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30.1.22

Accolta dai talebani una giornalista neozelandese incinta che non riusciva a rientrare nel suo paese per le regole anti-Covid

   canzone  suggerita
Guns N' Roses - Don't Cry

anche i duri , i fanatici \ fondamentalisti hanno un cuore anche hanno un cuore . Tale gesto sarà pure propaganda per mostrarsi democratici all'occidente ed al resto del mondo , ma è un bel gesto.  

Ed  è  quello     che  è  successo     recentemente   a questa  giornalista   Neozelandese 


Accolta dai talebani una giornalista neozelandese incinta che non riusciva a rientrare nel suo paese per le regole anti-Covid 



Charlotte Bellis in una foto dal suo profilo Instagram
  Charlotte Bellis, collaboratrice del New Zealand Herald ha raccontato la sua paradossale vicenda. Aveva denunciato il trattamento riservato da Kabul alle donne, ma ora è stata aiutata. Unico consiglio: "Non dire che non sei sposata"


 






di   Enrico Franceschini

LONDRA - Una giornalista incinta neozelandese costretta a chiedere asilo al regime dei Talebani in Afghanistan perché le severe norme sulla quarantena le impediscono di tornare nel suo paese. È la paradossale vicenda raccontata dalla protagonista, Charlotte Bellis, in un blog sul giornale a cui collabora, il New Zealand Herald. "Una brutale ironia che, dopo avere criticato i talebani per il modo in cui trattano le donne, io debba rivolgere accuse simili alle autorità del mio governo", scrive la reporter. "Quando sono i talebani a darti rifugio, capisci che la tua situazione è un po' strana".


                    sempre  dal  suo  istangram    https://www.instagram.com/p/CZSRlVysIQF/

La Nuova Zelanda è riuscita a mantenere al minimo la diffusione del Covid, con solo 52 vittime su una popolazione di cinque milioni di abitanti. Ma le regole che impongono anche ai propri cittadini che rientrano in patria una quarantena di 10 giorni in isolamento in alberghi controllati dall'esercito hanno creato una lunga lista d'attesa fra quanti vogliono tornare a casa dall'estero. Come nel caso della cronista in questione

Ora come dimostra questi due   articoli sempre di repubblica :   <<  Afghanistan, i talebani reprimono la manifestazione delle donne usando spray al peperoncino >>  di Pietro Del Re del 17 Gennaio 2022 e    << Nel nascondiglio inglese delle calciatrici di Herat: “I talebani ci odiano volevano lapidarci” >> di Antonello Guerrera del 23\1\2022  non    sono     per  niente  democratici    verso le  donne   ed  il  gesto potrebbe anzi meglio  è solo  propaganda   .  Forse perchè   sempre  secondo  repubblica  del  30\1\2022  

Lo scorso anno Bellis stava lavorando per Al Jazeera, la rete televisiva di news del mondo arabo, seguendo il ritiro delle truppe americane dall'Afghanistan quando attirò attenzione internazionale per le sue critiche ai talebani sul trattamento delle donne. Trasferitasi in Qatar, ha scoperto di aspettare un bebè, descrivendo la gravidanza come "un miracolo" perché i medici le avevano detto in precedenza che non avrebbe potuto avere figli: dovrebbe partorire una bambina nel maggio prossimo.
Allora ha dato le dimissioni da Al Jazeera e con il fidanzato Jim Huylebroek, un fotografo freelance per il New York Times, si è spostata in Belgio, paese di cui quest'ultimo è originario. Ma non aveva un permesso di residenza e così ha scoperto che l'unico paese per il quale avevano entrambi un visto era l'Afghanistan. Così ha presentato richiesta ai talebani che nonostante le sue passate critiche al regime l'hanno fatta entrare a Kabul senza problemi, con una sola avvertenza: "Limitatevi a dire a tutti che siete sposati e se ci sono difficoltà avvertiteci. Non preoccupatevi". Nel frattempo ha presentato 59 documenti al governo neozelandese per ottenere un rimpatrio d'emergenza, ma la richiesta è stata respinta. Dopo la pubblicazione del blog e l'eco che ha suscitato, riferisce il Guardian di Londra, un portavoce governativo l'ha contattata, indicando che la sua richiesta non esaudiva la condizione di un trasferimento entro 14 giorni e invitandola a ripresentarla. A questo punto la pratica sembra essersi messa in moto ed è possibile che potrà rientrare in Nuova Zelanda. Dove nessuno, evidentemente voleva sembrare meno attento dei talebani sui diritti delle donne.

