vendersi o non vendersi ? LETTERA APERTA - Non dimentichiamo mai chi siamo: preti. Il vangelo non è un like \ scambio d'opinioni fra Il sacerdote-influencer -- Don Alberto Ravagnani che vende integratori sui social e don Fortunato Di Noto
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Nulla più sfugge alla logica della merce. Non solo i beni materiali, ma anche le idee, le emozioni, le relazioni: ogni cosa assume una forma commerciabile, utilizzabile. Persino il linguaggio con cui ci presentiamo al mondo è permeato da metafore economiche: nella vita bisogna “sapersi vendere”, “posizionarsi bene”, “costruire il proprio brand personale”.
Non è più sufficiente possedere competenze o qualità: bisogna metterle in scena come stessimo costantemente in vetrina, calibrando la propria immagine, la narrazione di noi stessi che lasciamo agli altri e la desiderabilità che traspare dalla nostra presenza - specialmente online.
Ciò che un tempo apparteneva alla sfera privata – fotografie, momenti di intimità, esperienze quotidiane – oggi circola come capitale simbolico, esposto in una vetrina digitale che promette visibilità, consenso e riconoscimento.
Uno scatto ingenuamente condiviso sui social ha in fin dei conti lo stesso scopo di qualsiasi mezzo pubblicitario: catturare l'attenzione di un audience, piccolo o grande che sia.
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La genesi della pubblicità moderna
Per comprendere come siamo arrivati a questo punto bisogna tornare a un passaggio cruciale del Novecento: l’opera di Edward Bernays, nipote di Freud, che gettò le fondamenta della propaganda - e della pubblicità - moderna. Con il suo libro Propaganda (1928), Bernays mise nero su bianco le teorie che lo hanno portato al massimo successo nell'opera di convincimento altrui: il consenso non si ottiene con argomenti razionali, ma con simboli capaci di agire sull’inconscio collettivo. Bernays nelle sue campagne non ha mai venduto prodotti, ma dei significati.
I lavori a lui commissionati sono ormai leggendari casi di studio:
trasformò le sigarette da vizio stigmatizzato a un simbolo di liberazione femminile, aprendo il mercato del fumo alle donne con l’immagine delle “torce della libertà”: signorine appariscenti vennero immortalate durante la parata pasquale di New York del 1929 con la sigaretta in mano e furono "vendute" a stampa e pubblico come simboli dell'emancipazione femminile;
la colazione americana a base di bacon e uova non nacque da una condivisa tradizione alimentare, ma da un piano di marketing su larga scala ideato da Bernays col consenso di medici compiacenti e finanziato da produttori di pancetta;
in ambito governativo fu membro del comitato che lavorò per spingere l'opinione pubblica degli Stati Uniti ad accettare l'ingresso nella prima guerra mondiale ed ebbe un ruolo decisivo nell'uso delle trasmissioni radiofoniche per aumentare il consenso del presidente Roosvelt
È da Bernays in poi che la pubblicità si emancipa dal semplice commercio: non serve più a informare i cittadini su determinati servizi o prodotti, ma a modellarne i desideri e l'opinione.
D'altronde fu lui stesso, nell’incipit della sua opera principale, a definire la propaganda necessaria anche (e forse soprattutto) in un regime democratico:
La manipolazione consapevole e intelligente delle opinioni e delle abitudini delle masse svolge un ruolo importante in una società democratica. Coloro i quali padroneggiano questo dispositivo sociale costituiscono un potere invisibile che dirige veramente il paese. Uomini di cui non abbiamo mai sentito parlare governano i nostri corpi, modellano le nostre menti, foggiano i nostri gusti, suggeriscono le nostre idee. E questa è la logica conseguenza del modo in cui è organizzata la vita democratica, in cui una gran massa di esseri umani, se vuole vivere insieme come una società, si trova costretta a cooperare.
Edward Bernays — Propaganda
La mercificazione totale
La logica della mercificazione delle opinioni e delle idee si è estesa ben oltre i confini dell’impresa. Oggi non esiste più un “fuori dalla pubblicità”. Ogni foto condivisa, ogni reel, ogni annuncio, anche politico, è un atto di marketing. Le immagini ufficiali dei vertici internazionali sono curate come campagne pubblicitarie, costruite per trasmettere a volte forza, altre unità, altre consenso. Non sappiamo mai se siamo davanti a pura informazione o a un messaggio promozionale: la linea di demarcazione è ormai sfumata, quasi assente.
La comunicazione è stata interamente assorbita dalla logica del marketing. Non si tratta più di trasmettere contenuti, ma di generare attrazione, di produrre desiderabilità, di orientare comportamenti, catturare l'attenzione. In questo scenario, l’informazione non è mai neutrale, poiché sempre sospetta di voler vendere qualcosa, fosse anche un’idea politica o un’identità culturale.
