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28.9.08

Senza titolo 897

Cinque conferenze sulla psicanalisi



Un libro estremamente sintetico che consiglio a chiunque voglia conoscere i capisaldi psicanalisi, scritto con parole estremamente semplici e con un linguaggio che rende giustizia al creatore di un metodo per la comprensione dell'uomo tratta in poco meno di cento pagine gli argomenti più interessanti di questa materia. La nascita della psicanalisi, il concetto di malattia psichica per Freud, i metodi dell'analisi psicanalitica, la concezione di  sviluppo psicosessuale della persona  e  la cura e la risoluzione della malattia attraverso questo metodo. Che dire, una lettura facile e veloce che può aprire un nuovo orizzonte conoscitivo.

30.8.08

Senza titolo 801

La dimensione del sogno
Parte1 Parte2 Parte3 Parte4

Proviamo l'interpretazione di un sogno personale, ha sfiorato l'incubo, penso comunque che abbia sempre avuto il ruolo di sintesi di avvenimenti del giorno del sogno (giorno precedente alla notte a cui ci si riferisce).

"Io e la mia ragazza eravamo chiusi in una casa per proteggerci da grossi topi che di notte invadevano le strade divorando qualsiasi persona che incontravano, la mia ragazza mi dice che era stata aggredita da una persona, io prendo questa persona e la butto fuori di casa lasciandola divorare dai topi"

Iniziamo con la figura dei topi, derivata dalla lettura sommaria del testo "L'uomo dei topi", paziente di Freud, affetto da nevrosi-ossessiva. Essendo stata la lettura estremamente sommaria penso che il suo significato possa essere ricondotto all'idea generale di "follia".

Nel giorno del sogno c'è stata una intensa litigata fra me e la mia dolce metà per il fatto che non sempre l'accompagno sotto il portone di casa sua nonostante abbia una grande paura di essere aggredita, questa litigata ha generato in me un forte senso di colpa per questa mia mancata azione.

A questo punto una parziale interpretazione del sogno è possibile. Durante il giorno è stato generato senso di colpa per non aver protetto la mia ragazza da una aggressione possibile, durante la notte il senso di colpa è stato riscattato dalla vendette nei confronti di chi aveva aggredito la mia dolce metà. Questo sogno ha quindi avuto il ruolo di riscattare il Sé per eliminare i sensi di colpa inconsci o pre-consci generati durante il giorno.

Maggiormente emblematica è la figura dei topi, che ho ricondotto alla follia. Da qui si apre una seconda apertura all'interpretazione della vicenda onirica, parzialmente sovrapponibile alla prima. Ogni studente di psicologia ha, o crede di avere le sue turbe mentali. Sempre durante questa litigata, che è degenerata come sono soliti degenerare i litigi, più volte mi è stata fatta l'accusa di essere pazzo.

Ecco come riprende forma il sogno, io e la mia ragazza, la nostra relazione, priva sincera libertà perchè assediata dalla pazzia del sottoscritto, proiettata all'esterno e simboleggiata dai topi.

In ultima analisi notiamo, il materiale onirico di copertura è stato fornito dal giorno del sogno,  vi è anche in questo caso il silenzio della dimensione emotiva, che si è rivelato in semplice angoscia che permeava tutta la scena onirica. L'angoscia è un sentimento non strutturato, privo di polarità e colore, è una sensazione che può racchiurea in se un gra numero di altre emozioni positive e negative, a cui non è stato dato un nome che ne permetta lo sfogo. All'inizio della mia discussione sui sogni ero convito che la dimensione emotiva del sogno fosse la prevalente, negli ultimi tempi mi sto chiedendo se poi sia così vero, e se questa dimensione emotiva sia riconoscibile ed esprimibile.

Senza titolo 798

Alla ricerca del vero Sé


"La madre guarda il bambino che tiene in braccio, il piccolo guarda la madre in volto e vi si ritrova... a patto che la madre guardi davvero quell'esserino indifeso nella sua unicità, e non osservi invece le proprie attese e paure, i progetti che imbastisce per il figlio, che proietta su di lui. In questo caso nel volto della madre il bambino non troverà se stesso, ma le esigenze della madre. Rimarrà allora senza specchio e per tutta la vita continuerà invano a cercarlo"
Winnicott


18.8.08

Senza titolo 770

La dimensione del sogno
Parte1 Parte2 Parte3

Durante le vacanze ho continuato lo studio del sogno, rivolgendomi prima alla teoria classica Freudiana e poi ad una rivisitazione teorica sullo stato attuale di conoscenza dei meccanismi onirici [Psicologia Dinamica, Casonato]. Prima di riportare i concetti che ho ritenuto di interesse maggiore vorrei proporvi un esempio di interpretazione di un sogno che mi è stato raccontato.

"Ho sognato di dover fare una cosa come la tua, non mi viene in mente... si, ecco dovevo andare a Roma per fare uno stage, dovevo lavorare in un ristorante"


Ho riportato, come meglio ho potuto, la breve descrizione che mi è stata fatta, che priva della giusta contestualizzazione, appare priva di significato. Specialmente perchè nel racconto è assente qualsiasi connotazione emotiva del proprio vissuto onirico, dato che molto spesso viene tralasciato quando si racconta un sogno per il maggior peso che viene dato alle immagini che riemergono dalla memoria.
In questo caso però, per la conoscenza della persona che mi ha raccontato questo episodio, l'interpretazione che ho azzardato mi è sembrata azzeccata nonostante questa mancanza.
Ci sono tre cose importanti in questo racconto, "Dovevo fare qualcosa come la tua", la città "Roma", "lavorare in un ristorante". Come dicevo prima non c'è nulla nella vita del "sognatore" che potrebbe spiegare il contenuto di questo sogno e il perchè sono state usate certe immagini invece di altre, ma ad una analisi più attenta i collegamenti non mancano.
Al sognatore è stata fatta una offerta di "lavoro" da una persona molto legata al sottoscritto, questa offerta è giunta proprio mentre era in vacanza a Roma, nel lavoro avrebbe dovuto fare da assistente proprio come io dovrò fare nel prossimo tirocinio. Interessante il fatto che sia stata usata la parola stage, invece di tirocinio, e che il lavoro consisteva nel lavorare in un ristorante, invece di fare l'assistente. Il materiale di copertura è stato dato da un'altra vicenda nella storia del sognatore,e cioè il fatto che due sue care amiche si siano trasferite a Roma dopo un stage in un ristorante.

