Ancora qui - Il pastificio simbolo dell'orgoglio sannita: "L'alluvione de 2015 non ci ha fermato" ed altre storie

 questa  3  puntata   dello speciale  di repubblica   che trovare  sotto   mi ricorda   come anche la  ditta ( un azienda  florovivaistica  ) della  mia  famiglia  si e ripresa  dopo   due    tristi  eventi   che  colpirono  non  solo  la  mia zona    ma   l'intera  sardegna 


 il  primo  l'incendio  o meglio  un estate  di  fuoco    che  raggiunse  il  culmine   il  28  luglio    1983  


All'epoca avevo 19 anni e decisamente ben più tollerante al caldo di come non lo sia oggi. Era il 1983 e abitavo in una località del sassarese in Sardegna, epicentro dell'ondata di calore peggiore anche di quella del Luglio 2003.Allora non c'era Internet per avere informazioni. NIENTE, c'erano solo le previsioni meteo della RAI, e siccome era Estate, venivano annunciate dalle signorine "buona sera".Probabilmente era il 18 Luglio quando vidi il termometro della mia stazione meteo toccare la fatidica soglia di 40°C attorno alle 18, salendo di botto di 10°C, dato che alle 16 c'erano 30°C.Tale fenomeno, per la mia esperienza di allora, era davvero raro, in quanto i pomeriggio erano quasi sempre refrigerati dalla brezza, ma quel giorno no, un vento rovente si mise a soffiare da est, sputando il calore dell'interno verso la costa.Poi seppi che una stazione meteo dell'aeronautica militare (se non erro era Capo San Lorenzo), quel pomeriggio misurò 47°C.Un valore assurdo per la Sardegna.La sera, come ero solito fare, uscii con gli amici, ma il caldo non mollava, rammento ancor oggi che l'aria soffiava bollente e bruciava la pelle. Il caldo era asfissiante e secchissimo anche alle 23, e quando tornai a casa il termometro misurava 36°C.La notte fu caldissima, ed il mattino dopo la temperatura minima fu di 31°C. Un valore minimo che non avevo mai visto prima di quel giorno.Quel mattino, il sole appariva di un colore insolito, quasi sangue, ed era immerso in un cielo appannato di arancione. Era giunta un'ondata di calore epocale e l'atmosfera era spettrale.La gente iniziò a parlare di caldo, chi aveva un termometro lo portò in cortile, per strada per misurare la temperatura. Il caldo era il tema di quei giorni.Il mio termometro, posto nella stazione meteo che anni addietro avevo costruito in legno e dipinto di vernice bianca di barca, quel pomeriggio segnò 44°C.Mi pareva un sogno, un incubo, un non so che.Quel pomeriggio uscivo varie volte dal relativo fresco di casa per vedere il termometro, e l'aria che mi veniva addosso sembrava venire da un grande braciere di carbone ardente.Ero molto incuriosito dall'evento, e come spesso avveniva, ascoltavo ogni pomeriggio RADIO TG3, edizione regionale (Sardegna), che trasmetteva il bollettino meteo e le temperature appena registrate.I valori letti dal giornalista facevano accapponare la pelle. E la notizia del giorno era il caldo. Ma anche il caldo a quei valori fa venire "la pelle d'oca". Non so perché, ma a me succedeva così, ed è una sensazione che ho provato anche in seguito con 42 gradi.Quei giorni la tipica brezza sparì, ma anche il vento iniziò soffiare debole, per poi intensificarsi a fine luglio.Rammento che in quei giorni, Videolina, la prima tv privata della regione, trasmise vari servizi dell'ondata di calore, ed appresi che gli allevamenti di polli del Campidano avevano visto decimata la popolazione.A migliaia e migliaia furono gli animali da cortile a morire di caldo, in specialmodo gli negli allevamenti, al chiuso.Ma non morivano di caldo solo gli animali, e si iniziò a parlare di persone che morivano durante il lavoro. Spesso erano operai costretti a lavorare sotto quel sole cocente, oppure persone anziane.Ma l'evento più drammatico stava per iniziare, era quello degli incendi. Già dal primo giorno di caldo si erano avuti i primi incendi, ma questi si erano man mano ingigantiti e aggredivano zone sempre più ampie.Il cielo era ovattato di fumo, e si sentiva un odore acre di incendio. Dal cielo iniziarono a cadere ceneri. Una mattina gli oggetti posti all'esterno era lievemente velati di fuliggine. Erano le ceneri dei boschi secolari che andavano a fuoco.Il caldo non passava, le notti erano caldissime, il mio termometro non scese mai sotto la soglia di 30°C in tutto il periodo di quel luglio, per 15 giorni (sino ai primi di agosto) misurai sempre massime oltre i 40°C e minime sempre superiori ai 30.Anche le case iniziarono a divenire bollenti, e tante famiglie dormivano in cortile perché in casa era impossibile prender sonno. C'è chi iniziò ad accusare anche danni ai mobili in massello, alle porte, in quanto il legno si spaccava dal gran calore.Non rammento il giorno esatto, ma vi fu una recrudescenza dell'ondata di caldo per effetto anche degli incendi ormai sempre più aggressivi. E una notte la minima fu di 35°C e di giorno vidi il termometro di mercurio salire a 45°C. Forse era il 28 luglio 1983.Nessuno dava previsioni su quando sarebbe finito quel supplizio.Si sopravviveva, diverse imprese edilizie, visti gli svenimenti degli operai, decisero di sospendere i lavori.Alcuni ospedali chiusero per caldo dei reparti. Di certo la climatizzazione non era disponibile come lo è oggi.La gente moriva di caldo, ed anche i giornali locali iniziarono a parlare di evento storico. In alcuni paesi si passò da una media di un funerale alla settimana ad un funerale al giorno.Si viveva un evento tragico che fu culminò da una notizia gravissima: nella zona di Tempio Pausania, città del nord Sardegna, gli incendi che non davano tregua ai boschi secolari, circondarono un folto gruppo di persone che cercavano di spegnere un incendio.E' l'incendio noto come di Curraggia, era il 28 luglio 1983.
immagine 1 articolo 39097La morte a Curraggia.L'incendio provocò 9 morti e 15 feriti tra le persone che cercavano di spegnerlo. Tra le varie ipotesi sulle le cause che scatenarono le fiamme, l'opera dei piromani è una certezza. Le concause furono le alte temperature estive di quei giorni e il vento che soffiava impetuoso.Le fiamme partirono dal mare, si fecero largo tra strade, boschi e arbusti in direzione di Tempio Pausania fino ad arrivare nelle campagne di Bortigiadas e di Aggius per poi propagarsi sulla collina di Curraggia.Con l'allarme diffuso dal suono delle campane, si organizzarono rifornimenti sul luogo dell'incendio, cibi e bevande di conforto per gli operatori accorsi. Tra i volontari che si prestarono alla lotta contro le fiamme, pochi erano dotati di equipaggiamento adatto: alcuni di loro cercavano di domare le fiamme in ciabatte, vestiti con pantaloncini e maglietta.Numerosi furono i soccorritori accorsi da tutta la Sardegna, uomini e mezzi del corpo forestale dello stato, dei Vigili del fuoco e delle compagnie municipali antincendio. Diversi di questi uomini, operatori e volontari, furono improvvisamente accerchiati dal fuoco che provocò 9 morti e 15 feriti. (Fonte Wikipedia).I notiziari iniziarono a parlare diffusamente della situazione di emergenza, e ovunque (specie nei paesi) si aveva paura degli incendi.La Sardegna era in fiamme, bruciava l'aria, bruciava la terra, bruciavano le persone.Dopo oltre due settimane il caldo iniziò ad attenuarsi, ed il termometro scese decisamente sotto i 40°C, ma ci volle un'altra settimana prima di avere valori termici più consoni per il periodo per quelle zone, ovvero di 29°C gradi di massima.Articolo redatto da un appassionato lettore del Meteo Giornale.

