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14.10.23

La forza esemplare del piccolo Mariano, “Il capitano”. La madre: «Ora abbiamo una speranza»La storia del bambino di 9 anni ricoverato a Bologna per una malattia rara. «Tanta solidarietà dopo l’articolo del Corriere della Calabria» diEmiliano Morrone

Oggi siamo tornati sulla vicenda del piccolo Mariano, "Il capitano", che da poco è rientrato da Bologna con nuove speranze. Forse c'è un farmaco che può cambiare la sua vita. Nello scorso aprile avevamo raccontato la storia commovente di questo bambino prodigio, che affronta la propria malattia con coraggio esemplare e la grazia della fede, con l'affetto dei genitori e tanta solidarietà da parte di molte persone, alimentata dall'intervista di sua madre al nostro giornale. Leggete e condividete, è servizio pubblico del Corriere della Calabria

                        da   https://www.corrieredellacalabria.it/  13\10\2023

La forza esemplare del piccolo Mariano, “Il capitano”. La madre: «Ora abbiamo una speranza»La storia del bambino di 9 anni ricoverato a Bologna per una malattia rara. «Tanta solidarietà dopo l’articolo del Corriere della Calabria» 

                                   di  Emiliano Morrone  

 


 VENA DI MAIDA Mariano è appena rientrato a casa: a Vena di Maida, nel Lametino. Il bimbo era stato di recente ricoverato nel reparto di Pediatria del policlinico Sant’Orsola di Bologna, per approfondimenti sulla malattia rara che l’ha portato a pesare 143 chili all’età di nove anni.Nell’aprile scorso, il Corriere della Calabria aveva raccontato la storia del piccolo, di continua emigrazione sanitaria assieme ai genitori, gravi affanni quotidiani e uno straordinario coraggio personale. Era stata sua madre, l’avvocato Tamara De Fazio, a riassumerla in una lunga intervista, che – oggi riferisce – «ha determinato una solidarietà enorme e cambiato la vita della nostra famiglia». «Da Bologna siamo tornati con delle speranze. Lì, i medici – riferisce la signora – ci hanno detto che un farmaco sperimentale potrebbe essere utile al futuro di nostro figlio. Percorriamo una strada nuova, sorretti dalla fede che ci accompagna e dall’umanità, dalla comprensione e dall’aiuto che riceviamo in paese e ovunque ci troviamo».Mariano ha una grande vivacità intellettuale. È estroverso, simpatico, espansivo. Ama leggere, vuole conoscere in profondità i vari argomenti, pone domande acute, suona diversi strumenti musicali e serve la messa. Il bimbo ha una forza d’animo esemplare, a scuola è il leader della classe e i suoi compagni l’hanno ribattezzato “Il capitano”, riconoscendogli la fermezza di chi guida una nave resistente alla tempesta.«Il nostro viaggio a Bologna è legato – precisa la signora De Fazio – all’attenzione pubblica, sulla vicenda di Mariano, suscitata dal vostro giornale. Appena uscì la mia intervista, intervenne la Garante regionale della salute, Anna Maria Stanganelli, ci fece ottenere dei presìdi indispensabili e accelerò l’arrivo di una sedia a rotelle per il nostro bimbo. Il chirurgo ortopedico Massimo Misiti ci mise in contatto con alcuni specialisti dell’ospedale Rizzoli di Bologna, che presto videro Mariano per migliorarne la deambulazione. Lì, al Rizzoli, viste la patologia complessa e l’obesità importante del bambino, crearono un ponte con il Sant’Orsola, in particolare con il dipartimento pediatrico, in modo che lo visitasse subito il professore Andrea Pession, luminare e direttore di quella struttura».
E poi?«Al Rizzoli, i professori Cesare Faldini e Francesco Traina, che si erano ben documentati sulla storia di Mariano, avevano già preparato la strada per farci incontrare subito i pediatri del Sant’Orsola. Ricordo bene quel giorno. Era il mattino del 22 giugno scorso. Faceva caldissimo e venivamo da un viaggio estenuante in auto, poiché Mariano non aveva potuto prendere l’aereo. Il piccolo era sudato, stanco, privo di forze. Parcheggiamo la vettura all’ombra, vicino al Sant’Orsola, e io mi fiondo dal professor Pession. Lascio in auto mio figlio con mio marito. Parlo con gli specialisti e loro mi chiedono dove si trova Mariano per raggiungerlo alla macchina».
Allora escono dall’ospedale?
«Si, e vanno sino all’automobile, conoscono il bambino e ci propongono di ricoverarlo in giornata per avviare sofisticate indagini e studiare il caso. Manifestano una cordialità e un’umanità uniche. Noi non eravamo organizzati per il ricovero, avevamo programmato di rimanere a Bologna soltanto per le visite di quel giorno. Quindi il professor Pession e la sua équipe ci fanno rientrare di nuovo in Calabria e ci anticipano che, prima dell’inizio della scuola, Mariano potrà tornare per essere rivalutato. In effetti, arriva settembre, loro ci contattano e ci fanno partire il 14 del mese. Affrontiamo ancora una volta un viaggio complicato, sempre in macchina. Mariano adesso pesa 143 chili, necessita di pannoloni per la notte e tanto altro da portare. Arriviamo in ospedale nella giornata del 14 settembre. Dovevo restare io con il bambino, mio marito Dino aveva necessità di rientrare per lavoro. A Mariano danno una stanza singola e a me un posto accanto per fornirgli assistenza diretta».

