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18.12.09

Da chi abbiamo imparato l'immortalità se non dall'immortale

MANO NELLA MANO NELLA NOTTE DI GIZA     


 


Splende il tuo sguardo mai quasi orfico


nella notte di nettare,


stella fissa nel firmamento,


non muore nel tramonto,non viene sciacquata via dall’alba,


le ciglia battono cicloniche


portando repentini aggrappamenti


e sulla tua bocca inzuppata


dal sangue delle escoriazioni dei papaveri è nata


oh si fremo è nata l’ultima avventura


scala appoggiata al sole


e così dobbiam traballar per la gloria di qualcuno


che non ci ama


ma io L’ho buttata la al sole, voglio il sole


le corriamo incontro scherzando la sera


aspettare era più folle del gesto che abbiamo fatto


così noi correvamo incontro alla sua alba dalla notte


in bilico sul cratere dell’intimo tentativo


sudando antiche secrezioni rem.


Dentro la corsa affannosa sentir la tua dispnea


perché vuoi toccar il folle


fa vibrar le corde che ho attaccato alle stelle


ed essa sembra uscita dal mio sogno d’oro,


troppo lontana che non lo riesco ad acchiappare


hai già compiuto la magia del miraggio,


allora tenterò anche il salto ancestrale


del morir impaziente per veder Dio


come slancio fra i germogli cascanti,


e invecchia il tempo sui nostri sogni sempre vivi,


ora sulla tua pelle scorre un fiume di acque incoscienti


che vorticano nel mio ombelico,


un gesto solo fra noi


scrive un romanzo di mille e mille pagine,


il silenzio in quel attimo


sembra che stia zitto anche il respriro


e in gemito morente viene partorito il “mai più”,


no il tempo di muovere lo sguardo,


siamo nell’infinito sensuale


dove gli uccelli del paradiso sfrecciano via disorientati.


Come svegli dentro il sogno di una notte di Persia,


come far l’amore sotto la guerra mondiale dannata,


saremo come la fine di una cascata,


come la preghiera di un condannato a morte,


satellite perduto nel cosmo dalla base sii forte,


come l’innocenza di una lancia d’avorio per terra,


come lui in coma che non può più dir


ti voglio bene a chi ama,


un orchestra di tutti suicida d’amore diretta


da un eroe sedizioso dalla criniera bianca


che non verrà accolto ne da un Dio ne da un demone,


saremo come l’inspiegabile disteso sinuoso


sulla sponda opposta di un ruscello


delle acque dei ghiacciai,


saremo le urla di libertà portate


dai venti oceanici ad alcatraz,


come l’attesa che


la gloria scenda su la storia del mattino,


saremo come il drago albino portato


con sé da un tornado


sotto una pioggia di petali di iris,


vivi più del primo assaggio


della preda da un tigrotto,


vivi più dell’universo


e i fiumi stellati verranno a noi


e noi saremo come la richiamata del paradiso.


Strillerò al tramonto della luna il nostro spasmo


per le anime perdute per un bacio


che non doveva assaporarsi


e i monti sfideranno le profondità degli oceani


e il cielo sbatterà le sue immense ali,


io e te abbiamo fatto naufragar i sensi dell’esistenza


per una caduta


una caduta dalla scala verso il sole


nei fiumi vergini solo per continuare


a guardarci negli occhi,


qualcuno dovrà considerarlo.


 


ALESSANDRO IDISIUM


 



 


 


 


  Amore della vita


  Io vedo i grandi alberi della sera 
  che innalzano i cieli dei boulevards, 
  le carrozze di Roma che alle tombe 
  dell' Appia antica portano la luna. 

  Tutto di noi gran tempo ebbe la morte. 
  Pure, lunga la via fu alla sera 
  di sguardi ad ogni casa, e oltre il cielo 
  alle luci sorgenti ai campanili 
  ai nomi azzurri delle insegne, il cuore 
  mai più risponderà? 

  Oh, tra i rami grondanti di case e cielo 
  il cielo dei boulevards 
  cielo chiaro di rondini! 

  O sera umana di noi raccolti 
  uomini stanchi uomini buoni, 
  il nostro dolce parlare 
  nel mondo senza paura. 

  Tornerà tornerà, 
  d' un balzo il cuore 
 
desto 
  avrà parole? 
  Chiamerà le cose, le luci, i vivi? 

  I morti, i vinti, chi li desterà?





