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28.4.24

ma in iraq non avevano portato la democrazia ? Om Fahad, tiktoker irachena uccisa a colpi di pistola. Era stata condannata per i suoi video «contro pudore e moralità» ed altre storie


   

Om Fahad, tiktoker irachena uccisa a colpi di pistola. Era stata condannata per i suoi video «contro pudore e moralità»


ecco a cosa è servità la guerra contro sadam hussein a portare la democrazia il caso di Om Fahad, tiktoker irachena uccisa a colpi di pistola. Era stata condannata per i suoi video «contro pudore e moralità» .


Om Fahad, tiktoker irachena uccisa a colpi di pistola. © Ansa

Vitale, sorridente, paffuta, vestiti sgargianti: così appariva nei filmati condivisi la settimana scorsa in cui si era ripresa davanti a uno specchio e mentre guidava il suo suv. Ogni video visto centinaia di volte su TikTok. Di Om Fahad, vero nome Ghufran Sawadi, influencer irachena da mezzo milione di follower resteranno immagini gioiose, nonostante venerdì sera uno sconosciuto le abbia sparato a bruciapelo uccidendola mentre era seduta in macchina davanti casa, nel quartiere Zayouna di Baghdad. Quello di Om Fahadnon non è il primo omicidio di una influencer in Iraq. Lo scorso anno a settembre Noor Alsaffar, una tiktoker di 23 anni seguita sui social da centinaia di migliaia di persone, è stata uccisa a colpi di pistola. Cinque anni prima, nel 2018, a cadere sotto i colpi dei killer era stata Tara Fares, modella di 22 anni. Nel Paese inoltre continua ad essere una pratica diffusa il delitto d'onore: l'ultimo a gennaio scorso quando la 22enne star di YouTube Tiba al-Ali è stata strangolata dal padre

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Si tatua una donna nuda sulla pancia, il particolare dell'ombelico lo mette nei guai: lui si toglie la maglietta in vacanza e rischia l'arresto

Farsi fare il tatuaggio più assurdo che possa venire in mente e non avere rimpianti. Nonostante gli sia quasi costato l'arresto. Richard Hart, sessantenne del Galles, ha speso 65 euro per imprimersi una donna nuda sulla pancia per il suo 40esimo compleanno. Fin qui nulla di assurdo, se non avesse però deciso di raffigurarla con le gambe spalancate, con il suo ombelico al centro a rappresentare le parti intime. «Se avessi una sterlina per tutti coloro che hanno chiesto di fare una foto, sarei un uomo molto ricco», ha
detto al Southwest News Service. Tuttavia, durante una vacanza in Spagna quel disegno gli è quasi costato l'arresto. Durante una vacanza a Benidorm, località di mare sulla costa est della Spagna, i poliziotti hanno minacciato Richard Hart di arrestarlo se non si fosse immediatamente rimesso addosso la maglietta, nascondendo quel tatuaggio. «Ero a Benidorm e faceva caldo, mi sono tolto la maglia e sono venuti due poliziotti dicendomi di coprirmi altrimenti mi avrebbero ammanettato», ha ricordato Hart, che è un ex proprietario di bar in pensione.
«Abbiamo litigato un po', poi ho dovuto accettare la loro imposizione. Ho dovuto tenere una maglietta per il resto delle vacanze». La moglie dell'uomo ha raccontato di non essere a disagio con quel tatuaggio, ma «davanti ai nipotini è sempre meglio nasconderlo».

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ELICOTTERO  ATTERRA DAL   BENZINAIO:  DOVEVA FARE   RIFORNIMENTO
Un piccolo elicottero è  atterrato su una strada e  ha fatto rifornimento in una  stazione di servizio in Romania, tra lo stupore di automobilisti e  passanti. È avvenuto a Curtea  de Arges, piccola cittadina in  Romania. Il pilota, un   tedesco, ha spinto l’elicottero,  modello Robinson R44, Fino alla pompa per fare rifornimento. Le immagini  (  a  lato) sono state viste  migliaia di volte sui social, mentre la polizia ha avviato  un’indagine per accertare l’accaduto. Molto   probabilmente il velivolo è  rimasto senza carburante e il  pilota ha deciso di atterrare  alla stazione di servizio più  vicina. Fatto rifornimento, è  decollato, mentre i passanti  filmavano la curiosa scena. 


