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14.9.21

in italia stiamo regredendo fra sessimo , razzismo , talebani nostrani parte " II . Lascialo stare, il tagliaerba, te la rasiamo noi.’ slogan imbelle cantato dai tifosiad uan donna che rasava il prato prima dela partita Sampdoria-Inter

leggi prima 

Centinaia di uomini, che in uno stadio, davanti ad altre migliaia di persone, intonano questo coro rivolto a una ragazza che sta tosando il campo di gioco prima del match. È successo domenica, a Marassi, prima dell’incontro della squadra di casa contro l’Inter. Lei al centro di tutti e tutto che lavora. Mentre quegli uomini che sono lì per divertirsi intonano cori sulla sua vagina. Cori “scherzosi”, “goliardici” li definiscono loro. Come anche tanti siti di sport che usano la stessa parola: “goliardia”. Perché certo, è goliardico no? È divertente. Le matte risate. Per chi canta  forse  , meno  per chi  li subisce  .  Infatti  c'è da  chiedersi   se tale  tifosi   sarebbero stati dello stesso parere se al posto di quella ragazza ci fosse stata una loro figlia o sorella o fidanzata o mamma. Anzi, loro stessi. Che mentre lavorano, sentono cori di migliaia di persone sul proprio buco del c***. O sulle piccole dimensioni del proprio pene. Bello eh? Goliardico. Dicono che la ragazza sorridesse. Quindi tutto a posto no? Magari sorrideva per il nervosismo, o magari che diavolo avrebbe mai dovuto fare, fuggire in lacrime e lasciare il lavoro a metà prima di un match di serie A? Il punto è che sembri una goliardata che migliaia di uomini che sono allo stadio per vedere una partita di calcio, si mettano a fare cori sulla vagina di una lavoratrice. Il punto è sessualizzare una donna anche quando sta semplicemente lavorando. Il punto è farle sapere col megafono e i cori, che centinaia di uomini stanno pensando a come “rasargliela”. Il punto è che tu non sai mai chi hai di fronte, non sai se una ragazza possa esserne divertita (e in questo caso ci sarebbe da aprire un altro capitolo) o sconvolta. Non sai come possa sentirsi mentre centinaia di uomini che la circondano decantano la sua vagina rasata. Il punto è questa roba qui non è una goliardata. È violenza. Ed essere qui a doverlo ribadire, ancora una volta, è la cosa più drammatica di tutte.”
 Ecco che  La rabbia monta e in un mese in cui il calcio è tornato, allo stadio in prima fila ci sono stati razzismo e sessismo. Buon ritorno alle terribili abitudini del passato.
Il VIDEO (allucinante), rilanciato gioiosamente ( e da me ripreso ) da varie testate come una “simpatica goliardata”.Giudicate voi se questa, in un mondo appena decente, possa essere definita una goliardata. Per me che quando ero giovane mi comportavo come tali morti di figa , mandrili arrappati , ecc e che poi ha capito i suoi errori ed adesso lotta contro il suo maschio alfa .Ora  Chi ha definito i fatti di Marassi un siparietto simpatico è stato assente alle lezioni di sviluppo sociale degli ultimi 100 anni . No, non c’è nulla di simpatico nel “siparietto” che i tifosi dell’Inter avrebbero dedicato alla giardiniera di Marassi la scorsa domenica mattina, poco prima di Sampdoria-Inter quando lei era impegnata nel turno che le compete tra le 12 e le 15.




Due parole  con cui bisogna cominciare a fare i conti nella quotidianità: siparietto e goliardico. Cosa vorranno mai dire? Il più importante però è il secondo.

goliardia
/go·liar·dì·a/

sostantivo femminile
La comunità dei giovani universitari.
Lo spirito cameratesco e spensierato tipico dei goliardi.



Ecco che Goliardia per il vocabolario Treccani deriva dai goliardi medievali. Loro erano famosi per le poesie latine scritte e cantate i cui motivi principali erano l’esaltazione dell’amore, della giovinezza, del vino, della primavera, la critica sociale rivolta specialmente contro il mondo ecclesiastico. Cosa nel video possa in qualche modo richiamare i concetti sopra espressi, rimane un mistero.Quello che rimane, e stavolta sì, è l’umiliazione. Quella che fa più male. Perchè c’è tutto, il branco, lo stile (poco), il disinteresse per la vittima e il risultato di trasformare una persona che in quel momento è un lavoratore in una donna che a fine serata sarà una vittima.

Qualcuno dirà il saluto sorridente, altri la condanneranno perchè avrebbe dovuto denunciare subito l’accaduto (come? in che modo?) e per qualcuno addirittura ha apprezzato. E’ irrilevante. Il branco, l’ululato, la pubblica mancanza di rispetto. Tanto bastano.

 ha  ragione 

Lorenzo Tosa

In fondo è semplice. Immaginate se, al posto della giardiniera di Marassi, ci fosse stata la loro figlia, fidanzata, moglie, sorella. Immaginateli per un attimo questi perfetti sfigati (questo sono) che si fanno forti nel gruppo, nascosti nel branco, come ognuno dei maschi che vengono qui a commentare forti di una tastiera mentre una ragazza a loro cara (ne avranno una anche loro, forse) si sente urlare da cento uomini che le raserebbero volentieri la vagina in pubblica piazza. O perché no, direttamente loro, mentre cento uomini (non donne) scherzano e ridacchiano e intonano cori sui loro genitali davanti a migliaia di persone.
Uh, sai le risate... Triste anche doverlo spiegare così, ma è l’unico modo perché un concetto, per sbaglio, si faccia largo clandestinamente nella corteccia e attecchisca ..... Ma poi la cosa che non si sottolinea mai abbastanza è: ma quanto sono sfigati? No, dico, ma, al di là della meschinità, ma quanta sfiga devi avere nella vita per star dentro un branco di acefali ignoranti come scarpe a urlare da una balaustra a una donna queste schifezze? Gente così di donne nella loro vita deve averne viste poche (e quelle poche col binocolo) perché una donna di fronte a omuncoli così scappa per l’imbarazzo. Poveretti, non sanno cosa si perdono. ..... 

6.1.16

Pavia Si prostituisce per pagarsi le slot Impiegata 50enne perde lavoro e liquidazione per il gioco d’azzardo, ora è in comunità terapeutica



Leggendo la storia che trovate sotto ---- presa come sempre dalla pagina facebook di geolocal ( gruppo repubblica-l'espresso ) mi viene da dire ci manca solo che gli adolescenti iniziano a spacciare o a farlo anch'essi per avere i soldi da giocare e siamo a cavallo . Maledetti siano i governi che lo hanno permesso di renderlo legale Va bene c'era la motivazione, almeno quella positiva , di toglierlo alle mafie , ma cosi si è caduti dalla padella alla brace ed adesso rimediare è un casino . E nessuno ha il coraggio di metterci le mani .




da http://laprovinciapavese.gelocal.it/pavia/cronaca/ del 5\1\2016
di Maria Grazia Piccaluga.