       
   Alfonso Gatto 


 



 


Cucina Spirituale

Bene, l’orologio dice che bisogna chiudere, ora
Penso che farei meglio ad andare ora
Mi piacerebbe proprio stare qui tutta la notte
Le macchine brulicano nei dintorni tutte piene di occhi
Le luci della strada condividono i loro splendori (il loro cavo riflesso)
Il tuo cervello sembra confuso da una sorpresa sconvolgente
C’è ancora un posto dove andare
C’è ancora un posto dove andare

Lasciami dormire tutta la notte nella tua cucina spirituale/(della tua mente)
Fammi scaldare la mia mente vicino alla tua graziosa stufa
Scacciami piccola, e vagabonderò
Barcollando nei boschetti di neon (in una siepe fluorescente)

Bene, le tue dita disegnano velocemente dei minareti*
Parlano un alfabeto segreto
Mi accendo un’altra sigaretta
Imparo a dimenticare, imparo a dimenticare
Imparo a dimenticare, imparo a dimenticare

Lasciami dormire tutta la notte nella tua cucina spirituale (della tua mente)
Fammi scaldare la mia mente vicino alla tua graziosa stufa
Scacciami piccola, e sarò meravigliato
Barcollando nei boschetti di neon

Bene, l’orologio dice che bisogna chiudere, ora
So che devo andare ora
Voglio proprio restare qui
Tutta la notte, tutta la notte, tutta la notte

torre della moschea


THE DOORS



   

4.7.08

Le occasioni perdute e ritrovate. Rileggere Pascoli

E’ forse inevitabile collegare quest’autore all’infanzia. Alla mia, segnatamente. Non posso esimermene, poiché fu il secondo poeta che incontrai, dopo Ungaretti (quello della Madre, non di “M’illumino/d’immenso”) e prima di Grazia Deledda, l’altra grande passione della mia gioventù. Nell’antologia - il “libro di lettura” - i versi di Fides spiccavano dietro un’immagine di bimba attonita, dagli occhi nerissimi e curiosi, immersa in un verde lussureggiante.


Come il vastissimo parco del mio collegio: mondo protetto, involucro coalescente, lontano dalle brutture e dalle violenze della realtà esterna, e cattiva. Un luogo che sarebbe piaciuto al Pascoli, così folto di siepi che il guardo escludevano e le suore candide, madri spirituali, spose d’un marito celeste. Giardini chiusi, fonti sigillate. Eravamo bambini e lui il cantore buono delle dolci ninnenanne, dei trepidi vagiti, delle umili e fragilissime nonnine… Inevitabile non associarlo all’infanzia, ho affermato. Sì. Eppure, errato.


Certo, Fides non aveva l’andamento solenne e austero della Madre ungarettiana, e ci coinvolgeva molto di più; ma come spiegare il senso d’inquietudine, di confuso smarrimento, di strisciante malinconia che mi assaliva dopo la lettura di quei versi?


giovanni_pascoli.jpg


Percezioni vaghe e incomprensibili, ma reali.


Nel 1961 Pier Paolo Pasolini - che si laureò con una tesi su di lui - così scrisse a proposito del Nostro: “Non lo amo molto, Pascoli. Egli era un uomo arido, inibito, infecondo, ma a questo sopperiva con una vasta ispirazione […] linguistica. Tutte le esperienze innovative del nostro secolo, buone e cattive, hanno avuto origine in lui. Perciò egli è importante culturalmente. E, si noti bene, tutte le tendenze stilistiche, che si sono sviluppate dai suoi esperimenti - spesso rozzi e provinciali, sia pure - sono state tipiche dell’antifascismo culturale del Novecento. Un antifascismo puramente passivo: ma è già molto”.


Pasolini aveva ragione nel definirlo innovatore linguistico: chiaro, comunicativo, immediato, vicino alla sensibilità contemporanea, se non più a un mondo rurale scomparso. Ricorreva spesso all’onomatopea, che rende “internazionale” il linguaggio poetico: non per nulla il Nostro inseriva nei suoi testi molti vocaboli stranieri (come in Italy e The hammerless gun); espressioni disusate, per l’evocativo senso del mistero; il tutto in un periodo franto, dal ritmo ora cadenzato, ora sincopato, alla Debussy (ma perché non considerarlo, in qualche misura, un antenato dei nostri migliori cantautori?).


Tra gli aggettivi che Pasolini utilizzò per descrivere l’autore romagnolo, spicca l’ultimo, severo “infecondo”. Pascoli lo era anche fisicamente: pingue, molle, greve. Rintanato nella sua casa di campagna con l’inseparabile sorella Maria, cui dedicò diverse poesie (ma tutte o quasi “a margine” della sua produzione maggiore). Il segreto di Pascoli, ingenuo e perverso, resta tale: un desiderio celato, smorzato, sublimato.


Una falsa innocenza


All’inizio del Novecento l’Europa desacralizzata perdeva definitivamente i suoi valori millenari. Alle pressanti esigenze di nuovi soggetti sociali, che si affacciavano da protagonisti alla ribalta della storia, fascismo e nazismo opposero una reazione feroce in nome del passato. Furono movimenti anti-democratici, teorizzatori della divisione tra classi ed etnie, ovviamente bellicisti e misogini; o, per usare un neologismo molto efficace di Luce Irigaray, “uomosessuali”. L’inferiorità naturale della donna, sanzionata dalla legge fino a tempi recentissimi, cominciava a venir sistematicamente contestata, promettendo autentici sconvolgimenti di consolidati equilibri. Di qui la riaffermazione - belluina, benché vana - dell’ordine, della forza, e della sottomissione.


