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9.5.19

regione sardegna Solinas centra destra assegna l'Assessorato all’Agricoltura ad una non eletta, non candidata, filo renziana. qualcosa non torna

  non trovando  parole  decenti  che  non siano    volgarità , sessismo  per  tale  schifo  lascio che  a parlare per  me  sia  questo articolo

  da  https://www.galluranews.org/

Oggi mi va di ribadire la mia distanza sempre più marcata da questa immondizia che ancora ci sta trascinando verso l’abisso della anarchia convinta. La politica è inservibile, serve solo a distribuire soldi, poltrone e privilegi anche a chi non ha nemmeno partecipato ad una elezione. Ma basta!

“Dall’attivismo per il Pd, al sostegno concreto, passando per la presidenza della commissione Pari opportunità. Un periodo di sostegno a Sardegna 20Venti di Stefano Tunis, fino a un posto nella Giunta di Christian Solinas. Gabriella Murgia, 52 anni, nata a Lanusei ma trapiantata a Oristano, è il nuovo assessore all’Agricoltura. Dovrebbe essere espressione dei consiglieri regionali Valerio De Giorgi (Fortza Paris) e Roberto Caredda (Sardegna Civica) che sostengono la maggioranza di centrodestra. 
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La Murgia, dipendente regionale (ASPAL, agenzia per il lavoro), ha alle spalle un elevato attivismo politico.


Basta scorrerne la bacheca Facebook. Candidata con la Base di Efisio Arbau nel 2004, non ha mai nascosto il suo essere renziana. Alle politiche del 2018 pubblicava su Facebook il fac simile del voto per i democratici. Ha sottoscritto la candidatura di Giuseppe Luigi Cucca alla presidenza del Pd in Sardegna, ha difeso le (alcune) scelte di Luigi Arru in tema di sanità. A ridosso delle elezioni del consiglio regionale ha partecipato alla convention di Stefano Tunis, annunciandone il sostegno convinto. Quindi lo spostamento a centrodestra era già compiuto. Ora la nomina nella giunta di Christian Solinas. Dovrà affrontare le tante vertenze del mondo agro-pastorale della Sardegna, a cominciare dalla gestione del tavolo del latte che è rimasto congelato negli ultimi mesi”. 
Sarebbe tutto normale, o quasi. Restano giusto delle perplessità sul nuovo assessore all’Agricoltura..
  1. La Murgia non era nemmeno candidata;
  2. Nel 2014, nel centro sinistra alle passate regionali, prese appena 57 preferenze;
  3. Ovviamente, non è eletta;
  4. Dice di non avere alcuna competenza nel settore per cui è stata scelta.

La politica è inservibile, ma questa nomina è uno scandalo.

Si pensava che i 73 giorni di attesa fossero sufficienti a far gridare allo scandalo i sardi e la Sardegna, ma ancora non si aveva sentore di questa nomina. Non conosco la Murgia e non entro nelle sue certe competenze lavorative, politiche e sindacali, sicuramente degne. Piuttosto, mi preme fare un raffronto con l’altra donna scartata per mancanza di titolarità scolastica. 
La calangianese Daria Inzaina era la figura scelta per diventare assessore all’Agricoltura. Daria, però, ha un solo difetto, il titolo di studio non sufficiente. La terza media non basta, a parere di chi così ha deciso, a legittimarne le competenze specifiche e il suo lavoro pluridecennale nel settore agro-pastorale. La Inzaina non viene eletta ma raccoglie circa 628 voti (che non sono malmignatte insomma).
La Inzaina è la candidata scelta dalla Lega dal principio ma viene esclusa. Una ingerenza, quella del Carroccio, che stride perché appare sovradimensionata per certi versi e ridicola in questa esclusione che appare come uno sfregio, sia alla calangianese che alle sue importanti conoscenze del settore. 
Quattro assessori galluresi erano troppi forse ma il disgusto monta sino a diventare rabbia quando uno pensa che abbiamo avuto ministri non solo non laureati ma nemmeno diplomati. Valeria Fedeli fu ministro dell’Istruzione, finge una laurea e si scopre che non è neppure diplomata. Allora, di cosa e chi stiamo parlando?