PAVIA
Trenta euro in contanti. Il prezzo della disperazione e della dignità perduta. La somma per cui un’impiegata cinquantenne di Pavia, schiava dell’azzardo e dei videopoker, si vendeva ai frequentatori di alcune sale gioco quando, a metà mese, aveva già “bruciato” tutto il suo stipendio . Con quei soldi - che faceva subito convertire in gettoni - tornava a sedersi, per ore, davanti a una slot.
Una schiavitù durata molti mesi, in cui ha dilapidato tutte le sue sostanze, ha perso il lavoro, ingannato i familiari, arrivando anche a tentare di togliersi la vita.
Poi il cambio di rotta. L’incontro con gli operatori del centro di ascolto anti slot della Casa del Giovane. Ora è ospite di una comunità terapeutica, sottoposta a un trattamento di “disintossicazione” dalla dipendenza dal gioco. E ha trascorso, per la prima volta dopo anni, un Natale diverso.
La sua storia inizia come quella di tante altre persone “contagiate” dalla ludopatia: un Gratta & Vinci ogni tanto, con la certezza che oltre quel confine non si andrà. Invece la tentazione un giorno spinge l’impiegata cinquantenne in un bar, dove si siede davanti a una slot. Il primo gettone, ne è sicura, sarà anche l’ultimo. Invece ne compra un altro e un altro ancora.
Diventa il suo modo per trascorrere il tempo quando esce dall’ufficio, nei pomeriggi tutti uguali. Chiude la porta della sua casa silenziosa, dove vive sola, e si infila in un bar che abbia le macchinette.
Non si vergogna nemmeno più che qualcuno la possa riconoscere. E’ troppo presa dalla smania di vincere, ipnotizzata dal rullio colorato della slot, cullata dal ritmo cadenzato e metallico delle monete che cadono nella macchina.
Poi passa al videopoker e alla videolottery, entra anche nelle sale gioco. Il suo stipendio da impiegata, racconterà poi agli operatori del centro di ascolto, termina già nei primi giorni del mese. In una settimana di euforia gioca 15mila euro. Bussa alla porta delle sorelle, elemosina soldi al padre al quale, confesserà più tardi, ha anche sottratto tutto l’oro di famiglia per poi rivenderlo. Collane e anelli della madre defunta, ricordi di una vita che non si è fatta il minimo scrupolo a barattare con dei soldi freschi da giocare. «Perché la malattia – confermano gli addetti ai lavori che lavorano nella struttura pavese – ti annebbia la mente. La disperazione rompe gli argini e non chiede il permesso. Non suona il campanello, non ti avvisa ma ti schiaccia. C’è chi dilapida tutti i risparmi, si vende la casa, i gioielli, inventa furti e rapine. Prima delle feste c’è persino chi si è venduto il cane».
Sul lavoro l’impiegata rende sempre meno, arriva persino a rubacchiare. E alla fine viene licenziata. Ma lei polverizza il Tfr in poche ore. E’ in quel preciso momento che scende all’inferno e abbandona l’ultimo briciolo di dignità. Si vende agli uomini che gravitano attorno al mondo dell’azzardo per poche decine di euro. Ma quello è anche il momento in cui, toccato il fondo, decide che è giunto il momento di risalire. E bussa alla porta della Casa del Giovane.









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Febbre da gioco, in provincia di Pavia 912 locali con le slot

Ecco la mappa dei locali in cui si gioca. La più alta concentrazione, come intuibile, a Pavia, Vigevano e Voghera. Seguono Stradella, Broni, Mortara e Sannazzaro




8.2.15

«Ministro orango», Cucca: non abbiamo assolto Calderoli Il senatore sardo spiega il no all’autorizzazione a procedere: «Per l'accusa formulata, istigazione all’odio razziale, mancano i presupposti giuridici»

Un bel tentativo d'arrampicarsi sugli spechi  . Va bene   parlare  ala gente  , uscire  dalla torre  d'avorio  , ma parlare   alla pancia  e poi inventarsi  la scusa  non ci sono prove  questo   non è  degno   di un paese   civile . E  testimonia    quanto  dicevo nel post precedente  . Non mi soffermo oltre  , per  evitare di beccarmi  una denuncia per  villipendio  dele istituzioni  e poi io  non ho  come  Caderoli e   compagni di merde   il  culo ..... ehm ......   le spalle  coperte     da  amici  politicanti 

da  la  nuova sardegna online del  8\2\2015




NUORO. «Sia chiaro: nessuno ha assolto Calderoli. La frase è evidentemente offensiva, ma non ci sono gli estremi dell’istigazione all’odio razziale, questo no!». « Una valutazione puramente tecnica, certamente non politica». Il senatore nuorese del Pd Giuseppe Luigi Cucca, avvocato di professione, difende il suo voto dato nella Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari che mercoledì scorso ha dichiarato insindacabile il leghista Roberto Calderoli, vice presidente del Senato. Sotto accusa per la frase shock che pronunciò nel luglio del 2013 nel corso di una festa della Lega a Treviglio: «Amo gli animali, orsi e lupi com’è noto, ma quando vedo le immagini della Kyenge non posso non pensare, anche se non dico che lo sia, alle sembianze di un orango».
La bufera politica fu immediata, nonostante il bestiario parlamentare sia da sempre infarcito di parole scurrili e oscene. Tanto che la definizione di “Balena bianca” data alla mastodontica Dc è il più pulito dei nomignoli di palazzo. Ne sa qualcosa Giuliano Amato, ribattezzato a più riprese “Il topo”. “Topo Gigio”, del resto, è l’appellativo che il presidente della Regione Sardegna uscente Ugo Cappellacci affibbiò miseramente al suo rivale e successore Francesco Pigliaru. E Renato Brunetta, per tornare in Parlamento, detto “Il nano”, non è forse una vittima dell’infelice vocabolario della politica italiana
La Santanché si autodefinì “Pitonessa” quando tanto si parlava di “Falchi” e “Colombe” e Berlusconi il “Caimano” (detto anche il “Giaguaro”) era sempre vigile e in agguato.
Ma non ci sono soltanto animali nel linguaggio indecente di Roma capitale: c’è anche “Faccia di mortadella” e Romano Prodi sa bene che ad apostrofarlo così era stato “Nano pelato” alias Silvio Berlusconi. Ma il verde Calderoli, evidentemente, è andato oltre ogni limite. Non gli bastavano le uscite omofobe e la maglietta con l’effigie del profeta Maometto, no, quella volta di due anni fa Calderoli era uscito dai binari con gli insulti al ministro per l’Integrazione del Governo Letta, Cécile Kyenge. Tant’è che la Procura della Repubblica di Bergamo ha ravvisato nelle parole di Calderoli l’ipotesi di reato di istigazione all’odio razziale. Per il parlamentare leghista si prospettava, dunque, il giudizio immediato. Salvo essere “salvato” dai suoi colleghi di palazzo Madama, come poi è successo dato che la Giunta delle immunità ha negato l’autorizzazione a procedere.
«La Giunta è un organo paragiurisdizionale e la sua attività è esclusivamente di tipo tecnico, le valutazioni politiche spettano all’aula, che è sovrana» continua Giuseppe Luigi Cucca, classe 1957, nato a Bosa, uno dei ventitré componenti della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari. «È chiaro che se la Kyenge avesse presentato querela indubbiamente avremmo dovuto dare l’autorizzazione» spiega l’avvocato-onorevole sardo. L’ex ministro di origini congolesi, infatti, non solo non aveva presentato querela, ma non si è neanche costituita parte civile. Anzi. La Kyenge aveva persino accettato le scuse subito presentate da Calderoli, che già nell’immediatezza della festa di Treviglio aveva riconosciuto di aver sbagliato, di aver esagerato. Un mazzo di fiori alla Kyenge e «capitolo chiuso», aveva detto l’allora ministra.
Niente affatto: il capitolo è ancora aperto. E la bufera politica è ancora in corso, soprattutto all’interno del Pd. Anche se «non ci sono i presupposti giuridici dell’istigazione all’odio razziale», assicura il senatore nuorese Cucca.