Il timido e impacciato Pascoli, anzi, il professor Pascoli, viveva più di altri le contraddizioni d’un mondo rovesciato, crudele, affascinante e incomprensibile. Il suo smarrimento era necessariamente anche sessuale: dopo le tragiche vicende che contrassegnarono la sua giovinezza, sognava di trascorrere la sua vita “soave/tra le sorelle brave,/presso la madre pia”. Una risposta tutt’altro che virile; ma, anche l’anelito a una vita attenuata, dove l’erotismo era apparentemente rimosso, perché incuteva paura, schianto, violenza. Altro che cantore dell’infanzia!


4c_woolf_1902.jpg


Valida lezione


Fosse stato più consapevole, o coraggioso, il nostro poeta avrebbe potuto diventare un vero ribelle. Ma Pascoli non aveva la forza e, forse, neppure la possibilità - non nella sua condizione, non in quell’Italia umbertina - di trasformare la sua perversione in un elemento di lotta serrata alla società e all’ipocrisia della normalità, come riuscì a Proust e, ancor più, a Gide e a Virginia Woolf. Le sue aspirazioni restavano borghesi. Ma agiva da noi; e fu “già molto”. La parte più nobile dei nostri intellettuali preferì l’ambigua dolcezza del suo umanitarismo aprico alle muscolari fanfare mussoliniane; e fu “già molto”; sedusse Pasolini; e fu “già molto”.


Ogni cosa, ogni umile oggetto, situazione, persone divenivano per lui motivo di compassione, quindi di poesia. Precursore del minimalismo? Piuttosto, paritario: nel mondo malvagio e assurdo, il desiderio, l’aspirazione, l’illusione della bontà pure resta, in qualsiasi luogo essa si nasconda; sia pure in un animo vagolante e dubitoso. Non più divisioni nette fra bene e male: e fu “già molto”.


Così il Fanciullino garrulo e antico viveva nel cuore del poeta: e fu “già molto”; fu meglio; fu giusto.

21.6.07

Senza titolo 1901





Proprio  mentre  scrivo questo post mi risuonano  le parole della  famossima   e bellissima   the  end    dei doors




THE END (  the doors  1967 )




This is the end, beautiful friend
This is the end, my only friend
The end of our elaborate plans
The end of everything that stands
The end
No safety or surprise
The end
I'll never look into your eyes again
Can you picture what will be
So limitless and free
Desperately in need of some stranger's hand
In a desperate land
Lost in a Roman wilderness of pain
And all the children are insane
All the children are insane
Waiting for the summer rain
There's danger on the edge of town
Ride the King's highway
Weird scenes inside the gold mine
Ride the highway West, baby
Ride the snake
Ride the snake
To the lake
To the lake
The ancient lake, baby
The snake is long
Seven miles
Ride the snake
He's old
And his skin is cold
The West is the best
The West is the best
Get here and we'll do the rest
The blue bus is calling us
The blue bus is calling us
Driver, where are you taking us?
The killer awoke before dawn
He put his boots on
He took a face from the ancient gallery
And he walked on down the hall
He went into the room where his sister lived
And then he paid a visit to his brother
And then he walked on down the hall
And he came to a door
And he looked inside
Father
Yes son?
I want to kill you
Mother, I want to. . .
C'mon baby, take a chance with us
C'mon baby, take a chance with us
C'mon baby, take a chance with us
And meet me at the back of the blue bus
This is the end, beautiful friend
This is the end, my only friend
The end
It hurts to set you free
But you'll never follow me
The end of laughter and soft lies
The end of nights we tried to die
This is the end


-------------




Questa è la fine
magnifico amico
Questa è la fine
mio unico amico, la fine
dei nostri piani elaborati, la fine
di ogni cosa stabilita, la fine
né salvezza o sorpresa, la fine
non guarderò nei tuoi occhi... mai più
puoi immaginarti come sarà
così senza limiti e libero
disperatamente bisognoso di una... mano straniera
in un... paese disperato
perso in una romana... regione di dolore
E tutti i bambini sono alienati
tutti i bambini sono alienati
aspettando la pioggia estiva
C'è pericolo alla periferia della città
cavalca la King Highway, baby
strane scene all'interno della miniera d'oro
cavalca l'autostrada ovest, baby
cavalca il serpente, cavalca il serpente
fino al lago, l'antico lago, baby
Il serpente è lungo, sette miglia
cavalca il serpente... è vecchio e la sua pelle è fredda
l'ovest è il meglio, l'ovest è il meglio
Vieni qui e ci occuperemo del resto
l'autobus blu ci chiama
Autista, dove ci porti
L'assassino si svegliò prima dell'alba, s'infilò gli stivali
Prese una maschera dall'antica galleria
e s'incamminò verso l'atrio
andò nella stanza dove viveva sua sorella e... poi lui
fece una visita a suo fratello, e poi lui
s'incamminò verso l'atrio
arrivò a una porta... e guardò dentro
padre, sì figlio, voglio ucciderti
madre... ti voglio... fottere
Vieni, baby, rischia con noi
e incontrami sul fondo del bus triste
faccio un rock triste, su un bus blu
uccidi, uccidi, uccidi,
Questa è la fine
magnifico amico
questa è la fine
mio unico amico, la fine
mi fa male liberarti
ma tu non mi seguirai mai
la fine delle risate e delle dolci bugie
la fine delle notti in cui tentammo di morire
Questa è la fine




