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17.1.25

La controversia sulla decisione di non vendere il libro do vanacci a Castelfranco Veneto



Nei giorni scorsi, la libreria Ubik di Castelfranco Veneto, gestita da Clara Abatangelo (  foto  a  sinistra  )   è stata coinvolta in un episodio che ha sollevato  ancora  una  volta   ,  vedere   il caso  del 21016     quando  Una libreria di Catania dice no al libro del figlio di Riina , interrogativi sulla libertà di espressione in Italia. Ad  esso   va aggiunto  il   fatto   che la libraia ha ricevuto una lettera minatoria dopo aver rifiutato di vendere “Il mondo al contrario” di Roberto Vannacci, un libro che ha suscitato
polemiche per i suoi contenuti controversi. Questo evento ha scatenato un’ondata di solidarietà da parte di lettori e colleghi, ma ha anche attirato critiche e attacchi  da parte di chi sostiene che la libertà di espressione debba avere dei limiti.
Il libro di Vannacci, un ex generale dell’esercito italiano, è stato al centro di un acceso dibattito pubblico. Le sue affermazioni, considerate da molti come provocatorie e divisive, hanno portato a una reazione forte da parte di diverse associazioni e gruppi. La decisione di Abatangelo di non vendere il libro è stata interpretata da alcuni come un atto di censura, mentre altri la vedono come una scelta legittima di un’imprenditrice che non vuole promuovere contenuti che considera dannosi.  Dimenticandosi  che   la  libertà  è   

ovvero anche decidere di non vendere libri del genere chi lo vuole lo compera da un altra parte La lettera minatoria ricevuta dalla libraia ha ulteriormente amplificato la questione, portando alla luce il tema della sicurezza per chi opera nel settore della cultura.



La reazione della comunità è stata immediata e variegata. Molti lettori e scrittori hanno espresso la loro solidarietà a Clara Abatangelo, sottolineando l’importanza di difendere la libertà di scelta e di espressione. Eventi di sostegno sono stati organizzati presso la libreria, trasformando il luogo in un simbolo di resistenza contro la censura. Tuttavia, ci sono anche voci critiche che avvertono del rischio di normalizzare la violenza verbale e le minacce nei confronti di chi esprime opinioni impopolari. Questo episodio ha messo in evidenza le tensioni esistenti nella società italiana riguardo alla libertà di espressione e al rispetto delle opinioni altrui.
Infatti     ciò   che  dovrebbe    far  riflettere   è   oltre    ai   consueti  haters      c'è  il fatto     che  
, invece di solidarizzare con la libraia, in centinaia (“tra cui tantissime donne”, racconta) hanno cominciato a insultarla perché - tenetevi forte - “se l’è cercata”.
Io invece penso ,    come   il  video  sopra  riportato     ,  perchè  come  tu  sei  libero  di :   leggerlo ,  venderlo  ,  ecc , io sono   libero  di  fare  il contrario  a    te   leggerlo .. Inoltre    tale   decisione   non solo che sia una sua libera scelta, di quelle che ogni libraio compie ogni giorno, ma anche, in questi tempi balordi, un piccolo grande atto di resistenza \  guerrglia  contro  culturale  .
E le reazioni violentissime, le minacce, nei suoi confronti    sono lì a dimostrarlo.

18.6.21

stato ateo o stato laico quale soluzione contro i femminicidi etnici ?

 

di cosa  stiamo parlando 

Il femminicidio di Saman rende facile scagliarsi contro l’islam da parte delle destre ( e  dei loro 
simpatizzanti  )   xenofobe. Ma fanno finta di dimenticare,  oppure   peggio ancora   non lo sanno  che il delitto d’onore nell’Italia cattolica è stato abrogato solamente nel 1981

N.b

DA LAICO   CREDENTE   NON CONDIVIDO    COMPLETAMENTE    QUESTO ARTICOLO   CHE  IVI  RIPORTO  MA   PER LA LIBERTA'   D'ESPRESSIONE  E  COERENZA   CON QUANTO  SI PREFISSA    QUESTO  BLOG  DI DARE  VOCE  A  TUTTI\E     LO RIPORTO  .