6.2.15

Kyenge: “Calderoli assolto per avermi detto orango, triste il Pd che lo difende” razzismo di stato ?

Premetto che   come politica  non come persona la Kyenge non mi piace  e non mi è  mai  piaciuta  eche è stata messa  li slo per  avere  voti  e fare bella fiugura    di un governo multi etnico per poi 
Clicca  sull'immagine per  ingrandire

   . Ma   come Michele Serra  sempee  su  repubblica  d'oggi  :  
(.....) Si capisce che la questione della libertà  di parola, in specie della parola politica, è  grande; complicata; non certo risolvibile  con un paio di querele o, al contrario, con  un paio di non-autorizzazioni a procedere.Ma almeno sul piano dell’esempio ci si  aspetterebbe che la classe dirigente di un  paese europeo pretendesse, da se stessa,un minimo sindacale di compostezza e di decenza. Quante ne bastano per capire che dare dell’orango a una donna italo africana è una schifezza proprio perché «nel pieno esercizio delle proprie funzioni politiche». In questo senso no, la Giunta per le autorizzazioni non fa pensare alla classe dirigente di un paese europeo.


affermo  che  è una vergogna  ed ipocrita .Infatti mi chiedo  che  cosa  la  si è messa  a fare  la  kyege    come ministro se  poi si da  ragione ai malpancisti come Caderoli   e  affini  ?

Proprio mentre  stavo per  preme ok  ,  leggo questo lancio  d'agenzia


ROMA - Il Pd potrebbe rovesciare la decisione assunta dai propri membri nella Giunta per le Autorizzazioni e le Immunità Parlamentari del Senato e votare, in Aula, a favore dell'autorizzazione a procedere nei confronti del senatore Roberto Calderoli, per le frasi offensive nei confronti dell'ex ministro Cecile Kyenge. E' quanto si apprende da ambienti del Pd di Palazzo Madama. I vertici del gruppo, comprendendo le motivazioni strettamente tecniche e giuridiche che hanno indotto alcuni senatori dem a votare in Giunta contro la relazione presentata ieri, sarebbero orientati a rovesciare quel voto in Aula dove, come previsto dal regolamento, la questione verrà affrontata nelle prossime settimane.   (....)    

Speriamo bene     e che rimedino alla figura  di cacca    che  ci  hanno fatto e  fanno fare  all'Italia   oltre  che ai loro simpatizzanti ed  elettori  

19.1.14

Cagliari, storia di una coppia lesbica "Ecco com'è nata nostra figlia Angela"


Prima di riportare la  storia   di una famiglia gay  \  lesbica  o  "diversa"    se  si vuole seguire   l'ipocrita politicamente  corretto   e le difficoltà incontrate dalla coppia per realizzare il sogno della maternità
d'oggi    devo fare una premessa.
Non capisco  e mi lascia perplesso  il desiderio di maternità da parte delle  lesbiche  e   e  dei gay  , ma allo stesso tempo  mi chiedo   :  ma qualcuno pensa seriamente che due donne come genitori potrebbero non essere in grado di educare correttamente la bambina? Oppure di farla crescere felice? Allora nelle coppie etero dove un padre muore e la madre deve allevare un figlio piccolo non sarà in grado di allevare nel modo corretto il figlio perché manca la componente maschile? Allora secondo questa ratio obblighiamola a prender nuovamente subito marito per il bene del piccolo..... Io sinceramente non riesco a vedere tutto sto problema dell'educazione o della corretta crescita. L'importante   è che ci sia  amore ed affetto  e i bambini non crescano trascurati  ed abbandonati  , come spesso accade   nelle coppie  etero , dove  spesso  : <<  Tra questa gente senza più cuore, e questi soldi che non hanno odore \e queste strade senza più legge\e queste stalle senza più gregge\senza più padri da ricordare\e senza figli da rispettare. (...)  >> per parafrasare una famosa canzone di  Francesco De Gregori


  dall'unione sarda del 19\1\2014 


Una donna cagliaritana e la sua compagna raccontano: siamo una famiglia “illegale”«Così abbiamo fatto un figlio»Con la fecondazione eterologa a Madrid, vietata in Italia 
Il sogno di una coppia cagliaritana si è realizzato in una clinica di Madrid


Un neonato tra le braccia della mamma


Sandra, 37 anni, professionista cagliaritana, e Francesca, impiegata, vivono insieme da dieci anni. Il desiderio di avere un figlio è maturato quattro anni fa. Impossibile realizzarlo in Italia. La loro bambina, Angela, è nata nel 2011 grazie all'inseminazione intrauterina praticata in una clinica di Madrid. Sandra è rimasta incinta al secondo tentativo con l'inseminazione intrauterina, fatta in una clinica a Madrid, perché in Italia diventare madre con il seme di un donatore estraneo è vietato.Lo chiamano “turismo procreativo” e nonostante se ne parli poco registra numeri eclatanti. Per l'Osservatorio nazionale, ogni anno sono circa 4000 le persone che vanno a cercare di avere un figlio all'estero, con varie tecniche (legali) di fecondazione. In uno studio della rivista scientifica di Oxford, Human Reproduction , in Europa, il gruppo che varca maggiormente i propri confini alla ricerca di una soluzione all'infertilità, è quello italiano, il 31,8% del totale.Sandra, 37 anni, è una libera professionista cagliaritana, vive da dieci anni con la sua compagna, Francesca, poco più grande, impiegata. Nel 2009 decidono che vogliono diventare mamme ma non sanno come fare, non hanno esempi vicini (soltanto in seguito si avvicineranno alle Famiglie Arcobaleno, un'associazione ora molto attiva anche in Sardegna) e cominciano la loro ricerca su Internet.Provateci: di centri specializzati ce n'è un'infinità. In alcuni Paesi si possono scegliere le caratteristiche del donatore (Inghilterra, Belgio, Scandinavia), in altri l'anonimato è totale, sono i medici a decidere quale seme utilizzare e il segreto resta assoluto, salvo che il nascituro contragga una malattia grave o si trovi da grande coinvolto in un processo penale, per cui è necessario conoscere il suo patrimonio genetico. Le italiane di solito puntano sulla Spagna.Sandra e Francesca cercano una clinica in cui si parla italiano e trovano il sito fivmadrid.es . «Vent'anni di esperienza per differenti progetti familiari, per coppie eterosessuali, lesbiche e donne sole», dice l'home page. «Maternità a prezzi accessibili e finanziamento senza interessi», «trattamenti personalizzati, 1500 nel 2013, il 90 per cento andati a buon fine». Incuriosite, mandano una mail, spiegano la loro situazione, compilano una scheda e dopo due giorni ecco la gentile risposta.«Ci hanno subito richiesto una serie di visite ginecologiche, dosaggi ormonali, esami del sangue, poi siamo partite», raccontano.«Lì abbiamo incontrato un medico e una psicologa, ci hanno illustrato gli aspetti tecnici, spiegato che non è un percorso semplicissimo, non sempre si resta incinte subito, potrebbe anche non succedere. Ci hanno detto che si poteva fare la Fivet, cioè la fecondazione in vitro, oppure l'ovodonazione, la donazione di ovociti da parte di un'altra donna. O ancora la Iui, l'inseminazione intrauterina, la più semplice e per noi quella adatta». Una volta accettato, scatta un protocollo rigidissimo: documenti, consenso, certificati in cui si dichiara chi sarà la mamma biologica e (quando c'è) il nome del secondo genitore, uomo o donna, il sesso non importa. Sono tornate a casa, era febbraio del 2010. «Qui ci siamo affidate a un ginecologo, ci ha aiutato tanto ed è stato felice di farlo». Sandra ha iniziato a prendere gli ormoni prescritti, tramite dolorose iniezioni quotidiane in pancia, per due settimane, con l'obiettivo di far crescere i follicoli «e via fax mandavamo le ecografie a Madrid». Un giorno arriva la chiamata: la donna è pronta, è il momento giusto del ciclo, venite entro 36 ore. Prendono l'aereo, atterrano al Barajas , una corsa in taxi fino a Calle del Marqués de Urquijo 26, sede della Fiv, e in day hospital a Sandra, in 5 minuti, un medico introduce il seme con un tubicino. «Non sappiamo niente del donatore, se non che è un uomo sano. In alcuni Paesi c'è l'opzione aperta, il figlio a diciotto anni può chiedere il nome e andare a conoscerlo, noi abbiamo preferito quella chiusa». Una notte in hotel, quindi rientrano a Cagliari e aspettano. Dopo due settimane fanno un test di gravidanza che purtroppo risulta negativo.Allora si ricomincia. Iniezioni, ecografie, visite, e la nuova chiamata. Si vola di nuovo a Madrid, un'altra inseminazione, il ritorno a casa, dita incrociate, avrà funzionato?Finalmente la bella notizia: Sandra è incinta. Così porta avanti una normale e serena gravidanza qui.La clinica a questo punto ha esaurito la sua missione: vuole soltanto la prima ecografia e poi, se tutto fila liscio, una comunicazione finale: Angela è nata il 6 giugno 2011, peso 2,8 chilogrammi. «Quanto è costato? Quattromila euro, ogni volta, tutto compreso, anche viaggio e soggiorno. Complessivamente 8000 euro. Siamo state fortunate, già il secondo tentativo è andato a buon fine, non sempre è così facile». Oggi, due anni e mezzo dopo, Sandra, Francesca e Angela vivono a Cagliari, in una villa con un giardino e un cane. Niente cognomi, per proteggere la piccola. Sono una splendida famiglia, che non è riconosciuta dallo Stato italiano.