N.b


il solito  prolema   per chi usa  linbux  o mozzila fire fox  le frasi in neretto sottolineate  e  quelle  che vanno a capo sottolineate sono collegamenti ipertestuali 
Alcuni di voi e non solo mi chiedono come abbia una grande passione quasi maniacale per Salvatore Satta e suo ultimo romanzo il giorno del giudizio , tanto da elogiarlo nei post precedenti
La risposta è semplice in esso c'è tutta la mia terra , c'è descritto un cambiamento epocale di un isola che nel giro di un secolo ha perso o trasformato \ svenduto al dio denaro le sue usanze e le sue tradizioni , insomma la sua cultura  soprattutto ad uso turistico  .
Inoltre esso è punto di riferimento anche se scritto nel 1975 , per alcuni degli scrittori sardi più importanti il fu Sergio Atzeni Il figlio di Bakunin ( Sellerio 1991) e Salvatore Niffoi La vedova scalza Adelphi, 2006   solo per citasre i più noti
Stavolta avete ragione la mia passione è maniacale tanto da comprarmi appena avrò soldi l'edizione critica dell’autografo ( ne trovate   a estra  copertina  ) , curata dal bravissimo   Giuseppe Marci , professore di Filologia italiana all’Università di Cagliari per i tipi del Centro di studi filologici sardi e dellacasa esitrice  Cuec di Cagliari ( tel. 070/291077) . Infatti propone, per la prima volta, una trascrizione integrale del manoscritto e lo mette a confronto con il dattiloscritto e con le edizioni a stampa realizzate da Cedam, da Adelphi e da Ilisso fino al 2006\7 perché nelle nuove edizioni in parte i nomi sono stati sciolti ma e q, e qui non lo biasimo ( perché cò che mi ha avvicinato al libro era la curiosità di sapere la famiglia che si nascondeva dietro il nomignolo i corriales citata spesso , in fatti di sangue e di sequestri ) , dice Paolo Manichedda nella recensione al libro di Marci  << (...) In fin dei conti, però, si tratta di una censura veramente da poco, perché i nomi veri forse potrebbero servire a un po’ di storia familiare e a qualche ulteriore pettegolezzo nuorese, ma niente aggiungerebbero o toglierebbero alla sostanza delle cose.(...) >>. Leggendo tale libro Il lettore ha, in tal modo, l’opportunità di entrare nel complesso mondo della scrittura sattiana e di osservarla nel suo divenire, così come ha la possibilità di osservare la storia editoriale abbastanza travagliata e particolare . Infatti come dice lo studioso Massimo Pittau : << [...] Alla prima uscita del romanzo sattiano a noi Nuoresi non è sfuggito il fatto che quasi tutti i nomi e cognomi dei personaggi citati dal Satta risultavano mutati e trasformati, con la conservazione della sola consonante iniziale oppure di una certa assonanza fra l’antroponimo originario e quello sostituito, e che ciò era stato fatto col preciso scopo di non muovere il risentimento dei rispettivi discendenti, che a Nuoro sono ancora numerosi. In realtà questo mutamento dei nomi e cognomi dei personaggi citati ha, sì, conseguito il risultato di evitare il pericolo di eventuali querele per diffamazione o per calunnia da parte degli interessati, mentre non ha impedito per nulla il riconoscimento esatto e puntuale che ne hanno fatto gli stessi interessati e in generale molti altri Nuoresi della vecchia generazione . Si deve però precisare che questa operazione del mutamento dei nomi e dei cognomi non è stata effettuata né voluta dallo scrittore nuorese, ma è stata concepita ed attuata dai suoi familiari e precisamente da quelli che hanno curato la pubblicazione postuma del romanzo. La circostanza mi è stata comunicata per l’appunto da uno di essi, di cui sono quasi coetaneo ed buon amico da vecchia data. Ebbene questa operazione del mutamento dei nomi e dei cognomi effettuata dai curatori della pubblicazione del romanzo ha determinato qualche pasticcio linguistico : Cap. VIII Il soprannome di un anziano maestro Manca, parecchie volte citato dallo Scrittore, maestro che è stato a lungo ricordato dai Nuoresi, anche da quelli che non lo avevano mai conosciuto, era Prediskèdda, che significa esattamente «Pietruzza». Ebbene i responsabili della trasformazione dei cognomi hanno riportato questa esatta traduzione di «Pietruzza», ma purtroppo hanno mutato il soprannome da Prediskèdda in quello di Pedduzza, non badando che quest’ultimo significa non «Pietruzza», bensì «Pellicina», cioè "piccola pelle" (si veda anche nel cap. XVIII Gli stessi responsabili delle trasformazioni linguistiche hanno proceduto a mutare anche il nome di alcune vie e zone della campagna nuorese, nonché di alcuni rioni: ad es. via Angioi in via Asproni, la regione su Tuvu in quella di Locoi, il rione Lollobéddu in quello di Lorenéddu. Ed anche da questa operazione è venuto fuori qualche pasticcio linguistico. [...] ( vedere qui l'articolo integrale ) di uno dei più significativi romanzi del Novecento .
