Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
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5.3.14
Ian McKinley. Perde un occhio giocando a rugby: torna ad allenarsi e segna due mete
secondo alcuni potrà sembrare macchino follia .Ma per me è passione , di ripresa , non farsi schiacciare \ deprimere dalla vita .Proprio come avvenne con un mio prozio che perse durante una battuta di caccia grossa l'occhio sinistro ( non ricordo se gli spararano accidentalmente o era partito un colpo dal suo fucile) e continuo ad andare a caccia fino ad una \ due settimane prima di morire e continuò ad esercitare la professione di pediatra .
17.3.13
La mia vita senza tacchi a spillo. Giusy Versace: io e la femminilità] La mia vita senza tacchi a spillo. Giusy Versace: io e la femminilità
dal blog del corriere dela sera http://invisibili.corriere.it/descrizione/#more_descrizione
ho preso questa storia raccontasta da Claudio Arrigoni
Giusy Versace (sì, la famiglia è quella che immaginiamo)
ha affrontato di colpo la disabilità quando aveva 28 anni: le gambe
amputate da un guard rail sulla Salerno-Reggio Calabria. Nella sua vita
c’è un prima e un dopo, come spiega nel libro “Con la testa e con il cuore si va ovunque”
(Mondadori; la foto, di Jennifer Lorenzini, è quella della copertina).
Anche nel suo modo di intendere la femminilità. Ce lo spiega oggi,
“Festa della donna”, con un augurio: “Auguri a tutte, ma proprio a
tutte, le donne: siamo come ci guardiamo”.
di Giusy Versace
Nel 2005 ho perso le gambe in un incidente stradale e insieme alle
gambe credevo di aver perso anche una parte della mia femminilità. Ho
sempre considerato le gambe come la parte più femminile di me,
perdendole ho iniziato a vedermi come un piccolo mostro.
Ho dovuto imparare nuovamente a guardarmi allo specchio, vestita in
modo diverso rispetto a come ero abituata a vedermi prima. Indossavo
spesso pantaloni stretti, fuseaux e scarpe col tacco. Adoravo i vestiti
corti e le mini gonne. Di colpo ho dovuto affrontare un nuovo nemico:
l’armadio. Affrontai una sfida: raccogliere in grandi buste tutti i
vestiti e le scarpe che non avrei potuto più indossare e trovare il
coraggio di darle via. Il pianto liberatorio, condiviso con mia madre,
mi diede la forza necessaria per farlo.
Col tempo ho imparato ad apprezzare e valorizzare ciò che di me era
rimasto, senza perdere troppo tempo a pensare a ciò che non avevo più.
Essere guardata in modo “diverso” mi metteva a disagio, finché un
giorno capii che ero io quella diversa, semplicemente perché non mi
sentivo bene con me stessa. La gente guarda semplicemente perché non è
abituata a vedere, ma io “guardavo” perché la mente mi proiettava
un’immagine di me che ormai non esisteva più.
Pensare alla mia nuova vita senza tacchi mi ha fatto spesso sentire
buffa e goffa, in alcune situazioni finanche inappropriata. Per esempio,
ricordo con simpatia quando una sera le mie migliori amiche mi
proposero di andare a una festa. Evviva! Non vedevo l’ora. Avevo
imparato a camminare senza stampelle da pochi mesi e l’idea di uscire e
fare un po’ di vita mondana mi elettrizzava come un’adolescente al suo
primo appuntamento. Cercai di vestirmi in modo carino, ma nell’aprire
la scarpiera la scelta era più o meno sempre la stessa: sneackers,
ballerine. Pensai subito che forse nessuno mi avrebbe guardato i piedi e
che la cosa più importante era sfoggiare il sorriso più bello. Indossai
una camicetta attillata con una collana lunga colorata, un po’ di
trucco, un tocco di gloss alle labbra e via. La compagnia e l’affetto
delle mie amiche mi aiutò quella sera a essere, ancora una volta e
nonostante tutto, protagonista di una serata importante. A nessuno
importava che scarpe indossassi, nessuno notò il mio largo pantalone
nero, in compenso mi fecero tanti complimenti per la collana e per il
sorriso. La gente ci vede in base a come noi ci poniamo. Maggiore è la
stima che nutriamo di noi stesse, migliore è la percezione che la gente
avrà di noi. Allora, di che parliamo?! Cosa vuol dire femminilità?
