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27.4.17

affronto statale ai morti che ancora riemergono a 100 anni di distanza ai morti della greande guerra ( 1914- 1918 )


Così lo Stato sfregia il "milite ignoto": le ossa dimenticate in una scatola



Un femore, un cranio, le costole che raccontano e ricordano la storia di un ragazzo, morto al fronte nella Grande Guerra, sono stati ritrovati nel 2015 sulle Dolomiti tra la Marmolada e il Passo di San Pellegrino. Così lo Stato sfregia il "milite ignoto": le ossa dimenticate in una scatola


Le ossa erano state ritrovate da Livio Defrancesco in un canalone, dopo che un violento temporale aveva smosso le ghiaie. Dal femore recuperato sotto la Marmolada pare che il giovane soldato fosse molto alto per il suo tempo, intorno al metro e ottanta. Probabilmente cadde da un dirupo e si ruppe la testa. Nell'inverno del 1916 caddero 18 metri di neve sulle Dolomiti e i soldati rimasero a difendere le posizioni.


Ancora oggi quei resti sono rimasti in uno scatolone nella caserma della compagnia dei Carabinieri di Moena  nel  video sotto la vicenda     




Sia      che  si ritenga     giusta   o  secondaria  ( io somno  d'accordo  con quest'ulti o giudizio ormnai  sono passati cent'anni    chi sa  se  sono anche vivi   gli eredi  ,    l'importante  non è  piangerlo   davanti ad  un  tomba   ma dentro di te  )    come non dare  ragione    al'incipit  giustamente   sarcastico l'incipit dell'articolo su Repubblica   (   sotto   l'articolo    completo  ) di Paolo Rumiz, giornalista, scrittore e grande viaggiatore:
Attenti: se trovate un Caduto, rimettetelo subito sotto terra. Riconsegnate il corpo alle stelle alpine, alle primule, alla pace ritrovata dei luoghi dove ha combattuto. Altrimenti, se ne denuncerete la presenza secondo le procedure di legge, lo farete finire in qualche sottoscala o in uno scaffale.



È il destino del milite ignoto trovato nella primavera del 2015, a cent'anni esatti dall'inizio della Grande Guerra, sotto la Cima di Costabella in Dolomiti, tra la Marmolada e il Passo di San Pellegrino, dove Italiani e Austriaci si sono combattuti per due anni e mezzo in condizioni estreme. Ventidue mesi dopo il ritrovamento e trasferimento a valle, il cadavere è ancora lì, alla stazione dei Carabinieri di Moena, non si sa se in un sacco, una cassetta o una scatola, in attesa di un "Requiem" e di un camposanto dove riposare.
A Moena tutti hanno fatto il loro dovere. Il "recuperante", Livio Defrancesco, che ha trovato il corpo senza nome in fondo a un canalone dopo un violento temporale che aveva smosso le ghiaie sopra lo scheletro. Il magistrato che ha avviato la pratica. I Carabinieri, che hanno avvertito i loro superiori. La stampa locale e nazionale, che ha informato gli Italiani.
Non il ministero della Difesa, che attraverso l'apposito istituto interforze denominato "Onorcaduti", avrebbe dovuto occuparsi della sepoltura. Morale: i Cc di Moena vivono dal luglio del 2015 con in caserma un morto che nessuno vuole. Ci avranno fatto quasi l'abitudine, a quel mucchietto di femori, clavicole, costole e falangi, chiusi non si sa dove con probabile targhetta di cartone. Tutto questo a pochi chilometri dal cimitero militare di Santa Giuliana, a Vigo di Fassa, dove altri Caduti della Grande Guerra hanno trovato onorevole riposo, in una prateria con vista sui monti più belli del mondo.
E sì che, dal 2001, il comando di "Onorcaduti" è in mano a commissari scelti dall'arma dei Carabinieri, che alla tenenza di Moena avrebbero dovuto dare risposta immediata. Nell'ordine, i generali Bruno Scandone, Vittorio Barbato, Silvio Ghiselli e, ora, Rosario Aiosa, il quale si è trovato a fronteggiare le commemorazioni del centenario con mezzi inadeguati, in gran parte grazie all'aiuto volontario di associazioni combattentistiche e d'arma, a fronte di una situazione disastrosa, con ossari e cimiteri in pessime condizioni.
Se una civiltà si giudica dai suoi cimiteri, allora è possibile dire che con la nuova gestione sono finiti, anzi sepolti per sempre, i tempi in cui "Onorcaduti", nati nel 1919 con al comando nientemeno che il generale Armando Diaz, portarono a compimento la missione in posti come El Alamein e il fronte russo. Tempi in cui l'istituto fu trascinato dall'entusiasmo di figure mitiche, come i generali Umberto Ricagno e Ferruccio Brandi, o da superiori iper-attivi come Benito Gavazza, che nel 1990 avviò il rimpatrio dei Caduti sul fronte del Don.
Ma tu chi sei, alpino di Costabella? Sì, perché tu, soldato, morto certamente in azione sul canalone Ovest della montagna, col cranio spaccato da un masso a soli cinquanta metri dalle linee austriache, eri un alpino che andava all'assalto. Un alpino gigantesco per l'epoca, alto sul metro e ottantacinque. Lo dicono i tuoi femori. Dovevano conoscerti tutti, per la tua forza. Lo sappiamo con sicurezza in che compagnia stavi, perché su quel tratto di fronte c'eravate solo voi, ragazzi della 206.a, battaglione Val Cordevole, settimo reggimento.