Ma a farlo diventare “ uno dei bagli del mio viaggio “ è stato questo giudizio di uno studioso Americano ( non ricordo il nome ) che ha affermato che la migliore introduzione al giorno del giudizio è quella che ne dà l'autore stesso : << come una di quelle assurde processioni del paradiso dantesco sfilano in teorie interminabili , ma senza cori e candelabri , gli uomini della mia gente .Tutti si rivolgono a me , tutti vogliono deporre nelle mie mani il fardello della loro vita . parole di preghiera o d'ira sibilano col vento fra il cespugli di timo . E forse mentre penso la loro vita , perché scrivo la loro vita , mi sento come un ridicolo Dio , che li ah chiamati a a raccolta nel giorno del giudizio , per liberarli in eterno della loro memoria >> .
Esso dimmostra  : 1)  che da te stesso  e dal  tuo paese   non si  scappa  ; 2) che per poter narrare  le  vicende d'esso devi andare  fuori . 
All'inizio sembra noioso in quanto si sente l'influsso dei romanzi di fine ottocento in particolare Cuore di De Amicis poi s'evolve e ampliando la narrazione al paese . Infatti l'autore recupera , le persone ( ormai tutte morte ma sono vivi i discendenti ) conosciute in vita più precisamente durante la sua adolescenza ovvero abbraccia il periodo fra gli dal 1910 al 1930 circa prima di lasciare la sua Nuoro.
Infatti esso è la
Storia della famiglia di don Sebastiano Sanna e di donna Vincenza, ma anche storia di Nuoro e specchio dell’umanità, Il giorno del giudizio è un romanzo intenso, duro, ricco di g
N.b iudizi e di sentenze senza appello, ritratto della forza e della debolezza dell’uomo. Se da una parte don Sebastiano è un personaggio a tutto tondo, un attardato rappresentante del secolo dei lumi "nutrito dalla certezza nel potere dell’uomo sulle forze della natura", ha però anche tratti di estrema durezza che si esprimono icasticamente nella frase ripetuta per anni alla propria moglie "zitta tu che stai al mondo soltanto perché c’è posto". Egli vede Nuoro, la sua città, è "un nido di corvi", ma lo è per lo stesso motivo per cui lo sono tutte le città del mondo: "c’erano gli oziosi, i miseri e i ricchi, i savi e i matti, chi sentiva l’impegno della vita e chi non lo sentiva, ma il problema di tutti era quello di vivere, di comporre col suo essere lo straordinario e lugubre affresco di un paese che non ha motivo di esistere. (...) Perciò non vi era odio, non vi era amore, c’era la contestazione dell’altro, che diventava la contestazione di sé stessi". Il giurista, insomma, aveva bisogno di una sentenza che sancisse il senso delle cose a lui note, e la pronunciò: "Per conoscersi bisogna svolgere la propria vita fino in fondo, fino al momento in cui si cala nella fossa. E anche allora bisogna che ci sia uno che ti accolga, ti risusciti, ti racconti a te stesso e agli altri come in un giudizio finale". Mi ha molto affascinato oltre che per la vicenda editoriale di cui ho parlato nelle righe precedenti per i riferimenti alla Commedia di Dante soprattutto ai canti XXI ( in particolare questi versi 40-75 ) e il XXII del purgatorio noti meglio come i i canti di Stazio . Infatti i personaggi del romanzo sfilano davanti ai nostri occhi come le figure delle processioni dantesche , e sembrano presentarsi all'autore per chiedere non soltanto d'essere fatti rivivere , ma anche d'essere giudicati . Però quello che Satta ci lascia non è un giudizio morale ma di un semplice scrittore che ha trovato nella scrittura un modo di liberarli dall'oblio e di consegnarli al lettore come persone di famiglia con i loro pregi e difetti . Concludo con quanto dice l'autore nelle avvertenze ai lettori : << riprendo dopo molti mesi , questo racconto che forse non avrei dovuto incominciare . Invecchio rapidamente e sento che mi preparo ad una triste fine [ infatti fu scritto negli ultimi due anni di vita dell'autore ormai minato da un male incurabile ] poiché non ho voluto accettare la prima condizione di una buona morte l'oblio (.,,) . E anche allora bisogna che ci sia uno che ti raccolga , ti risusciti , e ti racconti a te stesso e a gli altri come un giudizio finale . E' quello che ho fatto io in questi anni , che vorrei non aver fatto e continuerò a fare perché ormai non si tratta dell'altrui destino ma del mio >>





5.6.07

Siamo figli di Omero o della Bibbia?