Sembrerà banale, e magari lo è, ma un sorriso è in grado di
sprigionare più femminilità di un tacco a spillo. Difficile crederci,
per chi è abituata magari a indossarli o per l’immagine femminile che ci
viene spesso proposta, lo so bene! Ma, provate a immaginare una
“musona” o una persona triste e negativa su un paio di tacchi e poi
ditemi che effetto vi fa.
Se poi scegliete invece di mettere i tacchi solo per sembrare più
alte, beh allora vi capisco! Siete assolutamente giustificate. Io ho
risolto il problema così: vado da un tecnico e mi faccio fare le gambe
di qualche centimetro più lunghe. Comodo no? In fondo, se ci pensate
bene, con un paio di scarpe comode si evitano anche i rischi di
incappare in brutte figure, si evitano possibili scivoloni o inutili e
antipatiche storte alle caviglie. In sostanza, ci si sente più a proprio
agio e si sorride molto di più.
Non potrò mai dimenticare le parole che mi scrisse un amico stilista
qualche tempo fa: se osi con una scollatura apparentemente discreta,
nessuno noterà le ballerine che avrai ai piedi.
“Donne, donne…. oltre le gambe c’è di più”, cantava la bella Jo Squillo. E’ proprio vero…
* Professionista nella moda, atleta paralimpica, presidente di “Disabili no limits”
6.11.12
«Io,sopravvissuto,così sono rinato» Dopo un incidente,ingegniere diventa recordman del nuoto e cambia vita nonostante le gravi lesioni
come nel post precedente ho trovato mettendo in ordine il magazzino anche questa news
tratta dalla nuova sardegna del 5\11\2012
La sua storia ha fatto il giro del mondo. «Sono stato investito durante un sopralluogo e oltre a
una grande quantità di fratture ho subito gli esiti di una neurodistonia che ha trasformato il mio caso in una vicenda quasi unica:sono una delle poche persone in tutto il pianeta che soffrono di questa malattia a causa di lesioni dovute a un trauma».Ancora oggi Francesco Delpiano, ingegnere nuorese di 45 anni, ha la parte sinistra del corpo paralizzata.«Ma sono sopravvissuto e considero il giorno dell’infortunio come quello che ha segnatola mia rinascita – dice con convinzione – Da allora sono diventato un nuotatore.
Ho saputo sfruttare al meglio tutte le mie possibilità. Mi sono trasferito in Emilia Romagna.
Ho cambiato vita, persino professione.E sono riuscito a costituire una bellissima famiglia».Quella di delpiano è una vicenda straordinaria, in tutti i sensi. «Mi sono laureato a Cagliari e al momento dell’infortunio pensavo mi attendesse un’ottima carriera :a poco più di 30 anni ero il direttore del cantiere per la costruzione a Sassari della metropolitana di superficie per conto del Gruppo Condotte – comincia a raccontare il professionista–Invece,il 17 febbraio del 2000 sono stato travolto da una macchina guidata da un automobilista che sarà poi condannato a 30 giorni di sospensione della patente,una pena così lieve che quasi mi spinse a chiedere di cambiare cittadinanza. Comunque l’urto mi ha fracassato il corpo. Al di là di tante lesioni, ho riportato un trauma cerebrale, al quale è seguito uno stato di coma. Due condizioni che si sono poi rivelate all'origine del gravissimo disturbo cerebrale che mi ha prima portato a mesi di riabilitazione a Parma e poi costretto a girare per ospedali europei e americani alla ricerca di risposte medico-legali sulla diagnosi definitiva di neurodistonia post traumatica».