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Porta a spasso un suricato in piazza Duomo: l’animale assediato dai curiosi che chiedono di fare una foto


I milanesi sono piuttosto abituati a vedere spettacoli fuori dall’ordinario in piazza Duomo, eppure la presenza di un suricato al guinzaglio che passeggiava tranquillamente con i suoi amici umani è riuscita a coglierli di sorpresa: ad accompagnare Timon – che è una femmina e ha preso in prestito il nome del suo famosissimo alter ego disneyano – nella sua escursione nel centro di Milano c’erano Efrem Brambilla, il sindaco di Santa Maria Hoè (nel Lecchese), e sua moglie Eleonora Maria Rizzo.
“Non mi sarei mai aspettato di ricevere un’attenzione del genere. Non riuscivamo a muovere un passo perché tutte le persone che incontravamo volevano accarezzare Timon o farci qualche domanda su di lei – sorride Brambilla – Adulti e bambini, chiedevano informazioni sulla sua età, le sue abitudini alimentari, la sua storia e così via. E lei era perfettamente a suo agio, felice di godersi tutto quell’affetto”.
Qualcuno poi ha riconosciuto in lei il suricato già visto su Facebook, dove Timon è diventata una
piccola star grazie ai numerosi post che Efrem Brambilla le dedica, raccontando la propria quotidianità domestica.
“Sia io sia mia moglie siamo cresciuti circondati dagli animali e li amiamo moltissimo. Eleonora in particolare nutre da sempre una passione per i suricati – continua – Così quando qualche mese fa una delle nostre due cavie Sheltie è morta per un tumore mi è venuto naturale pensare di regalargliene uno. Ovviamente ne abbiamo parlato a lungo prima dell’acquisto, perché ogni animale ha le sue particolari esigenze ed è fondamentale informarsi per conoscerle al meglio prima di farlo entrare in famiglia”.
Nata lo scorso novembre in un allevamento in Veneto, Timon ha trascorso i primi due mesi di vita insieme alla madre e ai fratelli e poi si è trasferita a Santa Maria Hoè.
“In casa abbiamo anche un bulldog francese e una cavia e tutti vivono insieme liberi, anche se ciascuno di loro ha i propri spazi – prosegue – Timon alla sera si accoccola sul nostro petto mentre ci rilassiamo sul divano, mentre di giorno esplora la casa o gioca con Madame Muffin, la nostra cagnolina”.
A cinque mesi, il suricato sta scoprendo il mondo e adora le passeggiate: “L’abbiamo abituata al guinzaglio e lei è felicissima di uscire – conclude il sindaco di Santa Maria Hoè – Quando siamo stati a Milano le ho protetto la punta della coda con uno strato di nastro medico, ma solo a scopo precauzionale, per evitare che raccogliesse germi e sporcizia da terra. È stata benissimo: lo so perché gli animali sono molto bravi a farci capire quando qualcosa li fa sentire a disagio. Basta saperli ascoltare”

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Ginevra, record di nonni e bisnonni per la neonata di quinta generazione: ha anche la trisavola

La città di Roma, tra le antiche mura e gli storici vicoli ci regala una storia familiare meravigliosa. infatti,questa non è stata semplicemente una nascita, ma il culmine di una storia familiare straordinaria che abbraccia cinque generazioni, tutte riunite per celebrare l'arrivo di questa piccola meraviglia.
Ginevra è una bimba fortunata: nata il  7 aprile, ha trovato ad   accoglierla l’amore dei genitori e 
dei nonni, ma anche di quattro   bisnonni e di una trisavola di  92 anni. Un vero “record di  affetti”. Ma
va anche detto   che i suoi genitori sono   giovani per la media  italiana: mamma Chiara  Marchegiani ha 22 anni e   papà Lorenzo Angelini 24   (nel tondo). Racconta Chiara: «Siamo molto felici di iniziare 
questo percorso accompagnati   dall’affetto di così tanti nonni».Insieme ai genitori, che hanno accolto la loro bambina con l’amore indescrivibile che solo una mamma e un papà possono dare, c'è un caleidoscopio di nonni e  bisnonni  , ciascuno dei quali portatore di una parte preziosa di quel legame che unisce il passato al presente e al futuro  .  qui  in qiuesto video ( on sono riuscito ad estrararlo ) di www.leggo.it ulteriori dettagli  su questa grande   famiglia   allargata 

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le  ultime   news  sono      sotto   forma  di  slide  \  foto    non avevo  voglia  di   di  fare  cute  - paste

 






2.9.22

La psichiatra sassarese Laura Fumagalli in Iraq per aiutare i sopravvissuti a un genocidio e La favola di «Nadia Petite»: da Nuoro alle sfilate a Miami