6.2.14

come sprecare i soldi .. gli sprechi dela regione sardegna Pagati per fare nulla in enti soppressi da anni

 Se  gli tagliassero  da qui i  soldi   , anziché  che spremerci  l'ulteriormente   la  nuova  sardegna  del  5\2\2014
Pagati per fare nulla  in enti soppressi da anni
gli sprechi della Regione sardegna 

di Giovanni Bua
SASSARI Non saranno come Hiroo Onoda, l’ultimo soldato giapponese ad arrendersi trent’anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Ma poco ci manca. Da ben sei anni infatti e, a quanto è dato sapere, a tempo indeterminato, due dipendenti e un dirigente vanno ogni mattina a lavoro nelle Comunità montane numero 1 (Ittiri, Osilo, Ploaghe, Villanova Monteleone) e numero 2 (Badesi, Chiaramonti, Erula, Nulvi, Perfugas, Tergu, Viddalba). Ufficialmente soppresse, come le altre 23 (5 sono state poi ripristinate) dalla giunta regionale nel 20 marzo 2007. I giapponesi. Ogni mattina aprono l’ufficio (negli anni sono stati relegati in una stanza), si siedono alla loro scrivania, leggono i giornali, prendono qualche caffè e aspettano che scorra il loro orario di lavoro (dalle 18 alle 36 ore settimanali). E poi, almeno fino al 2013, a fine mese incassano il loro stipendio, erogato da mamma
Regione. Una situazione surreale, causata da un buco normativo e dalla solita approssimazione. La soppressione. All’atto dello soppressione delle comunità infatti i dipendenti dovevano essere ricollocati o nei Comuni del territorio, o nelle Province, o nelle nascenti unioni dei Comuni. Nessuno dei tre però, tra blocco delle assunzioni per il patto di stabilità, Province appena formate e poi in via di scioglimento e Unioni dei Comuni mai decollate in zona, ha trovato alloggio. Le norme. L’obbligo formale a prenderli non esiste, licenziarli è impossibile. I tre dunque rimangono a scaldare la sedia in un ente che non esiste. Ma che, per la loro presenza, la Regione deve continuare a finanziare. Noccioline, certo, rispetto agli 11 milioni che valeva la torta delle comunità prima del 2007, ma comunque soldi letteralmente buttati. Zero stipendi. E se la ricca comunità dell’Anglona, proprietaria anche della sua sede, può pagare con le sue riserve di cassa lo stipendio a 5 zeri di un dirigente (che, a esser precisi, ha fatto il diavolo a quattro per essere trasferito, senza riuscirci) ai suoi due colleghi del Coros è andata decisamente peggio: le casse sono vuote e i 60mila euro annui stanziati da Cagliari non arrivano più. L’ultimo bonifico è da 32mila euro per l’anticipo competenze del 2012. Risultato: il lavoro è pochino ma la busta paga è vuota. Assunzione post mortem. Ad aggiungere un ulteriore pizzico di follia due particolari: uno dei due dipendenti della comunità montana numero 1, con un contratto part-time da 18 ore a settimana, è stata assunta nel 2011. Dopo aver vinto il concorso nel 1999 infatti il posto non le era stato assegnato. Lei ha fatto ricorso al Tar, la giustizia ha i suoi tempi. E il via libera definitivo è arrivato solo 24 mesi fa, a Comunità montana sepolta già da tre anni. Il secondo invece ha compiuto sessant’anni, e sperava che a risolvere tutto sarebbe arrivata la pensione. Ma Fornero gli ha regalato in zona Cesarini altri cinque anni di non lavoro. La soluzione. Per risolvere il tutto in realtà il modo ci sarebbe: la Regione dovrebbe mettere mano alla legge numero 12 del 2 agosto 2005 sulle “Norme per le unioni di comuni e le comunità montane”. Quella che ha deciso le soppressioni e le destinazioni degli esodati. Aggiungendo alle possibili vie di uscita previste la Regione stessa (che di fatto già paga i loro stipendi). Facendo così i tre impiegati sarebbero ricollocati, troverebbero anche qualcosa da fare, e le due comunità zombie potrebbero essere finalmente chiuse. Gli zombie. Modifica che in molti promettono. Ma nessuno fa. Anche perché risolverebbe i problemi di sole tre persone. Che, a differenza di Hiroo Onoda, non si possono arrendere. E riempiono le loro giornate con denunce per mancati pagamenti e demansionamento, lettura dei giornali e tanti caffè. Ultimi giapponesi di una guerra per la razionalizzazione della macchina amministrativa che non avrà mai fine.
  Però  tale  situazione  dev'essere  cosi  snervantge  se  addirittura   gli stessi protagonisti  si lamentano
Il racconto del geometra Lombardi: mi sento inutile, stare qui è deprimente