Quindi ripulita la vicenda dalla copertura onirica, il sogno appare come un'allucinazione di ciò che si appresta a fare:

"Ho sognato che dovevo fare l'assistente per una persona a te cara che ho incontrato a Roma."


Nel sogno, come ho scritto in precendenza, le carte vengono mischiate, ma non in modo casuale, ogni sostituzione ha un nesso lungo il quale ci si può muovere, fino a scendere in significati sempre più profondi. Infatti questa interpretazione è solo superficiale, perchè se pur spiega alcune delle associazioni principali, non spiega perchè siano stati scelti alcuni episodi di copertura (come il trasferimento a Roma di alcune sue amiche) invece di altri, per scendere oltre questo livello, penso che il vissuto emotivo del sogno sia essenziale, ma penso che come primo esempio di strategia che bisogna adottare per interpretare i propri sogni possa andare bene.

Non vorrei allungarmi troppo in questo primo post, per cui vorrei scrivere un ipotetico motivo che sta alla base del sognare. L'ho trovato particolarmente interessante, potrebbe sembrare banale, ma non penso che lo sia.

"Il sognare è un processo cognitivo che ha luogo durante il sonno, in cui continuiamo ad assimilare ed organizzare pensieri della veglia ed eventi." [Fosshage]. Il sognare è un meccanismo adattativo, che si è sviluppato con certe caratteristiche peculiari, unicamente nell'uomo. Durante il sogno il Se' del soggetto si "prepara" alle sfide ambientali, e mantiene un rapporto con il mondo e le rappresentazioni di esso che si è costruito con il fine di salvaguardare la propria identità. "Si può vedere come i sogni possano consolidare configurazioni emergenti del Sé è dell'oggetto, un senso di sé e dell'altro. Sembra inoltre che il sogno possa contribuire a cambiamenti intrapsichici nel senso del sé"  [Fosshage]

Penso che la definizione dei termini possa aiutare nella comprensione, con si intende la persona nella sua interezza, includento il corpo e la sua organizzazione psichica, in opposizione all'oggetto,  entità esterna, che sia una persona, un animale, una passione. Il senso di Sé è la conoscenza di ciò che noi siamo, include molte descrizioni differenti, e non sempre coincide con il Sé vero e proprio, ad esempio possiamo pensare di essere persone che reagiscono bene alle situazioni difficili, quando in realtà, non siamo capaci di contrastarle.
Rileggendo quindi il concetto sopra esposto, penso appaia chiaro come l'attività onirica possa essere considerata un meccanismo attivo, che si sviluppa all'interno dell'individuo con il fine di rendere fruttuosa l'attività del cervello durante il sonno, preparandoci alle sfide che ci apprestiamo ad affrontare, rielaborando la concezione che abbiamo di episodi passati, fornendoci del materiale che possiamo utilizzare per modificare la concezione di noi stessi al fine di garantirci una migliore risposta all'ambiente.
Il sogno si rivelerebbe così molto simile ad una attività psichica conosciuta a chi pratica sport a livello professionale, e ciò all'immaginare il movimento che si sta per compiere e a ripetere mentalmente i gesti e le sensazioni che ci si prepara a provare. In questo modo, all'interno del cervello, si rinforzano le giuste rappresentazioni dell'azione che si sta per compiere, e si rinforzano le connessioni che verranno utilizzate per svolgerla, così da garantire una performance migliore.