da   https://left.it/2021/06/17/lo-stato-ateo/


                       Carla Corsetti è segretario nazionale di Democrazia atea

Il femminicidio di Saman è diventato una occasione imperdibile per le destre fasciste, è perfetto per una strumentalizzazione contro gli stranieri, tanto più che sono islamici.
Nessun partito neofascista e di destra ha mai sostenuto sino ad ora, la lotta contro il patriarcato, né ha mai sostenuto la necessità di affermare la separazione delle istituzioni civili dalle religioni monoteiste intese come brodo di cultura delle intromissioni di matrice patriarcale nella negazione dei diritti.
A ben vedere i partiti di destra e neofascisti condividono, anzi, ostentano l’adesione cattolica per avere legittimazione etica agli identici modelli di oppressione (aborto, gpa, matrimoni gay…).
I partiti fascisti di destra, dunque, non hanno mai messo in discussione le strutture simboliche oppressive della religione cattolica, che con l’islam e l’ebraismo attinge alle medesime aberrazioni della Bibbia, e poiché sovente gli estremi si sovrappongono, neanche certi cattocomunisti hanno mai messo seriamente in discussione il patriarcato di matrice cattolica.
L’islam, l’ebraismo e il cattolicesimo sono le tre religioni monoteiste di derivazione abramitica, che richiamano la stessa cultura figlicida e la stessa oppressione del genere femminile.
Le tre religioni abramitiche, e dunque anche il cattolicesimo, non solo l’islam, hanno ossessivamente costruito l’oppressione sul corpo delle donne, dalla testa coperta con il velo, alla sessualità mutilata, all’autodeterminazione negata.
Il femminicidio di Saman rende facile scagliarsi contro l’islam da parte delle destre xenofobe, perché si ottengono due risultati contemporaneamente: accusare una religione di oppressione patriarcale ha l’effetto suggestivo di sottendere che la propria religione sia migliore della loro, ma anche di sottendere che la propria non abbia le stesse devianze criminali, dimenticando, ad esempio, che il delitto d’onore nell’Italia cattolica è stato abrogato solamente nel 1981.
Sicché i cattolici di destra nostrani sono pronti a condannare la madre islamica di Saman ma non vanno nelle arene televisive a scagliarsi contro le madri cattoliche che lasciano i figli nelle grinfie degli orchi clericali durante il catechismo, o contro le madri cattoliche che fanno prostituire le figlie bambine con clienti, cattolici, senza scrupoli, oppure contro le madri cattoliche che tacciono quando le figlie sono stuprate dai padri e dai fratelli.
La destra italiana non si scaglia contro il cattolicesimo, anzi, lo rivendica come cultura identitaria.
E quando la struttura patriarcale della società cattolica esprime violenze figlicide e uxoricide da parte di uomini incapaci di accettare che né le compagne né i figli sono di loro proprietà, la destra fascista e clericale italiana non si scaglia contro il cattolicesimo che quella idea di proprietà l’ha disegnata nelle proprie encicliche.
La destra clericale e fascista non vi si scaglia contro nemmeno quando il cattolicesimo si esprime in applicazione delle direttive del Lexicon, il dizionario vaticano che condanna le identità sessuali non binarie e i diritti sessuali e riproduttivi e che rivendica il diritto di oltraggiare, liberamente, chi non è eterosessuale, opponendosi violentemente ad ogni legge del nostro Stato che si pone in contrasto con quel dizionario, dalla contraccezione alla omofobia.
La destra italiana ha fatto proprie le aberrazioni del Lexicon vaticano e le ha tradotte in identità politica, e ora dal basso di questa deriva teocratica si permette di condannare altre forme di teocrazia.
La destra clericale e fascista, di fronte alle aberrazioni del cattolicesimo, è pronta a dire che “quello non è cattolicesimo perché Gesù non ha mai detto quelle cose”.
Proprio come gli islamici che di fronte alle aberrazioni dell’islam, è pronta a dire che “quello non è islam perché Maometto non ha mai detto quelle cose”.
Fingono di non sapere che le religioni abramitiche hanno una impronta di facciata che però cela un nucleo antiumanitario.
Ogni religione se viene imposta nelle sue regole e nelle sue devianze, è un crimine contro l’umanità.
Anche l’ateismo se è istituzionalmente imposto diventa una religione negativa e come tale è un crimine contro l’umanità.
Lo Stato che impone una religione o che impone l’ateismo, è uno Stato criminale.
Si deve pretendere che la società civile abbia regole condivise senza che nessuna religione (positiva o negativa) possa travalicare gli ambiti privati e inquinare gli spazi pubblici.
L’unica aspirazione democraticamente possibile, resta uno Stato che non imponga nessuna religione, ovvero lo Stato ateo.