«Prima era bello, ora è un incubo»

SASSARI «Il primo mese è stato bello. Perché negarlo. Erano i primi di marzo del 2007. E formalmente eravamo chiusi. Nessuno a controllarti, nessuno a darti ordini. Un po’ di lavoro rimasto da smaltire, qualche pagamento da fare. Ma senza fretta, senza ansia. Il primo mese è stato bello, ma poi è iniziato l’incubo». Sulle prime viene difficile credere a Stefano Lombardi, geometra di Ploaghe di sessant’anni, quando ti dice che di non lavorare (pagato) non ne può proprio più. Ma poi, mentre ti conduce passo dopo passo dentro il suo kafkiano ménage, quasi vien voglia di dargli una pacca sulla spalla, e di dirgli di tener duro. Eppure a prima vista la sua situazione è, a dir poco, invidiabile. Unico dipendente a tempo pieno della comunità numero 1, chiusa dal marzo del 2007, viene pagato per non fare nulla. «Letteralmente nulla – spiega –. Non abbiamo pratiche, non abbiamo competenze, non abbiamo soldi. Non potremmo far nulla nemmeno se volessimo. Anzi, a dirla tutta, non esistiamo proprio. Quindi far qualcosa è proprio proibito». La vista scorre uguale da quel marzo del 2007. «La sede della comunità è a Osilo, in via Sanna Tolu. All’inizio l’abbiamo tenuta, ma è di proprietà del Comune, e quindi dopo un po’ ci hanno messo la sede dei servizi sociali. A noi hanno dato una stanzetta». Il noi è perché Lombardi dal 2011 non è più solo: «Sì, va meglio – spiega tra il serio e lo scherzoso – dal 2011 hanno assunto una persona. So che sembra assurdo, visto che non esistevamo più da 4 anni, ma lei aveva vinto un concorso nel 1999, ha fatto ricorso, ne aveva diritto». La seconda impiegata lavora part-time, 18 ore a settimana. «Cerchiamo di metterci d’accordo per venire a turno. Non so perché poi, visto che non possiamo ricevere nessuno». La questione è completamente autogestita: «Nessuno ci controlla. Io ad esempio so quanti giorni di ferie devo fare e li faccio. Ma non devo renderne conto a nessuno. E, a parte gli amici del Comune con cui scambio due chiacchiere, dubito che qualcuno si accorga». Un sogno ad occhi aperti verrebbe da pensare: «Verrebbe solo, purtroppo. I problemi sono vari. Prima di tutto non avere nulla da fare è deprimente, il tempo non passa mai. Dire che ti senti inutile non rende l’idea. Poi di fatto non impari più niente. Io sono un geometra, gestivo progetti, appalti, direzione lavori, lo sportello unico di dieci Comuni. Ho chiesto in tutti i modi di essere trasferito in un Comune, in Provincia. Ma adesso, se me lo concedessero, dovrei imparare tutto da capo. Non conosco più leggi, normative. Il primo periodo mi tenevo aggiornato, ma poi ha perso senso farlo». Come se non bastasse da ormai oltre un anno è venuta meno anche l’ultima parte del sogno: la busta paga che comunque arrivava ogni mese. «La Regione ha iniziato a pagarci a singhiozzo. Ci ha dato prima un anticipo del 2012, che ha coperto un terzo delle nostre paghe. Poi niente per il 2013. È oltre un anno che non prendiamo stipendio. E, comprensibilmente, non facendo nulla, è difficile portare avanti qualsiasi tipo di rivendicazione». Il problema è che, per i due impiegati, il nulla è tutto. «È il mio lavoro – spiega il geometra sessantenne – che faccio da 32 anni. Potrei non venire, potrei cercare qualcosa in nero. Ma mi dico, perché? Hanno chiuso il mio posto di lavoro e per legge mi dovevano ricollocare. E io, aspettando questo, ogni mattina mi alzo e vengo in ufficio. Penso che prima o poi riprenderanno a pagarmi. Ho parlato con qualche avvocato per una causa di demansionamento, forse la farò anche. Ma alla fine la speranza è che qualcuno arrivi a risolvere amichevolmente le cose». L’ultima fregatura? «Ho compiuto 60 anni – chiude il geometra – la pensione, e la fine dell’incubo, era vicina. Ma poi è arrivata la Fornero, con la sua riforma. Se ne parla tra cinque anni almeno. Ne avrò di tempo per leggere giornali e prendere caffè».