29.7.08

Senza titolo 721

La dimensione del sogno
Parte1 Parte2

Mi ero ripromesso di scrivere qualcosa sull'interpretazione del sogno, nei topic precedenti avevo già espresso le mie distanze da una possibile interpretazione basata sul simbolismo, specialmente se questo simbolismo era  considerato comune fra gli uomini.  Avevo riproposto l'ipotesi di alcuni autori che consideravano il sogno frutto di una scarica casuale a carico dei nuclei del ponte nel tronco encefalico e riconducevano la forma parzialmente coerente e narrativa a dei processi postumi al sogno stesso e riconducibili al recupero mnemonico. In linea con la mia personalissima opinione sui processi inconsci, avevo ricondotto l'analisi dell'attività onirica alla sua dimensione emotiva, che considero una perfetta chiave per la lettura dei differenti "oggetti" che popolano il nostro teatro notturno.
I processi difensivi che vengono messi in atto per impedire la comprensione diretta del significato di un sogno penso siano conosciuti a livello naif da tutti, i significati reali vengono coperti da significati fittizzi, che impediscono di comprendere direttamente il significato sotteso. Questi meccanismi di difesa hanno un funzionamento simile a quelli della veglia; si potrebbe dire a livello metaforico, che i nomi degli oggetti vengono mescolati, in modo tale che ad ognuno di questi non corrisponda più il nome reale. Soltanto che al posto di oggetti e nomi, abbiamo visioni ed emozioni. Le sensazioni endogene, inespresse durante il giorno, cercano sfogo durante la notte, ma per impedire che queste emozioni rimosse possano essere riconosciute, vengono coperte da visioni contraddittorie, alienanti il significato originario. Nel recupero mnemonico queste visioni vengono poi ricondotte in una struttura narrativa coerente, così che ciò che prima era vicino ora è lontano, il significante è dissociato due volte dal significato, la prima per la scissione fra immagine e contenuto, la seconda fra un contenuto e l'altro.
Questo mi spinge ad essere così dubbioso dall'interpretazione dei sogni basata sul simbolismo, in quanto la maschera che copre i nostri attori notturni, ritornando alla metafora del teatro, poco ci può dire della "persona" che la porta. Se volessimo riconoscere un nostro amico durante una rappresentazione teatrale senza conoscere il suo ruolo all'interno della commedia, cercheremmo di individuarlo tramite la voce, il colore degli occhi, se visibili, il suo portamento, di sicuro non cercheremmo di farlo guardanto i costumi.
Spero di essere riuscito a spiegare perché considero così importante la dimensione emotiva di un sogno, quella dimensione che permane anche al risveglio, anche quando del sogno non abbiamo memoria, e che tal volta è in grado di condizionare il nostro umore, in positivo o negativo, durante la giornata.
Il sogno reale, oltre ad essere estremamente diverso dal sogno ricordato, vissuto, è anche strettamente personale. Questo è il secondo motivo che mi spinge a prendere le distanze dai "dizionari" dei sogni. Prima ho parlato di uno dei meccanismi di difesa dell'io, lo spostamento. tramite questo meccanismo di difesa la componente emotiva viene spostata da un oggetto interiore all'altro. La paura dei ragni, può derivare dalla paura del proprio fratello ad esempio, con il quale da piccoli si passava il tempo ad uccidere questi animali. La paura, non vissuta, non elaborata, rimasta inespressa all'interno del nostro inconscio, trova uno sfogo proiettandosi sulla figura del ragno, portando ad un individuo che ha ancora buoni rapporti con il fratello, ma che teme ogni cosa che assomigli ad un ragno. In questo esempio, oltre a spiegare il funzionamento del meccanismo di spostamento, ho voluto far notare come questo spostamento non sia completamente casuale. L'emozione di paura è slittata fra due immagini, fratello e ragno, che erano contigue. Così avviene nel sogno, le visioni e le emozioni non vengono mescolate a caso, ma lungo una rete di ricordi, significanti, immagini mentali fortemente interconnesse (questo disegno potrebbe aiutare la comprensione). Mi preme precisare che questa rete non deve essere intesa come qualcosa di fortemente autobiografico, in linea con una visione semplicistica del pensiero Freudiano sui traumi o ricordi infantili. La costruzione di questa rete avviene secondo moltissimi processi, oltre che da una componente autobiografica, questa rete si struttura quindi anche lungo componenti semantiche, percettive, oppure semplicemente linguistiche (ortografiche, fonologiche). Quindi può avvenire uno spostamento anche fra simboli che non condividono nessun significato particolare, ma hanno semplicemente una forma ortografica simile (ragno-bagno ).Questo dovrebbe rendere l'idea della complessità, e della sua dimensione personale, del materiale che chi vuole interpretare i propri sogni si appresta ad elaborare.
Ed è proprio da questa complessità che vorrei parlare dell'ultimo punto del post di oggi. Perché? Perché un individuo dovrebbe volere avventurarsi in questo territorio inesplorato che vuole rimanere inesplorato per la propria sopravvivenza? Per chi vuole interpretare i propri sogni penso sia un ottimo punto da cui cominciare, perché i "rischi" per chi si avventura in solitaria in questo territorio sono certamente tangibili. Ricordo aver letto molto sul sogno, e non solo di Castaneda, che nella sua semplicità evidenziava pur sempre il pericolo di perdersi nelle pratiche iniziatiche, pericolo che in qualsiasi testo sull'argomento viene accennato. E' sempre una territorio che nasce per risolvere i problemi del quotidiano, i problemi che noi stessi abbiamo deciso di non affrontare nel quotidiano perché apparentemente troppo grossi per poter essere affrontati a viso aperto. Perché infilare la testa nel vaso di Pandora? Perché operare una scelta così contraddittoria,  ci nascondiamo qualcosa per poi tornare al mattino a sbirciare  cosa abbia  sotterrato.  A parer mio è un desiderio  particolare,  degno di nota e di interesse, ben di più  della nostra più profonda dimensione interiore. Come dire, forse è meglio iniziare dalla superficie invece di calarsi subito in profondità.

8.7.08

Senza titolo 667

La dimensione del sogno
Parte1

"Sogno causato dal volo di un ape attorno a una melagrana un
secondo prima di svegliarsi" Salvador Dali' (1944)


Il sogno è considerato da molti una dimensione mistica, per alcuni iniziatica,. per altri una finestra sul proprio inconscio, infine per altri ancora è semplicemente qualcosa di poco significativo, che durante la notte colora il nostro sonno e che viene in gran parte perso al risveglio.
L'amnesia del proprio vissuto notturno è un fenomeno molto frequente, e facile che durante la notte ci si alzi dal letto per bere o per rispondere ai propri bisogni fisiologici, e che non rimanga alcuna traccia di questo al risveglio. Nei bambini episodi di terrore notturno, in cui il bambino si alza gridando e svegliando i propri genitori in preda al panico, sono abbastanza comuni e vengono solitamente rismossi al mattino.
Quindi non dovrebbe stupire che in quello stato particolare che è il sonno, e in particolare la stasi che occupa circa un terzo della nostra vita, sia caratterizzato da una certa magmaticità e inafferrabilità. Chi ha il sonno fragile, sarà abituato a svegliarsi spesso durante l'arco della notte, e probabilmente sarà d'accordo con me, che non di rado i pensieri, le emozioni, i ricordi di questi periodi di veglia vengono confusi con quelli che emergono al risveglio al mattino.