27.11.21

anche con la cultura si può fare la rivoluzione il caso di Agnese vittoria trans, nella sua tesi di laurea racconta i diritti negati e le donne afgane



da repubblica  del  27\10\2021

“Sono Agnese e sono trans, nella mia tesi di laurea racconto i diritti negati”
                                      di Salvo Palazzolo

Agnese Vittoria


CATANIA - "Quando arrivai in città per frequentare l'università nessuno voleva affittarmi una stanza", racconta. "Al telefono, mi dicevano che il posto era disponibile. Poi, quando mi vedevano, sostenevano l'opposto". Agnese Vittoria ne ha fatte tante di battaglie contro le discriminazioni. All'anagrafe ha ancora un nome maschile, ma rivendica quello che chiama il suo "diritto a una vita normale".
Dopo l'iscrizione alla facoltà di Scienze della comunicazione, ha chiesto al senato accademico un libretto col suo nome. L'ha ottenuto?
"Certo. Un gesto di grande attenzione da parte dell'istituzione universitaria. Direi, un caso raro. Perché spesso le istituzioni sono indifferenti rispetto a certi temi. O, peggio, non comprendono. Questa volta no, è stato colto il mio disagio davanti a quel libretto col nome maschile: a ogni esame provavo un grande imbarazzo a essere chiamata davanti a tutti".
Martedì si è laureata con una tesi in sociologia. Ha passato in rassegna le discriminazioni che troppo spesso vengono lanciate da uomini delle istituzioni, politici e operatori dell'informazione. Ci fa qualche esempio?
"Ho voluto trasformare la mia tesi in un momento di impegno, per far comprendere a tutti cosa accade nell'indifferenza generale. Sono grata al professore Davide Bennato, che mi ha sostenuto nella ricerca sulle violenze omofobe in Europa e negli Stati Uniti, violenze che continuano a esserci nonostante leggi e diritti approvati. Un esempio ad alto livello? L'ex presidente Donald Trump, disse: "Farò tutto ciò che è in mio potere per proteggere i nostri cittadini Lgbt dalla violenza e dall'oppressione di un'odiosa ideologia straniera". Come se la comunità Lgbt+ fosse vittima solo dell'integralismo islamico".
Mi dica un caso italiano che cita nella sua tesi?

"Giorgia Meloni. Nel programma televisivo Pomeriggio Cinque, condotto da Barbara D'Urso, ha dichiarato che lo "Stato non fa le leggi sull'amore. Lo Stato incentiva la famiglia naturale fondata sul matrimonio perché gli serve in quanto finalizzata alla procreazione". Una frase che, oltre a mimetizzare un sentimento razzista e sessista, rappresenta anche una forma di discriminazione delle donne non fertili".
Nella sua ricerca critica anche il modo di fare informazione sul tema. Quali stereotipi vengono ripetuti?
"Si tratta di omotransfobia senza focalizzare l'attenzione sulle cause scatenanti del fenomeno. E si parla di soggettività Lgbt+ solo in funzione di qualcos'altro di carattere negativo: casi di cronaca che hanno come protagoniste persone aggredite, giri di droga e prostituzione, ovvero rivendicazione di diritti che vengono ritenuti lesivi dei valori della famiglia tradizionale e degli unici due generi possibili, femminile e maschile. Per il resto non esiste una rappresentazione sociale delle soggettività Lgbt+".
Com'è la vita di una giovane transgender a Catania?

"Da ragazza mi sono trovata a vivere in un ambiente inclusivo, nonostante vivessi in un piccolo paese della provincia catanese. Il liceo l'ho frequentato dalle suore di Caltagirone, lì ho avuto sempre la massima accoglienza. I problemi sono iniziati quando sono arrivata a Catania: anni fa, avevo paura di tornare a casa la sera. Diverse volte fui molestata e spesso le forze dell'ordine consideravano pretestuose le mie segnalazioni. Oggi, per fortuna, tante cose sono cambiate. Ma resta ancora tanto da fare".
Dopo la laurea quali sono i suoi progetti?

"Mi iscriverò alla magistrale in filosofia. E continuo a coltivare la mia passione per il mondo del cinema, mi piacerebbe fare l'attrice o la regista. Chissà, magari scriverò un libro per ripercorrere la mia storia. Intanto, con la tesi ho scritto di tante persone discriminate".
Cos'è l'omofobia oggi in Italia?