Però qualcosa va storto?
«Sì, al punto che dobbiamo cambiare i programmi. Dopo dieci anni di viaggi della speranza, ci abbandona la nostra vettura, acquistata poco dopo la nascita di Mariano. Mio marito resta quindi a piedi, è costretto a tornare a Bologna, a chiamare un carro attrezzi e a lasciare in un deposito l’automobile, che attendiamo di riportare in Calabria con una bisarca. Dino arriva di nuovo in ospedale e ci ritroviamo in stanza con Mariano, con cui poteva restare soltanto un genitore, secondo le regole del reparto».
Un’odissea, insomma.
«Di più. Non c’erano posti negli alberghi vicini, pieni per un concomitante evento pubblico. Infermieri e medici sono gentilissimi, sorridenti, empatici. Capiscono la situazione, ci consentono di stare con Mariano e ci procurano due poltrone come letti. Per circa otto giorni, allora, riusciamo ad assistere il piccolo in ospedale e l’aiutiamo a spostarsi nei vari padiglioni, a sottoporsi agli esami previsti».
Che cosa emerge?
«I medici presumono che l’obesità di Mariano, con la quale combattiamo ormai da dieci anni, sia di origine genetica. Ci informano che, se l’ipotesi è confermata dagli accertamenti, forse per Mariano si può utilizzare un farmaco sperimentale, già commercializzato all’estero ma non in Italia, che potrebbe cambiare il destino, la vita di nostro figlio. Però ci vorrà ancora del tempo: si parla di dicembre o gennaio, per capire se si potrà utilizzare questa molecola innovativa, ora in uso in Germania e in Inghilterra».
E nel frattempo?
«Un dato è certo: adesso alle spalle abbiamo un pool di medici, dal genetista all’endocrinologo. Anche dal punto di vista respiratorio, Mariano è stato rivalutato, quindi il ventilatore polmonare col quale dorme di notte è stato riprogrammato. Il bambino è stato seguito e sorvegliato durante la respirazione notturna. Diversi parametri andavano aggiornati, modificati. Anche la mascherina che utilizzava doveva essere sostituita con una più adeguata. Ecco, adesso ci sentiamo più garantiti, sicuri: siamo seguiti da specialisti che, con controlli e ricoveri periodici, vogliono fare il massimo, il meglio per il nostro bambino. Abbiamo ricevuto, ribadisco, gentilezza, umanità e attenzioni meravigliose. Mariano ha mostrato la sua vivacità ai medici e agli infermieri che si sono presi cura di lui. Perciò, abbiamo un bellissimo ricordo di quei volti, di quelle persone, la gran parte di origini calabresi e siciliane».