 La psichiatra sassarese Laura Fumagalli in Iraq per aiutare i sopravvissuti a un genocidio
In missione con Medici senza frontiere in un villaggio colpito dall’Isis. «Si portano dentro il ricordo dell’orrore»

 l’agosto di otto anni fa: seicento uomini vengono uccisi a colpi di kalashnikov, le donne rapite diventano schiave e merce di scambio. La piccola stoica minoranza religiosa Yazida, nell’Iraq settentrionale,  vittima di un sanguinoso genocidio da parte dei terroristi dell’Isis. Una tragedia raccontata da “L’ultima ragazza”, il libro del premio Nobel Nadia Murad, che da quell’orrore ; riuscita a salvarsi. Otto anni dopo, Laura Fumagalli ha raccolto, ma in maniera diversa, storie di vite – ancora – strappate alla quotidianità .
Laura Fumagalli (al centro) assieme al resto dell'équipe
impegnata nella missione in Iraq



Laura le ha ascoltate dai letti di ospedale di un piccolo villaggio. I pazienti di fronte, che forse nemmeno sanno di essere tali, e lei, psichiatra, a cercare di capirli e farsi capire in inglese. Laura, 42 anni, di Sassari, rientrata da poco da una missione umanitaria per conto di Medici senza frontiere a Sinuni, in Iraq.  partita lo scorso gennaio, era la sua prima volta. Dice di aver bisogno di qualche mese per metabolizzare l’esperienza.
La cosa più; sorprendente, Laura Fumagalli la dichiara subito:La comunità yazidi \ una minoranza etnoreligiosa che ha subito nel 2014 il genocidio da parte dell’Isis, ma nella loro storia ne ha subiti ben 74. E nonostante ciò continua a essere aperta e disponibile col prossimo. Le persecuzioni continuano, ora hanno gli echi delle bombe. Racconta Laura che durante il suo servizio di sei mesi presso una piccola struttura ospedaliera, ci sono stati due episodi di bombardamenti particolarmente pesanti da parte della Turchia. La prima volta ci è tato dato ordine di evacuare, si stava formando un corridoio di sicurezza ma era notte, una situazione pericolosa, e siamo rimasti nell’ospedale – dice la psichiatra –. La seconda volta è stato bombardato un edificio a un minuto da noi. In entrambi i casi vedevamo i miliziani sparare dai tettiLa guest house di soccorso era per\u0026ograve; marchiata Medici senza frontiere: I bombardamenti erano precisi, fatti coi droni, per questo sul tetto avevamo il logo cosi' da evitare di diventare un target direttLaura era l’unica italiana nella equipe di assistenza formata da medici di tutto il mondo, da Inghilterra, Francia, Svizzera, Germania e Grecia nel gruppo europeo, da Congo, Nigeria, Tanzania e Camerun in quello africano. Laura definisce la sua esperienza  e in quell’aggettivo ci sono situazioni vissute estremamente profonde. Ho visto una comunità molto forte, unita purtroppo nella tragedia. Il momento peggiore arrivava quando bisognava comunicare le patologie croniche, ma ho trovato persone che cercavano sempre di reagire, senza perdere la speranza o farsi sopraffare dallo sconforto. Un atteggiamento diverso rispetto a quello degli occidentaliCi sono quelle che restano impresse più di altre. Il camice da psichiatra costringe a guardare le cose dall’alto. Raccontarle ora significa invece rivestirle di emozioni: Molti non si sono ripresi dal genocidio. Una ragazza – ricorda Laura Fumagalli – era rimasta prigioniera dell’Isis per tre mesi e quando riuscita a tornare a casa era completamente psicotica. Era libera ma segnata nell’animo. Poi mi ha colpito moltissimo il caso di un uomo con disturbo post traumatico da stress: lui \u0026egrave; riuscito a scappare nelle montagne ma ha visto e vissuto cose che lo hanno segnato per sempre. Quando le famiglie fuggivano – racconta Laura – non avevano modo di portare nulla e alcuni lasciavano per strada i neonati. Quest’uomo continua ad avere gli incubi legati proprio a quell’immagine, dei bambini abbandonati nella fuga. E quest’uomo è  riuscito a buttare fuori i propri demoni attraverso le sedute psichiatriche, ma l’aiuto \u0026egrave; su tutti i fronti, sul campo ci sono diverse Ong e ognuna d\u0026agrave; il proprio apporto. Ci sono le sedute, i farmaci, la psicoterapia, l'ospitalita' il cibo. Un lavoro di squadra con l’obiettivo di rimettere insieme i pezzi di vite strappate. La domanda più; secca: ripartirebbe per una missione umanitaria? La risposta lo è ancora di più 