1.2.14

Le foibe, l’esilio, la congiura del silenzio e simone cristicchi

 approfondimenti   (    dei  miei precedenti   post  con una buona  scorta  di link  )  


Proprio mentre inizia  queste  post  mi metto a canticchiare  questa  canzone di Cristicchi  di cui   ho  preferito ,  salvare il video   con  dowloadhelper ( opzione di  mozzila  firex  fox  )  visto :   la bellezza  delle immagini  ivi  riportate   ma  soprattutto  perché  a  volte  le immagini dicono  più di mile parole 


 canzone che  sta  facendo  (   e farà discutere )   come   come potete notare  nel  video  qua sotto  



Sbaglia   certo come dicono  questi storici http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2013/11/Fahrenheit-CRISTICCHI.mp3  ma   almeno  ne parla   e  fa  si che  tali eventi non cadano  nel dimenticatoio  e    nei commenti    al post sul sito canzoni contro la guerra ( in cui trovate  ulteriori  link  e news per  chi volesse  approfondire  tale  argomento  )  perchè la memoria   fiera  ed indigesta   tratta  da una vicenda  vera  quella del magazzino18

Quest'anno a  differenza  degli altri anni  , invece  d'annoiarvi  con il  soliti post  nozionistici , ma  soprattutto non avendo  
nè tempo  , nè forza   per  evitare  di farmi venire le lacrime  come   gli altri anni  voglio  ricordare  tali eventi lasciando  la parola  ai sopravvissuti  o  quanto meno   nel caso degli esuli  ai discendenti  .   attraverso queste pagine  http://digilander.libero.it/lefoibe/testimonianze.htm e  gli articoli sotto 

riporto qui   degli   articoli interessanti   il  primo è     tratto da  www.televideorai.it ( ora http://www.rainews.it ) del  10\2\2013

di Paola Scaramozzino
 
“Quanto imbarazzo quando facendo delle pratiche mi chiedevano dove ero nata. A Pola rispondevo e automaticamente compariva sul computer dell’impiegato una striscia rossa che evidenziava un errore. Pola, ora si chiama Pula ed è in Croazia, fa parte delle città che alla fine della II Guerra mondiale e dopo il trattato del 1947 sono state cedute alla ex Jugoslavia. E’ come dire che io non sono più italiana”.
Così ci racconta Anna Maria Mori,foto a sinistra, giornalista, scrittrice, figlia di esuli Istriani che a questo argomento aveva dedicato già nel 1993 un documentario, ”Istria 1943-1993: cinquant'anni di solitudine” e poi “Istria, il diritto alla memoria” del 1997, entrambi trasmessi su Raiuno. Ci ospita nella sua casa, a due passi dal centro di Roma.
“Per anni ho cercato di rimuovere quella che è stata una tragedia familiare che ci ha allontanato da Pola e dal posto dove era nata mia madre , Lussinpiccolo, una località oggi della Croazia, situata sull’Isola chiamata dei Capitani perché c’era una scuola per capitani di lungo corso della marina mercantile. Mio padre non era istriano ma di Firenze, eppure si sentiva di appartenere a quel posto. Dopo l’esodo mia madre non ha fatto che piangere, non si è mai rassegnata”. E come lei chissà quanti altri profughi si sono portati nel cuore il grande dolore della perdita non solo di una casa, di un territorio , ma di un’identità. Ci sono dolori che ti invadono il cuore ma anche la testa, il corpo e così deve esser accaduto alla madre dell’autrice che racconta la storia della sua famiglia nel libro “Nata in Istria”, pubblicato nel 2006 dalla Rizzoli e uscito in questi giorni nell’ edizione tascabile Bur.
Quando si è saputo delle Foibe? “ E’ accaduto come per i campi di concentramento nazisti, all’inizio gli ebrei stessi non ne parlavano . Dopo il trattato e con l’occupazione dei 45 giorni di Trieste, i titini nelle strade urlavano con gli imbuti perché non c’erano i megafoni, “Italiani fascisti andatevene” perché per loro tutti appartenevano a quell'ideologia e non era proprio così. Poi la gente scompariva di notte. Uomini, donne, bambini. All'inizio forse non si poteva neanche immaginare che le persone venissero gettate nelle foibe. E’ stata una pulizia etnica simile a quella perpetuata nei confronti degli ebrei anche se di dimensioni diverse.