Come siete ritornati?
«Viene il momento di rientrare a casa, noi non abbiamo più la macchina ma ci tocca riportare indietro tanta roba. Da Vena ci inondano di telefonate di solidarietà, al punto che non riusciamo più a rispondere al telefono. Quasi ogni giorno il telefono squilla tra messaggi e telefonate. Tutti vogliono sapere le condizioni del “Capitano” e le eventuali novità. Quando, poi, si diffonde anche la notizia che siamo rimasti a piedi, si scatena una solidarietà inimmaginabile».
Cioè?
«C’era chi sarebbe partito di notte per arrivare il giorno dopo; chi aveva noleggiato un furgone, chi aveva preso un’altra macchina per venirci a prendere. Ci ritroviamo alla fine con 10 o 15 persone pronte a noleggiare un mezzo per arrivare a Bologna e riportare a casa “Il capitano” con una macchina comoda, adatta alle sue esigenze. A un certo punto, ci assale pure l’imbarazzo: se dicevamo di sì a uno, magari l’altro ci restava male. Non avevamo nemmeno una data certa né l’orario delle dimissioni. Perciò fatichiamo a gestire questo aspetto. Inoltre, dobbiamo vedere, quando arriverà, di che morte dovrà morire la nostra macchina, che ci ha lasciato a piedi e senza parole. Anche in questa vicenda di sfortuna, abbiamo trovato affetto e solidarietà smisurati. Quando Mariano è poi rientrato a scuola, è stato accolto a braccia aperte con un cartellone enorme, una festa commovente. Stessa cosa hanno fatto in chiesa, perché Mariano frequenta la parrocchia».
Che cosa ne ha tratto?
«Niente è casuale, se credi nel Signore. Se non combattessimo ogni giorno, non sapremmo che ci sono persone così vicine, umane, premurose. Prima di partire, alcune mamme della classe di Mariano, diversi bambini e altre persone hanno voluto salutare di persona nostro figlio. La scuola sarebbe iniziata il 14 settembre e lui sarebbe stato assente per via del ricovero a Bologna. C’è stato anche chi, per il viaggio di Mariano, ci ha portato una crostata con marmellata senza zucchero. Siamo storditi da tanta amorevole partecipazione. Prima di partire, Mariano, che ama leggere anche in pubblico, ha voluto scrivere e recitare la preghiera dei fedeli, con cui ha augurato buon anno scolastico ai bambini e ragazzi della comunità di Vena».
Quali sono, ora, i suoi sentimenti?
«Si sono riaccese le nostre speranze e abbiamo potuto allacciare rapporti umani autentici, splendidi. L’informazione ha mosso le coscienze. Significa tanto, non solo per noi». (redazione@corrierecal.it)

7.7.22

Muore a 37 anni e lascia al figlio un libro per ogni compleanno

  Quella  che oggi vi propongo  è una storia   simile  a quella dell'Americano  Bailey Sellers e  di Elisa Girotto la cui viceda è stata raccontata nel magistrale e 18 regali  film italiano del 2020 diretto da Francesco Amato  ma  anche ora che ci penso ache da My Life-Questa mia vita film drammatico del 1993, scritto e diretto da Bruce Joel Rubin, regista  anche  di  Ghost- Fantasma .
 