6.11.13

strage di nassyria dieci anni dopo parlano 5 vedove

Voglio proporre  , anticipando quel fiume di retorica  e  becero nazionalismo   che  ci sarà   tra qualche giorno  per  il deccenale  dei fatti di nassyria  un articolo interessante senza quella  retorica ( almeno da parte della giornalista ) che invaderà tra qualche giorno i media internet compreso . Un articolo che ho giudicato  come : << un articolo pessimo perchè non viene , come sempre si parla di nassyria , di Adele Parillo compagna del regista morto con i militari .ma solo delle vedove di militari . >> Ma  poi  la  risposta  della giornalista Emanuela Zuccalà   di io donna del corriere del  a sera su una bacheca  di un amica  comune  che aveva  condiviso  l'articolo  : << 


.Emanuela Zuccalà Avrei tanto voluto intervistare anche Adele, perche' conosco bene la sua storia. L'ho cercata, ci siamo parlate, e lei con grande gentilezza e sincerita' mi ha spiegato perche' non se la sentiva di comparire. Cosi' anche la vedova di Marco Beci, l'altro civile vittima della strage.

Giuseppe Scano Grazie delle informazioni.leggero con vivo interesse l.articolo mi scuso x giudizio affrettato


>>

 mi ha indotto   a rileggermi l'articolo   che sotto  riporto   e quindi a cambiare  giudizio espresso a caldo   ed   ritornare  ed  a rafforzare la mia opinione che  m'ero fatto  su tale evento   che ho  appreso sia   corrispondendo  via fb  con Adele  Parrillo     sia  leggendo  ( oltre  che a sentirli  quandoi erano venuti a presentare   qui a tempio il libro  )    20 sigarette  a  nassyria  . Un libro  che  si legge in un ora per la fluidità e schiettezza con cui è scritto ( anche se io , causa tristezza , piangevo ad ogni pagina ci ho messo 2 giorni ) da cui l'autore ha tratto il film omonimo http://it.wikipedia.org/wiki/20_sigarette

DIECI ANNI DOPO

Noi, vedove di Nassirya

Il 12 novembre 2003 un camion-bomba devastò la base Maestrale causando una strage. Come ha trascorso questo decennio chi, quel giorno, vide saltare in aria il proprio amore e la propria vita?

di Emanuela Zuccalà - 28 ottobre 2013



8.40, 12 novembre 2003. Alessandra e Monica lavorano. Paola va in palestra, Miriam alle prove in teatro, Margherita dal pediatra. A 4mila chilometri, un camion-bomba uccide i loro mariti, carabinieri in missione in Iraq. Sono passati dieci anni dalla strage alla base Maestrale di Nassiriya: 19 morti italiani (12 carabinieri, 5 soldati e 2 civili), 9 iracheni, 19 feriti gravi. Dieci anni di memoria collettiva a fasi alterne. E di inchieste: l’ideatore dell’attacco viene impiccato in Iraq; tre alti militari italiani, accusati di non aver difeso la base, sono assolti. I familiari di 7 vittime si costituiscono parte civile e la Cassazione riconosce il loro diritto a un risarcimento. Ma com’è trascorso il decennio nel privato di chi, quel giorno, ha visto saltare in aria il proprio amore e la propria vita? 

PAOLA COEN GIALLI

69 anni, moglie del maresciallo luogotenente Enzo Fregosi
«Un ragazzo atletico si tuffava da un trampolino altissimo, in uno stabilimento qui a Livorno: si accorse del mio sguardo affascinato e, con la classica scusa del fiammifero per la sigaretta, mi si avvicinò. Era il 1972. Io mi ritengo fortunata: ho avuto il tempo di godere di mio marito, i miei figli hanno imparato tanto da lui ed Enzo è morto nel pieno del suo vigore, senza invecchiare. Lo so, le suona strano ciò che dico...». Paola è livornese; Enzo, di La Spezia, è stato fra i fondatori del Gis, il Gruppo di intervento speciale dei carabinieri. Nel 2003 aveva 56 anni ed era comandante del Nas: «Voleva concludere la carriera in bellezza, con una missione all’estero. Del suo corpo non è rimasto nulla». Restano i bei ricordi e tre oggetti da cui Enzo non si separava mai, ma prima di partire per l’Iraq li ha lasciati a casa: «Oggi io ho la sua fede nuziale, mio figlio Pietro la catenina e mia figlia Allegra un anello». L’immagine più nitida del 12 novembre è di lei che corre su un’auto dei carabinieri a sirene spiegate, per raggiungere la figlia a Firenze prima che apprenda la notizia della morte del padre dalla televisione. Oggi Paola è fra coloro che si sono costituiti parte civile al 