Niente paura, stavolta non si parla di religione, ma di influenze artistico-letterarie. Ho ritrovato un saggio che avevo letto quando mi dilettavo di Storia delle Religioni. Il saggio è di Fortunato Pasqualino, i riferimenti sono a Mimesis di Erich Auerbach, ma il succo del discorso è: perché la letteratura nord europea (e americana a seguire) ha dato il meglio di se stessa nello scavo psicologico del personaggio (horror, thriller, gialli) mentre quella italiana (parliamo di classici) sembra totalmente priva di mistero?


Le colpe vanno equamente ripartite tra Omero, la Controriforma, la mentalità epicurea del Rinascimento e una certa incuria, tutta italiana, per le cose divine. Sarà per questo che tra alcuni di noi e papa Joseph Ratzinger non corre buon sangue? Bah…


Ma andiamo per ordine. Cito Eugenio Scalfari di qualche settimana fa: I poemi omerici rappresentano il punto di partenza della letteratura occidentale…Gli eroi dell’età del Bronzo raffigurati nell’Iliade, e gli dei che ne guidano le azioni, materializzano almeno quattro diversi destini: Achille, la bellezza della forza e della guerra; Ettore, la difesa della città e la ‘pietas’ che sarà poi ripresa da Virgilio e fatta rivivere nel personaggio di Enea; Agamennone, il potere tronfio e capriccioso; Odisseo, la superiorità dell’intelligenza.


Ritroviamo in questi quattro personaggi i clichè di tutta la letteratura a venire. Questo è vero. Però c’è un bivio netto e preciso tra il modo di scrivere, e di trattare i personaggi, degli autori nord-europei e quello degli autori italiani. E la biforcazione, secondo Pasqualino, si sarebbe creata al momento della Controriforma. Dopo il colpo quasi mortale ricevuto dalla Riforma di Martin Lutero, la Chiesa di Roma decise di mettere al bando la lettura della Bibbia (asso nella manica del Protestantesimo), soprattutto per evitare che la frequentazione di quelle pagine generasse nel fedele la tentazione di un’interpretazione libera e, quindi, eretica. Una decisione che si innestò agevolmente sulla tendenza tutta rinascimentale (e italiana in particolar modo) di poco curarsi delle cose divine a favore di quelle terrene. Più vicine, utili e, perché no, anche più divertenti. A rigor di termini l’ultimo biblico italiano fu il castigatore Savonarola e, in qualche modo, il suo rogo segnò la fine di ogni senso del mistero nello stile letterario italiano. Privarci della frequentazione della Bibbia significò tagliare via la concezione dell’uomo come essere inquieto e drammatico, combattuto, a tutto favore dei rapporti sereni, ottimistici e semplici che erano propri dello stile omerico. E’ quanto afferma Auerbach nella sua Mimemis: lo stile omerico non vuole trattenere il fiato, non ama la tensione, la sorpresa. Omero ci presenta le cose per come sono, finite ed esatte. Niente viene lasciato senza spiegazione. Tutto deve essere chiaro e distinto, posto in primissimo piano, senza alcuna attenzione per lo sfondo e per la prospettiva umana.


Cito dalla Bibbia:


Dopo questi fatti Dio tentò Abramo, e gli disse: Abramo! Ed egli rispose: Sono qui!


Qui dove? Nulla è spiegato. Dove si svolge il colloquio, da dove arriva Dio, perché decide di tentare Abramo. Cosa che invece uno Zeus omerico avrebbe spiegato, parlandone amabilmente con Era o con Apollo o con la sua prediletta Atena. Secondo Auerbach gli scrittori della Bibbia hanno precorso addirittura Einstein nei concetti di spazio e di tempo mentre Omero rimane ancorato alle poche dimensioni della geometria euclidea. I suoi personaggi sono standardizzati, rimangono uguali a se stessi anche a distanza di decenni, come succede ad Ulisse e alla sua sposa Penelope. I personaggi biblici, invece, non sono descritti quasi per niente, ma proprio per questo sono più concreti, perché hanno infinite sfaccettature implicite.


Un’altra differenziazione viene effettuata sulla base del censo. Gli scrittori pagani (da cui deriviamo le influenze più dirette) operavano una discriminazione sulla base dell’importanza sociale del personaggio. Il loro realismo nel narrare solo di quelli che contano è condizionato dalla concezione della società. La Bibbia, invece, da spazio ai re così come ai servi e di ognuno rivela eroismi ed ignominie, esponendo il conflitto spirituale che è proprio di ogni essere umano.