«I primi cinque anni si sono rivelati un calvario: mi sono ritrovato sulla sedia a rotelle e solo a Houston il dottor Joseph Jancovic, luminare russo della moderna neurologia, mi ha spiegato con esattezza in che cosa consisteva il mio problema - prosegue Delpiano – Sono stati approcci molto complessi. E molto costosi.La somma provvisionale stabilita dai giudici dopo il processo penale a carico dell’automobilista si è rivelata una goccia nel mare delle spese.
L’assicurazione che avevo come dirigente ha pagato i danni,ma le uscite erano già ingentissime. In sede civile, dopo dodici anni, proprio di recente è stato definito un indennizzo per cui sto valutando col mio avvocato se presentare appello. A ogni modo, se generosamente familiari, amici e conoscenti non mi
avessero aiutato in modo disinteressato,non ce l’avrei mai fatta a stare dietro a tutti i conti che ho dovuto pagare per l’assistenza».
«Oggi–incalza–ogni tre mesi devo ricoverarmi per una terapia di sostegno che dura un paio di settimane.
Così, quando mi sono riaffacciato al mondo del lavoro e ho cercato di fare ancora l’ingegnere, le assenze per queste cure hanno influitpo. È stato un susseguirsi di assunzioni e licenziamenti. Alla fine ho deciso di cambiare. Ho frequentato una scuola per cinque anni e ora faccio il counselor: mi oc-
cupo cioè di garantire appoggio a chi incontra difficoltà e disagi nella vita di relazione. Un po’quello che hanno fatto cinquanta miei colleghi arrivati da tutt’Italia qui in Emilia dopo il terremoto affiancando psichiatri e psicologi».
«Ma prima, in tutto questo tempo, quasi per caso, ho cominciato a fare sporte sono anche diventato istruttore di nuoto – prosegue il professionista –Ho pensato che, dopo l’infortunio, valesse comunque la pena di giocarsela sino in fondo. In dieci mesi ho conquistato tre record italiani che fra gli atleti con
disabilità resistono ancora: nei 50 e nei 100 stile libero e nei 50 farfalla,piazzando mi tra i primi tredici nuotatori al mondo.Con la nazionale sono entrato nella rosa per le paraolimpiadi di Pechino e ho continuato per circa un anno con ritmi da professionista. Ora ho smesso con l’agonismo, ma nuoto a livello amatoriale».
«Intanto,con la mia bambina e con la mia compagna, che il prossimo mese sposerò, ho potuto ricostruirmi una nuova vita di affetti», sottolinea Delpiano,che non fa mistero della sua carica di entusiasmo per aver avuto una chance di riniziare e il coraggio di vincere la sua battaglia. «Oggi guido la macchina automatica, mi servo di tutori e mi muovo con le stampelle:non lo dico tanto per dire, ma quel 17 febbraio del 2000 si è rivelato il più bello della mia esistenza.
Mi ha fatto risvegliare dal buio e mi ha reso divinamente abile,capace di utilizzare al meglio tutte le possibilità che prima non ero in grado di apprezzare-aggiunge d’un fiato l’ingegnere-counselor – Pochi giorni fa,all'università di Bologna, l’ho spiegato agli studenti che frequentano il corso di scienza e terapia della riabilitazione e ho visto che hanno compreso che cosa intendo».
Del suo caso ha scritto la rivista VanityFair. Mentre in passato qualche giornalista ha cercato,senza riuscirci,di farlo partecipare a trasmissioni tv strappalacrime “su come ricominciare con un sorriso”. «Quando ho scelto di vivere,e non di sopravvivere,ho pensato alla mia rinascita in maniera assolutamente meravigliosa – è la conclusione di Delpiano–Non mi è mai piaciuto piangermi addosso: non so se si sia capito».(pgp)
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