Cristina Cossu






ecco cosa succede  all'estero   , sempre  dall'unione sarda  

Cosa succede in Gran Bretagna e nei diversi Paesi d'Europa. Negli Usa anche la maternità surrogata
La Banca dove il seme si sceglie on line



In Harley Street, a due passi da Regent's Park, c'è la London Sperm Bank . Fondata nel 2010, la Banca del seme di Londra è il principale fornitore di sperma del Regno Unito, ha diecimila fiale in giacenza e aiuta «le coppie e le donne sole a realizzare il sogno di avere un bambino». Per poter usufruire dei servizi di questo speciale istituto bisogna essere un paziente registrato alla Women's Clinic oppure al Bridge Centre. Ogni ciclo di trattamento costa 850 sterline. A questo punto, si può sfogliare il catalogo on line e selezionare un donatore. Si può scegliere per razza - asiatico, nero, caucasico, sangue misto, orientale - colore degli occhi, dei capelli e della pelle, altezza, nazionalità, titolo di studio, occupazione, religione. Ad esempio: il donatore 1045, è sudafricano, ha gli occhi verdi, i capelli castano scuro, carnagione chiara, è alto 1 metro e 80, pesa 86 chili, ha due lauree, in Giurisprudenza e in studi sul Sud est asiatico, fa l'avvocato e la sua confessione è l'ebraismo. I suoi interessi e hobby sono: nuoto, sci, escursionismo, fotografia, viaggi e volontariato. Inoltre, è molto cordiale, loquace e socievole e, nel tempo libero, ama uscire con gli amici.
Non sono tantissime le italiane che approdano nella capitale inglese per una fecondazione eterologa, «a pesare è probabilmente il fattore linguistico». La metà preferita per le coppie e le single di casa nostra - registra l'Osservatorio sul turismo procreativo - è la Spagna, dove la legge consente sia la donazione di gameti che quella di embrioni e dove esistono grandi cliniche per la procreazione medicalmente assistita in cui tutti, centralinisti, medici, infermiere, parlano italiano. La seconda destinazione più frequentata è la Svizzera: qui è ammessa soltanto la donazione di seme alla donna sposata. Da un po' di tempo sta avendo successo anche la Repubblica Ceca, con una normativa analoga a quella spagnola, sempre “sicuro” il viaggio in Danimarca, dove si può usufruire sia della donazione del seme che di ovociti (non di embrioni), a prescindere dallo stato civile. In Belgio è consentito tutto, in Grecia pure ma è necessario essere coniugate. In Europa - spiegano all'Osservatorio - soltanto Italia e Turchia non ammettono l'eterologa.
La “maternità surrogata” (utero in affitto), vietata anche questa dalla nostra legge 40, si ha quando una donna si fa carico di una gravidanza, per conto di una coppia sterile, omosessuale o di un single, fino al parto. La fecondazione (in vitro) viene effettuata con seme e ovuli della coppia richiedente o, se necessario, di donatori e donatrici. L'embrione poi viene impiantato nell'utero della portatrice, che partorirà senza essere però riconosciuta come madre. La madre legale sarà solo quella che ha trasmesso i geni, anche se non ha partorito. I pionieri di questa pratica sono gli Stati Uniti - agenzie specializzate seguono l'intero percorso, dalla ricerca della “madre” alla burocrazia da affrontare quando nasce il bambino, con costi che variano dai 70 mila ai 165 mila dollari - ma si fa legalmente anche in Canada, Russia, Ucraina e India. Non si conoscono i numeri esatti del fenomeno dall'Italia (migliaia di persone, comunque) anche perché una volta che si torna in patria sorgono problemi legali di riconoscimento da parte dello Stato. È accaduto che una coppia sia stata accusata di “alterazione di stato di nascita”, reato punito con la reclusione fino a 15 anni. 

27.3.13

solo in italia le forze dell'ordine si comportano cosi Agenti in sit-in contro mamma Aldrovandi e lei scende con la foto del figlio


 vedendo   l'ennessimo oltraggio  , per  giunta  sostenuto  da  un euro parlamentare  ,  rivolto verso una madre che con un coraggio commovente e ammirevole assolutamente esecrabile se ha chiesto giustizia contro i massacratori del proprio figlio.

  repubblica  27\3\2013

Agenti in sit-in contro mamma Aldrovandi
e lei scende con la foto del figlio

Il sindacato di Polizia Coisp ha manifestato sotto l'ufficio di Patrizia Moretti, in solidarietà dei colleghi condannati per l'omicidio del figlio. Lei è scesa in piazza mostrando l'immagine del giovane all'obitorio. Cancellieri: "Non rappresentano l'intera polizia"


FERRARA - Gli agenti sotto il suo ufficio a protestare. E lei che scende le scale, arriva in piazza e mostra la foto del figlio ucciso. Questa mattina, alcuni poliziotti del sindacato Coisp hanno organizzato un sit-in a Ferrara contro la madre di Federico Aldrovandi, il giovane morto il 25 settembre 2005. Una manifestazione di solidarietà ai colleghi che sono stati condannati al carcere dal Tribunale di sorveglianza di Bologna. 



Il Coisp ha manifestato davanti al Comune di Ferrara, mentre la stessa Moretti pubblicava le foto su Facebook. Persino il sindaco della città emiliana, Tiziano Tagliani, è andato dai manifestanti per chiedere di spostare 

il sit-in pochi metri più indietro. 
Una richiesta che non è stata accettata. Anzi, sono continuati i messaggi di solidarietà per i poliziotti condannati, Forlani, Segatto, Pollastri e Pontani.



