuntato dei carabinieri in congedo dopo l'attentato del 12 novembre 2003 a Nassiriya, al quale scampò per puro caso e che gli valse la medaglia d'oro quale vittima di terrorismo. Una medaglia che lui ha restituito un anno fa al comando generale dell'Arma, in aperta polemica con lo Stato perchè non gli ha riconosciuto l'aggravamento della sua invalidità, ferma al 25%. Ora, però, a Sini - e qui la beffa che lui denuncia - viene chiesto il pagamento del conio: 1.410 euro, graziandola
dell'Iva.«È una cosa assurda - denuncia Sini, che nel frattempo da dato tutto in mano al suo avvocato - sono stato io stesso, a mie spese, a restituire la medaglia portandola fino a Roma. Sono sicuro: questa è una presa di posizione contro di me, perché li ho affrontai pubblicamente». (ANSA)

  da  https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca

4 LUGLIO 201913:34
Superstite di Nassiriya restituisce la medaglia al valore: ora deve pagare il conio
Pietro Sini, 55 anni di Porto Torres, aveva protestato perché non era riconosciuta la sua invalidità e denuncia: "Sono stato punito per il mio rifiuto"


Pietro Sini, 55 anni di Porto Torres, sopravvissuto all'attentato del 12 novembre 2003 a Nassiriya, è rimasto incredulo quando ha ricevuto un atto, firmato dalla Prefettura di Sassari, che gli chiede il pagamento di 1458 euro. Lo Stato con questa somma esige dall'appuntato dei carabinieri, ora in congedo, il risarcimento per le spese sostenute per il conio della medaglia d'oro al valor civile, consegnata dal presidente Napolitano in seguito alla strage nella città irachena. Quella medaglia, però, Pietro Sini l'ha restituita per protestare dopo il mancato riconoscimento dell'aggravamento della sua invalidità.
In un video su Facebook[  lo trovate  sotto  ] 

 l'uomo spiega il suo stupore: "E' una cosa assurda, sono stato io stesso, a mie spese, a restituire la medaglia al comando generale dell'Arma, portandola fino a Roma - spiega - Sono sicuro che questa sia una presa di posizione contro di me, perché ho affrontato lo Stato pubblicamente". 
Sini, a cui è stata riconosciuta un'invalidità del 25% dopo l'attentato, non si arrende. Ha consegnato l'atto al suo avvocato con la speranza di riuscire a evitare almeno il pagamento del conio.


Secondo me Invece di restituirla bastava metterla in vendita e nell'annuncio scrivere : visto che a me ( come agli altri reduci o vedove) reduce di nassyria lo stato è buono solo a dare patacche ma non aiuti veri vendo la medaglia per potermi pagare le cure dovute ai postumi di tale attentato.>>

Forse così lo stato vista malaparata e la figuraccia avrebbe provveduto,almeno credo




26.4.18

E' stato testimone della strage di Nassiriya: segnato dall'orrore, ora denuncia: "Lo Stato mi ha abbandonato" Udine: a 15 anni dall’attentato, l’appuntato scelto Luigi Coltraro (ora riformato) continua la battaglia per ottenere i benefici

  Sulla storia  che leggwerewte  nelle  righe successive  ho  avuto  uno scontro    su un forum 

[---]
Io 
Era un volontario. Non può piangere dopo.Allora tutti possono, in qualsiasi lavoro, avanzare le Sua richieste e altre ancora.
Ha voluto la bicicletta e adesso .........

*****
Mi auguro solo che chi ha commentato con: "era un volontario...ha voluto la bicicletta....finito i soldi e piangono...o peggio elemosinare soldi", nonché minchiate simili, non abbiano figli, genitori o parenti che fanno il LAVORO che ha fatto Luigi finché lo "statucolo tagliano" non ha deciso di metterlo in disparte in quanto si è messo a combattere per cercar di far valere I SUOI DIRITTI per aver fatto il SUO DOVERE!! Vorrei inoltre vedere se al posto di Luigi, semplice Appuntato Semplice, fosse successo a un pluri-stellato generale se lo "statucolo" avrebbe agito in modo simile.

IO
"Vittime del dovere" e partecipazione volontaria ad una missione sono concetti in forte antitesi tra di loro.  Inoltre  un militare può sia chiedere, di partecipare, oppure venire comandato, assegnato, alle operazioni fuori area. e si può anche rifiutare di partire ,  senza  che  io sappia ,  conseguenza penali   e  legali  .

Nessuna  riposta     evidentemente   non sa  consa replicarmi 


E' stato testimone della strage di Nassiriya: segnato dall'orrore, ora denuncia: "Lo Stato mi ha abbandonato"
Udine: a 15 anni dall’attentato, l’appuntato scelto Luigi Coltraro (ora riformato) continua la battaglia per ottenere i benefici
                    di Luana de Francisco

UDINE.
A lungo, nelle sue interminabili giornate scandite da attacchi di panico e insonnia, aveva pensato di farcela. «Prima o poi passerà», si diceva, soffocando il turbamento e tentando di restituire una patina di normalità alla propria vita, in casa e al lavoro.
Il rimbombo dei cannoni e l’odore dei corpi dei commilitoni straziati dall’esplosivo assassino, alla base militare “Maestrale” di Nassiriya, invece, non lo hanno mai abbandonato.



