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12.11.23

Nassiriya 12\11\2003 -nassyria 12\11\2023 parte 1 L’intervista al vicebrigadiere Pietro Sini: «La strage si poteva evitare» Fu il primo a prestare soccorso: «Io eroe? Macché, per 16 anni sono stato soprannominato "il milite ignoto"»

Oggi nel silenzio mediatico  quasi totale  s'è  celebrato  il  20  anno    dell'attentato  di nassyria  . In realtà bisogna  parlare   degli attentati di Nassiriya furono alcuni attacchi avvenuti dal 2003 al 2006 durante la guerra d'Iraq nella città di Nāṣiriya appunto  , contro le forze armate italiane partecipanti alla missione militare denominata "Operazione Antica Babilonia". IL l più grave  ed  il  più noto \  ricordato  dei quali fu la strage del 12 novembre 2003 che provocò 28 morti (19 italiani).   Tra  gli articoli più ineressanti    che ho letto   c'è  questo   preso    da  la  nuova  sardegna  12\11\2023

 L’intervista al vicebrigadiere Pietro Sini: «La strage si poteva evitare» Fu il primo a prestare soccorso: «Io eroe? Macché, per 16 anni sono stato soprannominato "il milite ignoto"»

Porto Torres «Sono passati vent’anni ma io non ho più il senso del tempo, ogni giorno mi riporta a quel 12 novembre del 2003. Le esplosioni, le urla strazianti, i pianti disperati ti restano dentro la testa per sempre. Ti lacerano nel profondo dell’anima. Piano piano ho
lavorato su me stesso e ho fatto un percorso per recuperare la serenità perché ho scelto di stare dalla parte della verità. Sono tra coloro che hanno reso testimonianze - considerate “scomode” - anche in sede di Procura militare, ho detto che quella strage si poteva evitare che l’allarme è stato sottovalutato. E forse per quello sono indicato tra le mele marce, una condizione simile ad altri che sono tornati vivi dall’Iraq. Per 16 anni sono stato soprannominato “il milite ignoto”, le vedove, i figli e i familiari dei caduti a Nassiriya non conoscevano il mio nome e i contatti ufficiali che avevano cercato per sapere chi fosse quel carabiniere che ha portato in spalla i loro cari fuori dall’inferno della base Maestrale non avevano dato esito»
.
Pietro Sini, 59 anni, si ferma qualche secondo dopo avere raccontato la prima parte della storia tutta d’un fiato. Vicebrigadiere dei carabinieri in congedo, riformato per invalidità dopo la tragedia di Nassiriya, non ha mai smesso di difenderla quella verità, a costo anche di pagarne le conseguenze. «In tutti questi anni non ho mai ricevuto una telefonata per dire “come stai?” da parte dei vertici dell’Arma, non mi hanno invitato alle manifestazioni ufficiali. Ho contestato il trattamento, ho inscenato anche la protesta della restituzione della medaglia della presidenza della Repubblica quale vittima del terrorismo. E oggi sono ancora qua».Caminetto acceso nella sua casa alla periferia della città, i nipotini che corrono, la musica in sottofondo. Sulla poltrona due bustoni pieni di foto e di medaglie. C’è anche il tricolore ancora macchiato di sangue: «L’ho messo da parte così, non c’è niente da ripulire, solo da conservare». Pietro Sini prova a mettere in fila i minuti drammatici di quella mattina del 12 novembre del 2003.«Bisogna tornare indietro di un paio di giorni: avevano dei segnali chiari che qualcosa doveva accadere a Nassiriya. Si parlava di un camion di fabbricazione russa che vagava. Il ponte degli ulivi diventato a senso unico, una ulteriore conferma del clima di allarme». Il mezzo (del quale erano stato segnalato anche il colore) imbottito di esplosivo era stato messo in vendita a 30mila dollari, poi sarebbe stato ceduto a 300 dollari. Era entrato a ottobre, pare dal Pakistan, sequestrato in un’altra provincia.

Vent'anni dalla strage di Nassiriya, il racconto del vicebrigadiere Pietro Sini: fu il primo a entrare nella base in fiamme