A quel punto la mamma di Federico Aldrovandi è scesa in piazza, affiancata da due colleghe. E ha srotolato una foto tristemente nota, quella che ritrare il figlio morto all'obitorio circondato da una macchia di sangue.
"Non avrei voluto farlo - ha raccontato al termine Patrizia Moretti - perché a me costa moltissimo, ma sono scesa con alcune mie amiche e colleghe e ho mostrato prima alla piazza, poi a loro la foto di Federico. Nessuno di loro mi ha guardata e dopo un po' sono andati via. E' stato triste, e doloroso".
La mamma di Federico Aldrovandi racconta anche l'antefatto: "Ad un certo punto ci siamo affacciate alla finestra e abbiamo visto cosa stava accadendo, abbiamo visto il sindaco Tiziano Tagliani scendere e andare a parlare con loro dell'inopportunità del sit in, ma da lì uno dei manifestanti, molto grosso e alto, ha cominciato a inveire contro il sindaco e ho visto anche alcuni spintoni".
SENATO IN PIEDI. Quando la senatrice del Pd MariaTeresa Bertuzzi ha preso la parola nell'aula del Senato, dopo il dibattito con il governo sui marò, tutti i parlamentari e gli esponenti del governo, premier compreso, presenti nell'emiciclo, si sono alzati in piedi e hanno battuto a lungo le mani per esprimere solidarietà alla madre di Federico Aldrovandi. Tra gli esponenti del governo hanno battuto le mani e si sono alzati in piedi in segno di solidarietà anche il ministro dell'Interno Cancellieri (che ha detto: "I manifestanti non rappresentano la polizia. No a sanzioni ma giudizio critico") e l'ex capo della Polizia ora sottosegretario con delegata ai Servizi, Gianni De Gennaro ("Fatto da condannare ma non sono più il capo della polizia"). "La manifestazione indetta dal sindacato di Polizia - ha dichiarato la senatrice Pd Bertuzzi - continua a tenere aperta una ferita". Il sit-in di oggi dei poliziotti, rincara la dose la senatrice del Pdl, Anna Cinzia Bonfrisco, "ha superato ogni limite".
Solidarietà anche da Sel. "Oggi con gesto sconsiderato, rinnovato dolore per omicidio Aldrovandi. Oltre ogni limite. Un forte abbraccio a Patrizia e ai suoi familiari". Così Nichi Vendola, presidente di Sinistra Ecologia Libertà, esprime su twitter la propria solidarietà alla mamma del giovane Federico Aldrovandi.



Coisp: "Nulla contro la madre". Il Coisp ha dichiarato di non essere a conoscenza del fatto che il presidio di questa mattina si stesse svolgendo sotto le finestre dell'ufficio di Patrizia Moretti. "Non sapevamo che lavorasse in Comune", ha spiegato il segretario nazionale Franco Maccari all'emittente bolognese 'Radio Citta' del Capò: "Abbiamo fatto la comunicazione una settimana fa, l'abbiamo mandata anche al sindaco e nessuno ha avuto nulla da dire". E verso le accuse del primo cittadino Tagliani di presidio inopportuno, Maccari ha reagito: "E' in malafade ed è una persona squallida". E poi in una nota sottolinea come abbiano "evitato di raccogliere inutili provocazioni, cercate forse per via della rabbia di non essere riusciti a cacciarci e zittirci, abbiamo concluso il sit-in all'orario stabilito e siamo passati al prossimo impegno".
"Solo in Italia può accadere una cosa simile". I fatti di Ferrara sono stati ripresi anche dal blog di Beppe Grillo. Il post è intitolato "Solidarietà" alla madre di Federico Aldrovandì e riprende un testo del portale 'cadoinpiedi.it'. "Persino il sindaco della città Tiziano Tagliani è andato dai manifestanti per chiedere di spostare il sit-in pochi metri più indietro. Una richiesta che non è stata accettata - si legge - anzi, sono continuati i messaggi di solidarietà per i poliziotti condannati".



 Mi chiedo  perchè ....... il  Coisp non sta in silenzio   visto che  sono stati condannati  in tutti i gradi di giudizo ? Qui si tratta  di un azione  non solo vergognosa   intimidatoria verso altre madri o parenti di altre vittime?
Non vedo perche' non vi debbano essere provvedimenti per un gesto che si ritiene grave e deprecabile. L'affermazione del Ministro appare contraddittoria! Ed inspiegabile! ...Salvo che anche le mele marcie portano voti! o forse    toccare le  forze del'ordine ( quando  meriotano  ) è tabù  . Infatti  la  Cancelllieri e in generale tanti monti boys sono solo la faccia seria del berlusconismo  e  della vecchia  Dc . Capisco   quanto  dice   questo commento  su repubblcia  online :<<
io non ho paura della mafia, sono terrorizzato dalle così dette 'forze dell'ordine'. Se andassi ad una manifestazione pacifica rischio di essere manganellato o ammazzato come a Genova o alla Diaz, se torno a casa la sera rischio di essere fermato e manganellato da facinorosi in divisa come è successo al povero Aldrovandi, se mi fermo ad un autogrill rischio di essere ammazzato da un agente della polstrada come Spaccarotella, se ho problemi con la giustizia si rischia di non arrivare vivi in aula come Cucchi...ecc. ecc....chissà quanti casi. Questi agenti come vengono selezionati? che grado di consapevolezza hanno sulla delicatezza e l'importanza del loro ruolo? >>Mi fermo  qui  sia perchè non  ho  altre parole per definire lo schifo che provo veso una cosa del genere,..............generalizzare nn fa mai bene ,ma questi dovrebbero essere chiamati servitori della patria o simili ??? Poi  si lamentano  se  alcuni gruppi musicali  o negli stadi fanno canzoni  del tipo 





  disoccupazione di  ... ha  creato  meestiere  di    carabiniere  >>  Chiudo per non arrivare al turpiloquio

1.10.12

Costretti a radersi in gabbia "Così evitiamo atti di autolesionismo" Al CIE di Lamezia Terme. Gli immigrati-detenuti a rischio rinchiusi in una cabina metallica dove possono fare le loro pulizie personali, sotto gli occhi di tutti. La denuncia è dell' Ong Medici per i Diritti Umani1(Medu).


repubblica  online del 27\9\2012

di RAFFAELLA COSENTINO LAMEZIA TERME - In gabbia per radersi la barba davanti a tutti. È la "sconcertante pratica di umiliazione dei migranti detenuti" scoperta, fotografata e denunciata dall'Ong Medici per i Diritti Umani 2(Medu) dopo una visita nel Centro di identificazione e di espulsione (Cie) di Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro. I Cie sono prigioni amministrative in cui vengono rinchiusi, fino a un anno e mezzo, gli immigrati senza permesso di soggiorno che dovrebbero essere espulsi dall'Italia. Si tratta di un illecito amministrativo, non di un reato. A causa della lunga reclusione, i migranti vivono un profondo disagio psichico e commettono frequentemente atti di autolesionismo, ingerendo oggetti come pile, penne, cerniere oppure tagliandosi il corpo con qualunque tipo di lama. Per questo non gli vengono consegnati rasoi con cui tagliarsi la barba.