E allora, nel momento in cui l’appuntato scelto dell’Arma dei carabinieri Luigi Coltraro, classe 1971, residente con la famiglia a Udine, ha deciso di squadernare il passato e di pretendere a propria volta i benefici previsti dalla legge sulle “Vittime del dovere”, invece di trovare la pace cercata, ha imboccato una via crucis che ha finito non soltanto per negargli qualsiasi indennizzo, ma anche per riformarlo dal servizio.
Collocato a riposo, per quello stesso «disturbo post traumatico da stress cronico» diagnosticatogli al rientro dalla missione “Antica Babilonia”, ma giudicato dal Comando slegato dall’esperienza irachena.
«Ricordo ancora i servizi giornalistici in cui si dava risalto alla solidarietà dei vertici dello Stato e dell’Arma dei carabinieri ai loro eroi. Ora che i riflettori si sono spenti, cosa siamo diventati?»
Nel flusso inarrestabile di parole di Coltraro, la rabbia si mescola all’amarezza. La tragica mattina del 12 novembre 2003 - data scolpita nelle pagine più buie della storia d’Italia, insieme ai nomi dei 19 connazionali morti nell’attentato -, lui si trovava davanti alla porta dell’edificio degli alloggi, pronto a dare il cambio della guardia nella postazione che gli era stata assegnata.
«L’onda d’urto mi investì in pieno – racconta – proiettandomi all’indietro per alcuni metri. La violenza fu tale, che i prefabbricati si sollevarono dai plinti, spostandosi». La scena che gli si parò davanti agli occhi dopo l’esplosione dell’autocisterna kamikaze fu agghiacciante. Eppure, per lui e gli altri sopravvissuti lo stato di allerta sarebbe continuato.
«Il nostro rientro fu ritardato – continua –, perchè non si trovavano sostituti». E fu proprio in quella coda di missione che il carabiniere friulano si infortunò: una lussazione a una spalla conseguente alla caduta da un blindato durante un controllo notturno.
Poi, finalmente, il rientro in Italia, al 13° Reggimento di Gorizia, ma anche l’inizio di una profonda sofferenza psicologica.
«Mi sognavo chiuso in una bara – ricorda – e per proteggermi dagli incubi, forse inconsapevolmente, evitavo di dormire. Chiesi di essere assegnato al Nucleo radiomobile di Udine, pensando che l’adrenalina del pronto intervento potesse compensare gli scompensi. Nell’agosto del 2013, tuttavia, arrivò il crollo: difficoltà a respirare, claustrofobia e agorafobia, sudorazione».
In una parola, attacchi di panico. Una malattia che, seppure affrontata con la dovuta terapia, finì per mettere un punto alla carriera professionale di Coltraro. Ma senza, di contro, riconoscergli alcuna forma di ristoro economico.
«Al disagio interiore, a quel punto, si sono aggiunti i ritardi e le assurdità della burocrazia – afferma –. Compresa quella di chiedermi di dimostrare la mia reale presenza sul luogo dell’attentato. E gli infruttuosi rimpalli da una commissione medica all’altra, da Padova a Roma. Lecito, allora, sospettare che stessero perdendo, o magari prendendo tempo».
A scendere in campo, per assisterlo in chiave legale, allora, sono stati gli avvocati Lorenzo Reyes e Camilla Beltramini.
«Vergognoso»: questo l’aggettivo adoperato nella memoria difensiva presentata alla Prefettura di Udine, nel febbraio 2017, per qualificare il parere negativo espresso dal “Comitato di verifica per le cause di servizio” all’istanza di accesso ai benefici per le lesioni conseguenti all’infortunio (la caduta dal blindato).
Non meno «incomprensibile», a parere del dottor Luca Brambullo, consulente psicologico della XIII legione carabinieri Fvg, il rigetto dell’ulteriore domanda presentata in relazione al «disturbo postraumatico da stress cronico» che lui stesso aveva “certificato” come «chiaramente riconducibile ai drammatici fatti bellici» in Iraq.
Alla fine, a vincere la battaglia amministrativa (o almeno, i suoi primi round) sono stati loro, lo Stato e l’Arma da cui ora Coltraro si sente irrimediabilmente abbandonato.
«Hanno riaperto ferite che credevo chiuse – conclude, deluso oltre ogni limite –. E dopo due anni senza stipendio, avendo rifiutato la riforma nella speranza di essere rimesso in servizio, ho accettato la quiescenza. L’ho fatto per amore per la mia famiglia, per evitare loro ulteriori disagi e sofferenza».


1.4.16

Sassari, protesta contro l'Arma:Pietro Sini carabiniere eroe di Nassiriya riconsegna la medaglia d'oro