Il sonno, è conoscenza abbastanza diffusa, è caratterizzato da differenti fasi, in alcune il cervello sprofonda in uno stato di sembre maggiore sincronizzazione, una parte di esso, il talamo, impedisce qualunque afferenza sensoriale alla corteccia, e rogola in maniera oscillatoria l'attività di tutti i neuorini cerebrali con un ritmo simile a quello del respiro. Una fase particolare del nostro sonno, è la fase Rem, caratterizzata invece da una attività cerebrale del cervello simile a quella dello stato ti veglia, in cui le popolazioni di neuroni che compongono le varie aree cerebrali (deputate all'analisi di differenti stimoli, cognizioni, pensieri ed emozioni) scaricano in maniera non coordinata, quasi come se stessero lavorando in stato cosciente. Il sogno, non è caratteristico unicamente di questa fase, anche se è prevalente nel sonno Rem.
Nel lobo occipitale (la parte posteriore della testa, sopra al cervelletto) avviene l'analisi visiva degli stimoli che colpiscono la retina. Questa aree è divisa in due aree minori, una parte chiamata corteccia striata, e una seconda parte, davanti alla prima, chiamata con molta fantasia corteccia pre-striata.
La corteccia striata è quella che elabora per prima gli input provenienti dagli occhi, e anche durante la fase rem rimane silente, al contrario la corteccia pre-striata, che di norma riceve il contenuto di elaborazione della corteccia striata, si attiva in modo molto simile alla veglia cosciente. Il fenomeno è particolare, ed enigamtico, infatti l'attività di questa corteccia è correlata alla produzioni delle immagini visive che seguono la percezione o l'immaginazione, costatato che con gli occhi chiusi nulla può arrivare dall'esterno, si è portati a presumere che l'elaborazione visiva della corteccia prestriata è dovuta principalmente ad input interni. A partire da questo punto, sono facili le elucubrazioni sul significato dei sogni, che potrebbero essere considerati fonte di sfogo dei nostri desideri o paure rimasti silenti durante il giorno. E' il "classico" approccio all'interpretazione dei sogno a partire dal lavore di Freud.
Altre teorie propongono una visione meno romentica del sogno, e di questa particolare attivazione delle aree visive ed emotive, durante il sonno. Per alcuni autori questa attività riflette scariche casuali di energia lungo il sistema nervoso, per evitare che l'assenza di attività per periodi troppo lunghi di tempo comporti la necrosi, e quindi la morte dei neuroni che compongono la nostra corteccia.
Una descrizione di questo tipo, non ancora confermata in modo certo dai dati empirici, nulla toglie però al significato dei sogni. Infatti pur essendo frutto di una scarica casuale di energia, i sogni hanno un signifcato, sono storie caratterizzate da una certa linearità narrativa, anche se caratterizzati da paradossalità e inconsistenza, inafferabilità.
Se questa coerenza non è data da una attivazione controllata del cervello per poter sfogare desideri e paure represse, non può che essere causa dei processi di recupere mnemonici che caratterizzado il nostro ragionare al mattino. Le immagini che produce il cervello sono si casuali e privi di significato, ma al mattino quando ci sforziamo di ricordarle, diamo una forma e un contenuto particolare a queste immagini, forma e contenuto che deve essere motivata da fattori interni, e quindi non si può escludere ancora una volta un ruolo dei nostri desideri e paure nella formazione del ricordo cosciente del nostro sogno.
L'intepretazione dei sogni è un argomento interessante, in internet abbondano siti che offrono servizi a pagamento di intepretazione, altri che forniscono dizionari simbolici del sogno, altri ancora che sono luoghi di discussione sui propri sogni e di intepretazione "reciproca".
Personalmente rifiuto l'idea che sia possibile compilare un dizionario dei sogni che vada bene per qualsiasi persona, sono dell'ipotesi che ogni persona abbia un proprio dizionario, e che spetti ad essa il compito di scoprirlo e conoscerlo. Il fatto che i dizionari dei sogni abbiano un così facile appiglio nelle persone, che molto spesse si dichiarano colpite dal realismo delle possibili interpretazioni a partire da questi dizionari, mi spinge con ancora maggiore sicurezza ad affermare che il sogno è frutto di una ristrutturazione del proprio vissuto notturno. In poche parole, da una serie di ricordi incoerenti, e parzialmente privi di significato, si opera un controllo pre-cosciente e inconscio sul loro contenuto, dandogli una forma nell'atto di riprenderli dalla memoria notturna. Il fatto che la lettura di un particolare significato di un simbolo porti a riconoscere la verità di quest'ultimo nel proprio vissuto notturno, potrebbe quindi essere la semplice ricostruzione di questo nucleo di immagini, per adattarlo al significato trovato nel dizionario.