 ma  per  questioni burocratiche   come  dice l'articolo sulla nuova sardegna del  6\2\2014
Tre al lavoro nei due enti “fantasma” del Sassarese: un pasticcio burocratico
 Manca ancora un accordo per trovare una nuova occupazione ai dipendenti

I fondi della soppressione
 utilizzati per gli stipendi

di Giovanni Bua wSASSARI È messa nero su bianco nella delibera 52 del 10 dicembre 2013 la sopravvivenza delle due comunità montane “giapponesi” nel Sassarese. Le uniche scampate alle rasoiate della legge del 2005 firmata da Renato Soru. Una delibera che assegna 5 milioni di risorse a favore di
Comuni singoli o associati e Province che hanno assorbito negli anni le 132 unità provenienti dai 22 enti cancellati. Ventidue su 24, perché: «Il processo di soppressione può dirsi ormai concluso ad eccezione del trasferimento dei tre dipendenti rimasti in carico alla Comunità 1 con sede a Osilo e la Comunità 2, con sede a Perfugas, per i quali, nonostante i ripetuti tentativi, non si sono concretizzate le ipotesi di mobilità previste in legge». Insomma, mentre sono state sottoscritte le intese per l’assegnazione dei beni e dei procedimenti in corso, non è stato possibile raggiungere l’accordo anche per il personale che rimane ancora in servizio negli enti disciolti, pur non potendo fare assolutamente nulla se non guardare il muro per 36 ore settimanali. Di fatto rendendo impossibile la loro dismissione. A rendere ancor più surreale il tutto quella che per i tre “giapponesi” sull’orlo di una crisi di nervi è comunque una buona notizia. Il loro stipendio infatti sarà garantito anche quest’anno dagli stessi fondi che dovevano servire a incentivare i Comuni o le Province ad assumerli. Difficile ipotizzare quale sarà la soluzione definitiva del problema. La legge regionale 12 del 2005 prevede che i dipendenti delle comunità montane soppresse vengano assegnati previa intesa con gli enti destinatari, che a Sassari è completamente mancata, ad esempio, nel caso di Perfugas, con dirigente e Provincia finiti in tribunale. Che vengano assegnati prioritariamente all’unione di comuni, che però a Osilo, dove lavorano gli altri due impiegati, non è nata. In subordine alla Provincia, che ora però è in via di scioglimento, e per la quale presto si presenterà lo stesso problema moltiplicato per cento. E in ulteriore subordine ai Comuni, che però non possono, causa patto di stabilità, assumere proprio nessuno. Motivo per cui: «Il personale delle comunità montane 1 – spiega la delibera – non ha trovato collocazione in nessuna delle ipotesi indicate e l’attuale formulazione della norma non prevede alcun percorso alternativo nel caso in cui l’intesa non venga raggiunta». «Per ovviare a questo – continua la delibera – sono stati presentati emendamenti, anche nella manovra finanziaria 2014-2016, con lo scopo di introdurre una soluzione alternativa al mancato raggiungimento dell’intesa ed evitare eventuali responsabilità amministrative». Emendamenti di cui però nulla è dato sapere. Come del futuro dei tre dipendenti. Che continuano il loro non lavoro quotidiano, intrappolati in un vicolo cieco di assurda burocrazia.