Premeto che  io sono antimilitarista   e su nassyria  la  penso  in maniera  diversa  dalla retorica   eroica  e trionfalistica  . Ma il gesto  di Pietro Sini

a  tutta  la mia solidarietà  .  Perchè  lo stato  si  fa bello  con i gesti  altrui   e  poi  non ti considera  neppure e  ti scarica    dopo averti usato  . Infatti concordo con quanto dice 

pierolog 01/04/2016 12:32:48
questo signore ha ragione da vendere... L'Italia, molto generosa con i ladri e gli imbroglioni che ci governano, mostra poca gratitudine verso chi ha rischiato lavita per il tricolore

  nel commento  sul sioto dell'unione sarda  da  cui  ho appreso la news



Cronaca » Sassari

Oggi alle 11:41
 Ha riconsegnato medaglia d'oro e onorificenze nelle mani del Prefetto, per protestare contro "l'assoluta indifferenza dell'Arma". Pietro Sini, l'eroe di Nassiriya, reduce dalla strage di carabinieri,
nel 2003, aveva salvato cinque persone ma ada allora è un arrabbiato. Dal giorno del massacro, dice, è stato mortificato e umiliato, per anni, riformato a 47 anni dall'Arma, senza riconoscergli i benefici previsti dalle leggi per le vittime del terrorismo.
Un eroe a gettone: "Nelle commemorazioni per la strage volte mi chiamano, ma molte volte mi ignorano.E a farlo è proprio l'Arma


                                    P.s Se   non lo vedete perchè downloadhelper  non sempre
                                         separa  pubblicità  dalla news  lo  trovate   qui
                                         oppure  qui 

 
 .Quella medaglia non la voglio più".Pietro Sini però dovrà restituire tutto direttamente al Presidente della Repubblica.La Prefettura non ha voluto , ed   aggiungo iio   ha  scaricato  la  patata bollente   alla presidenz  della repubblica  , prendere i suoi riconoscimenti.

12.4.14

ecco perchè hanno messo la bomba a nassyria e le torture degli iracheni da parte degli italiani

niente  di nuovo   perchè delle  torture    e  della  corruzione   sugli appalti  post  ricostruzione   si  sapeva  già  ( anche  se  come  sempre  capita    )  è stato confermato   da    inchieste   come queste




unica  novità  è  quei retroscena  su nassyria    .

  speriamo   che le  inchieste

da LA  NUOVA  SARDEGNA del 10\4\2014

Nella nuova puntata delle Iene testimonianze-choc di un sassarino e un video con due prigionieri bendati e coi polsi legati 
Torture a Nassiriya? Al via due inchieste

di Pier Giorgio Pinna

SASSARI Due inchieste al via. Sulla denuncia in tv di torture da parte di uomini del Sismi e delle forze armate italiane su detenuti iracheni stanno per partire le indagini della Procura di Roma e della magistratura militare. Le dichiarazioni fatte nella trasmissione Le Iene da un ex caporale della "Sassari" e da altri soldati presentati come effettivi nella Brigata si configurano come "notizie di reato". Quindi perseguibili sul territorio nazionale nonostante si riferiscano a Nassiriya, nell’autunno-inverno della strage. Le prassi. Per il momento i fascicoli dovrebbe essere intestati con la dicitura "Atti relativi a…". In questa fase, una procedura standard. Che però, con l'acquisizione dei documenti sulla nuova trasmissione in onda ieri sera su Italia 1, potrebbe subire un'accelerazione. Programma-rivelazione. E questo perché nella puntata, curata sempre da Luigi Pelazza, Le Iene hanno presentato altre testimonianze. non finiscano o insabbiate (...)


non  finiscano    come sempre  insabbiate  o  prescritte    . E  che   quanto dice  il navigato  Giampiero  scanu



sia  tenuta  viva la tensione  è  per  questo  che  a  grazie  a linux  e le suie  estensioni  sono riuscito  a salvare    e  far  circolare   se  nel caso venisse rimosso   dal sito  delle  iene  il video  in questione  che trovate  sopra  e  sul mio  youtube







13.11.13

la ferita ancora aperta di nassyria e le distorsioni dei media delle parole pronunciate alla Camera da Emanuela Corda, deputata sarda del M5S

Musica  in sottofondo e consigliata    e questa  http://www.youtube.com/watch?v=UF_LyEpcfKo
o  http://www.youtube.com/watch?v=Gc3A__oi3-0


http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2013/11/strage-di-nassyria-dieci-anni-dopo.html


  cosi rispondo a  coloro che mi dicono che  offendo le  vittime

L'intera classe politica dirigente, ieri, si è spesa nel ricordare l'episodio della strage  di  Nassyria   attribuendogli una valenza ad alto impatto retorico, definendo l'evento (parole del Presidente Napolitano) "un atto di grande viltà".
Non è così.
Non ci fu assolutamente niente di vile, secondo me  e secondo  il blogger http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.com/
Infatti  L'uso del termine "vile" è fuorviante e come significante ha l'obiettivo di far pensare alle persone che i nostri carabinieri sono stati colpiti a tradimento. Il fine di questa manipolazione consiste nel far credere che la partecipazione degli italiani alla guerra in Iraq -così come quella di tutti gli altri- non aveva niente a che fare con il concetto di guerra, ma che era una missione di pace.
Era, invece, una guerra o lo è diventata, da subito.In guerra, i codici vengono alterati e sono diversi da quelli civili.La caratteristica della guerra consiste nel fatto che o uccidi uno sconosciuto oppure quello sconosciuto ucciderà te (un ricordo a Fabrizio De Andrè). Per salvare se stessi e i propri compagni, tutto è consentito, sia nella difesa che nell'attacco. E ci sono anche vittime civili, inevitabilmente. Ma ne restiamo sorpresi.