Un orrore evidente con i ritrovamenti dei poveri resti nelle fosse Carsiche. Quante persone sono state trucidate? Si può fare solo una stima, 10 mila forse. Chissà. Ad un cero punto si è capito che era in pericolo la vita di tutti e solo da Pola sono partiti in 30 mila verso l’Italia che ha accolto i profughi malissimo.

La sinistra li considerava tutti fascisti e temeva che, testimoni del regime comunista di Tito, potessero raccontare che quello non era il “Paese avanzato” che i comunisti italiani tanto declamavano. Gli esuli sono stati abbandonati e criminalizzati. La destra li ha in qualche modo difesi e allora anche coloro che non erano fascisti, alla fine lo sono diventati. Una situazione imbarazzante anche per il governo di De Gasperi che non si espresse per non rompere gli equilibri con la Jugoslavia che aveva tagliato i rapporti con l’ Unione Sovietica. Una situazione davvero complessa ”.
Istituire la Giornata del Ricordo si può considerare un risarcimento morale per gli esuli e per le vittime delle foibe?“Diciamo di sì, viene riconosciuto un fatto negato per 50 anni. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha espresso parole durissime sul silenzio che c’è stato e che ha riguardato anche l’eccidio di Porzus, dove partigiani rossi uccisero partigiani bianchi. Fra questi Francesco de Gregori, zio e omonimo del cantautore e Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo. Diciamo che tutte le storie dell’Adriatico Orientale sono state in parte taciute”.
Che si prova a ritornare sui posti dove si è nati e cresciuti e sapere che non sono più tuoi?
“La tua Terra è un po’ come tua madre. C’è un’ appartenenza reciproca, profonda, la si sente dentro. Non è solo per il posto fisico, ma per tutto: odori, sapori, paesaggi. E poi per come sono fatte le case, i tetti a punta, l’architettura austroungarica. E c’è il mare. A Roma ci vivo da decenni , è una città bellissima, ma non è la mia. Mi sento fuori posto. Sempre”.
La Storia, le foibe: fra il 1943 e il 1947 sono fatti precipitare vivi e morti, quasi diecimila italiani.La tragedia delle foibe si svolge in due tempi. Una prima ondata di violenza esplode subito dopo la firma dell'armistizio dell’ 8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicano contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano e poi gettano nelle foibe, le cavità carsiche profonde anche 200 metri, circa un migliaio di persone. La seconda fase che è quella più cruenta avviene nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l’Istria. Le truppe del Maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici, liberal democratici, socialisti, uomini di chiesa, oltre 40 sacerdoti, donne, anziani e bambini. È un massacro che testimonia l'odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti. La persecuzione prosegue fino alla primavera del 1947 quando viene fissato il confine fra l' Italia e la Jugoslavia. Ma il dramma degli istriani e dei dalmati non finisce.
Nel febbraio del 1947 l'Italia ratifica il trattato di pace che pone fine alla Seconda guerra mondiale: l' Istria e la Dalmazia vengono cedute alla Jugoslavia. Trecentocinquantamila persone si trasformano in esuli. Scappano dal terrore, non hanno nulla, sono bocche da sfamare che non trovano in Italia una grande accoglienza né dalla sinistra, né dalla destra e dallo stesso governo di De Gasperi.
I profughi
Le foto datate 1947 più che le parole possono descrivere la disperazione di uomini, donne, bambini, interi gruppi familiari e anziani costretti a lasciare quella che era la loro patria per un’altra Italia che provata dalla guerra, non desiderava altre bocche da sfamare. Al dottor Marino Micich , figlio di esuli dalmati, direttore dell’Archivio Museo storico di Fiume, Segretario generale della Società di Studi Fiumani, presidente dell’Associazione per la Cultura Fiumana Istriana e dalmata nel Lazio, chiediamo se c’è stato un risarcimento per tanto dolore. “Quando si parla di vite umane non ci può essere alcun risarcimento. Il riconoscimento della “Giornata del Ricordo” il 10 febbraio di ogni anno, è stato un passo avanti notevole dopo che per 50 anni si è negata la tragedia delle foibe e degli esuli”.
fermo  immagine del video  (  riportato  sopra  )  di https://www.youtube.com/user/fronterusso 

In Campidoglio è stato firmato proprio alcuni giorni fa un protocollo d’intesa per la nascita della “Casa del Ricordo”, a via San Teodoro a Roma.