«Sicuramente è stato tenuto in zona fiume Eufrate, in una stradina dove noi non passavamo perché era minata. Lo hanno tenuto lì». Poi la mattina alle 10,30: «Non passava nessuno da parecchi minuti. Prima di uscire dalla base ho salutato Andrea Filippa, il carabiniere che si trovava all’ingresso. Poi i quattro marescialli sull’altro veicolo. Il tempo di partire e percorrere meno di cento metri. Non avevo neppure innestato la terza marcia: abbiamo sentito una esplosione incredibile. Il nostro “Defender” si è sollevato da terra, si è spento tutto, le centraline non davano più alcun segnale. Abbiamo pensato di avere preso una mina ma non avevamo danni a bordo, nessuno era ferito. Mi sono voltato e ho visto la base Maestrale in fiamme, piegata su un lato. Ho capito che ci avevano colpito».
Pochi attimi per decidere, per fare ripartire il mezzo militare. «Sono entrato nella base in fiamme, il compound dei paracadutisti era una esplosione continua, solo dopo parecchio, spente le fiamme è apparso come una sagoma di ferro deformata. Fiamme, fumo, ci pioveva addosso di tutto. Io ho cominciato a girare, in quei momenti ho fatto la scelta di fermarmi dove c’erano colleghi vivi. Prima il maresciallo Lucchesi che aveva accanto un altro collega ferito gravemente alla gamba. L’ho caricato sulle spalle e portato verso l’esterno per affidarlo ai soccorsi. Si camminava in mezzo a corpi dilaniati. All’uscita del piano superiore c’era Vittorio De Rasis , un omone alto un metro e 90 per 120 chili di peso: in qualche modo sono riuscito a portarlo fuori e adagiarlo sul cassone di un pickup per farlo trasferire verso il centro sanitario. Avanti e indietro, non riuscivo a fermarmi. Sul tetto c’era la guardia, svenuta. Gli ho dato la mia maschera antigas e l’ho accompagnato ai piani inferiori». Doveva essere l’ultimo giorno della missione, quello dei saluti. É diventato quello della tragedia, della missione macchiata di sangue, totalmente diversa da quelle dei Balcani. Con mille problemi: «Lì a Nassiriya la politica viaggia di pari passo con la loro religione. Da subito era chiaro che non sarebbe stato possibile tornare indietro».
«Come mi sento oggi? Non sono un reduce o un miracolato, ma neppure un eroe come dicono. Rifarei tutto da capo perché sono un carabiniere. Stellette e alamari, ideali di giustizia. Sempre. Non sono cambiato. Padre Mariano Asunis ha detto che gli eroi vanno ricordati da vivi perché da morti non potranno mai sentirsi tali. Ho dentro una grande amarezza e penso che forse quella mattina doveva andare così, ma anche che non è stato fatto tutto il possibile per evitare quella tragedia».
C’è un circuito ancora aperto, come si può chiudere? «L’Arma dei carabinieri prenda coscienza e si avvicini di più ai suoi militari, stia dalla parte di quelli come me che hanno fatto il proprio dovere di carabiniere fino in fondo. Non voglio altre decorazioni, non mi servono elogi. Io sono a posto con la coscienza ma spesso ho la convinzione che essere rientrato vivo da Nassiriya sia un problema, un fastidio anziché un risultato umano da salvaguardare».
Sicurezza e difesa dalla pace. Ha la tv accesa a casa Pietro Sini. «Vedo le immagini della guerra, quello che sta succedendo nella striscia di Gaza, i bambini morti. Migliaia di morti. E ogni cosa mi riporta indietro di vent’anni. Guardo avanti con lo sguardo fiero, ma vivo la condizione di essere stato lasciato solo».



5.7.19

come lo stato ti iusa per farsi gaggio e poi quando non servi ti butta via e se ti ribelli te la fa pagare .Superstite di Nassiriya restituì la medaglia al valore, ora gli chiedono i soldi del conio

per approfondire
https://www.facebook.com/pietro.sini.52/
Incredibile. Da quando in qua i regali non accettati devono essere rimborsati al mittente? Cioè, metti che uno faccia una proposta di matrimonio e riceva un secco "no", mica chiede indietro i soldi dell'anello. Anche perché la medaglia è stata restituita, quindi il "debito" semmai è già stato pagato col valore stesso dell'oggetto, che può essere rifuso e rilavorato.
è stato usato dallo stato per fare gazzosa e poi quando ha chiesto un ulteriore aiuto per la sua invalidità ha ricevuto porte in faccia.! Allora avendo protestato restituendo la patacca ops medaglia 🥉 gli l'hanno fatta pagare. Quindi Il danno e la beffa. Inqualificabile. Che vergogna, le istituzioni fanno la solita figura meschina nei confronti di quelli che ci hanno rimesso la vita o, come te, l'anno messa a rischio anche nel tentativo di salvare i commilitoni.