Una eletta nelle fila del movimento a cinque stelle, circoscrizione Sardegna, l'onorevole Emanuela Corda, si è alzata e ha fatto un intervento.
Le sue parole hanno provocato reazioni diverse e contrastanti.
Non entro nel merito ora   nel  merito  perchè  aspetto   di confrontare  la mia idea   con le  vostre dopo  ovviamente la visione    dei  due  video   (  quello  ufficiale  e  quello del media    )   . 
Ho  fatto   come propone  il  sito in questione     ho visualizzato sia  la  versione manipolata   dai media  sia  il discorso  integrale  che trovate qui sotto  inversione doppia  qual'ora   downloadhelper   facesse le bizze





 . Infatti  : <<  Sui social networks il suo intervento è stato presentato con ottiche diversissime. Qui di seguito quattro esempi dei link più diffusi in assoluto:


L'On.Emanuela Corda (M5S) giustifica l'attentatore kamikaze che uccise gli italiani a Nassirya
e poi
M5s: Emanuela Corda sui kamikaze: ferma condanna al fondamentalismo

In alcuni casi veniva presentato il video del suo intervento nel quale mancavano alcune frasi. In altri casi erano state aggiunte altre frasi.
Sui social networks, soprattutto su facebook che è la piattaforma più importante nel diffondere la chiacchiera del giorno di cui tutti parlano, quando si presenta un video con una scritta sopra, il più delle volte nessuno guarda il video ma si attiene alla didascalia che lo presenta.
Quindi, come si fa a sapere che cosa ha detto o non ha detto la Corda?
Ecco in che cosa consiste l'esercizio di cittadinanza attiva: si va a vedere su youtube la ripresa video del suo intervento, quella autentica, senza aggiunte e senza tagli. Si compie, quindi, un'azione (da cui l'aggettivazione "attiva") senza far caso alla didascalia, nè a quella che la esalta nè a quella che la contesta. Dopo averlo visto ci si pensa su. Magari, se è il caso, lo si rivede un'altra volta, lo si studia e si ottiene una idea, un giudizio, una opinione, che è frutto della riflessione della propria mente, quindi è originale. Quando si partecipa, poi, al dibattito, si porta avanti la propria argomentazione magari citando la frase al minuto 1,2 3 o 2,41 inserita nel suo contesto generale.Questo presuppone un meccanismo attivo.
Il vantaggio, nell'essere "cittadini attivi", consiste nel fatto che non si usano idee degli altri, oppure l'opinione di un passante che magari ha pigiato tre volte mi piace su dei nostri post e quindi abbiamo deciso, per puro narcisismo, di fidarci di lui o di lei.
Si usano le proprie idee, il proprio ragionamento.
Un cittadino attivo è una persona che cerca i dati oggettivi e si arroga il diritto di avere una opinione personale su quel fatto specifico.Tutto qui.>>
Poi, , possiamo scambiarci le nostre opinioni al riguardo: se il suo intervento è stato bello o brutto, in linea con il progetto M5s oppure no, a favore della verità o a favore della menzogna, ecc o  se  ha  offeso  i caduti  

6.11.13

strage di nassyria dieci anni dopo parlano 5 vedove

Voglio proporre  , anticipando quel fiume di retorica  e  becero nazionalismo   che  ci sarà   tra qualche giorno  per  il deccenale  dei fatti di nassyria  un articolo interessante senza quella  retorica ( almeno da parte della giornalista ) che invaderà tra qualche giorno i media internet compreso . Un articolo che ho giudicato  come : << un articolo pessimo perchè non viene , come sempre si parla di nassyria , di Adele Parillo compagna del regista morto con i militari .ma solo delle vedove di militari . >> Ma  poi  la  risposta  della giornalista Emanuela Zuccalà   di io donna del corriere del  a sera su una bacheca  di un amica  comune  che aveva  condiviso  l'articolo  : << 


.Emanuela Zuccalà Avrei tanto voluto intervistare anche Adele, perche' conosco bene la sua storia. L'ho cercata, ci siamo parlate, e lei con grande gentilezza e sincerita' mi ha spiegato perche' non se la sentiva di comparire. Cosi' anche la vedova di Marco Beci, l'altro civile vittima della strage.

Giuseppe Scano Grazie delle informazioni.leggero con vivo interesse l.articolo mi scuso x giudizio affrettato


>>

 mi ha indotto   a rileggermi l'articolo   che sotto  riporto   e quindi a cambiare  giudizio espresso a caldo   ed   ritornare  ed  a rafforzare la mia opinione che  m'ero fatto  su tale evento   che ho  appreso sia   corrispondendo  via fb  con Adele  Parrillo     sia  leggendo  ( oltre  che a sentirli  quandoi erano venuti a presentare   qui a tempio il libro  )    20 sigarette  a  nassyria  . Un libro  che  si legge in un ora per la fluidità e schiettezza con cui è scritto ( anche se io , causa tristezza , piangevo ad ogni pagina ci ho messo 2 giorni ) da cui l'autore ha tratto il film omonimo http://it.wikipedia.org/wiki/20_sigarette

DIECI ANNI DOPO

Noi, vedove di Nassirya

Il 12 novembre 2003 un camion-bomba devastò la base Maestrale causando una strage. Come ha trascorso questo decennio chi, quel giorno, vide saltare in aria il proprio amore e la propria vita?

di Emanuela Zuccalà - 28 ottobre 2013



8.40, 12 novembre 2003. Alessandra e Monica lavorano. Paola va in palestra, Miriam alle prove in teatro, Margherita dal pediatra. A 4mila chilometri, un camion-bomba uccide i loro mariti, carabinieri in missione in Iraq. Sono passati dieci anni dalla strage alla base Maestrale di Nassiriya: 19 morti italiani (12 carabinieri, 5 soldati e 2 civili), 9 iracheni, 19 feriti gravi. Dieci anni di memoria collettiva a fasi alterne. E di inchieste: l’ideatore dell’attacco viene impiccato in Iraq; tre alti militari italiani, accusati di non aver difeso la base, sono assolti. I familiari di 7 vittime si costituiscono parte civile e la Cassazione riconosce il loro diritto a un risarcimento. Ma com’è trascorso il decennio nel privato di chi, quel giorno, ha visto saltare in aria il proprio amore e la propria vita? 