 Sì, un altro riconoscimento per tutte quelle persone che hanno dovuto lasciare, case, attività, affetti, ricordi. L’esodo che fu di 350 mila persone iniziò nel 1945 e si può affermare che si concluse negli anni ’50. Nel 1947, subito dopo la firma del trattato di Parigi, ci fu il numero più massiccio di profughi. Partivano con le loro poche cose imbarcandosi sulle navi verso l’Italia che li accolse malissimo. Erano considerati cittadini di serie B e la loro tragedia imbarazzava sia la destra che la sinistra che l’allora governo democristiano di De Gasperi. Si è preferito ignorarli per decenni. Addirittura ci furono manifestazioni ostili al passaggio dei treni dei profughi come quello avvenuto alla stazione di Bologna il 17 febbraio 1947: Un treno che trasporta un folto gruppo di esuli sbarcati il giorno precedente ad Ancona rimase bloccato per ore sui binari da una protesta dei ferrovieri bolognesi, che non permettono lo svolgimento di nessuna operazione di soccorso e di approvvigionamento, costringendo così il convoglio a proseguire per Parma dove furono poi soccorsi”.
Sono stati 109 i campi profughi sparsi in tutta Italia e per il 70% situati al Nord che hanno accolto gli esuli che con il tempo si sono integrati nel tessuto sociale. Ma la ferita del loro passato è rimasta a lungo aperta proprio perché per decenni gli è stato negato il riconoscimento della tragedia vissuta. A Roma esiste ancora oggi il villaggio Giuliano-Dalmata nato da una vecchia fabbrica dismessa nella zona dell’ Eur. “E’ il quartiere 31 della Capitale – ci dice Micich- e comprende la zona della Cecchignola e Fonte Meravigliosa. Non dobbiamo dimenticare che gli esuli non erano tutti triestini, dalmati o fiumani. Fra di loro anche calabresi e siciliani che erano andati in quelle zone per lavorare. C’è poi un numero imprecisato di persone che non rientrarono proprio in Italia ed emigrarono in America e in Australia”.
C’è stato mai un compenso economico per gli esuli?“Un minimo di 7,8 mila euro che è davvero niente se si pensa che con tutto ciò che hanno lasciato nei territori diventati poi Jugoslavi si sono pagati i debiti di guerra. Comunque con il Giorno del Ricordo è stato restituito a molti almeno la dignità e soprattutto non si è dimenticata la grande tragedia delle foibe”.
Un silenzio durato quasi 50 anni. Ne parliamo con lo storico Giovanni Sabbatucci. Un silenzio ingombrante e pesante come un macigno quello che è calato per quasi 50 anni sulle foibe e sui profughi giuliano dalmata . “I motivi sono diversi – spiega il professore Sabbatucci - il primo è psicologico: si usciva dalla sconfitta di una guerra e si volevano lasciare alle spalle tutte le tragedie legate ad essa. Si guardava avanti. Poi il momento era difficile e altre bocche da sfamare, erano 350 mila i profughi dell’Istria e della Dalmazia, non erano certo ben accette. Inoltre c’erano ragioni i ideologiche e di Governo”.
Si può dire che le Foibe imbarazzavano sia la destra che la sinistra?“Sì, se per questo anche la stessa classe dirigente democristiana con a capo De Gasperi, preferì tacere sia sulle Foibe che sui profughi considerati cittadini di serie B. I comunisti temevano da parte loro che gli esuli potessero raccontare che il territorio da dove erano fuggiti non era assolutamente il “paradiso comunista” che tanto si declamava . I neofascisti, dall’altra parte, non erano particolarmente propensi a raccontare cosa avvenne alla fine della II Guerra mondiale nei territori istriani dato che fra il 1943 e il 1945 erano sotto l'occupazione nazista, in pratica annessi al Reich tedesco”.
“ È una ferita ancora aperta “perché è stata ignorata per molto tempo e solo da poco è iniziata l’elaborazione”, sostiene il professore Sabbatucci. L’addio dalle proprie case e dai loro paesi, la cattiva accoglienza in Patria, i rifugi nelle caserme, in baracche, in villaggi nati in campi sportivi. Stanze divise con cartoni e coperte usate come tende. Uomini e donne separati in alloggi diversi, famiglie smembrate. I profughi hanno pagato più di altri la sconfitta della guerra. Con la legge del 2004, il Parlamento italiano decreta il 10 febbraio come “La giornata del ricordo” delle vittime delle foibe.