Quella di Laura Lonzi e suo figlio Tommaso è una storia d’amore di lancinante bellezza, capace di andare oltre anche la morte stessa . La trovo un gesto di una bellezza commovente, in mezzo a un tale dolore.Un atto d’amore unico da parte di una madre a un figlio, attraverso la cultura e i libri. Solo una donna straordinaria poteva concepire una cosa del genere. Che la terra ti sia lievissima, Laura.
Ecco a Voi  la  sua   storia  


  da repubblica    7\7\2022  



                         di Chiarastella Foschini
"Gli ha lasciato un libro per ogni futuro compleanno fino a quando sarà grande. Nostro figlio crescerà nel ricordo di sua madre anche se non ha ancora compiuto tre anni". Laura Lonzi è morta ad appena 37 anni per un
tumore raro, strappata a suo marito, Antonio Salerno, e al loro figlio Tommaso, da un carcinoma che in otto mesi non le ha lasciato scampo. Il 16 agosto avrebbe compiuto 38 anni. Nata e cresciuta a Firenze, faceva la maestra elementare a Carraia, frazione di Calenzano.
Il marito: “Ad aprile aveva capito che non ce l’avrebbe fatta”

Laura Lonzi 

"Abbiamo scoperto il carcinoma a settembre. Nei mesi precedenti aveva delle bollicine che la dermatologa curava con il cortisone. Poi il suo viso ha iniziato a gonfiarsi e il medico ha prescritto l'esame delle urine che ha rivelato dove cercare" racconta il marito. "A ottobre l'operazione a Careggi e poi le chemio, prima lì e poi a Ponte a Niccheri. 

  immagine  del film 18 regali di Francesco Amato 


Abbiamo visto medici in tutta Italia. Siamo andati fino in Germania per provare una nuova cura e inviato gli esami diagnostici anche negli Stati Uniti. Il dottor Emanuele Gori, direttore sanitario della Asl centro, vecchio amico di famiglia, e il dottor Stelvio Sestini di Prato, non ci hanno mai lasciato soli, così come l'associazione File" dice Antonio.


Bailey Sellers e suo padre, foto Twitter 




"Ad aprile Laura aveva capito che non c'era più nulla da fare da prima che lo dicessero i medici. Ha iniziato a scrivere lettere per noi, per non lasciarci soli. Faceva finta di passeggiare, arrivava fino all'ulivo e sotto l'albero, poi ho scoperto, girava i video per me e Tommaso, per quando non ci sarebbe stata più. Ha scritto una lettera per quando nostro figlio andrà in prima media e per accompagnarlo nei giorni più importanti della sua vita".
Laura Lonzi viene descritta dalle persone che la conoscevano come una donna solare, gioiosa, forte e amante dell'organizzazione. "Non aveva un difetto a parte la testardaggine, bisognava fare come diceva lei- ricorda Antonio-. E poi pianificava ogni cosa. La sua migliore amica, Eleonora Rossi, conserva i regali futuri per Tommaso e ha avuto il compito di organizzargli la prima comunione. Erano inseparabili".
Alla sua amica Alessia Della Luna Maggio ha chiesto di far raccontare la sua storia dalle colonne del giornale. Il 7 giugno Laura e Antonio si sono sposati. Si erano conosciuti al Papeete a Milano Marittima otto anni fa: "Bastava un suo sorriso per illuminare la stanza, è di quello che mi sono innamorato quando l'ho incontrata".
Laura ha voluto addormentarsi nel suo letto. Martedì si è spenta in casa sua, con i suoi familiari, la sua mamma, Loretta Grassi, il babbo Roberto e suo fratello Marco non l'hanno lasciata un istante. "Mi ha chiesto di sorridere tutti i giorni per nostro figlio. Un paio di giorni fa Tommaso piangeva disperato, voleva la sua mamma. Gli ho spiegato che adesso è diventata una stella. L'altra notte all'una e mezza è venuto a svegliarmi, mi ha portato in giardino per guardare le stelle".
Il 30 giugno al funerale di Laura Lonzi nella chiesa dell'Antella di Bagno a Ripoli, i suoi alunni hanno fatto volare in cielo palloncini bianchi e rosa e hanno letto poesie e frasi per la loro amata insegnante. Nella chiesa gremita di amici e familiari c'erano anche le divise della Misericordia di Campo di Marte, dove Laura Lonzi aveva fatto la volontaria per 13 anni. Per il funerale ha deciso tutto lei, abito, palloncini, rito. Ha lasciato una lettera che suo marito ha letto davanti a centinaia di persone: "Sono felice della vita che ho vissuto, mi sono divertita tanto. Ricordatevi di colmare i vuoti di Tommaso con magiche parole d'amore" ha scritto Laura.
Oggi la sua salma sarà cremata e da domani riposerà per sempre al cimitero dell'Antella.