"È soprattutto un problema culturale che non riguarda solamente una determinata fascia della popolazione, magari meno istruita, come si vuole far credere. Riguarda anche persone che ricoprono cariche istituzionali"

Leggere Lolita a Kabul: la resistenza delle ragazze afghane che sfidano i talebani con i libri
                                            d


Inizialmente in una libereria della capitale afghana, poi nella case private: la storia di come un gruppo di donne cerca di non soccombere al nuovo regime studiando e scambiandosi testi
Le ragazze arrivano alla spicciolata, non vogliono dare nell'occhio. All'interno della libreria si respira un cauto ottimismo. Non sembrano esserci problemi di sicurezza. Non si vedono talebani o guardie armate, sempre presenti per spegnere sul nascere ogni manifestazione pubblica, anche piccola. Il "movimento spontaneo delle donne afgane" si è dato appuntamento in un luogo sicuro per ragionare sul libro La strada: protesta e potere di Ramin Kamangar e Shahir Sirat. Questo è il primo di una serie d' incontri che il movimento promuoverà come programma di formazione.
"Siamo rimaste senza lavoro o educazione, queste riunioni sono fondamentali per ritrovarci e approfondire tematiche legate al nostro futuro", spiega Zainab, una laurea interrotta all'università di Kabul. Le donne si dispongono in cerchio. È un vero e proprio laboratorio d'opinioni. La programmazione delle presentazioni spazia da Leggere lolita a Teheran alla biografia di Malala Yousafzai fino a quella di Michelle Obama.
Alcune settimane fa, le ragazze, sono state circondate dalle forze speciali talebane che - senza toccarle - hanno impedito alla stampa locale e internazionale di raccontare la loro storia. "La prossima volta sarà diverso", promettono. Alcune di queste donne appartengono alla minoranza sciita hazara, una comunità particolarmente istruita. Le donne hazara sono emancipate e sono attive anche per la difesa della comunità a cui appartengono perseguitata dai talebani e presa di mira dai terroristi dell'Isis.
Sono tra le leader di questo movimento spontaneo che si è creato a settembre. Tutte le ragazze sono state schedate nel corso delle manifestazioni dai servizi segreti talebani. Alcune hanno ricevuto minacce dai soldati e ad altre è stata fatta pressione perché si fidanzassero con gli studenti coranici. Il rischio che corrono a scendere in piazza o riunirsi è enorme. Per ora, l'iniziativa del circolo letterario sembra essere stata tollerata dal governo dei mullah ma le ragazze, dopo l'ennesimo attentato di pochi giorni fa contro la comunità hazara, hanno deciso di riunirsi in una casa privata per "leggere Lolita a Teheran".

19.8.21

la paranoia del linguaggio inclusivo e del politicamente corretto lancia una shitstorm contro la vignetta di Andrea Bozzo scherza chiaramente sul fatto che i talebani impongano lo ɐ,

di cosa stiamo parlando
Di fronte alla tragedia che si sta consumando in Afghanistan, c’è chi ha tempo e fantasia di ironizzare, dimenticando che accanto alle donne afghane, che già stanno soffrendo moltissimo, a essere colpite saranno anche le persone LGBT+.Dario Accolla e Caterina Coppola spiegano bene, in questo articolo, quanto profonda sia l’incoerenza e la contraddizione di chi, per invocare la difesa delle donne, dimostra un radicato pregiudizio omotransfobico.

che riptrende  il paranoico    articolo  di   https://www.gaypost.it/.
   
Ma  prima  di  riportare   il   post  da  cui ho  appreso tale  news    vorrei   sentitamente  ringraziare  Senatrice Monica  Cirinà , Gaypost, Dario Accolla e Caterina Coppola. Di cuore. Perchè sino ad oggi non conoscevo  , se non sporadicamente  , la raffinata satira di Andrea Bozzo ed è grazie a voi che, con questo post e l'articolo che ha dato vita a questo post, ho messo su  sui miei social   il "segui" ad Andrea Bozzo.
Perchè con una semplicissima vignetta ha semplicemente svelato non solo  l'ipocrisia dei talebani  ma   anche   di chi  li sostiene  .  Solo menti "raffinatissime" ci potevano vedere quello che vi avete visto voi. Onestamente mi fate paura quanto loro .