Filo spinato e recinti alti sei metri. A differenza degli altri CIE, il centro di Lamezia Terme, gestito dal 1998 dalla cooperativa Malgrado Tutto 3 non dispone di un servizio di barberia. L'ente gestore, riferiscono gli operatori di Medu, ha "inventato" una gabbia aggiuntiva, dotata di un piccolo lavello in acciaio, dove i migranti si possono radere. La gabbia è posizionata su un montacarichi e può essere all'occorrenza spostata. Le fotografie la mostrano chiusa e aperta, collocata davanti alle sbarre del cortile, unico spazio comune per tutti gli internati. "È una vera e propria gabbia priva di qualsiasi privacy ed esposta alla vista dei trattenuti, del personale dell'ente gestore e delle forze dell'ordine - spiegano i Medici per i Diritti Umani - prima di uscire dall'abitacolo, il trattenuto deve depositare la lametta in un apposito contenitore".  Il centro è circondato da una serie di recinzioni alte 6 metri, dotate di filo spinato.

Le altre scoperte. Ci sono due accessi all'area di trattenimento. Il primo è chiuso da una porta blindata. Il secondo è dotato di una gabbia doppia, progettata appositamente dall'ente gestore per impedire eventuali fughe. Secondo le statistiche del ministero dell'Interno, nel 2011 sono scappate 9 persone. Nel centro di Pian del Duca, un'ex comunità di recupero per tossicodipendenti, sorto su un terreno confiscato alla 'ndrangheta e nascosto tra le campagne di Lamezia Terme, il team di Medici per i Diritti Umani denuncia di avere fatto altre scoperte di violazioni della dignità umana. Gli operatori hanno fotografato un migrante disabile costretto a fare ogni giorno esercizi di fisioterapia con una bottiglia d'acqua legata al piede. L'uomo si muove grazie ad una stampella perché ha una protesi all'anca, dovuta a ripetuti ricoveri e interventi, precedenti al suo internamento nel Cie, per una grave forma di infezione (osteomielite) della testa del femore.

La fisioterapia "fai da te".
 "Dal suo ingresso nel CIE, oltre quattro mesi fa, il paziente ha chiesto invano la possibilità di poter effettuare la fisioterapia e un controllo ortopedico - affermano i Medu - Al suo ingresso nella struttura è stato sottoposto ad una serie di esami ematici di cui ancora non conosce l'esito. L'ente gestore ci riferisce di non aver potuto acquisire la sua cartella clinica. Nel frattempo il paziente si è auto organizzato con una fisioterapia fai da te". Secondo Medu, che da mesi svolge ispezioni nei centri, "questo caso dimostra le difficoltà di garantire in modo adeguato il diritto alla salute all'interno di un Cie".  In un precedente rapporto, Medu ha definito "iniquo ingranaggio" tutto il sistema dei circa 15 Centri di identificazione e di espulsione esistenti. Il coordinatore Alberto Barbieri, autore delle fotografie, spiega che "in questi centri si crea un sistema perverso, in cui non c'è fiducia fra medico e paziente perché da una parte i pazienti lamentano la persistente disattenzione dei sanitari nei confronti delle loro patologie, dall'altra i sanitari temono costantemente che i detenuti simulino o esagerino i sintomi di una malattia con lo scopo finale della fuga".

Il medico carceriere.
 Alla fine il medico si trasforma in un carceriere, il cui compito è anche quello di evitare il più possibile i trasferimenti del paziente in un ospedale all'esterno, viste le possibilità di fuga e la difficoltà di organizzare le scorte di polizia. Così a Lamezia Terme, esiste anche una cella di isolamento terapeutico per trattenere coloro che si sospetta abbiano malattie infettive. È chiusa da grandi lucchetti e circondata dal filo spinato. Secondo Medu, il costo complessivo della struttura è di almeno 600mila euro l'anno. Può internare fino a 60 persone ma al momento ha solo 10 detenuti. Gli fanno la guardia 60 uomini tra esercito e polizia, oltre ai 15 operatori dell'ente gestore. I rimpatriati nel 2011 sono stati il 41%, meno della metà.

La promessa del Viminale. Nel 2010 Medici senza frontiere 4 aveva strappato al ministero dell'Interno la promessa di chiudere il centro, già considerato uno dei peggiori. "Tale giudizio appare ancora oggi giustificato poiché, alla luce della visita effettuata, la struttura appare del tutto inadeguata a garantire la dignità umana dei migranti trattenuti - denunciano questa volta i Medici per i Diritti Umani- La mancanza di qualsiasi attività ricreativa, la carenza di servizi essenziali per i trattenuti, la chiusura pressoché totale all'apporto di organizzazioni esterne, alcune pratiche francamente sconcertanti e lesive della privacy della persona rendono la struttura priva dei requisiti minimi di vivibilità in condizioni di capienza a regime". Con i tagli e la crisi, il budget giornaliero è stato ridotto dal Viminale da 46 a 30 euro per ogni detenuto. Le cose, quindi, potrebbero anche peggiorare.  

L'altra spiegazione delle "gabbie". In passato - va comunque ricordato - le forze di polizia chiamate a vigilare all'interno dei CIE hanno tenuto a precisare che, spesso, accorgimenti come le gabbie (che restano comunque soluzioni degradanti e inaccettabili) servono per evitare che eventuali lesioni auto-provocate possano servire alle persone recluse nei Centri per accusare e denunciare i loro vigilanti. Metterli così in condizione di radersi e di provvedere all'igiene personale in un luogo pubblico e visibile - questa è la sostanza del ragionamento - scongiurerebbe denunce ingiuste.
 
(27 settembre 2012)


19.11.09

A secco

 

Il mio blog somiglia sempre più a un bollettino di guerra. La prima a dispiacersene è la sottoscritta.

Quanto amerei occuparmi di racconti, poesie, piccole realtà quotidiane.

Invece, no: senza volerlo, i blogger sono diventati uno degli ultimi avamposti della democrazia in pericolo. Per questo tentano in ogni modo di zittirci.

Mi ritrovo, all'alba del 2010, a dover difendere diritti umani basilari, a ripetere verità un tempo scontate, a ribadire concetti ovvi, che si credevano assimilati.

Padre Zanotelli denuncia da sempre i pericoli della privatizzazione dell'acqua.

Ieri, l'ultima vergogna. L'ho saputo con più dolore (e rabbia, tanta rabbia) che meraviglia: con l'ennesimo ricorso al voto di fiducia, Berlusconi e la Lega hanno approvato l'art.15 del ddl Ronchi 135/09 che svenderà l'acqua potabile di rubinetto, il bene più prezioso, agli interessi di Confindustria e delle grandi multinazionali (cfr. il testo dell'obbrobio). La scelta della destra di privatizzare l'acqua, oltre ad essere sbagliata e pericolosa in quanto fa diventare un bene essenziale e comune a tutti i cittadini un privilegio e profitto per pochi, è anche in controtendenza rispetto alle decisioni di altri Paesi che, in precedenza, avevano optato per la privatizzazione e sono poi tornati sui propri passi.

Il Dio Mercato mostra, ogni giorno di più, il suo vero aspetto: quello di una dittatura non solo economica, ma anche e soprattutto politica, irriformabile e irrimediabile. Le prime conseguenze di questa logica perversa verranno pagate dai cittadini e dai lavoratori, attraverso l'aumento delle tariffe e la diminuzione delle manutenzioni, degli investimenti e dell'occupazione.

In Bolivia, giunsero a privatizzare anche l'acqua piovana. In seguito, scoppiò la rivoluzione.