PAOLA COEN GIALLI

69 anni, moglie del maresciallo luogotenente Enzo Fregosi
«Un ragazzo atletico si tuffava da un trampolino altissimo, in uno stabilimento qui a Livorno: si accorse del mio sguardo affascinato e, con la classica scusa del fiammifero per la sigaretta, mi si avvicinò. Era il 1972. Io mi ritengo fortunata: ho avuto il tempo di godere di mio marito, i miei figli hanno imparato tanto da lui ed Enzo è morto nel pieno del suo vigore, senza invecchiare. Lo so, le suona strano ciò che dico...». Paola è livornese; Enzo, di La Spezia, è stato fra i fondatori del Gis, il Gruppo di intervento speciale dei carabinieri. Nel 2003 aveva 56 anni ed era comandante del Nas: «Voleva concludere la carriera in bellezza, con una missione all’estero. Del suo corpo non è rimasto nulla». Restano i bei ricordi e tre oggetti da cui Enzo non si separava mai, ma prima di partire per l’Iraq li ha lasciati a casa: «Oggi io ho la sua fede nuziale, mio figlio Pietro la catenina e mia figlia Allegra un anello». L’immagine più nitida del 12 novembre è di lei che corre su un’auto dei carabinieri a sirene spiegate, per raggiungere la figlia a Firenze prima che apprenda la notizia della morte del padre dalla televisione. Oggi Paola è fra coloro che si sono costituiti parte civile al 

processo e sperano nella medaglia d’oro. Ha un solo rimpianto: «Nella base vivevano in condizioni durissime, la chiamavanoAnimal House, tanto era malmessa. Lui però non faceva trapelare nulla e io al telefono gli parlavo di stupidaggini, dei nostri cani, delle feste di compleanno...». Solo ora Paola si commuove.



ALESSANDRA SAVIO 
51 anni, moglie del maresciallo Filippo Merlino

«Non sentivo nulla, come se mi fosse colato addosso del ghiaccio. Di quei giorni ricordo solo mio padre che mi accarezza i capelli e Miriam (moglie di Daniele Ghione, ndr) che grida ai funerali. Per un anno ho atteso che lui entrasse da quella porta». Sulla porta una targa recita La casa di Penelope, ma oggi l’attesa di Alessandra è un’altra: quella della medaglia d’oro al valor militare. «L’hanno promessa allora, mi appello al presidente della Repubblica perché ce la conceda. E l’ultima sentenza della Cassazione fa finalmente luce su responsabilità e omissioni. Nassiriya è il nostro 11 settembre: un attacco all’Italia. I caduti meritano questo riconoscimento ». Alessandra incontra Filippo a 15 anni. Corre in motorino e lui, carabiniere lucano di stanza al Nord, la ferma. La corteggia, la sposa nell’85. Abitano a Viadana, nel Mantovano. Cinque anni dopo nasce Fabio, affetto da un’atrofia muscolare che lo costringe in sedia a rotelle. «Filippo alternava il comando della caserma alle missioni all’estero per poter costruire una casa su misura per lui». Ma alla vigilia dell’Iraq appare insolitamente teso. 
Le dice: «Non sarà una missione come le altre». «Rinuncia» abbozza lei. Filippo è lapidario: «Non posso». «L’ho visto per l’ultima volta il 13 luglio 2003, era il mio compleanno e lui ci raggiunse a Ischia per festeggiare». Fabio oggi è impiegato nella caserma di Viadana, la stessa del padre, ed è solare e positivo nonostante la disabilità. Lei ancora rabbrividisce alla parola vedova: «Di Filippo Merlino, io sono la moglie».


MARGHERITA CARUSO 
43 anni, moglie del brigadiere Giuseppe Coletta


«Si amavano da quando erano ragazzini ad Avola, in Sicilia, e nel ’97 avevano condiviso la sofferenza più atroce, la morte per leucemia del primo figlio Paolo, a sei anni. «Negli occhi dei bambini che incontrava nelle missioni all’estero, lui ritrovava Paolo. Aiutandoli, leniva il suo dolore ». Ma l’11 novembre del 2003, quando Giuseppe telefona come ogni sera, lei lo avverte freddo, distante. «Mi sono svegliata all’alba con un groppo in gola, finché le notizie hanno iniziato a rincorrersi... Mi guardavo allo specchio e non mi vedevo, tanto era lo strazio». Margherita ha una fede cattolica granitica, in quelle ore tremende dichiara il perdono per gli assassini del suo amore e spedisce incubatrici all’ospedale di Nassiriya. «Mi davano della pazza, ma io dovevo rispondere a quell’atto inumano con l’amore, altrimenti sarei morta». Torna ad Avola con la seconda figlia, che oggi ha 12 anni, e finanzia un orfanotrofio in Burkina Faso. Scrive due libri (con Lucia Bellaspiga, 
edizioni Ancora: l’ultimo è Nassiriya fonte di vita ). «Tre anni fa mi sono trasferita a Roma, ad Avola ero cristallizzata nel ruolo di “vedova di”, e io volevo tornare a vivere». Oggi ha un compagno. «È un amore grande che convive con quello per Giuseppe, mi batte ancora il cuore per lui». Lei non si è costituita parte civile al processo: «Non avrei potuto mettermi contro l’Arma, Giuseppe era tutt’uno con la divisa, si è fusa con la sua pelle, quando è saltato in aria. È un eroe non per com’è morto, ma per come ha vissuto».