29.12.13

Caterina dopo gli insulti la solidarietà

la  puntata precedente  :

  fonte   dell'articolo la nuova  sardegna del  29\12\2013 


cari politicanti e  giornalisti   non limitatevi   solo  ad esprimere  solidarietà  a parole  e  quindi  finire   nella speculazione  per  farvi belli ma  fate  , magari in silenzio ,  qualcosa  d'efficace  per questi  malati . Ad  parlando di più sui media  o sui  vostri blog   \ pagine web  se  l'editore   è contrario a  tali articoli  \  incjieste   ( i  giornalisti ) .,   snellendo ed  agevolandoli le pratiche  burocratiche negli uffici  sanitari  e fiscali   o  finanziando  con i soldi  extra  che ottenete dai finanziamenti  pubblici  la  ricerca normale  ma  anche  quella  alternativa  alle sperimentazioni animali  ( ai  politicanti )  .  Mi fermo qui  , per lasciarla   in pace  come richiesto  dalla stessa   Caterina e perchè ho detto fin troppo .  Concludo con un suo video messaggio





 perchè   Due parole  sono troppe  e  una  è troppo      

6.11.12

«Io,sopravvissuto,così sono rinato» Dopo un incidente,ingegniere diventa recordman del nuoto e cambia vita nonostante le gravi lesioni

come  nel post precedente  ho trovato  mettendo in ordine il magazzino  anche  questa news  