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La colonizzazione di tutte le età
Il processo non risparmia nessuno. Gli adulti sono quotidianamente bombardati da messaggi pubblicitari che non si limitano a proporre, ma profilano e modellano, sfruttando i dati personali per rendere ogni bisogno prevedibile e anticipabile. Gli adolescenti vivono immersi in un ecosistema in cui il valore di sé coincide con la capacità di produrre contenuti e di trasformare la propria esistenza in una merce appetibile, tanto che le stesse esperienze, vanno prima rese presentabili, poi vissute.
Persino l’infanzia è diventata un bersaglio sistematico del marketing: canali televisivi da bambini saturi di spot, influencer che recensiscono giocattoli su YouTube, cartoni animati che fungono da punto di partenza di un funnel che vuole condurre al merchandising. L’innocenza infantile è quotidianamente infiltrata da logiche di consumo che ne plasmano i desideri prima ancora che si sviluppi una reale capacità critica.
La cosa preoccupante è che questo non genera alcun dilemma etico: giudichiamo tendenzialmente normale che ogni spazio della nostra esistenza quotidiana e ogni età della nostra vita, siano costantemente colonizzate da contenuti pubblicitari. I bambini, come gli adulti, gli anziani o i giovani sono semplicemente un target come un altro da convertire.
Rompere il vetro!
Ed eccoci alla domanda che inquieta sullo sfondo: che tipo di società è quella che costruisce la propria sopravvivenza sulla generazione incessante di bisogni indotti? Che non educa al discernimento, ma alla ricerca compulsiva di gratificazioni?
La mercificazione totale non è semplicemente un fenomeno economico: è un paradigma antropologico che ridisegna la società, trasformando gli esseri umani in unità interscambiabili, masse da convincere, addomesticare, portare dalla propria parte. Una società simile non abita più il tempo, ma lo consuma, bombardata dal rumore costante degli infiniti input che gli vengono rivolti contro in attesa della reazione, del click, dell'acquisto, dell'applauso.
Forse, l'unico atto seriamente di rivolta, sarebbe quello di prendersi una pausa, smettere di "vendere se stessi": come un manichino che, stufo di starsene in posa davanti agli occhi degli altri, sfonda il vetro ed esce dalla vetrina.
Fammi sapere cosa ne pensi nei commenti in basso! E se questo articolo ti ha donato uno spunto di riflessione, condividilo con chi potrebbe trovarlo utile! Lo spirito critico cresce solo se diffuso.
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Nulla più sfugge alla logica della merce. Non solo i beni materiali, ma anche le idee, le emozioni, le relazioni: ogni cosa assume una forma commerciabile, utilizzabile. Persino il linguaggio con cui ci presentiamo al mondo è permeato da metafore economiche: nella vita bisogna “sapersi vendere”, “posizionarsi bene”, “costruire il proprio brand personale”.
Non è più sufficiente possedere competenze o qualità: bisogna metterle in scena come stessimo costantemente in vetrina, calibrando la propria immagine, la narrazione di noi stessi che lasciamo agli altri e la desiderabilità che traspare dalla nostra presenza - specialmente online.
Ciò che un tempo apparteneva alla sfera privata – fotografie, momenti di intimità, esperienze quotidiane – oggi circola come capitale simbolico, esposto in una vetrina digitale che promette visibilità, consenso e riconoscimento.
Uno scatto ingenuamente condiviso sui social ha in fin dei conti lo stesso scopo di qualsiasi mezzo pubblicitario: catturare l'attenzione di un audience, piccolo o grande che sia.
Stai leggendo "Meno Rumore", la newsletter che invita a pensare oltre la superficie. Se non sei già iscritto, lascia la tua email per ricevere i prossimi articoli e supportare il mio lavoro!
La genesi della pubblicità moderna
Per comprendere come siamo arrivati a questo punto bisogna tornare a un passaggio cruciale del Novecento: l’opera di Edward Bernays, nipote di Freud, che gettò le fondamenta della propaganda - e della pubblicità - moderna. Con il suo libro Propaganda (1928), Bernays mise nero su bianco le teorie che lo hanno portato al massimo successo nell'opera di convincimento altrui: il consenso non si ottiene con argomenti razionali, ma con simboli capaci di agire sull’inconscio collettivo. Bernays nelle sue campagne non ha mai venduto prodotti, ma dei significati.