Adesso al post    veero e proprio  

 
Questa vignetta di Andrea Bozzo scherza chiaramente sul fatto che i talebani, a parole, si sono mostrati estremamente più “tolleranti e inclusivi” di come ce li ricordavamo (ovviamente, poi, molto probabilmente alle parole non seguiranno i fatti).La vignetta, però, non è stata capita, e si è scatenata una polemica con quelli/e che l’hanno ritenuta un’offesa al mondo lgbtq.Il tutto partendo da un post di Monica Cirinnà e un articolo di Gaypost, che non avevano capito una mazza di ciò che avevano
visto. Poi, la polemica è sfociata in una shitstorm e in un blocco temporaneo del povero Bozzo (che tra l’altro mi sembra tutto fuorché un pericoloso sovranista nemico dei gay, direi l’opposto).Dove sarebbe l’offesa, in realtà, non è dato saperlo.In pratica: non capiscono il senso di una vignetta e si scatenano in segnalazioni e insulti.Ma anche se fosse stata solamente una presa in giro agli asterischi e all* schwa (cosa che anche un bambino mediamente dotato capisce che non è), fatemi capire: un autore va sommerso di merda perché ha osato scherzare sul sacro asterisco? In Italia non esiste nessuna dittatura del politicamente corretto, siamo tutti d’accordo, quelli che esistono di sicuro, però, sono coloro che non capiscono una sega di quello che leggono, ma scattano sull’attenti come tanti soldatini non appena si tratta di provare a censurare e cancellare qualcosa che non sia di loro gradimento.E molti di questi sono proprio i più sfegatati fan di asterischi, schwa e “politicamente corretti che non esistono”.Che brutta fine che abbiamo fatto.



Infatti concotrdo con Francesca Piferi : << Ma poi scusa che senso avrebbe fare una vignetta sui talebani per offendere la comunità lgbt! Ci vuole una mente contorta assai per pensarlo.>> e con Alessandro Carraretto << Santo cielo, a voler ostinatamente e narcisisticamente vedere del male in ogniddove, sembrate più estremisti di loro. >>
Mentre  stavo per  prendere    invio   e  chiudere  il  post    trovo   qiuesta replica    ancora  più
 geniale    da parte  dell'autore  della  vignetta  incriminata  
  
quindi vecchi tromboni  ed  fautori del politicamente  corretto    a tutti i  costi    beccatevi    questa     risposta 

17.8.21

SE OGNUNA DI NOI di ©Daniela Tuscano


Che fare? È l'angosciante e rabbiosa domanda che sale sulle labbra di ognuna di noi, nel constatare ancora una volta non la resa dell'Occidente, non la ferocia talebana né la religione prostituita ai giochi di potere, ma la totale indifferenza nei confronti delle donne, di tutte le donne. Perché attenzione, non si tratta solo delle afghane. La loro tragedia ci tocca da vicino perché le prossime saremo noi, lo saremmo già qualora la cosiddetta "Realpolitik" lo esigesse. A qualsiasi latitudine.
Noi proclamiamo: #AfghanistanWeCare, dell'Afghanistan c'importa. Kabul è la Shoah delle donne, cui dovrà seguire una Norimberga. Sarà un gran giorno, allora, e sarà vendetta e sarà giusto. Sul banco degli imputati non vorremmo vedere solo gli orrendi barbuti ma anche i loro complici, i firmatari degli sciagurati accordi di Doha. Con i/le collaborazioniste a vario titolo
asservite. 
Sì, ma questo dopo, se sarà possibile, obietterete. Ma ora? Cosa facciamo, ora?
Ora, abbiamo la definitiva conferma della nostra solitudine davanti al mondo. Ma abbiamo anche dei doveri.
Ci svegliamo la mattina in un declino d'estate dove ogni raggio di sole, ogni lembo di pelle scoperta sono stati pagati col sangue nel corso dei secoli. Non possiamo tirare un sospiro di sollievo. Vorremmo dire basta, lasciar perdere tutto, e ritirarci da qualsiasi lotta. 
È l'ultima tentazione, la più maligna perché comprensibile, umana.
Ma poi penso ad Atai Ataye, che lo scorso anno invitai a scuola. In Dad. Ci parlò di tante cose. Ci colpì la sua dolcezza, il suo stupore verso la bellezza della vita, dell'arte. Tutte cose che i #talebani (e non chiamateli "studenti", maledizione, sono bruti ignoranti) odiano e distruggono. Ci parlò di quella sorella, Salma [nella foto], sfuggita a un matrimonio forzato col barbuto e divenuta poi medica. Rimasta in patria per soccorrere donne e bambini. Oggi la sua struttura è stata assaltata, lei ferita, uno zio ucciso. Seppellirlo è impossibile: in quanto "infedele", il suo corpo verrà dilaniato dai cani.
Ma penso pure a suor Shahnaz Bhatti. Lei pure rimane, assieme alle sue consorelle. Il loro è l'unico ospedale per bimbi disabili esistente nel paese. Gestiscono una scuola per ragazze. Sono lì, hanno rifiutato di spostarsi nella "green zone", più sicura: "Stiamo con la gente". Sono lì con le belle facce abbronzate e i veli variopinti, che nel giovedì santo sembrano presbitere sororali, tutte Oriente, e gli abitanti sanno che sono cristiane - e le amano, fanno del bene - in un paese dove il rischio per questa confessione è come per un ebreo ad Auschwitz. Chissà che fine avranno fatto, quando anche i preti abbandonano. E non abbiamo più notizie di Alberto Cairo, anch'egli intenzionato a non lasciare i suoi mutilati. 
Glielo dobbiamo. Ognuna di noi glielo deve. Cioè lottare, non arrendersi. L'Afghanistan è vicinissimo. Per prima cosa, esigiamo #corridoi umanitari per donne e bambini. Ma dobbiamo pretendere, costruire una Nomadelfia afghana: dove ogni bambina/o abbandonata possa trovare una famiglia, una persona, senza inutili intoppi burocratici.
Dobbiamo portare l'Afghanistan e le sue donne nelle scuole, nei libri, nella nostra vita quotidiana. Ognuna come sa è come può. Ma conscia che non può delegare l'impegno a nessuno. 
Le istituzioni siamo noi. Con questa certezza, dolorosa, ma che almeno fa piazza pulita delle illusioni, possiamo forse, ognuna a suo modo, costruire quella lenta, straziante, ma necessaria rivoluzione antropologica attesa dal mondo intero. Altrimenti le donne spariranno, e sarà finita. Per tutti.