7.7.08

Senza titolo 664

L'Io e l'Altro* attraverso l'indipendenza
Riccardo Preziosi

In questo periodo la fortuna mi sta sorridendo, un incontro fortuito con uno psicoterapetua di stampo Lacaniano ad una conferenza sul ruolo del linguaggio nella psicanalisi mi sta portando numerose esperienze interessanti. Oggi abbiamo partecipato ad un briefing incentrato sullo stato di tre nuovi pazienti della suo clinica. Il primo era un uomo di circa settant'anni che si era rivolto assieme alla moglie allo psicologo per una disfuzione erettile che stava peggiorando la qualità della relazione coniugale, il tutto era partito circa un anno prima per il decesso per suicidio di un suo cugino. i punti principali emersi dalla prima seduta, era una sua assoluta mancanza di padronanza della lingua italiana, a favore di un dialetto meridionale, nonostante si fosse trasferito da più di quarant'anni a Milano, e avesse piene capacità di comprensione. Affianco a questo conflittuale rapporto con la parola, incentrato sul silenzio e sull'ascolto, si trova una condizione melanconica per la perdita della persona cara, e la disgregazione del tessuto parentale. La moglie si presentava come una persona iperattiva, abituata a prendere la voce del marito e ad accudirlo nei minimi bisogni, praticava palestra e corsa nonostante l'età avanzata, e la sua personalità è sembrata per certi versi accentratrice e maniacale. Il secondo caso riguardava un ragazzo di circa vent'anni, che di propria iniziativa si era presentato al dottore per un colloquio, il racconto del ragazzo era incentrato sulla relazione pessima con il padre, e la disgregazione familiare conseguente l'abbandono della madre del tetto coniugale a favore di una nuova relazione. Dal primo colloquio è emersa l'esagerata preoccupazione del ragazzo per suo fratello minore che al primo anno di liceo andava incontro a una probabile bocciatura. Dato particolare era la presa in carico da parte del ragazzo di una posizione eccessivamente matura, in cui vi era un eccesso di responsabilità nei confronti della propria famiglia e della relazione con i propri genitori. L'ultimo caso trattava di un bambino di otto anni, portato dalla madre in conseguenza del suo comportamento irrequieto, iperattivo conseguente una causa di divorzio molto travagliata e ancora in atto per quanto riguardava gli aspetti legali. Il bambino si dimostrava nelle prime sedute eccessivamente maturo, con una formidabile padronanza del linguaggio e della consapevolezza degli avvenimenti familiari. Il bambino molto bravo a scuola e nelle attività sportive si presentava metodico e preciso del riportare i propri successi e fallimenti, aspetti ai quali il bambino sembrava dare più importanza rispetto a quella data ai problemi che si trovava ad affrontare con i propri genitori. Il bambino era caratterizzato da una certa tendenza all'autoisolamento e conseguente allontanamento da parte del gruppo dei pari. Sintomatico un disegno fatto per descrivere una giornata passata al lago con la famiglia materna, nella scena l'unico personaggio presente era lui stesso, nessun parente o altra figura di riferimento, la scena povera di particolari, rappresentava un prato verde con dei tralicci della luce e le ombre proiettate sul terreno, e lui raffigurato a cavalcioni sulla mini-moto regalata dal padre.

Ci sono alcuni punti fondamentali che riguardano tutti e tre i casi clinici, il primo è il rapporto con il linguaggio, nel primo caso conflittuale, deviato sulla comprensione a svantaggio della produzione, nel secondo caso, il più complesso, si assisteva alla completa rinuncia di descrivere il proprio vissuto, se stessi, a favore della descrizione eccessivamente metodica, impersonale, e priva di qualsiasi emotività della condizione familiare, dei problemi che affliggevano il padre, la madre e il fratello minore. Il terzo caso, di cui non si avevano ancora sufficienti dati in merito, presentava problematiche che coinvolgevano i due genitori, e che indirettamente influenzavano la vita del bambino (in particolare il rapporto di dipendenza del marito dalla moglie come di un bambino dalla madre), oltre a problematiche di più difficile comprensione che riguardavano il bambino stesso, sogni problematici, e questa irrequietezza e violenza, tenuta nascosta durante le prime sedute di analisi attraverso un linguaggio esageratamente "adultizzato".

La seconda questione fondamentale è il rapporto con l'altro, nel senso di come l'Io è capace di affermarsi indipendentemente dall'Altro, e quindi della sua capacità di non rimanere passivo nei confronti delle altre persone e del contesto, come un semplice vaso che deve essere riempito. Nel primo caso asistiamo, come già detto, alla completa rinuncia del marito alla comunicazione e alla delega alla moglie nel tradurre il suo dialetto meriodiale, caratterizzato da ripetitività e limitatezza, quasi fosse una semplice appendice strumentale e manipolatoria, accessoria al linguaggio del corpo che assumeva  il ruolo centrale della sua comunicazione.  Nel secondo caso assistiamo invece , a una  particolare  rinuncia alla propria descrizione. E' un sintomo particolare, e degno di interesse, che nelle primissime sedute, un paziente trascorra la maggior parte del tempo nella descrizione dell'Altro, e delle sue vicende, tralasciando la descrizione delle proprie evicende emotive, dei propri desideri e paure, o banalmente delle proprie relazioni con l'altro sesso e i propri amici. Alle prime sedute il ragazzo si presentava privo di tratti nevrotici della personalità e profondamente quiescente, come se avesse abdicato a una propria espressione od emotività.

La situazione del bambino è invece poco chiara, anche se ha in comune con il ragazzo il terzo e ultimo punto fondamentale, l'espressione della domanda, perchè sono qui? Quali motivazioni sono alla base della mia richiesta di aiuto? Entrambi i pazienti non si sono concetrati minimamente sul problema di fondo che li spingeva a continuare il proprio trattamento psicanalitico. Infatti il bambino, alla domanda, non ha dato nessun motivo particolare, il ragazzo invece, alla medesima domanda, ha espresso per la prima volta dopo alcune sedute, un pizzico di emotività, un milligrammo di rabbia. "Sono qui perchè ho paura di fare gli stessi errori dei propri genitori". E da qui che si aprono le porte della possibilità del trattamento, solo dalla presa in carico della propria emotività che si può raggiungere l'indipendenza dall'Altro a favore di un  Io personale e forte.

*L'altro è qui inteso come il mondo esterno, tutto ciò che non è la persona, quindi gli oggetti, le persone e le situazioni, come effettivamente sono, e non così come sono vissute dalla persona.

26.6.08

Il nome delle emozioni nell'Analisi

Riccardo Preziosi

Per iniziare il discorso vi riporto parte delle speculazioni filosfo C.D.Broad a riguardo del ruolo del cervello nell'esistenza come individui :


"Faremmo bene a considerare, molto più seriamente di quanto finora siamo stati indotti a fare, il tipo di teoria che Bergson espone relativamente alla memoria e alla percezione dei sensi. L'ipotesi è che la funzione del cervello e del sistema nervoso e delgi organi dei sensi sia principalmente eliminativa e non produttiva. Chiunque è capace in ogni momento di ricordare ttto ciò che gli è accadto e di percepire tutto ciò che accade dovunque nell'universo. La funzione del cervello e del sistema nervoso è di proteggerci contro il pericolo di essere sopraffatti e confusi da questa massa di conoscenza in gra parte inutile e irrilevante, cacciando via la maggior parte di ciò che altrimenti percepiremmo o ricorderemmo in ogni momento, e lasciando solo quella picolissima e particolare selezione che probabilità di essere utile in pratica."