tratta dalla nuova  sardegna  del  5\11\2012

La sua storia ha fatto il giro del mondo. «Sono stato investito durante un sopralluogo e oltre a
una grande quantità di fratture ho  subito gli esiti di una neurodistonia che ha trasformato il mio caso in una vicenda quasi unica:sono una delle poche persone in tutto il pianeta che soffrono di questa malattia a causa di lesioni dovute a un trauma».Ancora oggi Francesco Delpiano, ingegnere nuorese di 45 anni, ha la parte sinistra del corpo paralizzata.«Ma sono sopravvissuto e considero il giorno dell’infortunio come quello che ha segnatola mia rinascita – dice con convinzione – Da allora sono diventato un nuotatore.
Ho saputo sfruttare al meglio tutte le mie possibilità. Mi sono trasferito in Emilia Romagna.
Ho  cambiato vita, persino professione.E sono riuscito a costituire una bellissima famiglia».Quella di delpiano è una vicenda straordinaria, in tutti i sensi. «Mi sono laureato a Cagliari e al momento dell’infortunio pensavo mi attendesse un’ottima carriera :a poco più di 30 anni ero il direttore del cantiere per la costruzione a Sassari della metropolitana di superficie per conto del Gruppo Condotte – comincia a raccontare il professionista–Invece,il 17 febbraio del 2000 sono stato travolto da una macchina guidata da un automobilista che sarà poi condannato a 30 giorni di sospensione della patente,una pena così lieve che quasi mi spinse a chiedere di cambiare cittadinanza. Comunque l’urto mi ha fracassato il corpo. Al di là di  tante lesioni, ho riportato un trauma cerebrale, al quale è seguito uno stato di coma. Due condizioni che si sono poi rivelate all'origine del gravissimo disturbo cerebrale che mi ha prima portato a mesi di riabilitazione a Parma e poi costretto a girare per ospedali europei e americani alla ricerca di risposte medico-legali sulla diagnosi definitiva di neurodistonia post traumatica».
«I primi cinque anni si sono rivelati un calvario: mi sono ritrovato sulla sedia a rotelle e solo a Houston il dottor Joseph Jancovic, luminare russo della moderna neurologia, mi ha spiegato con esattezza in che cosa consisteva il mio problema - prosegue Delpiano – Sono stati approcci molto complessi. E molto costosi.La somma provvisionale stabilita dai giudici dopo il processo penale a carico dell’automobilista si è rivelata una goccia nel mare delle spese.
L’assicurazione che avevo come dirigente ha pagato i danni,ma le uscite erano già ingentissime. In sede civile, dopo dodici anni, proprio di recente è stato definito un indennizzo per cui sto valutando col mio avvocato se presentare appello. A ogni  modo, se generosamente familiari, amici e conoscenti non mi
avessero aiutato in modo disinteressato,non ce l’avrei mai fatta a stare dietro a tutti i conti che ho dovuto pagare per l’assistenza».
«Oggi–incalza–ogni tre mesi devo ricoverarmi per una terapia di sostegno che dura un paio di settimane.
 Così, quando mi sono riaffacciato al mondo del lavoro  e ho cercato di fare ancora l’ingegnere, le assenze per   queste cure hanno influitpo. È stato un susseguirsi di assunzioni e licenziamenti. Alla fine ho deciso di cambiare. Ho frequentato una scuola per cinque anni e ora faccio il counselor: mi oc-
cupo cioè di garantire appoggio a chi incontra difficoltà e disagi nella vita di relazione. Un po’quello che hanno fatto cinquanta miei colleghi arrivati da tutt’Italia qui in Emilia dopo il terremoto affiancando psichiatri e psicologi».
«Ma prima, in tutto questo tempo, quasi per caso, ho cominciato a fare sporte sono anche diventato istruttore di nuoto – prosegue il professionista –Ho pensato che, dopo l’infortunio, valesse comunque la pena di giocarsela sino in fondo. In dieci mesi ho conquistato tre record italiani che fra gli atleti con
disabilità resistono ancora: nei 50 e nei 100 stile libero e nei 50 farfalla,piazzando mi tra i primi tredici nuotatori al mondo.Con la nazionale sono entrato nella rosa per le paraolimpiadi di Pechino e ho continuato per circa un anno con ritmi da professionista. Ora ho smesso con l’agonismo, ma nuoto a livello amatoriale».
«Intanto,con la mia bambina e con la mia compagna, che il prossimo mese sposerò, ho potuto ricostruirmi una nuova vita di affetti», sottolinea Delpiano,che non fa mistero della sua carica di entusiasmo per aver avuto una chance di riniziare e il coraggio di vincere la sua battaglia. «Oggi guido la macchina automatica, mi servo di tutori e mi muovo con le stampelle:non lo dico tanto per dire, ma quel 17 febbraio del 2000 si è rivelato il più bello della mia esistenza.
Mi ha fatto risvegliare dal buio e mi ha reso divinamente abile,capace di utilizzare al meglio tutte le possibilità che prima non ero in grado di apprezzare-aggiunge d’un fiato l’ingegnere-counselor – Pochi giorni fa,all'università di Bologna, l’ho spiegato agli studenti che frequentano il corso di scienza e terapia della riabilitazione e ho visto che hanno compreso che cosa intendo».
Del suo caso ha scritto la rivista VanityFair. Mentre in passato qualche giornalista ha cercato,senza riuscirci,di farlo partecipare a trasmissioni tv strappalacrime “su come ricominciare con un sorriso”. «Quando ho scelto di vivere,e non di sopravvivere,ho pensato alla mia rinascita in maniera assolutamente meravigliosa – è la conclusione di Delpiano–Non mi è mai piaciuto piangermi addosso: non so se si sia capito».(pgp)

Messico, il cantante toglie dalla scaletta un brano molto amato ( Si trattava di un controverso brano che elogia le azioni dei narcotrafficanti ): il pubblico reagisce distruggendo il palco

In Messico esiste un  sottogenere musicale chiamato «narcocorrido»  e che è famoso per i  testi indulgenti verso l'attività dei cartelli...