E' stato testimone della strage di Nassiriya: segnato dall'orrore, ora denuncia: "Lo Stato mi ha abbandonato" Udine: a 15 anni dall’attentato, l’appuntato scelto Luigi Coltraro (ora riformato) continua la battaglia per ottenere i benefici

  Sulla storia  che leggwerewte  nelle  righe successive  ho  avuto  uno scontro    su un forum 

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Io 
Era un volontario. Non può piangere dopo.Allora tutti possono, in qualsiasi lavoro, avanzare le Sua richieste e altre ancora.
Ha voluto la bicicletta e adesso .........

*****
Mi auguro solo che chi ha commentato con: "era un volontario...ha voluto la bicicletta....finito i soldi e piangono...o peggio elemosinare soldi", nonché minchiate simili, non abbiano figli, genitori o parenti che fanno il LAVORO che ha fatto Luigi finché lo "statucolo tagliano" non ha deciso di metterlo in disparte in quanto si è messo a combattere per cercar di far valere I SUOI DIRITTI per aver fatto il SUO DOVERE!! Vorrei inoltre vedere se al posto di Luigi, semplice Appuntato Semplice, fosse successo a un pluri-stellato generale se lo "statucolo" avrebbe agito in modo simile.

IO
"Vittime del dovere" e partecipazione volontaria ad una missione sono concetti in forte antitesi tra di loro.  Inoltre  un militare può sia chiedere, di partecipare, oppure venire comandato, assegnato, alle operazioni fuori area. e si può anche rifiutare di partire ,  senza  che  io sappia ,  conseguenza penali   e  legali  .

Nessuna  riposta     evidentemente   non sa  consa replicarmi 


E' stato testimone della strage di Nassiriya: segnato dall'orrore, ora denuncia: "Lo Stato mi ha abbandonato"
Udine: a 15 anni dall’attentato, l’appuntato scelto Luigi Coltraro (ora riformato) continua la battaglia per ottenere i benefici
                    di Luana de Francisco

UDINE.
A lungo, nelle sue interminabili giornate scandite da attacchi di panico e insonnia, aveva pensato di farcela. «Prima o poi passerà», si diceva, soffocando il turbamento e tentando di restituire una patina di normalità alla propria vita, in casa e al lavoro.
Il rimbombo dei cannoni e l’odore dei corpi dei commilitoni straziati dall’esplosivo assassino, alla base militare “Maestrale” di Nassiriya, invece, non lo hanno mai abbandonato.



E allora, nel momento in cui l’appuntato scelto dell’Arma dei carabinieri Luigi Coltraro, classe 1971, residente con la famiglia a Udine, ha deciso di squadernare il passato e di pretendere a propria volta i benefici previsti dalla legge sulle “Vittime del dovere”, invece di trovare la pace cercata, ha imboccato una via crucis che ha finito non soltanto per negargli qualsiasi indennizzo, ma anche per riformarlo dal servizio.
Collocato a riposo, per quello stesso «disturbo post traumatico da stress cronico» diagnosticatogli al rientro dalla missione “Antica Babilonia”, ma giudicato dal Comando slegato dall’esperienza irachena.
«Ricordo ancora i servizi giornalistici in cui si dava risalto alla solidarietà dei vertici dello Stato e dell’Arma dei carabinieri ai loro eroi. Ora che i riflettori si sono spenti, cosa siamo diventati?»
Nel flusso inarrestabile di parole di Coltraro, la rabbia si mescola all’amarezza. La tragica mattina del 12 novembre 2003 - data scolpita nelle pagine più buie della storia d’Italia, insieme ai nomi dei 19 connazionali morti nell’attentato -, lui si trovava davanti alla porta dell’edificio degli alloggi, pronto a dare il cambio della guardia nella postazione che gli era stata assegnata.
«L’onda d’urto mi investì in pieno – racconta – proiettandomi all’indietro per alcuni metri. La violenza fu tale, che i prefabbricati si sollevarono dai plinti, spostandosi». La scena che gli si parò davanti agli occhi dopo l’esplosione dell’autocisterna kamikaze fu agghiacciante. Eppure, per lui e gli altri sopravvissuti lo stato di allerta sarebbe continuato.
«Il nostro rientro fu ritardato – continua –, perchè non si trovavano sostituti». E fu proprio in quella coda di missione che il carabiniere friulano si infortunò: una lussazione a una spalla conseguente alla caduta da un blindato durante un controllo notturno.
Poi, finalmente, il rientro in Italia, al 13° Reggimento di Gorizia, ma anche l’inizio di una profonda sofferenza psicologica.
«Mi sognavo chiuso in una bara – ricorda – e per proteggermi dagli incubi, forse inconsapevolmente, evitavo di dormire. Chiesi di essere assegnato al Nucleo radiomobile di Udine, pensando che l’adrenalina del pronto intervento potesse compensare gli scompensi. Nell’agosto del 2013, tuttavia, arrivò il crollo: difficoltà a respirare, claustrofobia e agorafobia, sudorazione».
In una parola, attacchi di panico. Una malattia che, seppure affrontata con la dovuta terapia, finì per mettere un punto alla carriera professionale di Coltraro. Ma senza, di contro, riconoscergli alcuna forma di ristoro economico.
«Al disagio interiore, a quel punto, si sono aggiunti i ritardi e le assurdità della burocrazia – afferma –. Compresa quella di chiedermi di dimostrare la mia reale presenza sul luogo dell’attentato. E gli infruttuosi rimpalli da una commissione medica all’altra, da Padova a Roma. Lecito, allora, sospettare che stessero perdendo, o magari prendendo tempo».
A scendere in campo, per assisterlo in chiave legale, allora, sono stati gli avvocati Lorenzo Reyes e Camilla Beltramini.
«Vergognoso»: questo l’aggettivo adoperato nella memoria difensiva presentata alla Prefettura di Udine, nel febbraio 2017, per qualificare il parere negativo espresso dal “Comitato di verifica per le cause di servizio” all’istanza di accesso ai benefici per le lesioni conseguenti all’infortunio (la caduta dal blindato).
Non meno «incomprensibile», a parere del dottor Luca Brambullo, consulente psicologico della XIII legione carabinieri Fvg, il rigetto dell’ulteriore domanda presentata in relazione al «disturbo postraumatico da stress cronico» che lui stesso aveva “certificato” come «chiaramente riconducibile ai drammatici fatti bellici» in Iraq.
Alla fine, a vincere la battaglia amministrativa (o almeno, i suoi primi round) sono stati loro, lo Stato e l’Arma da cui ora Coltraro si sente irrimediabilmente abbandonato.
«Hanno riaperto ferite che credevo chiuse – conclude, deluso oltre ogni limite –. E dopo due anni senza stipendio, avendo rifiutato la riforma nella speranza di essere rimesso in servizio, ho accettato la quiescenza. L’ho fatto per amore per la mia famiglia, per evitare loro ulteriori disagi e sofferenza».


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