e le  famose  nevicate   del 1985

  ma  ora   basta  parlare  di cose  tristki e  riprendiamo l'argomento  del titolo


Centosessanta anni di pasta, un'alluvione che spazza via tutto e un pastificio che non si arrende. È la storia della Rummo di Benevento, azienda di maestri pastai nata nel 1846 accanto a un fiume e tramandata di padre in figlio per sei generazioni. Dai mulini alla tecnologia, la Rummo ha attraversato oltre un secolo e mezzo senza mai piegarsi a terremoti e calamità. Ma nella notte tra il 14 e il 15 ottobre 2015 una bomba d'acqua ha colpito il Sannio: in poche ore è precipitata la pioggia che in genere cade in un mese. L'esondazione del fiume Calore e dei suoi affluenti ha messo in ginocchio l'intera provincia. Un'onda di fango e detriti ha distrutto il pastificio, terrorizzando 20 operai che si trovavano all'interno e provocando 40 milioni di danni. La famiglia Rummo non si è persa d'animo e la rinascita è diventata simbolo dell'orgoglio sannita. Con l'aiuto dei dipendenti e di mille volontari giunti da tutta Italia, l'azienda ha raccolto e smaltito 115 autotreni di fango. La produzione di pasta non si è mai fermata: è continuata in altre aziende subito dopo l'alluvione ed è tornata nello stabilimento Rummo a marzo 2016. 


Intanto una gara di solidarietà nata spontaneamente sul web ha dato l'energia giusta per la ripresa: migliaia di persone e volti noti come Fiorello hanno sostenuto l'acquisto della pasta sannita pubblicando foto in rete dietro l'hashtag "Save Rummo". "L'aiuto della gente è stato fondamentale - dice Cosimo Rummo, presidente e amministratore delegato - non ci siamo mai arresi". Prima dell'alluvione il pastificio sannita produceva 100mila tonnellate di pasta l'anno, oggi arriva a 70mila.

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