MIRIAM AGRESTA 
36 anni, moglie del maresciallo capo Daniele Ghione

«E' difficile scindere i ricordi di lui da ciò che è accaduto dopo: così forte, così pesante». Daniele aveva 31 anni e Miriam 26, la più giovane delle vedove di Nassiriya. Quella che, ai funerali di Stato nella Basilica di San Paolo a Roma, gridava come impazzita per un disguido sui posti a sedere. Aveva gridato anche il 12 novembre, dopo ore a sentirsi dire che suo marito era disperso. Infine la notizia, lei scagliava via il telefono, dava pugni al frigorifero. Piombava in un buco nero, e ha lottato a lungo per riemergere. Lei e Daniele erano di Finale Ligure, Miriam aveva scelto Roma per la sua carriera di ballerina, mentre lui era assegnato al reggimento di Gorizia. «Stava chiedendo il trasferimento a Roma. Non ha fatto in tempo». Lei schiva rabbiosa le interviste, e lascia subito il mondo dello spettacolo. «Non esisteva più la ragazzina che viveva in una favola con il suo principe azzurro. Sono cresciuta di colpo e mi sono indurita». E si tiene fuori dai processi. «Mi sarei fatta del male» dice. Oggi insegna ginnastica ed è tornata a Finale. Il suo compagno è carabiniere, anche lui, e conosceva bene Daniele. Hanno una bimba di quattro anni. «Le parlo dello zio Daniele, la porto al cimitero, e lei chiama nonni i suoi genitori. Lo so, è difficile da comprendere, ma anche se ho una nuova vita, io sarò sempre la signora Ghione». 
In sala, accanto alla foto della sua nuova famiglia, c’è un primo piano di Daniele. Guardandolo, la tensione di Miriam si scioglie in un sorriso.



MONICA CABIDDU 
42 anni, moglie dell’appuntato Andrea Filippa
«
Poco tempo prima avevo sognato che una bomba dilaniava il suo braccio destro. All’obitorio, sollevando il lenzuolo e vedendo che l’unica parte offesa era proprio quella, ho avuto un brivido». Quella mattina Andrea Filippa era di guardia alla base Maestrale, protetto da sacchi di sabbia, solo il braccio destro era scoperto, per sparare al camion-bomba. Senza le sue raffiche di mitra, il mezzo sarebbe penetrato all’interno distruggendo più vite. «Andrea ha solo fatto il suo lavoro» sussurra Monica, che lo amava da 11 anni e, dalla loro Torino, lo aveva seguito a Gorizia. Lui era nel 13° Reggimento dei Carabinieri, specializzato in missioni all’estero; lei faceva l’insegnante di sostegno. «Era stato in Bosnia, Kosovo, Eritrea. Ma quando mi ha annunciato l’Iraq, non ho parlato per tre giorni, qualcosa mi si era già spezzato dentro». Andrea è stato l’ultimo a essere ritrovato nella base sventrata, «Un burlone, fino alla fine...». All’inizio Monica non mangia, non vive. Finché incontra un altro carabiniere, sta indagando sull’attentato, è



un uomo rassicurante, e lei lentamente torna ad assaporare sentimenti ed emozioni. Oggi continua a insegnare e vive con il compagno a Ladispoli, vicino a Roma: «Volevo il mare». A lei la medaglia d’oro non interessa. «Lo Stato mi ha già accudita molto e tanto lui non torna». In salotto, le altre medaglie ricevute dal marito sono in una vetrina, accanto a una foto di lui in divisa, con la frase dei loro momenti difficili: «Se mi ami, non piangere».

6.7.13

Il medico-eroe di Nassiriya dona la medaglia al valore


Premiato dal presidente della Repubblica per avere salvato tanti militari «Voglio condividere la decorazione con la Brigata Sassari, nel ricordo dei caduti»