"Le porte della percezione" 1958 Aldous Huxley





Se il discorso posto in questi termini può sembrare strano e inverosimile, rivalutando ciò che l'autore vuole sprimere con la parola "cervello" e "sistema nervoso" si può arrivare a una tesi interessante. Questo ruolo di filtro a parer mio è da addurre più al linguaggio che alla macchina nervosa nel suo complesso, che se pur arriva a percepire molto di più di quanto arriva a livello conscio è ovviamente mistica come ipotesi quella che sia in grado di abbracciare tutto l'universo. Ma la porta fra l'inconscio e il conscio è la parola che riduce, facendone oggetto, una infinità di percezioni e di emozioni. Non voglio dilungarmi sulle prime perchè esulano da quello che è mio interesse far notare. Mentre una buona definizione di emozioni si rende necessaria. Infatti per il senso comune l'emozione è generata dalla visione di qualcosa di bello, piacevole, pauroso terribile, oppure da un ricordo come da un pensiero, questa emozione percepita scatena poi all'interno del nostro organismo delle risposte fisiologiche, come la paura, la felicità e così via, corrispondenti alla stupefaciente alchimia che nel nostro cervello permette alla carne di tradursi in esperienza. Questa concezione di emozione, come generatrice di risposte fisiologiche, è totalmente sbagliata, è stato dimostrato che la risposta fisiologica, predeterminata a un determinato simolo, che sia pensiero o oggetto esteriore, oppure memoria o pensiero, si scatena prima del riconoscimento dell'emozione stessa che, a parer mio, può essere sintetizzata come il nome che l'individuo da al complesso di sensazioni che lo affliggono.
Adesso vi chiedo un salto immaginativo e di raffigurarvi mentalmente l'attività cerebrale con i suoi miliardi di neuroni, che al 90% sono costantemente attivi, anche a riposo, anche quando dormiamo. Se venisse riconosciuta ogni singola componente di questa attivazione biologica, l'identità personale ne uscirebbe annichilita, sarebbe tutto e niente, sommersa e schiacciata dalla attività biologica su cui si fonda. E' in questa concezione che penso debba  emergere il ruolo di filtro del linguaggio che da un nome, concretezza e quindi ci permette di percepire le nostre emozioni, il nostro stato d'essere. E' l'esperienza e il contatto con la cultura che ci permette di dare un nome alle cose e alle nostre emozioni, a quelle emozioni che per la quantità di energia che sprigionano all'interno del nostro corpo devono trovare una via d'uscita per lasciare il posto ad altre emozioni e non intasare il sistema nervoso con la stessa reiterata attività, condizione che non ci permettere di vivere, di fare esperienze ulteriori.
Il paziente quando si avvicina all'analista è in questa pietosa condizione, il suo linguaggio non gli permette di nominare le emozioni che lo afflliggono, di viverle e scaricale e progredire nella propria realizzazione come uomo. Al paziente manca la parola, e il correlato biologico del pensiero/parola senza vie di uscita diventa come una diga che deve sostenere un peso superiore al normale, l'apparato psichico per non collassare sotto al peso del suo stesso peso dirotta questa energia dovunque può, fino a culminare nel sintomo che se pur permette di sopravvivere a questa situazione rende la nostra qualità di vita estremamente peggiore.
E' in questo momento che entra in gioco l'analista, che nell'ascoltare i discorsi del paziente capisce qual'è il punto del discorso in cui manca la parola giusta, la parola che permetterebbe al paziente di liberarsi da quell'emozione che ingolfa il suo apparato psichico. Il paziente che dice "il mio problema è che voglio essere un genio" non riesce ad esprimersi in primo luogo a se stesso, perchè il suo problema non è questo desiderio, ma è la paura di essere dimenticato, la frase giusta dovrebbe essere "il mio problema è che non voglio essere dimenticato". Quando l'analista fa notare questa cosa al paziente, proponendo l'anello mancante al pensiero, il discorso/pensiero è libero di continuare a scorrere, e raggiungere nuove strade. Perchè dietro a quel buco posto nella strada del nostro pensare ci sono nuove e infinite strade, nuovi ricordi che rimanevano silenti alla nostra coscienza, ma rumoreggiavano e urlavano al nostro inconscio. E' infatti quando l'analista dona la parola al paziente che questo ricorda, e ricordando il  proprio passato libera le energie ingolfate associate ad esso e al ricordo delle emozioni vissute, che vivono ancora costantemente nella nostra mente, togliendo spazio ad emozioni nuove, a nuove esperienze alla crescita e alla nostra realizzazione personale.

31.5.08

Il significato dell'Analisi

Il significato dell'Analisi
Riccardo Preziosi


Una persona che entra in analisi concepisce la cosa, specialmente all'inizio, in termini contraddittori, in parte è motivo di vergogna, in parte è motivo di orgoglio. Il primo sentimento scaturisce dalla percezione di non essere in grado di facela da soli, il secondo sentimento nasce dalla consapevolezza di aver intrapreso un percorso che farà del bene a se stessi e a chi ci circonda.
Nel libro "Storia della mia psicanalisi" John Knight riesce, come solo un paziente è capace di fare, a proporre la psicanalisi come qualcosa che va oltre ad un semplice trattamento medico, la cui stessa validità è oggi messa in discussione, per considerarla come un percorso conoscitivo di se stessi e dell'altro che porta a una più sincera realizzazione dell'uomo in quanto tale attraverso il superamento di quelle ganasce e catene che si trasmettono da una generazione all'altra a causa del reale e inevitabile peso che hanno le esperienze negative o particolari di uno sviluppo normale e patologico sulla vita adulta.