19.2.12







E' morto l'archeologo Lilliu  Guru della civiltà nuragica







12.59   CRONACHE DALLA SARDEGNA - Il professore di Barumini, 97 anni, deve la sua fama internazionale alla scoperta della reggia di Su Nuraxi. 

14.2.12

passione per il proprio lavoro o dedizione esagerata ? Controcronache dalla Regione Sardegna, vita d'un «animale da scrivania»



 Dall'unione sarda del 12\2\2012
Controcronache dalla Regione, vita d'un «animale da scrivania»
di GIORGIO PISANO ( pisano@unionesarda.it )





Nel suo ambiente - Regione autonoma della Sardegna, seimila dipendenti - è una leggenda. Sa tutto: cita a memoria leggi, decreti e circolari con la stessa disinvoltura di una chiacchierata di calcio al bar sport. Per anni 44 e mesi undici è andato puntuale in ufficio: assunto quand'era presidente Giuseppe Brotzu, ne è uscito (si fa per dire) quando al timone è arrivato Mauro Pili. I giorni d'assenza - causa malattia vera e non fittizia - si contano sulle dita delle mani. Ferie, godute naturalmente: a metà però. Non ne ha mai fatto più di venti giorni. «Un mese intero è troppo».
Farlo andare in pensione non è stato facile, nel senso che è rimasto appeso agli amatissimi timbri finché ha potuto. Era il 2002. Da allora torna spesso sul posto di lavoro, incontra gli ex colleghi che lo chiamano per consulenze-express, discute sulla interpretazione delle norme, suggerisce, consiglia, propone.
Dovessero aggiungere un simbolo dell'Autonomia, magari affianco agli storici Quattro Mori, starebbe d'incanto la sua faccia, rassicurante, burocratica e conscia d'essere un'enciclopedia vivente in campo giuridico-economico-previdenziale. Come lui nessuno mai. Nino Tucci (  foto in alto a destra   )   settantasei anni, non arriva a dire La Regione sono io ma si capisce che lo pensa. Due figlie («a carico», precisa per deformazione professionale come se a qualcuno potesse interessare) parla la lingua fredda dei certificati, quella documentale su cui cade vanamente la polvere del tempo. Si scusa dicendo d'essere un «passionale, lavorativamente parlando» e cita, giusto per dare un'idea, «quei carabinieri che si fanno seppellire in divisa».
Perché, lei vorrebbe farsi tumulare in grisaglia?
«No, quando mai. Però».
Smentita debole, senza convinzione. Se gli chiedete qual era la sua collocazione risponde citando ruolo, incarico, numero di collaboratori e assessorato di riferimento. Poi, per farsi capire meglio, sintetizza: «Lavoravo nel cuore dell'amministrazione passiva della Regione». Passiva?, passiva in che senso? Tucci allarga un sorrisetto di compatimento, deve essere duro spiegare sempre tutto a tutti, la sua croce. «Amministrazione passiva è quella che si occupa dell'organizzazione interna».
È la persona giusta, ideale, per parlare di una categoria - i regionali - molto citata dal popolo non sempre con entusiasmo (assenteismo al 30 per cento fino alla cura-Brunetta). Lontano dai partiti politici e dai sindacati, ha servito la Regione come un figlio con mammà tenendo un piede in casa anche da sposato. Per stare più vicino alla ditta, ammesso che si possa dire così, è entrato nell'associazione che raccoglie i colleghi andati in pensione. Ha un ufficietto ingombro di fascicoli, carte e manuali. Lo scaffale a fianco schiera graffette, scotch, forbici, colla e tutto l'arsenale da sfoderare in caso di bisogno. Al centro del tavolo il suo breviario, pagine ormai ingiallite e piene di memorandum volanti. Si intitola Ruoli di anzianità del personale . «Purtroppo ora non lo pubblicano più», sussurra scoraggiato. Senza aggiornamenti, si deve navigare a vista, sul filo della memoria. Difficile anche per chi si definisce, senza arrossire, un «animale da scrivania».
Nient'altro?
«Mi sento umilmente orgoglioso d'essere un dipendente lavoratore, e sottolineo lavoratore, della Regione autonoma della Sardegna».