la  nuova sardegna online del  6\7\2013

Sassari Il peso di quella decorazione era diventato insostenibile. Ogni volta che lo sguardo si posava su quel cofanetto di velluto blu, ritornava con il pensiero all’inferno di Nassiriya. Ci ha pensato a lungo prima di prendere una decisione e ha concluso che la cosa più bella fosse conservare quella medaglia nel posto giusto. Perché spesso accade che i riconoscimenti, pur se meritati, diventino troppo ingombranti, rubando spazio al desiderio di un quotidiano più ordinario. Così, ancora una volta, ha pensato a un gesto di generosità: donare al proprio reparto la medaglia d’argento con cui il Capo dello Stato premiò il suo gesto eroico. Quel dono sarà il suo tributo alla Brigata Sassari, alla quale resta profondamente legato. Oggi l’ex tenente medico di complemento Gianuario Carboni ha 38 anni e l’emergenza continua a far parte della sua vita perché, da medico chirurgo, lavora al pronto soccorso del Santissima Annunziata. Dieci anni fa, in Iraq, ha visto cose che non augura neanche al peggior nemico. All’epoca, Gianuario ebbe la ventura di trovarsi nel devastante inferno di fuoco di uno dei più gravi attacchi che la storia dell’esercito ricordi.Il 12 novembre 2003, a Nassiriya, nella terribile esplosione che distrusse la base Maestrale, persero la vita 19 italiani e 9 iracheni, ma sul campo restarono anche decine di feriti. Antica Babilonia, l’avevano chiamata, ma quella che doveva essere una missione di pace si era trasformata in una sanguinosa tragedia. Nei momenti più drammatici, Gianuario Carboni non perse mai il sangue freddo, ma contribuì a salvare vite umane, in particolare quella del maresciallo dei carabinieri Vittorio de Rasis, oggi luogotenente, strappato alla morte dall’intervento tempestivo del medico “sassarino” dopo essere stato colpito a una spalla da una scheggia che gli aveva provocato una gravissima emorragia. La motivazione con cui il presidente della Repubblica assegnò all’ufficiale la prestigiosa decorazione al valore militare, non lascia adito al dubbio. Dal decreto presidenziale del 13 aprile 2006, filtra chiaramente la portata del gesto eroico. Alla fine di quella giornata terribile, il generale Bruno Stano, allora comandante della Brigata Sassari, lo aveva chiamato nel suo ufficio e gli aveva annunciato che avrebbe fatto il suo nome per una medaglia al valore. A caldo, il giovane tenente medico non comprese a pieno il senso di quelle parole, troppo grande e intensa era stata la sollecitazione per l’ufficiale, ancora emotivamente coinvolto in quella vicenda che ha segnato la sua vita e quella dei suoi compagni. «Oggi ho una vita normale _ racconta sereno Gianuario _ una moglie splendida, due bambini meravigliosi. Non è stato inutile avere fatto quell’esperienza, mi rendo conto, però, del peso di quella decorazione, un fardello troppo pesante per me e allora, la cosa più giusta è condividerlo con i miei fratelli della Brigata Sassari. Per questo ho pensato, nel ricordo dei caduti di Nassiriya, che la medaglia torni nel posto più consono, dove possa essere vista dai bambini e dagli adulti a ulteriore riprova di cosa possono fare, l'amore per la patria e il senso del dovere». L’appellativo di eroe non gli piace e neanche la ribalta, lui ritiene di avere fatto solo ciò che un ufficiale medico dovrebbe fare in quelle situazioni e a chi gli chiede se fosse disposto a tornare in missione, risponde con garbo che preferirebbe, se fosse possibile, continuare a essere utile alla Brigata in altro modo.Sul piano burocratico, dare una veste ufficiale al suo gesto non sarà semplice perché è quantomeno insolito che un decorato, in vita, doni la medaglia al reparto di assegnazione. Ma è certo che, vista la delicatezza del gesto, l’amministrazione militare trovi comunque una soluzione. Si parla di una sorta di comodato d’uso, una soluzione che può rendere possibile l’accettazione della medaglia da parte della Brigata. Al riguardo, tra il reduce e il comandante c’è già stato un incontro preliminare, nei giorni scorsi Gianuario Carboni ha avuto un abboccamento con il generale Manlio Scopigno che ha preso molto a cuore la vicenda e sta studiando la formula più consona per accogliere la sua richiesta. Di certo c’è che con questo gesto, l’ex tenente Carboni svuoterà una volta per tutte il pesante fardello riportato da Nassiriya, dove insieme alla medaglia custodisce ancora ricordi e sensazioni che porterà dentro per sempre.

8.5.12

eroi per forza ed eroi veri


non quelli che la stampa , ancora   influenzata   da  (  proprio  come la canzone che sto ascoltando in questo momento )  dai  : << 
  >>ci vuole far  credere  a tutti   i costi come  eroi    1) i morti dell'attentato  delle  due  torri  a NW (  11  settembre  2001 ) ., 2  )   o quelli  morti  nell'attentato -strage  di  Nassyria (12 novembre 2003 )  oppure   come  si continua  a credere  ( anche se   ormai sono solo i nostalgici  ) . In quanto  i primi  ( la  maggior parte  )  lavoravano  o  andavano  semplicemente al lavoro   è sono stati vittime  di un attentato islamico  secondo la versione ancora  molto diffusa    per  chi crede alle  versioni ufficiali o meglio alle "verità" della televisione  (   per  dirla  come un poeta   ) o  dagli stessi  Servizi  segreti Usa  o  terroristi \ servi pagati da loro  come dimostrano le molte ombre   e  falle  della versione ufficiale    e  su cui  non mi soffermo oltre   perché non è questo e il post  I secondi invece sono vittime   di  una guerra   sia  che  siamo andati volontari  credendo in buona fede   che fosse una missione di pace    o  per motivi   economici  e soldi facili ( con questa  crisi succede  )  o ancora   mandati al macello                        
 ma   questi  che  riporto  sotto --  e  ce  ce ne sarebbe altri\e , alcuni\e  li trovate  nei  miei   e nostri post precedenti    sia   del vecchio ( ormai migrato qui ) blog   di splinder  sia in questo  attuale  -- lo sono o perchè  lo hanno voluto