Superstite di Nassiriya restituì la medaglia al valore, ora gli chiedono i soldi del conio

L'ex appuntato dei carabinieri di Porto Torres denuncia: «Sono stato colpito per il mio rifiuto»

Pietro Sini mentre restituisce la medaglia al valore

SASSARI. Oltre al danno la beffa. Assume contorni paradossali la storia di Pietro Sini, 55 anni di Porto Torres, appuntato dei carabinieri in congedo dopo l'attentato del 12 novembre 2003 a Nassiriya, al quale scampò per puro caso e che gli valse la medaglia d'oro quale vittima di terrorismo. Una medaglia che lui ha restituito un anno fa al comando generale dell'Arma, in aperta polemica con lo Stato perchè non gli ha riconosciuto l'aggravamento della sua invalidità, ferma al 25%. Ora, però, a Sini - e qui la beffa che lui denuncia - viene chiesto il pagamento del conio: 1.410 euro, graziandola
dell'Iva.«È una cosa assurda - denuncia Sini, che nel frattempo da dato tutto in mano al suo avvocato - sono stato io stesso, a mie spese, a restituire la medaglia portandola fino a Roma. Sono sicuro: questa è una presa di posizione contro di me, perché li ho affrontai pubblicamente». (ANSA)

  da  https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca

4 LUGLIO 201913:34
Superstite di Nassiriya restituisce la medaglia al valore: ora deve pagare il conio
Pietro Sini, 55 anni di Porto Torres, aveva protestato perché non era riconosciuta la sua invalidità e denuncia: "Sono stato punito per il mio rifiuto"


Pietro Sini, 55 anni di Porto Torres, sopravvissuto all'attentato del 12 novembre 2003 a Nassiriya, è rimasto incredulo quando ha ricevuto un atto, firmato dalla Prefettura di Sassari, che gli chiede il pagamento di 1458 euro. Lo Stato con questa somma esige dall'appuntato dei carabinieri, ora in congedo, il risarcimento per le spese sostenute per il conio della medaglia d'oro al valor civile, consegnata dal presidente Napolitano in seguito alla strage nella città irachena. Quella medaglia, però, Pietro Sini l'ha restituita per protestare dopo il mancato riconoscimento dell'aggravamento della sua invalidità.
In un video su Facebook[  lo trovate  sotto  ] 

 l'uomo spiega il suo stupore: "E' una cosa assurda, sono stato io stesso, a mie spese, a restituire la medaglia al comando generale dell'Arma, portandola fino a Roma - spiega - Sono sicuro che questa sia una presa di posizione contro di me, perché ho affrontato lo Stato pubblicamente". 
Sini, a cui è stata riconosciuta un'invalidità del 25% dopo l'attentato, non si arrende. Ha consegnato l'atto al suo avvocato con la speranza di riuscire a evitare almeno il pagamento del conio.


Secondo me Invece di restituirla bastava metterla in vendita e nell'annuncio scrivere : visto che a me ( come agli altri reduci o vedove) reduce di nassyria lo stato è buono solo a dare patacche ma non aiuti veri vendo la medaglia per potermi pagare le cure dovute ai postumi di tale attentato.>>

Forse così lo stato vista malaparata e la figuraccia avrebbe provveduto,almeno credo




1.4.16

Sassari, protesta contro l'Arma:Pietro Sini carabiniere eroe di Nassiriya riconsegna la medaglia d'oro

Premeto che  io sono antimilitarista   e su nassyria  la  penso  in maniera  diversa  dalla retorica   eroica  e trionfalistica  . Ma il gesto  di Pietro Sini

a  tutta  la mia solidarietà  .  Perchè  lo stato  si  fa bello  con i gesti  altrui   e  poi  non ti considera  neppure e  ti scarica    dopo averti usato  . Infatti concordo con quanto dice 

pierolog 01/04/2016 12:32:48
questo signore ha ragione da vendere... L'Italia, molto generosa con i ladri e gli imbroglioni che ci governano, mostra poca gratitudine verso chi ha rischiato lavita per il tricolore

  nel commento  sul sioto dell'unione sarda  da  cui  ho appreso la news



Cronaca » Sassari

Oggi alle 11:41
 Ha riconsegnato medaglia d'oro e onorificenze nelle mani del Prefetto, per protestare contro "l'assoluta indifferenza dell'Arma". Pietro Sini, l'eroe di Nassiriya, reduce dalla strage di carabinieri,
nel 2003, aveva salvato cinque persone ma ada allora è un arrabbiato. Dal giorno del massacro, dice, è stato mortificato e umiliato, per anni, riformato a 47 anni dall'Arma, senza riconoscergli i benefici previsti dalle leggi per le vittime del terrorismo.
Un eroe a gettone: "Nelle commemorazioni per la strage volte mi chiamano, ma molte volte mi ignorano.E a farlo è proprio l'Arma


                                    P.s Se   non lo vedete perchè downloadhelper  non sempre
                                         separa  pubblicità  dalla news  lo  trovate   qui
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 .Quella medaglia non la voglio più".Pietro Sini però dovrà restituire tutto direttamente al Presidente della Repubblica.La Prefettura non ha voluto , ed   aggiungo iio   ha  scaricato  la  patata bollente   alla presidenz  della repubblica  , prendere i suoi riconoscimenti.

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