A proposito: la fama di fannulloni da dove nasce?
«I regionali hanno, avevano, questa nomea perché considerati poco facenti e molto guadagnanti. Capita la battuta?»
Quasi.
«Si dice che su dieci lavoratori, otto guardano e due lavorano. Ma questo vale per tutti gli impiegati pubblici e non solo per la Regione».
Ma per quelli della Regione...
«Vogliamo dirla la verità, tutta la verità? Manca lo stimolo a migliorare la professionalità. Talvolta alcuni, non avendo progressione di carriera, si addormentano. Posso usare questa espressione?»
Quale?
«Si addormentano. L'amministrazione non valorizza le risorse come si deve, si muove con la politica dei premi a pioggia e questo scoraggia anche i più motivati».
Pare abbiate la pausa-caffè più lunga d'Italia.
«Mi onoro di essere un rompicoglioni: la legge, la legge, la legge. Ovviamente non scriva rompicoglioni, trovi una formula più consona».
Va bene però non ha risposto.
«Probabile che il caffè... insomma quella storia della pausa. Mi risulta che la regione Toscana e la regione Sicilia abbiano tempi ben più dilatati dei nostri. Per favore, non generalizziamo... anche se io avevo un collega che il caffeuccio andava a prenderselo ogni ora».
Vede.
«D'accordo ma era uno che aveva idiosincrasia per l'ufficio, mica sono tutti così. Io lo richiamavo bonariamente all'ordine, visto che era un mio collaboratore, dicendogli: se non hai voglia di lavorare, cambia struttura».
E quello?
«Lasciamo perdere. Ma tengo a dire che quando mi hanno proposto di fare il segretario particolare di un assessore, ho risposto no grazie».
Perché?
«Avrei creato dei problemi. Io sono per i fatti, per le regole».
Su seimila regionali quanti assunti con una spintarella?
«Il cinquanta per cento. Dico uno su due e forse sto arrotondando per difetto. Tuttavia mi piace dire che ci sono figli di onorevoli capaci, ovvero raccomandati che lavorano con scrupolo e coscienza».
Quanti veramente competenti?
«In certe materie, l'ottanta per cento. In altre, zero. Difatti non è casuale che spesso si chieda aiuto a colleghi di buona preparazione indipendentemente dal fatto che siano in organico oppure già in a erre. Cioè a riposo».
Asini in ruoli apicali?
«Ce n'erano ai miei tempi e ce ne sono ancora oggi. Per pura ignoranza erogano danaro pubblico a chi non spetta. Col pericolo che se ne accorga la Corte dei Conti e rilevi un danno all'erario».
La somma dei vari asini che guai ha comportato?
«Quello che negli anni Ottanta si chiamava sfascio. Si ricorda?, sfascio di qui, sfascio di lì. La non accorta valutazione delle pratiche in itinere ha scatenato un terremoto».
Cioè?
«Attualmente la Regione è sommersa da una marea di ricorsi, ci sono migliaia di cittadini che contestano le decisioni dell'amministrazione. Prima, e quando dico prima mi riferisco alla mia giovinezza, il contenzioso non esisteva. Questo significa che, sia pure con lentezza, si adottavano scelte corrette».
Qual è stato il capolavoro di un asino in ruolo apicale?
«Farsi nominare dirigente qualche settimana prima di andare in pensione. Questo ha comportato una liquidazione di circa trecentomila euro più alta di quella che avrebbe dovuto ricevere».
E voi?
«Noi, cosa? I colleghi onesti e lavoratori, che sono la maggior parte, possono soltanto prendere atto e chinare la testa. D'altra parte, la nomina a dirigente era legittima e di conseguenza lo diventava anche la liquidazione».
Privilegi.
«Luogo comune: non è vero che i regionali hanno chissà quali privilegi. È una falsità madornale. Almeno dopo l'anno 1970».
Perché, prima?
«Fino ad allora un impiegato regionale aveva il 60 per cento in più dello stipendio di un pubblico dipendente a parità di qualifica. Mio fratello, direttore dell'Ufficio delle Imposte, mi invidiava».
E i campi da tennis?