processo e sperano nella medaglia d’oro. Ha un solo rimpianto: «Nella base vivevano in condizioni durissime, la chiamavanoAnimal House, tanto era malmessa. Lui però non faceva trapelare nulla e io al telefono gli parlavo di stupidaggini, dei nostri cani, delle feste di compleanno...». Solo ora Paola si commuove.



ALESSANDRA SAVIO 
51 anni, moglie del maresciallo Filippo Merlino

«Non sentivo nulla, come se mi fosse colato addosso del ghiaccio. Di quei giorni ricordo solo mio padre che mi accarezza i capelli e Miriam (moglie di Daniele Ghione, ndr) che grida ai funerali. Per un anno ho atteso che lui entrasse da quella porta». Sulla porta una targa recita La casa di Penelope, ma oggi l’attesa di Alessandra è un’altra: quella della medaglia d’oro al valor militare. «L’hanno promessa allora, mi appello al presidente della Repubblica perché ce la conceda. E l’ultima sentenza della Cassazione fa finalmente luce su responsabilità e omissioni. Nassiriya è il nostro 11 settembre: un attacco all’Italia. I caduti meritano questo riconoscimento ». Alessandra incontra Filippo a 15 anni. Corre in motorino e lui, carabiniere lucano di stanza al Nord, la ferma. La corteggia, la sposa nell’85. Abitano a Viadana, nel Mantovano. Cinque anni dopo nasce Fabio, affetto da un’atrofia muscolare che lo costringe in sedia a rotelle. «Filippo alternava il comando della caserma alle missioni all’estero per poter costruire una casa su misura per lui». Ma alla vigilia dell’Iraq appare insolitamente teso. 
Le dice: «Non sarà una missione come le altre». «Rinuncia» abbozza lei. Filippo è lapidario: «Non posso». «L’ho visto per l’ultima volta il 13 luglio 2003, era il mio compleanno e lui ci raggiunse a Ischia per festeggiare». Fabio oggi è impiegato nella caserma di Viadana, la stessa del padre, ed è solare e positivo nonostante la disabilità. Lei ancora rabbrividisce alla parola vedova: «Di Filippo Merlino, io sono la moglie».


MARGHERITA CARUSO 
43 anni, moglie del brigadiere Giuseppe Coletta


«Si amavano da quando erano ragazzini ad Avola, in Sicilia, e nel ’97 avevano condiviso la sofferenza più atroce, la morte per leucemia del primo figlio Paolo, a sei anni. «Negli occhi dei bambini che incontrava nelle missioni all’estero, lui ritrovava Paolo. Aiutandoli, leniva il suo dolore ». Ma l’11 novembre del 2003, quando Giuseppe telefona come ogni sera, lei lo avverte freddo, distante. «Mi sono svegliata all’alba con un groppo in gola, finché le notizie hanno iniziato a rincorrersi... Mi guardavo allo specchio e non mi vedevo, tanto era lo strazio». Margherita ha una fede cattolica granitica, in quelle ore tremende dichiara il perdono per gli assassini del suo amore e spedisce incubatrici all’ospedale di Nassiriya. «Mi davano della pazza, ma io dovevo rispondere a quell’atto inumano con l’amore, altrimenti sarei morta». Torna ad Avola con la seconda figlia, che oggi ha 12 anni, e finanzia un orfanotrofio in Burkina Faso. Scrive due libri (con Lucia Bellaspiga, 
edizioni Ancora: l’ultimo è Nassiriya fonte di vita ). «Tre anni fa mi sono trasferita a Roma, ad Avola ero cristallizzata nel ruolo di “vedova di”, e io volevo tornare a vivere». Oggi ha un compagno. «È un amore grande che convive con quello per Giuseppe, mi batte ancora il cuore per lui». Lei non si è costituita parte civile al processo: «Non avrei potuto mettermi contro l’Arma, Giuseppe era tutt’uno con la divisa, si è fusa con la sua pelle, quando è saltato in aria. È un eroe non per com’è morto, ma per come ha vissuto».