il secondo  da    (  dove  nel  player  a destra     trovate  anche degli extra )  http://www.ilgiornaleoff.it/audio-interview/le-foibe-una-pagina-strappata-ai-libri-di-storia/



( ... ) 


Sylos Labini: in questi ultimi anni stai raccogliendo il testimone di Giorgio Gaber, porti in tournée in tutta Italia i tuoi spettacoli di teatro-canzone. In questi giorni sei in scena con Magazzino 18, uno spettacolo sulla tragedia delle Foibe che è al centro di polemiche secondo me vergognose. Che cos’è il Magazzino 18 e che cosa ti ha spinto a raccontare questa pagina tragica della storia d’Italia?
Cristicchi: Magazzino 18 è un luogo realmente esistente che si trova nel Porto Vecchio di Trieste, un hangar dove venivano messe le merci delle navi in transito; in questo magazzino n. 18 si trovano invece le masserizie degli esuli istriani, fiumani e dalmati, che all’indomani della Seconda Guerra Mondiale furono costretti ad abbandonare le loro terre. Sono oggetti di vita quotidiana – letti, armadi, cassapanche, foto, ritratti – che ci raccontano una tragedia cancellata per tanti anni dalla storia e dalla memoria, io la chiamo “una pagina strappata dai libri di storia”. Ogni oggetto racconta la storia di una famiglia, di un vissuto, di un tessuto sociale strappato e mai più ricomposto. Con questo spettacolo ho cercato di ricomporre la loro storia dimenticata e di raccontarla a chi, come me fino a pochi anni fa, non ne era assolutamente a conoscenza.
Sylos Labini: è una pagina nascosta per 50 anni dai libri di storia, una cosa vergognosa. Come ti spieghi questo dividere ancora i morti in ‘morti di serie A’ e ‘morti di serie B? È vero che hai ricevuto delle minacce perché metti in scena uno spettacolo sulle Foibe?
Cristicchi: lo spettacolo in realtà non è soltanto sulle Foibe, che sono un piccolo capitolo di una storia più complicata. Le persone che mi hanno criticato sono di estrema destra e di estrema sinistra, nessuno si è sottratto alla lapidazione di chi cerca di fare giustizia, di dare voce a chi non l’ha avuta per tanti anni; tutte queste critiche sono arrivate da persone che non hanno nemmeno avuto il buon gusto di vedere lo spettacolo, quindi mi scivolano addosso.