                             ©Daniela Tuscano

16.7.16

sciacallaggio ed ignoranza dei media sulla strage di nizza e sulla tragwedia ferroviaria in puglia

 in sottofondo  DADO Canta la notizia: "Ninna nanna... per Nizza"



la primna  è sulla  strage   di Nizza  http://www.alessandrocascio.com/?p=2841  condivisa    da pino scaccia

Attentato di Nizza – Il fake della bambola e del bambino

On 15/07/2016 by alecascio
Una bambina e il suo bambolotto? L’ennesimo caso di sciacallaggio mediatico.
Io questa bambola l’ho vista ieri notte durante la diretta. Il cameraman l’ha inquadrata da vicino, ma non c’era alcun corpo accanto ad essa. La bambola è stata presa dal fotografo e messa accanto a un corpo morto per scattare la foto simbolo della strage. I giornali l’hanno sbattuta in prima pagina, il fotografo l’ha venduta bene in barba a qualsiasi codice deontologico del giornalismo.
Miliardi di dollari in informazione in mezza giornata: a chi volete che freghi, quindi, dei morti?
Sotto vi ho fatto un’analisi dell’assurdità della foto.
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Per verificare dovete cercare le immagini in diretta di ieri, ore 2.00 circa, di sky Tg 24.
A.Cascio
La foto del bambolotto che cammina. Questo è uno dei video che ritraggono la bambola senza alcun corpo accanto.
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FATE GIRARE PER FAVORE, VERIFICATE E FARE GIRARE
L’autore della foto è Erik Gillard, almeno secondo Selvaggia Lucarelli, donna piena di tanta di quella retorica che ci si potrebbe scrivere un trattato. A me frega poco che il fotografo si chiami Gillard e che lei si senta la portatrice della verità in terra, io so cosa ho visto e ci sono i video a dimostrarlo. Lei saccente com’è non li guarderà, ma voi fatelo se ne trovate qualcuno.
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 la seconda    dalla  fogna    di libero  presa  da  un utente  della mia bacheca  facebook