MIRIAM AGRESTA 
36 anni, moglie del maresciallo capo Daniele Ghione

«E' difficile scindere i ricordi di lui da ciò che è accaduto dopo: così forte, così pesante». Daniele aveva 31 anni e Miriam 26, la più giovane delle vedove di Nassiriya. Quella che, ai funerali di Stato nella Basilica di San Paolo a Roma, gridava come impazzita per un disguido sui posti a sedere. Aveva gridato anche il 12 novembre, dopo ore a sentirsi dire che suo marito era disperso. Infine la notizia, lei scagliava via il telefono, dava pugni al frigorifero. Piombava in un buco nero, e ha lottato a lungo per riemergere. Lei e Daniele erano di Finale Ligure, Miriam aveva scelto Roma per la sua carriera di ballerina, mentre lui era assegnato al reggimento di Gorizia. «Stava chiedendo il trasferimento a Roma. Non ha fatto in tempo». Lei schiva rabbiosa le interviste, e lascia subito il mondo dello spettacolo. «Non esisteva più la ragazzina che viveva in una favola con il suo principe azzurro. Sono cresciuta di colpo e mi sono indurita». E si tiene fuori dai processi. «Mi sarei fatta del male» dice. Oggi insegna ginnastica ed è tornata a Finale. Il suo compagno è carabiniere, anche lui, e conosceva bene Daniele. Hanno una bimba di quattro anni. «Le parlo dello zio Daniele, la porto al cimitero, e lei chiama nonni i suoi genitori. Lo so, è difficile da comprendere, ma anche se ho una nuova vita, io sarò sempre la signora Ghione». 
In sala, accanto alla foto della sua nuova famiglia, c’è un primo piano di Daniele. Guardandolo, la tensione di Miriam si scioglie in un sorriso.



MONICA CABIDDU 
42 anni, moglie dell’appuntato Andrea Filippa
«
Poco tempo prima avevo sognato che una bomba dilaniava il suo braccio destro. All’obitorio, sollevando il lenzuolo e vedendo che l’unica parte offesa era proprio quella, ho avuto un brivido». Quella mattina Andrea Filippa era di guardia alla base Maestrale, protetto da sacchi di sabbia, solo il braccio destro era scoperto, per sparare al camion-bomba. Senza le sue raffiche di mitra, il mezzo sarebbe penetrato all’interno distruggendo più vite. «Andrea ha solo fatto il suo lavoro» sussurra Monica, che lo amava da 11 anni e, dalla loro Torino, lo aveva seguito a Gorizia. Lui era nel 13° Reggimento dei Carabinieri, specializzato in missioni all’estero; lei faceva l’insegnante di sostegno. «Era stato in Bosnia, Kosovo, Eritrea. Ma quando mi ha annunciato l’Iraq, non ho parlato per tre giorni, qualcosa mi si era già spezzato dentro». Andrea è stato l’ultimo a essere ritrovato nella base sventrata, «Un burlone, fino alla fine...». All’inizio Monica non mangia, non vive. Finché incontra un altro carabiniere, sta indagando sull’attentato, è



un uomo rassicurante, e lei lentamente torna ad assaporare sentimenti ed emozioni. Oggi continua a insegnare e vive con il compagno a Ladispoli, vicino a Roma: «Volevo il mare». A lei la medaglia d’oro non interessa. «Lo Stato mi ha già accudita molto e tanto lui non torna». In salotto, le altre medaglie ricevute dal marito sono in una vetrina, accanto a una foto di lui in divisa, con la frase dei loro momenti difficili: «Se mi ami, non piangere».

10.8.08

Le guerre nel Mondo. Iraq: per non dimenticare mai!

La guerra in Iraq continua senza sosta.

I morti fra civili inermi innocentie e le varie armate che combattono, non si contano più. I media, le informazioni sono celate, nascoste dai "potenti della terra". Si muore ancora, si muore in tanti con l'indifferenza quasi totale dal resto del mondo.

Questo video che ho realizzato è un piccolo contributo "per non dimenticare".

Sensibilizzare i politici del nostro strano Paese? Certo! ma penso che la teatralità mediatica messa in campo in questi anni, abbia portato molta parte degli italiani a seguire in modo più menefreghista, con le trasmissioni "prendi tempo e non dici nulla", come "il grande fratello", "l'isola dei famosi", "buona domenica", e le tante soop o trasmissioni della coppia De Filippi-Costanzo.