Sylos Labini: non capisco perché ti attacchino sia da destra che da sinistra…
Cristicchi: da sinistra perché è uno spettacolo “da fascisti”, da destra perché probabilmente avrei dovuto essere più incisivo in alcuni particolari di questa storia, quando invece il mio spettacolo vuole tendere a una pacificazione tra le parti e forse invece alcuni esponenti dell’estrema destra non cercano il dialogo. Ancora oggi, a distanza di tanti anni, non accettano alcune cose e cercano sempre lo scontro. Non ho scritto questo spettacolo con Ian Bernas per creare ulteriori scontri e offese a questa gente.
Sylos Labini: la tua è sempre stata una musica di denuncia, ho sempre i brividi quando ascolto Ti regalerò una rosa. Tornando a un tema che hai affrontato anche in un tuo spettacolo, chi sono oggi i veri pazzi della nostra società?
Cristicchi: probabilmente i veri pazzi sono i sognatori, quelli che credono che oggi si possa rifare una nuova Italia e cambiare un po’ il mondo, con una partecipazione attiva alla vita politica e sociale. I veri pazzi sono quelli che continuano a sognare e che non si lasciano soffocare da tutto quello che sta accadendo in questo momento.
Sylos Labini: che cosa pensi della protesta dei Forconi, che proprio in queste ore stanno paralizzando molte piazze per protestare contro la linea del Governo?
Cristicchi: non ho seguito bene la questione perché in questo momento sono in tournée in Croazia, posso dire che a volte sono delle valvole di sfogo difficili da gestire, ma che ci si deve aspettare… quando le persone sono soffocate a un certo punto esplodono in qualche modo. La mia paura è che questo tipo di manifestazioni possano portare a delle violenze, e quando c’è la violenza si passa sempre dalla parte del torto.
Sylos Labini: tu sei sempre rimasto OFF, anche dopo il successo hai sempre imposto una tua linea artistica e autorale precisa fregandotene del mercato ufficiale, sei perfettamente in linea con il nostro magazine. Che consiglio ti senti di dare ai giovani artisti che cominciano questa carriera e che ci leggono su ilgiornaleOFF ?
Cristicchi: il consiglio che posso dare è quello di coltivare una curiosità per il mondo senza avere delle ideologie preconcette, di affidarsi all’istinto perché molto spesso ci guida verso mete a cui non avremmo mai pensato, come è successo a me: sono passato dal fumetto alla canzone, poi dalla canzone al teatro e alla scrittura, il 4 febbraio uscirà anche il libro di Magazzino 18, con tutti i racconti che ho raccolto in questi anni. Bisogna mantenere le antenne puntate e presentarsi al grande pubblico con una maturità quasi già acquisita, non arrivare da debuttanti e sentirsi però debuttanti sempre, per tutto il proprio percorso.


l'ultimo , sempre  un altra intervista  a  Simone  Cristicchi     di http://www.lavocedinewyork.com/



C'è voluto un cantante per ridare la parola all'indicibile della nostra storia

di Elisabetta De Dominis


[3 Nov 2013 | 0 Comments | 5534 views]

Simone Cristicchi porta in scena Magazzino 18, la tragedia dell'esodo di 350 mila italiani dall'Istria e la Dalmazia. Lo abbiamo intervistato: "Mi piacerebbe arrivare in America"
La nostra origine indicibile ha trovato parola. Indicibile per noi che ne siamo stati privati, indicibile per chi ci ha scacciato e per chi ci ha accolto. Indicibile infine perché questi soggetti agenti hanno fatto di noi oggetti, merce di scambio, guadagno.Dopo 70 lunghi anni, e quante generazioni, finalmente qualcuno ha visto, ha capito, ha parlato. Un cantante, Simone Cristicchi si è fatto cantore, ha errato nel nostro èthos e ha portato in scena la tragedia dell’esodo di 350 mila italiani dell’Istria e della Dalmazia. Il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia Politeama Rossetti ha inaugurato la stagione con la produzione del Magazzino 18.Diretto da Antonio Calenda, questo ‘musical-civile’, di cui sono autori Simone Cristicchi e lo storico Jan Bernas, racconta quello che è avvenuto al confine orientale alla fine della Seconda guerra mondiale. Lo scopre uno sprovveduto archivista romano, inviato dal ministero a redigere un inventario del magazzino 18 del Porto Vecchio di Trieste, dove gli esuli, destinati ad essere accolti in angusti campi profughi in Italia o in procinto di partire per l’America, lasciavano in deposito i loro mobili e oggetti, sperando di rientrarne in possesso nel futuro. Poco a poco, rinchiuso lì dentro, percepirà lo ‘spirito delle masserizie’ che gli narrerà fatti pubblici e sofferenze private.
Ma com’è venuta a Cristicchi questa idea?
“Stavo girando per l’Italia - ci spiega Simone Cristicchi - per una ricerca sulla memoria degli anziani, che poi è diventato un libro: Mio nonno è morto in guerra (Mondadori), quando a Trieste ho incontrato Piero Del Bello, direttore dell’IRCI (Istituto regionale per la cultura istriana), e grazie a lui sono potuto entrare nel magazzino 18 inaccessibile al pubblico. Ho percepito immediatamente la grandezza di questa storia e mi ha stupito che non fosse conosciuta in Italia, che questo magazzino non fosse un museo.  Quando sono uscito, ho sentito che tutti quei mobili mi avevano parlato. Ecco, mi è stata regalata questa sedia, guardi sotto la seduta c’è il nome del proprietario: Ferdinando Biasiol e io ho promesso di raccontare. Da quel momento ho iniziato la ricerca sull’esodo insieme a Jan Bernas, che ha scritto Ci chiamavano fascisti, eravamo italiani  (Ugo Mursia editore). Ho letto una trentina di testi, sono andato a parlare con tanti esuli e in Istria con i rimasti. Ho lavorato un anno e mezzo sul testo e la stesura delle canzoni. Quella che si chiama proprio Magazzino 18 è visionabile su You Tube”.
Quante pressioni politiche ha avuto?
Simone Cristicchi in una scena di "Magazzino 18"