(cognome, nome e professione)Guido Rossa, operaio e sindacalista. Medaglia d’Oro al valore civile alla memoria
(luogo e date di nascita)Cesiomaggiore (Belluno), 1° dicembre 1934
(luogo e date dell'attentato) Genova, 24 gennaio 1979
(luogo e date di morte) Genova, 24 gennaio 1979
(descrizione attentato)
Un commando di brigatisti composto da Riccardo Dura, Vincenzo Gagliardo e Lorenzo Carpi si apposta in via Umberto Fracchia (quartiere di Oregina) nei pressi dell’abitazione di Guido Rossa. All’uscita di casa del sindacalista per recarsi al lavoro, alle 6.30 del mattino, lo uccidono al volante della sua auto. L'intento iniziale era quello di colpirlo alle gambe.
Circa tre mesi prima Rossa aveva denunciato e fatto arrestare Francesco Berardi, fiancheggiatore B.R. attivo all’interno dell’Italsider.
L’autore materiale dell’omicidio, come accertato in seguito, è il brigatista Riccardo Dura che il 28 marzo 1980 è ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia nel covo di Via Fracchia a Genova insieme ad altri terroristi.
Il Presidente della Repubblica Sandro Pertini conferisce a Guido Rossa la medaglia d’oro al valore civile alla memoria.
Rossa lascia la figlia sedicenne e la moglie.
(biografia)Operaio sindacalista dell’Italsider di Cornigliano (Ge). La sua morte incide profondamente sul clima delle fabbriche del Nord, rendendo evidente l'irreversibile deriva delinquenziale dell'eversione di sinistra.
(rivendicazione, autori)Una telefonata al “Secolo XIX” rivendica l’assassinio del sindacalista da parte delle Brigate Rosse.


 scheda  tratta  da http://www.vittimeterrorismo.it/memorie/schede/
Paolo Giaccone è un medico legale, viene ucciso da Cosa Nostra nel 1982 a Palermo;Fulvio Croce, presidente dell'Ordine degli avvocati di Torino, cade in un attentato delle Brigate Rosse; Angelo Vassallo, il sindaco - pescatore e ambientalista di Pollica nel Parco del Cilento, muore in un agguato nel settembre 2010; Carmelo Iannì è un tranquillo albergatore che viene ammazzato dalla mafia nel 1980 vicino Palermo.

Che cosa hanno in comune queste persone? Ė gente normale che fa cose normali. Eppure, proprio per questo, sono eroi. Il nostro, infatti, è uno strano Paese, da noi il male è così radicato, così normale, così di tutti i giorni che per essere combattuto richiede eroi normali, che facciano soltanto il proprio dovere. Soltanto quello che va fatto e basta.



Gli eroi vincono le battaglie. Gli eroi normali, a patto di non lasciarli soli, di non dimenticarli, possono vincere le guerre.





oppure  tutti  quelli  che nello svolgimento del proprio lavoro, all’interno delle istituzioni dello Stato e nella società civile, o al di fuori  d'entrambi  hanno messo la mano davanti a un treno in corsa, pagando con la vita il proprio atto di coraggio, il proprio rigore etico e professionale.

Persone che pur minacciate sono rimaste al loro posto, non hanno disertato, hanno continuato a lavorare in difesa della legalità fino ad arrivare ad un punto di non ritorno. Sono le storie di servitori dello Stato e di semplici cittadini, impegnati nella vita e nella professione con passione; esempi di coscienza civile che la memoria collettiva del nostro Paese ha la necessità e il dovere di ricordare e di difendere. la storia di Nicola Calipari (titolo della puntata: “Nicola Calipari, in quel luogo e in quel momento”), un poliziotto atipico, colto e gentile, con un grande senso dello Stato. Dagli inizi della sua carriera in Calabria, dove contrasta le attività criminali della ‘Ndrangheta, alla Seconda Guerra del Golfo, in Iraq, dove è presente come capo del reparto delle operazioni speciali all’estero del SISMI. A Baghdad nella notte del 4 marzo del 2005 il destino di Calipari si incrocia con quelli di altre due persone in modo fatale: il soldato statunitense Mario Lozano e la giornalista italianaGiuliana Sgrena appena liberata dopo un rapimento. Calipari viene ucciso, mentre con il proprio corpo fa scudo alla giornalista.Di cui    si è occupata  la  prima puntata   di Lucarelli  racconta   un programma di Carlo Lucarelli, Giuliana Catamo, Paola De Martiis, Alessandro Patrignanelli.   andata  in onda  ieri su rai 3   e  di cui  : <<  (...)  Alle singole storie fanno da sfondo i problemi irrisolti del nostro Paese: le organizzazioni mafiose, le zone grigie di connessione tra politica e criminalità, l’assenza dello Stato, il terrorismo, l’emarginazione culturale e sociale, la pericolosità dei meccanismi economici e finanziari. Temi alti e impegnativi, adatti al pubblico del terzo canale, in una serata d’esordio caratterizzata dalla politica e dal dominio della fiction di Rai1.>>( da http://www.davidemaggio.it  qui per   l'articolo integrale 




oppure  e  qui  concludo   quelli   che lo sono  per  caso  per  parafrasare  questo film 


alla prossima

«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...