Grazie Amici per la Gentile attenzione e... abbiate sempre presente che "i ricchi e potenti con le mani sporche di sangue", non stanno dando nessuna tregua. La prossima potrebbe essere la nostra nazione, ancora peggio un conflitto con giochi d'interessi da portare alla terza guerra mondiale. Non è fantascienza, basta pensare all'abbattimento delle "Torri Gemelle" e alle reali responsabilità... ma tutto tace perchè il denaro compra tutto. Tutto!? Guardatevi le Olimpiadi... meglio non pensare al brutto che ci circonda, all'orrendo che capita in Cina... meglio comportarsi con il gioco che ci hanno insegnato i potenti: fare come gli Struzzi.

Con Amicizia e Rispetto

Gentleman (Morris)


21.6.08

La scelta di Washington: sottomettere l'Iran, assicurarsi l'Iraq

opendtheme2_logoGli Stati Uniti stanno affrontando decisioni militari e politiche chiave nei confronti di un aspro avversario, l'Iran, e di un avversario resosi alleato, l'Iraq. Il loro esito avrà importanti conseguenze sul futuro a breve e medio termine sia per il Medio Oriente che per gli stessi Stati Uniti.
La decisione relativa all'Iran, in sostanza, è se e quando entrare in guerra nel tentativo di contrastare e/o annullare lo sviluppo delle centrali nucleari iraniane. I segnali che questa prospettiva sta ritornando ad un'attiva considerazione da parte della Casa Bianca si accumulano da settimane. (Paul Rogers)

Continua su Le coordinate galat(t)iche.

19.3.08

Cinque anni di vergogna

Oggi 19 marzo, non è solo la festa del papà, ma anche il giorno in cui cinque anni fa è iniziata la guerra in Iraq. Bush ha tenuto anche un discorso, sinceramente non l'ho ascoltato e non voglio nemmeno ascoltare le sue bugie. Una canzone dei Green Day dice: "Desidero sognare e differire dalle menzogne insensate. È il tramonto del resto della nostra vita (alba) In vacanza... Questo è il resto della nostra vita... in vacanza!" quindi Bush racconta le tue bugie a qualcun altro, io vado in vacanza! Ormai ci abituiamo a tutto... schifezze e guerre... non ci incazziamo più... peccato che io non dimentico niente e nessuno (sennò che rompicogliona sarei) quindi per ricordare questi tristi anni di guerra e i morti (americani e non)  scrivo una serie di blog interessanti, tutte di donne:

da Bagdad, studentessa di 16 anni: http://livesstrong.blogspot.com 


da Bagdad, donna di 40 anni: http://arabwomanblues.blogspot.com


da Mosul, studentessa di ingegneria di 20 anni: http://astarfrommosul.blogspot.com


Leggere per capire cosa significa vivere in una guerra!

4.3.08

mammografia

Il sito on-line della ricerca contro il cancro al seno e' in difficolta' perche' non ci sono abbastanza persone che accedono al sito ogni giorno per raggiungere un numero di accessi che permetta loro di ottenere, dagli sponsor, una donazione per almeno una mammografia gratis per donne che non se la possono permettere. Ci vuole meno di un minuto per andare sul sito e cliccare sul bottone 'donating a mammogram'  SENZA NESSUNA SPESA. (E' il bottone rosa nel mezzo della pagina con scritto it's free)

Non vi costa nulla. Gli sponsor che sostengono il sito usano il numero di accessi giornalieri per donare una mammografia in cambio della pubblicita' che appare sul sito.



Questo e' il sito. Fate girare tra la gente che conoscete.
http://www.thebreastcancersite.com/


Fatela girare...


PS: ho messo apposta tag molto popolari per captare l'attenzione di più persone possibile...non me ne vorrete male, vero?! ...è a fin di bene!

20.11.07

Almost 50 years

Saigon

Dreams of sorrow
That tomorrow
Will be gone.
Tomorrow Sun
Will shine upon
Afghanistan,
Another attack
And it's Iraq.
This rhyme is over
But War not.
War is not over