Per portare un esempio di come il passato possa influenzare il presente in termini negativi, invito chi ne ha voglia, a leggere qualcosa a riguardo la trasmissione fra generazioni degli schemi di attaccamento dei bambini e genitori. In estrema sintesi Mary Main, ha messo appunto una intervista che indagando il modo di rapportarsi con la memoria dei proprii genitori di un adulto, è in grado di predire il modello di attaccamento che svilupperà con i suoi figli, favorendo un rapporto di tipo sicuro o insicuro, rifiutante o disorganizzato, con tutte le influenze che questo tipo di rapporto potrà poi avere nello sviluppo nel proprio bambino di una personalità adulta autentica e sincera.
Questo è solo uno dei tanti esempi che il mio percorso di studi porta ad esempio dell'influenza del passato sul presente, e di quanto questa influenza, anche quando non è patologica, sia in grado di togliere al nostro presente, fino ad arrivare ad intaccare la relazione con i nostri figli e la loro stessa realizzazione.

Questa piccola trattazione e quelle che seguiranno, non sono finalizzate a convincere chi leggerà queste pagine ad andare in fretta e furia da uno psicologo (qualsiasi), cosa che va valutata con attenzione per l'impegno e la costanza che richiede, ma semplicemente per dare una prova di come la presa di consapevolezza del proprio passato possa avere influenze sulla qualità di vita del nostro presente, e per eliminare i pregiudizi che portano a considerare la psicologia come salvagente, e molto spesso anche inutile, di persone gravemente malate. In realtà la psicologia dovrebbe riuscire ad affermarsi come disciplina alleata dell'uomo in quanto tale, una disciplina finalizzata alla cura della mente, non nel senso di tirarla fuori da una situazione malata, ma nel significato di "prendersi cura" della mente, che alla fine, assime al nostro corpo e la nostra forma fisica, è la cosa che è a noi più vicina.

Molto spesso del trattamento psicanalitico preoccupano i costi che si aggirano dai 40 ai 70 euro per seduta, con una frequenza minima di una volta a settimana, molto spesso anche due, per una durata di trattamento che solitamente non è inferiore ai 2, 3 anni e quindi a conti fatti può arrivare a circa 10.000 euro, come anche di meno, una stima più contenuta è sui 6000 euro circa.  Questa cifra vista in questa ottica può sembrare enorme, ma personalmente, io mi trovo ad aver speso circa la metà in vent'anni di vita in spese dentistiche, e penso che una persona anziana possa dire di aver speso una cifra simile se non maggiore durante tutto l'arco della sua vita. Quindi quando ci sfiora il pensiero dell'analisi, non è sicuramente il costo che ci ferma ma è qualcosa di altro, e del quale parlerò in un altra occasione.

15.5.08

elucabrazione mentale sull'amore e il suo significato





dopo le mie esperienze deludenti in tale  campo  e dopo aver sentito di storie d'amore ( e sesso ) precoci e violente come  l'ultima ( ? ) quella avvenuta qualche  giorno fà  a  Niscemi  (  vedere il  mio post  precedente   mi chiedo Cos'è l'amore ?esiste ? a che serve ?
L'ho chiesto a molti... Mi è stato detto che l'amore è il sentimento più forte del mondo, il sentimento che lo fa muovere, che lo fa giare. Mi è stato detto che l'amore è un qualcosa di appiccicoso, qualcosa che attacca due persone, e può essere un bene nel senso che quei due resteranno sempre insieme, così come può essere un male perchè nello stare sempre attaccati uno dei due, prima o poi, potrà anche scocciarsi e cercare un solvente per scappare via lontano. Mi è stato detto che l'amore è la cosa peggiore che ad un ragazzo possa capitare. Mi è stato detto che l'amore è una brutta bestia... una medaglia con due volti. Mi sono state dette un sacco di altre cose... così tante che ora non le posso ricordare tutte, così tante che non entrerebbero mai in questo piccolo blog.
Chi seguire? A chi credere? Su quale teoria appoggiarsi? Tutte? Nessuna? Io credo che ognuno debba farsi una propria idea dell'amore... ma ancora non riesco a farmela e o forse non voglio affrontare questo  mio  tabu' o guardare oltre  queste mura , a  guardare  oltre  la paura  per  parafrasare una  famosa  canzone ma già avervi parlato di questa ... elucubrazione mentale mi sembra il primo passo .

5.6.07

Siamo figli di Omero o della Bibbia?

Niente paura, stavolta non si parla di religione, ma di influenze artistico-letterarie. Ho ritrovato un saggio che avevo letto quando mi dilettavo di Storia delle Religioni. Il saggio è di Fortunato Pasqualino, i riferimenti sono a Mimesis di Erich Auerbach, ma il succo del discorso è: perché la letteratura nord europea (e americana a seguire) ha dato il meglio di se stessa nello scavo psicologico del personaggio (horror, thriller, gialli) mentre quella italiana (parliamo di classici) sembra totalmente priva di mistero?


Le colpe vanno equamente ripartite tra Omero, la Controriforma, la mentalità epicurea del Rinascimento e una certa incuria, tutta italiana, per le cose divine. Sarà per questo che tra alcuni di noi e papa Joseph Ratzinger non corre buon sangue? Bah…


Ma andiamo per ordine. Cito Eugenio Scalfari di qualche settimana fa: I poemi omerici rappresentano il punto di partenza della letteratura occidentale…Gli eroi dell’età del Bronzo raffigurati nell’Iliade, e gli dei che ne guidano le azioni, materializzano almeno quattro diversi destini: Achille, la bellezza della forza e della guerra; Ettore, la difesa della città e la ‘pietas’ che sarà poi ripresa da Virgilio e fatta rivivere nel personaggio di Enea; Agamennone, il potere tronfio e capriccioso; Odisseo, la superiorità dell’intelligenza.