Gli scrittori pagani (parliamo soprattutto di quelli latini) da Petronio in poi aggiungono al loro realismo una forma di distacco dalle cose narrate che si esplica nell’ironia. Ironia che poi non è che un modo di giudicare e di essere moralisti. Una polemica mascherata da olimpico distacco (su questo punto sono assolutamente d’accordo e suggerirei una riflessione sul tema a tutti quei bloggers che si mettono sul piedistallo a pontificare).


Gli scrittori biblici, invece, sono scrittori della realtà e della verità (naturalmente le loro realtà e verità, non parliamo di concetti assoluti), quindi non pongono schermi tra sé e la materia di cui scrivono. Accolgono con rispetto anche la parte più abbietta degli esseri umani. Non condannano, lasciano al limite che sia il lettore a farlo. Mentre gli scrittori omerici (tra cui i latini) condannano nel momento stesso in cui scrivono, quindi deformano e squalificano. Non portano una testimonianza, portano un’opinione.


Ecco quindi il bivio tra letteratura italiana e letteratura nord-europea. Lo stile più propriamente biblico comporta la scoperta dell’intimità spirituale, della centralità dell’uomo, comporta anche l’avvento della prima persona singolare nella letteratura europea. Quella che nel cinema si chiama soggettiva.


Gli eroi omerici, invece, non godono del dono dell’intimità. Sono osservati, non osservatori.


Secondo il saggio di Pasqualino, la stessa psicanalisi trova una base nella Bibbia, come dimostrano gli episodi dell’interpretazione dei sogni del faraone (le sette vacche magre e quelle grasse) e di Nabucodonosor (il sogno della statua enorme dai piedi di argilla). L’atteggiamento biblico penetra il senso della realtà e dell’esperienza umana. L’atteggiamento omerico descrive ciò che vede, senza reale partecipazione.


Da tutto questo si ricava che dobbiamo i capolavori dell’introspezione, siano essi letterari o cinematografici (vedi Ingmar Bergman) alla libertà di leggere, frequentare ed interpretare la Bibbia garantita dalla Riforma protestante. Oggi, è notizia di pochi giorni fa, anche la Chiesa di Roma è giunta alla conclusione che si deve incentivare lo studio della Bibbia da parte dei giovani. Uno studio che deve prescindere dal contesto religioso, in quanto il libro per eccellenza dovrebbe essere sottoposto all’attenzione degli studenti non in quanto fondamento del Credo cristiano (ed ebraico) ma in quanto testimonianza letteraria di altissimo valore.


Iniziativa lodevole, ma non ho molte speranze. Da quanto mi risulta nelle scuole italiane è già tanto se agli studenti viene concesso di sapere che un tizio cieco di nome Omero ha scritto due cosucce intitolate Iliade e Odissea.


Laura Costantini

1.5.07

Il lanternino - sito di incontro tra le persone che danno vita ai libri

IL LANTERNINO
Lettera informativa n. 1 - Aprile 2007

Cari tutti,
il sito del Lanternino è pronto e sono in linea il regolamento e vari documenti. Ognuno potrà informarsi e capire meglio il nostro progetto, visitandoci all'indirizzo www.lanternino.net.

Chi ha buone proposte da sottoporci non esiti. Saranno valutate ed eventualmente pubblicate. Nessuno si offenda se alcune saranno rifiutate. L'esito dell'iniziativa dipende proprio dalla qualità di tali proposte.

Vi invitiamo a segnalare il nostro progetto a traduttori, scrittori, case editrici, associazioni, istituzioni culturali e riviste letterarie, in Italia e all'estero.

L'intento è quello di creare un punto d'incontro per tutte le persone che danno vita ai libri: autori, traduttori, revisori, editori.

Auguriamo buoni incontri a tutti.
Il Lanternino

17.4.07

Senza titolo 1763

TOPO ORESTE E LA GRANDE CITTA'


    Può un topo rischiare la vita per salvare una comunità di gatti? Se questo topo si chiama Oreste... SI'!
    Un libro per ragazzi ma non solo, utile anche a far pensare i "grandi".
    Consigliatissimo.
Se siete curiosi... seguite il banner :)


31.3.07

Senza titolo 1731

Sempre  sul gioco del calcio oltre il libro di Cavina  da me recensito    qui sul blog  ho trovato  nel  bolettino  ANNO I numero 4 APRILE 2007     letterario e culturale  che  m'arriva  via email  dell’Associazione Culturale Gennaro Sparagna ( direttore responsabile e proprietaria della testata  Sparagna Irene - redazione: via stazione snc - 04026 Tremensuoli di Minturno (Lt)   Email irene@irenesparagna.it   Web www.irenesparagna.it   ) ho  trovato questo bel  racconto  breve  che  s'intitola   La partita Racconto breve di Sandra Cervone e  che  ripropongo  sotto