Oggi, a Roma, il Forum dei Movimenti per l'acqua sarà ancora (ore 11.00) in piazza Montecitorio. E invita a una mailbombing su tutti i deputati. A Milano gli umanisti, assieme ad altre associazioni, si ritroveranno alle 16.30 in piazza Scala, per il primo presidio post-privatizzazione. Ma, ovviamente, stiamo solo contandoci. Chi comanda farebbe bene a ricordare che verrà un giorno, quando i ricchi sono troppo ricchi, in cui il disgusto li travolgerà, peggio del fango sporco e venefico che ci hanno lasciato in cambio di quest'ennesimo, infame ladrocinio. Rammento pure che "privato" è participio passato di "privare", cioè togliere. Cioè, furtare.

Daniela Tuscano

12.11.09

Crocifisso e poveri cristi

 

Poveri cristi, minuscoli e con la minuscola, sono i cassintegrati e i licenziati cui nessuno bada. Irrisi con la corona di spine dell'indifferenza e, addirittura, dell'inesistenza; di loro non si parla, anzi, la crisi sarebbe addirittura finita: la loro vita, quindi, non è. "Nell'area dove lavoro - mi scrive un'amica di Sesto San Giovanni - ci sono lavoratori fuori dai cancelli in continuazione, gente che aspetta gli stipendi da mesi... come se fossero fatti d'aria". "Fatti d'aria", un'immagine potentissima proprio per il suo evocare l'inconsistenza; eppure l'aria è presente, l'aria fluttua nell'aria, cova, scalcia, strepita, grida. L'aria può esplodere. E, concretissimamente, distruggere tutto. Guai a chi uccide l'aria.







E tentano di uccidere l'aria quando quest'ultima si fa colore, lampo. Le squadracce fasciste che organizzano raid punitivi contro i manifestanti dell'Ex-Eutelia non sono teppisti isolati, ma rappresentano, sempre più, la tragica normalità. Anche nel 1919 i ras locali, capitanati dal giovane Benito, andavano all'assalto di sindacati, operai e contadini, col beneplacito degli industriali del tempo e il tacito assenso delle autorità, politiche e religiose: i principi dei nuovi farisei. E, come allora, i poveri cristi erano costretti al silenzio.


Poveri cristi sono i precari della scuola che, giunti laceri alla soglia dei cinquant'anni, mai potranno sperare in un posto fisso. Assieme a loro, altrettanto poveri, gli ex-studenti del liceo serale Gandhi, ai quali, più che agli altri, la cultura serve come il pane; il pane quotidiano. Ma meglio tacitarlo, questi bisogno; renderlo inesistente, aria. Himmler, il teorico dell'ignoranza scientifica, aveva ben chiaro questo concetto, già settant'anni fa: "Per me, basta che la gente sappia contare fino a cento".


Poveri cristi sono i giovani e i senza diritti, come denunciano don Ciotti e don Andrea Gallo. Già altrove scrissi che la nostra società esalta astrattamente la gioventù (esiste anche un Ministero apposito) ma annichilisce i giovani; spezzandone i sogni, costringendoli a navigare a vista nel mare fangoso d'una quotidianità avvilente, consci che nulla potrà cambiare, che la parola futuro è loro preclusa. Gli immigrati, degradati a non-persone, vengono evocati a mo' di spauracchio in un'altra categoria di individui: i nemici, in genere, si ignora se oggetti o bestie, o qualche indistinta entità, ma comunque fuori dell'umano consesso.


Povera crista è quella che don Bottoni chiama democrazia in agonia, e di cui Salvatore Borsellino tratteggia un quadro inquietante. Le cronache dovrebbero esserne piene. Ma ben altri, invece, sono gli argomenti gridati quotidianamente dai media. Parola d'ordine, la mancanza di parola. Abbiamo letto le dichiarazioni di mons. Crociata, secondo cui "i mafiosi non possono appartenere alla Chiesa". Bene, sembrerebbe una tautologia, di fatto però non lo è, quindi accogliamole con piacere, benché assai intempestive. Peccato che poi si precisi che proclamare la scomunica per i mafiosi è "inutile, perché un mafioso si colloca già fuori della Chiesa". In teoria, solo in teoria. Infatti la scomunica "automatica", sempre scrupolosamente attuata, e sonoramente ribadita, nel caso di aborto, per i mafiosi non scatta affatto, se un vescovo non la applica. E certuni evitano di farlo. Mons. Bregantini, da due anni "promosso" a Campobasso, quando si trovava a Locri era uno di quei prelati coraggiosi che scomunicavano gli "uomini d'onore" (...). Ma quanti ne abbiamo visti, di questi ultimi, a fianco dei religiosi nella processione per il santo patrono? Quanti mandanti di stragi sanguinarie hanno giurato e spergiurato sulla Bibbia?


Poveri cristi sono i milioni di morte per fame, un record negativo mai toccato da settant'anni a questa parte. Si sostiene che la speranza può arrivare dalle donne. Ma le donne sono le povere criste per eccellenza.


Marinella, infatti, è stata violentata da bambina; bambina lo è ancora. E' accaduto in Italia, ad opera di italiani. Il suo paese e il "primo cittadino" (Pd), però difendono gli stupratori. D'altra parte, una donna non è nemmeno degna di rappresentarlo, il crocifisso; per la sua stessa natura, peccaminosa e imperfetta, ne è esclusa. Qualcuno di voi ancora ricorderà la querelle sulla crocifissa di Milano, lo scorso anno. Il manifesto venne poi censurato perché il corpo femminile, esclusivamente materiale e inferiore, non poteva in nessun modo raffigurare "il" Cristo. Solo, appunto, "le" povere criste, che non commuovono nessuno.


Ma in questi giorni le cronache, a malincuore, straripano di colui che è diventato, suo malgrado, il povero cristo per eccellenza: e ne avrebbe fatto volentieri a meno. Stefano Cucchi aveva gli occhi persi e fragili fin dall'inizio. Vagolava impercettibile, confuso tra mille altre anime, lontano dal tramestio di qualunque riflettore. Stefano era uno sconfitto in partenza; un martire per caso, come il nome che fatalmente gli era piombato addosso quel giorno, all'anagrafe. Non desiderava testimoniare niente, e le fotografie che ce lo restituiscono ora, col volto tumefatto poco prima di abbandonare per sempre quella periferia d'esistenza da qualcuno chiamata vita, ci raccontano d'un uomo spaurito, indifeso, svaporante in un labirinto incomprensibile. Che ci faccio qui?, sembrava chiedersi. Già: che ci faceva lì? E soprattutto: perché in quel modo? Perché lo si è dato per vinto a 31 anni? Perché lo si è ucciso, ben prima che il suo corpo divenisse la sagoma legnosa che ormai tutti conosciamo, per nulla diversa, tranne che nel colore, dalle salme dei deportati di Auschwitz?


Perché Stefano era, appunto, un povero cristo. La cui appartenenza al genere umano non era per nulla scontata, anzi. Stefano era altro: un drogato, un anoressico, un sieropositivo. Altro. Fatalmente, per forza, nell'ordine delle cose, poteva finire solo così. Perché stupirsene? Il ministro Giovanardi riteneva la sua fine normale, è probabile si sia pure stupito di tanto clamore. Poi Giovanardi ha chiesto scusa. Un sussulto di pietà in un mondo che ha perso l'elementare percezione delle nostre comuni radici. Oggi, quando si parla di radici, non è per unire, ma per separare. Le radici cristiane tanto invocate da Giovanardi a tutela della nostra tradizione gli hanno impedito di vedere in Stefano il volto di quel (povero) Cristo davanti alle cui immagini (in gesso) piamente s'inchina. E l'hanno reso dimentico del fatto che il primo santo della Chiesa, quella Chiesa che tanto gli starebbe a cuore, era un altro povero cristo più disgraziato di Cristo: era un ladro; una nullità, uno sconfitto anche lui. Spazzatura umana, decretano gli americani in questi casi.