I lavori a lui commissionati sono ormai leggendari casi di studio:
trasformò le sigarette da vizio stigmatizzato a un simbolo di liberazione femminile, aprendo il mercato del fumo alle donne con l’immagine delle “torce della libertà”: signorine appariscenti vennero immortalate durante la parata pasquale di New York del 1929 con la sigaretta in mano e furono "vendute" a stampa e pubblico come simboli dell'emancipazione femminile;
la colazione americana a base di bacon e uova non nacque da una condivisa tradizione alimentare, ma da un piano di marketing su larga scala ideato da Bernays col consenso di medici compiacenti e finanziato da produttori di pancetta;
in ambito governativo fu membro del comitato che lavorò per spingere l'opinione pubblica degli Stati Uniti ad accettare l'ingresso nella prima guerra mondiale ed ebbe un ruolo decisivo nell'uso delle trasmissioni radiofoniche per aumentare il consenso del presidente Roosvelt
È da Bernays in poi che la pubblicità si emancipa dal semplice commercio: non serve più a informare i cittadini su determinati servizi o prodotti, ma a modellarne i desideri e l'opinione.
D'altronde fu lui stesso, nell’incipit della sua opera principale, a definire la propaganda necessaria anche (e forse soprattutto) in un regime democratico:
La manipolazione consapevole e intelligente delle opinioni e delle abitudini delle masse svolge un ruolo importante in una società democratica. Coloro i quali padroneggiano questo dispositivo sociale costituiscono un potere invisibile che dirige veramente il paese. Uomini di cui non abbiamo mai sentito parlare governano i nostri corpi, modellano le nostre menti, foggiano i nostri gusti, suggeriscono le nostre idee. E questa è la logica conseguenza del modo in cui è organizzata la vita democratica, in cui una gran massa di esseri umani, se vuole vivere insieme come una società, si trova costretta a cooperare.
Edward Bernays — Propaganda
La mercificazione totale
La logica della mercificazione delle opinioni e delle idee si è estesa ben oltre i confini dell’impresa. Oggi non esiste più un “fuori dalla pubblicità”. Ogni foto condivisa, ogni reel, ogni annuncio, anche politico, è un atto di marketing. Le immagini ufficiali dei vertici internazionali sono curate come campagne pubblicitarie, costruite per trasmettere a volte forza, altre unità, altre consenso. Non sappiamo mai se siamo davanti a pura informazione o a un messaggio promozionale: la linea di demarcazione è ormai sfumata, quasi assente.
La comunicazione è stata interamente assorbita dalla logica del marketing. Non si tratta più di trasmettere contenuti, ma di generare attrazione, di produrre desiderabilità, di orientare comportamenti, catturare l'attenzione. In questo scenario, l’informazione non è mai neutrale, poiché sempre sospetta di voler vendere qualcosa, fosse anche un’idea politica o un’identità culturale.
Il pezzo ti sta piacendo? Se non sei già iscritto, lascia la tua email per ricevere gratuitamente i prossimi articoli e supportare il mio lavoro!
La colonizzazione di tutte le età
Il processo non risparmia nessuno. Gli adulti sono quotidianamente bombardati da messaggi pubblicitari che non si limitano a proporre, ma profilano e modellano, sfruttando i dati personali per rendere ogni bisogno prevedibile e anticipabile. Gli adolescenti vivono immersi in un ecosistema in cui il valore di sé coincide con la capacità di produrre contenuti e di trasformare la propria esistenza in una merce appetibile, tanto che le stesse esperienze, vanno prima rese presentabili, poi vissute.
Persino l’infanzia è diventata un bersaglio sistematico del marketing: canali televisivi da bambini saturi di spot, influencer che recensiscono giocattoli su YouTube, cartoni animati che fungono da punto di partenza di un funnel che vuole condurre al merchandising. L’innocenza infantile è quotidianamente infiltrata da logiche di consumo che ne plasmano i desideri prima ancora che si sviluppi una reale capacità critica.
La cosa preoccupante è che questo non genera alcun dilemma etico: giudichiamo tendenzialmente normale che ogni spazio della nostra esistenza quotidiana e ogni età della nostra vita, siano costantemente colonizzate da contenuti pubblicitari. I bambini, come gli adulti, gli anziani o i giovani sono semplicemente un target come un altro da convertire.
Rompere il vetro!
Ed eccoci alla domanda che inquieta sullo sfondo: che tipo di società è quella che costruisce la propria sopravvivenza sulla generazione incessante di bisogni indotti? Che non educa al discernimento, ma alla ricerca compulsiva di gratificazioni?
La mercificazione totale non è semplicemente un fenomeno economico: è un paradigma antropologico che ridisegna la società, trasformando gli esseri umani in unità interscambiabili, masse da convincere, addomesticare, portare dalla propria parte. Una società simile non abita più il tempo, ma lo consuma, bombardata dal rumore costante degli infiniti input che gli vengono rivolti contro in attesa della reazione, del click, dell'acquisto, dell'applauso.
Forse, l'unico atto seriamente di rivolta, sarebbe quello di prendersi una pausa, smettere di "vendere se stessi": come un manichino che, stufo di starsene in posa davanti agli occhi degli altri, sfonda il vetro ed esce dalla vetrina.
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