L'ultimo affronto al milite ignoto: dimenticato in una scatola


Tu ignori, per fortuna, la miseria dei nostri tempi. Noi, invece, sappiamo qualcosa di te e dei tuoi compagni. Eravate tappi di un metro e sessanta di media, ma capaci di sopportare fatiche da bestie. Gente come Giacomo Dall'Osbel detto "Ross faghèr", faggio di pelo rosso, in grado di portare sulle spalle un quintale e mezzo in salita. O il vostro capitano, Arturo Andreoletti, immenso alpinista, che ebbe il fegato di mandare a quel paese il generale Peppino Garibaldi per gli ordini che dava, considerati suicidi.

Come l'assalto al Col di Lana, una vera tomba per gli Italiani. Sappiamo anche quando, presumibilmente, precipitasti in quel canalone: fu alla fine del tremendo inverno del 1916, in cui caddero, in Dolomiti, diciotto metri di neve.

L'ultimo affronto al milite ignoto: dimenticato in una scatola


Sono tutte cose che Livio Defrancesco sa bene. È da bambino che batte le sue montagne e oggi, con i materiali che ha trovato, ha aperto in casa propria uno dei più bei musei della guerra alpina. Si definisce un miracolato, per essere sopravvissuto a tre esplosioni, tra cui il botto micidiale di una bombarda. "I tre jolly della mia vita li ho già giocati", commenta rudemente, come chi ha già visto cosa c'è oltre la linea d'ombra.
"Ero sotto la cima di Costabella a fare manutenzione dei sentieri - racconta - e ho visto delle scarpe chiodate, tipiche di quella guerra in montagna. Le ho prese in mano e ho sentito che dietro venivano i piedi, la gamba, il corpo. Le ossa erano perfette, grandi più del normale. Accanto al corpo, un arpione per far sicurezza ai compagni, una gavetta e una bomba a mano. Niente piastrina di riconoscimento. L'elmetto era spezzato. Era stato chiaramente portato via da una valanga o da una frana".

L'ultimo affronto al milite ignoto: dimenticato in una scatola

Chissà se, attraverso questa denuncia, riusciremo a sapere il tuo nome, soldato di Costabella. "Gli alpini della 206.a compagnia non erano poi tanti, ed erano sicuramente bellunesi - commenta Mariolina Cattaneo, coordinatrice della rivista "L'Alpino" a Milano - se poi si pensa alla statura inconsueta dell'uomo e alla memoria leggendaria di quegli scontri, forse qualche parente o studioso della Grande Guerra si farà vivo per sciogliere l'enigma".


E chissà, a quel punto, che non requiescat in pace.🤔😟😐😔🛏️❤️✝️




12.1.16

Cinisi paese di Peppino impastato festeggia i cento anni del boss Di Maggio con i botti

Nel paese di Peppino Impastato, i cento anni del capomafia più anziano del mondo sono stati festeggiati con i fuochi d'artificio. Il 6 gennaio, è stato un gran via vai davanti alla palazzina dove abita il boss Procopio Di Maggio, uno dei fedelissimi di Totò Riina, l'unico componente della Cupola di Cosa nostra rimasto in libertà. Parenti e amici (tanti amici) gli hanno fatto gli auguri in una processione interminabile. Poi, la sera, una grande cena in una delle sale ricevimenti più eleganti di Cinisi. E per finire, uno spettacolo di fuochi d'artificio. Nonostante il divieto del sindaco di lanciare giochi pirotecnici fino al 10 gennaio. Il primo cittadino annuncia: "Prenderò provvedimenti". Ecco il videoreportage a Cinisi di Salvo Palazzolo e Giorgio Ruta, che hanno b bussato anche a casa del vecchio padrino





Sono basito da non riuscire a commentare le parole del sindaco . Dico solo due cose . La prima che nonostante come dice masscmax nel commento al video di repubblica sopra riportato : << Certe cose si vedono solo al sud, come le madonne portate in processione, che si inchinano ai boss... Poi ci si chiede come mai i fenomeni di criminalità organizzata che infestano questo disgraziato Paese nascono tutti in quei territori d'origine per poi propagarsi al nord e arrivare fino a SA, dove spesso identificano gli italici (non credo a torto) con queste "associazioni"! >> a me piace il sud come dice l'omonima canzone
La  seconda  che le parole di Giovanni mi danno speranza e mi sono stato d''aiuto nell'allontanare , ma soprattutto nel smettere di farmi anzi meglio rifarmi , la solita elucubrazione sega mentale : << a che serve combattere se poi .... non serve  niente  ....  >>  ed in questo caso  dopo aver letto tale news    a che cosa è servita la morte e lo sfogo , 




di Peppino >> Anche se lo stesso Giovanni ha detto che si lo scontro fra i due fu " duro " ma che non andò esattamente cosi e qui è un po romanzato


voglio concludere e nel riascoltare ( chiedo venia a voi 13 lettori di blogger e a chi mi segue da quando il blog era ospitato su splinder o su facebook ) questo pezzo



che è il finale del famoso film cento passi di Tullio .Maria  Giordana  citato anche   qualche riga prima




Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

   dopo a  morte    di  Maurizio Fercioni ( foto   sotto  a  centro ) , fondatore del Teatro Parenti a Milano e primo tatuatore d’Italia Gia...