Eppure, mai come ora quel corpo infimo, quel rifiuto senza storia, quell'inesistenza così anonima secondo Giovanardi, mai come ora quel silenzio è possente, carnale, vivido. Adesso Stefano finalmente parla e accusa, senza odio, col suo semplice nome. E costringe anche chi voleva silenziarlo a occuparsi di lui. E' stato percosso e umiliato, testimonia un suo compagno di sventure, un nero, un vinto anche lui, che però no, ora "non vuole più tacere". E si scoprono, vieppiù, tanti altri Stefani, tanti altri anonimi confinati nell'anonimato: come quel Giuseppe Saladino defunto a Parma in circostanze oscure. Coetaneo di Stefano, coetaneo di un povero cristo che si credette Cristo duemila anni fa.


I poveri cristi non possono essere oscurati dal crocifisso in legno, o gesso. Per me, quindi, la falsa polemica di questi giorni sarebbe chiusa, anzi, non avrebbe nemmeno dovuto esser aperta. D'altro lato, a parte i già menzionati Ciotti e Gallo, sono stati più esaustivi di me, pur nella diversità di pensiero, Aurelio Mancuso, don Farinella e, soprattutto, Marco Travaglio, nel cui intervento m'identifico del tutto. Riguardo alla famiglia "offesa" dalla presenza della suppellettile, e ai "laici razionalisti libertari" che ne lodano il "coraggio" (naturalmente in Italia, al sicuro e al calduccio) non occorrerebbe spendere neppure una parola, se non fosse per precisare che i fondamentalisti, da qualsiasi parte arrivino, non mi garbano. Li invito a rileggere, anzi a leggere Pasolini in proposito, e per me è chiusa qui.


Qualche parola in più la spendo, invece, dopo aver assistito, su Youtube, alla sarabanda del trittico Santanché-Sgarbi-Meluzzi-Parietti, con la complicità compiaciuta della conduttrice Barbara D'Urso, andata in onda domenica scorsa durante il contenitore per famiglie (!) Domenica Cinque. Anch'essa, come la puntata sullo stupro di Marinella, trasmessa in fascia protetta, in orario di massimo ascolto e alla presenza di bambini.


Il video, certo, si commenta, o dovrebbe commentarsi, da sé, anche perché sia la D'Urso sia gli autori del programma sia i protagonisti di quell'immonda canea hanno artatamente omesso di puntualizzare che, nella diatriba sul crocifisso, i musulmani non c'entrano nulla. La Corte europea ne ha ordinato la rimozione non per loro, che venerano Gesù come profeta dell'Islam, pur giudicando un falso la sua crocifissione; ma per venire incontro alle rimostranze d'una laicissima e perseguitatissima famiglia italo-finlandese, sdegnata dalla presenza di "quell'acrobata sulle pareti" (è uno dei commenti che mi è toccato leggere da parte di uno dei "voltairiani" assertore della "causa"). In effetti qualche parola conviene spenderla, specie dopo aver passato in rassegna - schifati - le "osservazioni" di alcuni utenti. E allora ripenso a Pasolini, un laico autentico (e, per questo, religiosissimo), totalmente alieno dalla parodia dei "razionalisti libertari" alla pastasciutta dei nostri giorni. Rammento le sue pagine sull'arte medievale e rinascimentale, il suo Vangelo secondo Matteo. Il suo Usignolo della Chiesa cattolica, le ultime, terribili pagine sulla Fine della Chiesa nell'incompiuto Petrolio. Quanto ci manca, un empirista eretico sano come lui.


E Pier Paolo l'aveva già individuato, quello scadimento della religione da cultura a tradizione (oggi diremmo: radici cristiane), che inevitabilmente rivelava l'anima pagana del popolo italiano. Oggi un'animatrice del Billionaire, fascista dichiarata, rappresentante d'una formazione politica apertamente antisemita, la paladina delle donne che milita in una combriccola di machisti fin nelle ossa, gorgheggia su "Maometto pedofilo" precisando, per rimarcare la differenza, che "per la NOSTRA cultura questo è inammissibile". E il Meluzzi, il filosofo berlusconiano del Vangelo secondo don Gelmini, assente rumorosamente col capoccione squassato dai lunghi capelli, "che Gesù non era palestinese ma ebreo, e Paolo un cittadino romano". Testuale.


La Bibbia, di cui è innervata la NOSTRA cultura, mette in piazza sacrifici umani dei propri figli (Isacco), patriarchi incestuosi (Lot che giace con le proprie figlie per garantire la continuità della specie dopo la distruzione di Sodoma), lapidazioni d'adultere, roghi di streghe e maghi, ostracismo dei lebbrosi (trattati peggio dei cani rognosi e costretti a munirsi d'un campanello ogni qual volta si avvicinavano a un villaggio abitato, per annunciare la loro orribile presenza), sterminio di omosessuali, schiavismo, legge del taglione, imposizione del velo e del silenzio alle donne (proprio il "romano" Paolo, pur se il passo andrebbe, ovviamente, contestualizzato). Eccetera eccetera per quasi settantasette libri.

 

 


Cristiani, ebrei e musulmani nel grembo dell'unico Dio, miniatura del XII sec. (Istanbul, museo Topkapi).




La Billionairina ne è all'oscuro, per il semplice e banale motivo che l'unico testo sacro esistente a casa sua è il catalogo delle protesi di chirurgia estetica. Il filosofo secondo don Gelmini pure, perché lui è convinto che gli ebrei provengano da Alzate Brianza e i palestinesi, invece, appartengano a un'"altra razza"; quanto a Paolo, nato Saul in quel di Tarso, autodefinitosi "ebreo per nascita e, per cultura, fariseo", credete che tutto questo importi? Non siamo più nel campo della cultura; qui, veramente, siamo nello sterco, ma i Meluzzi e le Billionairine crescono e prosperano proprio nel pantano dell'ignoranza, delle radici marce, di tradizione e distinzione senza passato e prive di futuro.


"L'uomo di Nazareth, Gesù il crocifisso, è figlio integro di una cultura e di una civiltà non occidentale, - ricorda don Farinella - Ebreo, figlio di madre ebrea, cresciuto nella dimensione civile palestinese [checché spiaccia a Meluzzi] e nella cultura semitica del suo popolo, egli è latore di una cultura palestinese-semitica che ancora oggi possiamo assaporare negli scritti del NT. Molti difensori d'ufficio del crocifisso, politici e anche cristiani, se prendessero consapevolezza della ebraicità di Gesù, lo crocifiggerebbero per la seconda volta su una croce più alta e più sicura della prima" (il grassetto è mio).


Il messaggio di Gesù è, al tempo stesso, specifico e universale; in una parola, umano. Nel senso pieno. Per i "laici razionalisti" come per i devoti alla triade "Silicone, Fascio e Billionaire", resta una pietra d'inciampo e mai una testata d'angolo, di cui sbarazzarsi o da usare come arma contundente in nome di radici, identità, tradizione e carote varie.



"Gli idoli delle genti sono argento e oro,/opera delle mani dell'uomo" (Bibbia, salmo 114-115).


Daniela Tuscano







«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

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