12.5.07

Senza titolo 1820

Un archivio di disperazione



scritto da topoandrea il venerdì, 11 maggio 2007,22:46


Saad EskanderSaad Eskander lavora per proteggere la Biblioteca [Nazionale] dell’Iraq dalle bombe e dalla muffa. Saad Eskander è seduto alla sua scrivania color cioccolato, un'altra giornata in un posto promettente ma abbandonato.Dalla finestra rotta del bagno situato al piano superiore della Biblioteca e Archivio Nazionale dell'Iraq, di cui è direttore, la luce del sole penetra attraverso i fori causati dai proiettili. Al piano inferiore, le interruzioni di corrente hanno danneggiato i libri. La mattina del 5 marzo scorso, il direttore ha dovuto dire addio a un impiegato che, in seguito dell’uccisione del fratello, aveva deciso di lasciare la città.Alla destra del direttore, alcune vetrinette custodiscono i libri e i manoscritti più preziosi dell’edificio. Alla sua sinistra, delle grandi vetrate si affacciano sul mondo esterno. Alle 11.40 del mattino i vetri tremano. “Succede tutti i giorni”, spiega Eskander con voce dura. Si alza con calma e guarda dalla finestra la nebbia di fumo nero e carta bianca che si alza verso il cielo, a circa mezzo miglio di distanza. “Ce ne sono state di più ravvicinate. Ormai ho perso il conto delle bombe”.Dopo l’invasione del 2003 guidata dagli Stati Uniti, gli sciacalli hanno saccheggiato e bruciato la biblioteca. Oggi, alla vigilia del quarto anniversario della caduta di Saddam Hussein e dopo il lancio di nuove misure di sicurezza, Eskander e il suo staff stanno lottando per conservare i frammenti dell’antico patrimonio dell'Iraq, in un luogo che definisce“la memoria storica del Paese”.“Ciò che fa sì che un kurdo, o un sunnita, o uno sciita abbiano qualcosa in comune è una biblioteca nazionale", dice. "E' dove inizia l’identità di una nazione”.Oggi la biblioteca pullula di giovani dipendenti. Religione e politica vengono lasciate fuori. Ma i progressi della biblioteca stanno venendo rallentati dalle stesse forze che stanno facendo a pezzi l’Iraq: violenza, burocrazia, settarismo confessionale, rivalità politiche, e una mancanza di servizi di base.Eskander si allontana dalla sua scrivania, in cui conserva come ricordo alcune schegge di proiettili di mortaio, e controlla le vetrinette. "Stai lontano dalle finestre", raccomanda.Guarda di nuovo il fumo che si espande in lontananza. “Penso che venga da Mutanabbi Street”, dice.Mutanabbi Street era il cuore intellettuale di Baghdad, brulicante di librai e amanti della lettura. Eskander ci andava spesso per arricchire la collezione della biblioteca. Poco dopo apprende che l’autobomba che ha appena sentito fuori ha ucciso almeno 26 persone, tra cui un libraio che conosceva.Quindi, per tutelare il suo staff, ordina alle sue guardie di non far uscire nessuno dall'edificio. Dalle finestre, guarda le ambulanze che passano. Nei giorni seguenti, scriverà i suoi pensieri in un diario online.

 
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23.3.07

Senza titolo 1713



Un terzo dei bambini iracheni malnutriti



“Caritas Internationalis” e Caritas Iraq affermano che i tassi di malnutrizione sono aumentati in Iraq dal 19% del periodo precedente l’invasione del Paese da parte delle forze guidate dagli Stati Uniti alla media nazionale del 28% di quattro anni dopo. La Caritas sostiene che la fame in aumento è provocata dagli alti livelli di insicurezza, dal collasso del sistema sanitario e di altre infrastrutture, dalla maggiore polarizzazione tra sette e tribù diverse e dall’aumento della povertà. Più dell’11% dei bambini nasce oggi sottopeso in Iraq, di fronte al 4% del 2003. Prima del marzo 2003, l’Iraq aveva già un tasso di mortalità infantile significativo dovuto alla malnutrizione a causa delle sanzioni internazionali imposte al regime dittatoriale di Baghdad. Caritas Iraq ha attivato una serie di cliniche per il benessere dei bambini nel Paese. Attualmente fornisce alimentazione supplementare a 8.000 bambini fino agli 8 anni di età e alle neomamme. Le cliniche della Caritas aiutano i più vulnerabili, e la crisi sanitaria che affrontano è ben peggiore della media nazionale. Il contesto di insicurezza in cui lavora è inoltre ad alto rischio. Secondo Claudette Habesch, Presidente di Caritas Medio Oriente-Nordafrica, “il conflitto settario e tribale infetta quotidianamente la vita in Iraq. Le scuole primarie e secondarie, gli ospedali, la polizia, il Governo sono tutti divisi. Non si può nemmeno andare al supermercato senza la paura di non tornare”. continua  su  zenit e  su  Blogfriends


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