Ritroviamo in questi quattro personaggi i clichè di tutta la letteratura a venire. Questo è vero. Però c’è un bivio netto e preciso tra il modo di scrivere, e di trattare i personaggi, degli autori nord-europei e quello degli autori italiani. E la biforcazione, secondo Pasqualino, si sarebbe creata al momento della Controriforma. Dopo il colpo quasi mortale ricevuto dalla Riforma di Martin Lutero, la Chiesa di Roma decise di mettere al bando la lettura della Bibbia (asso nella manica del Protestantesimo), soprattutto per evitare che la frequentazione di quelle pagine generasse nel fedele la tentazione di un’interpretazione libera e, quindi, eretica. Una decisione che si innestò agevolmente sulla tendenza tutta rinascimentale (e italiana in particolar modo) di poco curarsi delle cose divine a favore di quelle terrene. Più vicine, utili e, perché no, anche più divertenti. A rigor di termini l’ultimo biblico italiano fu il castigatore Savonarola e, in qualche modo, il suo rogo segnò la fine di ogni senso del mistero nello stile letterario italiano. Privarci della frequentazione della Bibbia significò tagliare via la concezione dell’uomo come essere inquieto e drammatico, combattuto, a tutto favore dei rapporti sereni, ottimistici e semplici che erano propri dello stile omerico. E’ quanto afferma Auerbach nella sua Mimemis: lo stile omerico non vuole trattenere il fiato, non ama la tensione, la sorpresa. Omero ci presenta le cose per come sono, finite ed esatte. Niente viene lasciato senza spiegazione. Tutto deve essere chiaro e distinto, posto in primissimo piano, senza alcuna attenzione per lo sfondo e per la prospettiva umana.


Cito dalla Bibbia:


Dopo questi fatti Dio tentò Abramo, e gli disse: Abramo! Ed egli rispose: Sono qui!


Qui dove? Nulla è spiegato. Dove si svolge il colloquio, da dove arriva Dio, perché decide di tentare Abramo. Cosa che invece uno Zeus omerico avrebbe spiegato, parlandone amabilmente con Era o con Apollo o con la sua prediletta Atena. Secondo Auerbach gli scrittori della Bibbia hanno precorso addirittura Einstein nei concetti di spazio e di tempo mentre Omero rimane ancorato alle poche dimensioni della geometria euclidea. I suoi personaggi sono standardizzati, rimangono uguali a se stessi anche a distanza di decenni, come succede ad Ulisse e alla sua sposa Penelope. I personaggi biblici, invece, non sono descritti quasi per niente, ma proprio per questo sono più concreti, perché hanno infinite sfaccettature implicite.


Un’altra differenziazione viene effettuata sulla base del censo. Gli scrittori pagani (da cui deriviamo le influenze più dirette) operavano una discriminazione sulla base dell’importanza sociale del personaggio. Il loro realismo nel narrare solo di quelli che contano è condizionato dalla concezione della società. La Bibbia, invece, da spazio ai re così come ai servi e di ognuno rivela eroismi ed ignominie, esponendo il conflitto spirituale che è proprio di ogni essere umano.


Gli scrittori pagani (parliamo soprattutto di quelli latini) da Petronio in poi aggiungono al loro realismo una forma di distacco dalle cose narrate che si esplica nell’ironia. Ironia che poi non è che un modo di giudicare e di essere moralisti. Una polemica mascherata da olimpico distacco (su questo punto sono assolutamente d’accordo e suggerirei una riflessione sul tema a tutti quei bloggers che si mettono sul piedistallo a pontificare).


Gli scrittori biblici, invece, sono scrittori della realtà e della verità (naturalmente le loro realtà e verità, non parliamo di concetti assoluti), quindi non pongono schermi tra sé e la materia di cui scrivono. Accolgono con rispetto anche la parte più abbietta degli esseri umani. Non condannano, lasciano al limite che sia il lettore a farlo. Mentre gli scrittori omerici (tra cui i latini) condannano nel momento stesso in cui scrivono, quindi deformano e squalificano. Non portano una testimonianza, portano un’opinione.


Ecco quindi il bivio tra letteratura italiana e letteratura nord-europea. Lo stile più propriamente biblico comporta la scoperta dell’intimità spirituale, della centralità dell’uomo, comporta anche l’avvento della prima persona singolare nella letteratura europea. Quella che nel cinema si chiama soggettiva.


Gli eroi omerici, invece, non godono del dono dell’intimità. Sono osservati, non osservatori.


Secondo il saggio di Pasqualino, la stessa psicanalisi trova una base nella Bibbia, come dimostrano gli episodi dell’interpretazione dei sogni del faraone (le sette vacche magre e quelle grasse) e di Nabucodonosor (il sogno della statua enorme dai piedi di argilla). L’atteggiamento biblico penetra il senso della realtà e dell’esperienza umana. L’atteggiamento omerico descrive ciò che vede, senza reale partecipazione.


Da tutto questo si ricava che dobbiamo i capolavori dell’introspezione, siano essi letterari o cinematografici (vedi Ingmar Bergman) alla libertà di leggere, frequentare ed interpretare la Bibbia garantita dalla Riforma protestante. Oggi, è notizia di pochi giorni fa, anche la Chiesa di Roma è giunta alla conclusione che si deve incentivare lo studio della Bibbia da parte dei giovani. Uno studio che deve prescindere dal contesto religioso, in quanto il libro per eccellenza dovrebbe essere sottoposto all’attenzione degli studenti non in quanto fondamento del Credo cristiano (ed ebraico) ma in quanto testimonianza letteraria di altissimo valore.


Iniziativa lodevole, ma non ho molte speranze. Da quanto mi risulta nelle scuole italiane è già tanto se agli studenti viene concesso di sapere che un tizio cieco di nome Omero ha scritto due cosucce intitolate Iliade e Odissea.


Laura Costantini

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