Gisella Rossi Rossa con Carlo Romano e altre 22 persone.
9 h · 

La volgarità di «Libero» contro gli archeologi - di MARCELLO MADAU (il MANIFESTO)
La polemica. Il quotidiano si scaglia contro gli esperti del nostro patrimonio storico-artistico: la tragedia dei treni pugliesi, secondo Mario Giordano, è da attribuire alla tutela di "tre ciotole"
Un quotidiano che si autodefinisce Libero titola che la colpa della tragedia ferroviaria pugliese è degli archeologi. Come è noto, quando ci sono i morti arrivano sciacalli e avvoltoi. E i responsabili non sono mai da cercare nelle politiche degli ultimi decenni, nello sviluppo senza controlli. Sono da cercare nel lavoro: ieri i ferrovieri, oggi gli archeologi.
«Sono queste le pratiche dell’archeologia preventiva, adottate in tutti i Paesi civili, da anni vigenti nel nostro Paese e recentemente riviste nel nuovo Codice degli Appalti. Sono procedure che non bloccano i lavori ma anzi li facilitano, rendendo compatibili la conoscenza e la salvaguardia del patrimonio culturale e la realizzazione di importanti opere pubbliche», dicono gli archeologi in un a dura nota congiunta.
Non si tratta semplicemente dello squallore di un fogliaccio reazionario, che indica il nome di un collega: qualcuno da dare in pasto alla “ggente”. C’è l’irrisione dell’analisi specialistica, c’è ancora integro un reperto: la vena fascista del «culturame». Ma, soprattutto, vi è la rappresentazione rozza di una mentalità più ampia, che permane da anni e cerca di eludere la tutela del paesaggio.
Si costruiscono a questo scopo nuove leggi, spesso affrettate e impugnabili ma efficaci nel breve periodo, magari affidando archeologia o paesaggio alla Protezione Civile (come nel 2009 con la nomina di Bertolaso a commissario di Roma) per sottrarli al controllo pubblico e cercare di regalarne il controllo alla politica corruttibile; oppure li mette all’indice, come nelle linee di un presidente noto per il suo fastidio della tutela dei monumenti, prima nell’esperienza fiorentina, ora a Palazzo Chigi.
Si elude la salvaguardia del paesaggio con eccezioni, grandi opere, l’attacco alla norme urbanistiche, lo Sblocca Italia; si intacca quel patrimonio ancora difeso dall’articolo 9 di quella Costituzione che fra poco, con gravi cambiamenti, andrà sotto referendum.
Gli archeologi lavorano a quel patrimonio che tutti dicono essere una delle grandi risorse morali e materiali dell’Italia. Danno fastidio perché operano nel territorio. Formatisi con senso del patrimonio pubblico e dei beni comuni, in numero crescente lavoratori indipendenti che operano nei piani urbanistici, nella programmazione culturale, ai quali è affidata, come obbligo di legge, la valutazione archeologica preventiva delle opere pubbliche.
Ho l’impressione che ciò spieghi, assieme alla familiarità stretta con il concetto di “culturame”, il volgare attacco e ne costituisca la ragione profonda.
La cultura non si mangia e neppure si digerisce. Serve al massimo a trovare un capro espiatorio e pensare alle mani libere sul territorio, insomma, al servizio degli speculatori di ogni risma.
Ma non prendetevela solo con Libero e Mario Giordano. Essi sono gli esecutori di un piano che ci vuole riportare alle opere senza valutazione di impatto ambientale, che prosegue la deregulation berlusconiana (della quale il giornale era sostenitore), attraverso Monti e Letta sino all’attuale governo.
Non prendetevela con Libero e Mario Giordano, perché essi fanno parte della maggioranza al governo.


28.10.09

Ira

 

Questo edificante video è andato in onda domenica scorsa, durante il contenitore tv Domenica 5 (Canale Cinque), in fascia protetta e in un orario di massimo ascolto. Ecco come i cittadini di Montalto di Castro (Viterbo) commentano lo stupro di una ragazzina, avvenuto un paio d'anni fa:

Aggiungiamo, a titolo puramente informativo, che uno dei "bravi ragazzi" è casualmente nipote dell'esimio Sindaco, il progressista Salvatore Carai, il quale ha pagato le spese legali per tutti, a partire dal caro congiunto. E i "bravi ragazzi" ora son fuori, a godersi la vita.

D'altro lato, secondo il Primo Cittadino del Pd (la misoginia è molto democratica e se ne impipa del colore politico), non esistono stupratori italiani: chi brutalizza le donne sono solo i romeni, che - testuali parole - "lo stupro ce l'hanno nel sangue". Conclusione del fine sillogismo? La solita: la femmina se l'è cercata. E si divertiva pure!

Su Facebook sono sorti molti gruppi spontanei anche per sostenere Iride Allegri, l'unica cittadina montaltese che, per aver preso le difese della vittima (vale a dire, la ragazza: visto come siamo ridotti, occorre essere precisi), è stata quasi linciata dalla folla inferocita.


Qui di seguito si possono trovare i link dove indirizzare la propria protesta e richiedere le immediate dimissioni del "Sindaco". Finora non abbiamo ricevuto risposta dal novello segretario del Pd, l'on. Bersani, né ci pare d'aver letto proclami di solidarietà da parte di associazioni che si battono per gli emarginati, le minoranze sessuali, ecc. Ma non si sa mai. Non è mai troppo tardi. Il guaio è che lo è già, tardi.