«Qui volevo arrivare. Ne avevamo uno in terra battuta a Villa Asquer: fatto da noi, con le nostre mani».
Quelli del Poetto, pure?
«Lì, quando ci hanno assegnato l'area dietro l'ex albergo, ne abbiamo realizzato quattro. Ma abbiamo lavorato sodo: ci hanno dato una specie di foresta e ne abbiamo fatto un'oasi. Riconosco che il nostro Dopolavoro funzionava».
Molto e bene.
«Guardi, io ho cancellato la mia iscrizione quando mi sono accorto che era diventato un'agenzia di viaggi transoceanici».
A prezzi stracciati per i regionali.
«Che Cral sarebbe se non cercasse condizioni di miglior favore?»
Poi ci sono quelli del Consiglio regionale. Privilegiati tra privilegiati.
«Lo chieda a loro, ho smesso di occuparmene negli anni '60. Pensi che non siamo mai riusciti a scoprire con precisione l'entità del loro trattamento economico. Sappiamo che è il doppio del nostro ma la prova provata non c'è. Per capirci: al Consiglio hanno gli stessi stipendi dei colleghi di Camera e Senato».
E sono riusciti a rifilarvi i portaborse.
«Non sono portaborse ma funzionari che fanno capo ai gruppi politici presenti in Consiglio. Una sessantina di persone in tutto che, da qualche anno a questa parte, grava sul bilancio della Regione. Insomma, li paghiamo noi».
Sprechi.
«Me ne ricordo uno clamoroso agli inizi degli anni Duemila. La Regione aveva finanziato l'acquisto di moltissime barche a Santa Teresa di Gallura. Barche che poi sono state lasciate a marcire sui moli»
Licenziamenti?
«Pochi, a cominciare da quello di un impiegato che - durante l'orario d'ufficio - svuotava i portafogli dei colleghi. Per incapacità professionale, mai. Scarso rendimento, mai. Inosservanza dell'orario di lavoro, mai. In altri periodi...»
... erano tutti bravi, onesti e puntuali.
«No, voglio dire soltanto che era diverso il clima. Giuseppe Brotzu, che veniva a piedi in ufficio, vigilava in silenzio sull'ingresso dei dipendenti. E quando alle 10,30 del mattino trovava un direttore generale ancora immerso nella lettura del giornale, beh, interveniva. Ci mancano politici e funzionari di quel temperamento».
Nino Tucci è provato: non era questa l'intervista che si era immaginato. Incarnando il regionale-tipo ed essendo un primo della classe, si aspettava un altro genere di colloquio. «Di carattere previdenziale», confessa. Spesso diventa necessario rivolgergli tre volte la stessa domanda: un'irresistibile propensione diplomatico-corporativa lo spinge a deviare in fallo laterale sotto un acquazzone di dati. La legge numero, la circolare del, il decreto presidenziale, la nota esplicativa: è una mitragliata di burocratese. Fortuna che in suo aiuto interviene a più riprese il tesoriere dell'associazione dei pensionati regionali. Altra stoffa: risposte pronte e sovrapposte, anche se non vengono raccolte. La pausa-caffè più lunga d'Italia? «Non diciamo fesserie». Impiegati competenti e incompetenti? «Né più né meno dei redattori di un giornale». Asini in ruoli apicali? «Dobbiamo parlare solo di quelli regionali?»
Si può fare carriera attraverso il sindacato?
«Certo che si può. Non faccio nomi ma potrei citare il caso di un rappresentante di categoria diventato direttore generale».
La meritocrazia, sia pure in un angolino, sopravvive?
«Non esiste più. Il mondo è capovolto. E quando qualcuno, come il sottoscritto, tenta di ricomporla, gli incollano addosso l'etichetta di rompicoglioni».
Miglior presidente, peggior presidente?
«Il migliore sicuramente Brotzu, il peggiore Italo Masala».
Assessori indimenticabili, assessori impresentabili.
«Felicetto Contu è stato tra i pochi che conosceva bene la materia di cui si occupava, l'agricoltura. Impresentabili? Non ne ricordo».
Faccia uno sforzo.
«La memoria, certe volte, non aiuta. Lei mi capisce, vero?»


emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...