Camminava seguendo i suoi pensieri. Suo padre se n'era andato da casa che lui aveva solo sei anni. E Ivan,
allora, nonostante i suoi trentanni compiuti, si sentiva ancora un ragazzino e non capiva proprio cosa volessero
dire tutti quei: "Ma ormai sei cresciuto!". Adorava i bambini piccoli, quelli che sentiva più simili a lui. Voleva
solo guardarli, parlare con loro. Ridere, scherzare. Sentirsi ancora così tenero e tranquillo da non provare mai
più il dolore provato. I bambini non sanno fronteggiare le sorprese. Si lasciano andare agli sguardi, ricambiano
i sorrisi. Rispondono ai pensieri inespressi.
Ivan,perciò, usciva tutti i pomeriggi per andare a cercare i bambini. Prendeva un autobus e raggiungeva lo sta-
dio. A quell'ora tanti piccoli atleti si allenavano tra sudore e allegria. Ridevano, litigavano, gioivano per un
canestro, battevano le mani, tiravano il pallone con impeto e passione.
Ivan seguiva quel gioco guardando oltre la rete. E si rivedeva. Piccolo ma già grande per capire. Piccolo e im-
plorante le carezze dal padre che scappava. Proprio la sera prima della sua prima partita! Lacrime. Fiumi di
lacrime. E la mamma che non voleva spiegare.
Poi, tutte le volte, qualcuno interrompeva i suoi ricordi. "Ehi, giovanotto, che ci fai da queste parti? Ti avevo
detto di non tornare più...allontanati o chiamo la polizia".
E Ivan si risvegliava alle parole acide del custode del palazzetto, iniziava a correre forte per non sentire quel
ritornello. Poi, il pomeriggio seguente, tornava nei pressi della struttura sportiva e riprovava a sognare.
Un giorno, finalmente, riuscì a varcare una porta sempre chiusa e raggiunse i bambini fino alla palestra inter-
na.
Che belli! pensava. Che dolci! E batteva le mani per richiamare i loro sorrisi.
"La facciamo una partita? La facciamo?"
"C'e il matto! C'è il matto!" Ridacchiavano i bambini.
"Quale matto? Quale matto?" Intervennero gli allenatori.
"Sono io! Sono il matto!" Si mise ad urlare facendo piroette per divertire i bambini.
Ma gli adulti, si sa, non riescono mai a ridere troppo coi matti e allora Ivan si ritrovò per strada scaraventato
nel silenzio della follia riconosciuta.
Corse a lungo, graffiandosi il viso, imprecando a gran voce contro il mondo e la sfortuna...
Sudato e imbrattato arrivò nel paese vicino. Entrò in un bar ed urlò la sua pena. Lo cacciarono anche di lì e si
mise a dare calci alle vetrate.
Poi la vide. Piccola, indifesa, che giocava in silenzio con le foglie delle aiuole. Si avvicinò, le parlò, divenne
tenero come non era mai stato. "Che ci fai tutta sola per strada?" "Sono con la mamma"rispose la bambina. E
indicò un tavolino del bar dove una coppia di giovani donne prendeva un caffè con un uomo ed un ragazzino.
"Perchè ti hanno lasciata sola? -chiese Ivan seriamente preoccupato- Lo sanno che è pericoloso lasciare i bam-
bini da soli per strada?"
Fu a quel punto che allungò un braccio per farle una carezza ma lo zio della piccola fece in tempo a bloccarlo
aggredendolo con le parole. "Ma che vuoi? Ma chi ti ha detto di spaventare la bambina? Non ti permettere
nemmeno di sfiorarla...capito?"
Ivan farfugliò una risposta, poi cercò una scusa, poi rimproverò a sua volta quell'uomo avvertendolo dei peri-
coli che una bambian sola può correre per strada....
Poi sorrise e chiese: "Giochiamo a pallone?"
E quando il pugno gli arrivò dritto sul naso, indietreggiò spaventato e confuso e si lasciò cadere sul manto stra-
dale, come un birillo di legno colpito e abbattuto.
" Canestro!" riuscì ad urlare mentre una, due, tre macchine correvano all'impazzata...
Ivan sentiva soltanto il dolore. Ed il cielo, lontanissimo, diventava nero come non lo era mai stato.
"Papà...-ripeteva- non sono stato cattivo, perchè vuoi andare via? Perchè mi lasci solo?"
E quel fiotto di sangue sull'asfalto urlò più forte di una sirena impazzita.
Ivan tornava davvero bambino e gli allenatori di basket non lo scacciavano più...facendolo giocare nella pale-
stra più grande del mondo, con tanti amici che ridevano e gioivano mentre un pallone entrava nel canestro tra
gli applausi e le ovazioni.
"Papà: guardami...guardami ora!"
E del suo cuore non rimase che una coccarda appuntata proprio lì, in bilico tra la morte e la non-vita.
Per la "sua" partita, finalmente! L'ultima.


Sandra Cervone

«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...