COMUNE DI MONTALTO DI CASTRO: Sindaco (Salvatore CARAI): http://www.comune.montaltodicastro.vt.it/canale.asp?id=288

Proposte e suggerimenti: http://www.comune.montaltodicastro.vt.it/canale.asp?id=8

CARFAGNA - Ministro Pari Opportunità
m.carfagna@governo.it

PAGINE FB DIRIGENTI PD – il partito del sindaco di Montalto

BERSANI – segretario PD http://www.facebook.com/pages/Pierluigi-Bersani-Pagina-Ufficiale/127457477096#/pages/Pierluigi-Bersani-Pagina-Ufficiale/127457477096

ANNA FINOCCHIARO – presidente senatori PD e già oppositrice di Carai http://www.facebook.com/pages/Pierluigi-Bersani-Pagina-Ufficiale/127457477096#/pages/Anna-Finocchiaro/10538186002

ROSY BINDI - http://www.facebook.com/search/?q=rosy+bindi&init=quick#/pages/Rosy-Bindi/59109988600?ref=search&sid=1051504122.470120650..1

ANNA PAOLA CONCIA – duputato PD attiva sui temi violenza, razzismo e discriminazione di genere http://www.facebook.com/home.php#/annapaolaconcia?ref=mf

Nel video qui sopra, al minuto 7.17, l'amico Tony Troja traccia un quadro limpido e spietato dell'italica ignavia di fronte allo stupro di Montalto. E non solo, certo; affronta anche altri temi, su cui anch'io tornerò, statene certi. Ma sono poi altri o non, alla fine, risvolti d'un'unica, sozza medaglia?

Parafrasando un noto aforisma, gran brutta malattia il maschilismo. Più che altro strana: colpisce gli uomini, ma fa fuori le donne.

Daniela Tuscano

26.1.09

Benedizioni

In questi giorni non posso dedicarmi al blog come vorrei. Ed è un vero peccato, perché di cosette interessanti ce ne sarebbero parecchie, e sarebbe anche il caso di soffermarvisi un poco. Dacché, appunto, non mi è del tutto possibile, mi limito a qualche lapidario commento.


Innanzi tutto sul neopresidente Barack Hussein (a lato, con la moglie Michelle). Il quale, per aver semplicemente manifestato di voler rispettare la volontà delle donne che abortiscono (ché questo è il VERO senso dell'abolizione delle norme oscurantiste del suo predecessore W.) si è beccato le infiammate reprimende del Vaticano. Conosciamo tutti a menadito la strenua battaglia d'un pugno di maschi celibi, misogini e saccenti contro le esecrande assassine che osano violare la legge divina e, soprattutto, la potestà dell'uomo sul loro corpo-contenitore. In nome della Vita, certo. Forse dovremmo rettificare con "integrità della stirpe". Già. Perché non è forse ozioso ricordare che l'aborto era considerato un reato abominevole anche presso i fascisti e i nazisti. Quanto questi regimi proteggessero la vita umana è, o meglio dovrebbe, risultar chiaro a chiunque, comunque di questi tempi pare sia diventato opportuno ricordarlo.


Ma è evidente che qui si cerca, per parlar come si mangia, di "ciurlare nel manico". L'aborto non è che un pretesto. Il Vaticano è fortemente irritato per l'elezione di H., malgrado i verdi e ipocriti sorrisi. Tifavano per il repubblicano, antiabortista, antigay, antieutanasia, ché questi per la Chiesa di Ratzinger (non dico cattolica) sono gli autentici nemici da combattere. E, si badi bene: con questo atteggiamento i papisti non fanno altro che impedire fin dall'inizio ogni dibattito sereno e approfondito sui temi in questione. Ma, in verità, non gliene importa nulla.



Cosa importa se Barack Hussein vuol chiudere Guantanamo? Anche lì sono state stroncate vite umane, ma sembra che ai loro lamenti il Vaticano sia molto meno sensibile. Per non parlare degli altri argomenti toccati nel discorso d'insediamento, dalla disoccupazione ai rapporti con l'Islam, che meriterebbero ben altra attenzione da quella che sto prestandovi io.



Ad ogni modo: all'approssimarsi della Giornata della Memoria, la Chiesa di Ratzinger (non dico cattolica) ha pensato bene di compiere, come ha scritto l'"Osservatore Romano", un "atto di misericordia". Strano atto davvero, perché per ottenere misericordia occorre quantomeno un pentimento, altrimenti il perdono è impossibile, "per la contradizion che no 'l consente".


Questi perdonati non pentiti sono i seguaci dell'ex scomunicato arcivescovo Marcel Lefebvre (foto in basso). Su Wikipedia qualche suo adepto ha stilato un'agiografia del sant'uomo, ma non è difficile reperire notizie "serie" sul suo conto. Il sig. Lefebvre (fra poco lo canonizzeranno sul serio, ma io continuerò a reputarlo scismatico), in nome della Tradizione pietrificata nel passato, era un fondamentalista. Considerava il Concilio Vaticano II opera del diavolo. Rifiutava l'ecumenismo, considerava "false" le altre religioni, perché tutti dovevano (devono: i suoi successori la pensano ancora così) convertirsi al cristianesimo. Tacciava d'eresia tutti i Pontefici dopo Pio XII. Ovviamente, da arcivescovo di Dakar, non mi risulta rifiutasse il colonialismo (tutt'altro); quanto agli ebrei, è altrettanto ovvio che si oppose con tutte le sue forze alla revoca della maledizione contro di loro, in quanto "deicidi". E due anni prima di essere scomunicato, nel 1986, ricordo bene che orde di lefebvriani invasero Roma per contestare chiassosamente l'incontro di Giovanni Paolo II con l'allora rabbino capo della città, prof. Elio Toaff. Sorvolarono i cieli della capitale in elicottero gettando volantini nei quali si leggevano le seguenti parole: "Papa fermati, non andare da Caifa".


E ricordo bene pure Ratzinger, i giorni immediatamente successivi alla scomunica di Lefebvre. "Quest'uomo ha molti meriti", rifletteva sconsolato con la sua voce bianca, flebile, quasi aerea. Si capiva chiaramente che, fosse stato per lui, non avrebbe mai e poi mai cacciato da Santa Romana Chiesa questa perla d'uomo.


Ci ha pensato un po', poi, diventato Papa, ha ritirato quella scomunica. Di sabato (il giorno sacro degli ebrei). Tra i "graziati" i vescovi Williamson, Fellay e don Davide Pagliarani. Ciò che soprattutto Williamson pensa sulle camere a gas e, in genere, sulla Shoah è degno di menzione. "Al massimo - ragiona Williamson - duecentomila o trecentomila ebrei morirono nei campi di concentramenti nazisti, ma le camere a gas non sono mai esistite". Al massimo. Due o trecentomila, cosa volete che siano? Alla fine, si tratta solo di ebrei! Ma non è finita: secondo il giornalista di "Repubblica" che ha riportato la notizia, Williamson avrebbe fornito spiegazioni tecniche dettagliate, facendo notare l' altezza e la forma secondo lui inadeguate dei camini e le porte che secondo lui non erano stagne, cioè non a prova di gas.


Altra perla: "L'antisemitismo può essere cattivo solo quando è contro la verità, ma se c' è qualcosa di vero non può essere cattivo. Non sono interessato alla parola antisemitismo".


Don Davide Pagliarani, rappresentante della Comunità qui in Italia, incalzato su Williamson ha così risposto al Tg2 di sabato sera: "Io non sono uno storico e delle camere a gas non mi sono mai interessato".


Mons. Fellay, dal canto suo, afferma che lui alla Shoah crede, del resto "non si è trattato dell'unico genocidio della storia", e si sa che per la Chiesa uccidere anche una sola persona è atto estremamente malvagio, ecc. Si può scommettere che un aborto farebbe fremere di orrore mons. Fellay molto più di sei milioni di luridi deicidi.


Questi sono i nuovi pastori d'anime della Chiesa ratzingeriana (non dico cattolica). Da sabato scorso "antisemitismo" non è più sinonimo di male assoluto; ne esiste infatti anche una versione buona. E non vengano a ciarlare che l'opinione "politica" (?) d'un singolo vescovo non conta nulla: conta, invece, e il Vaticano ha sempre dimostrato di badarvi moltissimo, specie quando si è trattato di schiacciare i teologi della liberazione e di lasciar solo mons. Romero (forse vale la pena di puntualizzare che nei confronti di questi ultimi non sono previste né riconciliazioni, né misericordia, né pubblici abbracci, ecc.).



Post scriptum. Barack in arabo significa "Benedetto". Ma le analogie tra il presidente americano e il papa tedesco si fermano qui. Grazie a Dio (che naturalmente, in tutto questo discorso, non c'entra nulla).


Daniela Tuscano



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