“Ho avuto
suggerimenti da schieramenti diversi, non pressioni politiche. Fino all’ultimo giorno mi sono sentito libero di tagliare, ritoccare. Ho fatto leggere ad alcuni il testo in anteprima, non per accontentare tutti, ma per ricevere consigli. Mi pare di essere riuscito nell’intento: è un testo equilibrato che dà voce all’emotività della memoria. Avevo già fatto quattro spettacoli teatrali, ma non mi era mai capitato di interpretare personaggi in maniera così viscerale, forse perché il teatro italiano è un teatro di parola. Per me è stato un onore poter lavorare con una persona di sensibilità come il regista Antonio Calenda che ha ideato questo nuova forma di teatro: il musical mescolato al teatro civile. Vorrei utilizzare questo format per altre storie”.
E’ vero che questo spettacolo è stato rifiutato dai più grandi teatri di prosa italiani: da Milano a Torino, da Firenze a Napoli…?
“Sì, temevano che fosse un testo fascista, poi quando hanno saputo che la rappresentazione è imparziale e di grande impatto emotivo, hanno capito che vuole superare i conflitti. Mi piacerebbe portarla in giro per l’Italia anche l’anno prossimo. Magari arrivare in America… Intanto a dicembre sarò in Istria (Croazia). Vorrei ascoltare e dare più spazio anche ad altre storie, quelle dei rimasti.  Un giorno a Montona d’Istria ho visto alla finestra una signora anziana e ancora bellissima. Ha sentito che parlavo l’italiano e mi ha chiesto: “Siete dei nostri?” Mi sono avvicinato e le ho fatto delle domande: si è chiusa nel silenzio e le sono venute le lacrime agli occhi”.
I vecchi di là hanno ancora paura. Come se ci fosse ancora il comunismo che si serviva dei delatori per prelevare e infoibare anche i civili, anche i vecchi, le donne, i bambini. Ora ci sono moltissimi italiani in Croazia, allora sembrava non ne fosse rimasto neppure uno. Certo qualcuno si è mimetizzato: è rimasto nella sua terra rinnegando la sua origine. Soprattutto gli anziani non ce la facevano a lasciare la loro vita: sono morti pochi anni dopo di inedia, di stenti, di dispiacere. Eppure dal 1991, con l’indipendenza, in Croazia l’Italia s’è desta. Nei cuori o nelle tasche dei rimasti? Per 9 milioni di euro l’anno si può dire di essere pure italiani…Si può andare indietro negli anni e cercare di capire come tutto questo odio etnico sia iniziato. L’Austria è stata la grande responsabile della nascita dell’odio razziale per paura dell’autodeterminazione dei popoli dell’impero. Ha fatto la riforma agraria, ha dato le terre a slavi importati sulle coste dall’interno, poi – curiosamente - si è dissolta per mano slava. L’Italia è stata trascinata nella Prima guerra mondiale con la promessa di annettersi le italianissime Istria e Dalmazia. Ha vinto ma non ha saputo negoziare quanto le spettava. Il nuovo regno di Serbi, Croati e Sloveni si è preso quasi tutto, a parte un po’ d’Istria e Zara, ha chiuso le scuole italiane, ha fatto la riforma agraria e ha depauperato i proprietari terrieri. I fascisti in Italia hanno iniziato a italianizzare i nomi della minoranza slava e a privarla delle terre che coltivava. Ma questo non può giustificare le foibe del secondo dopoguerra. Nel frattempo i croati e sloveni hanno scoperto di pagare tasse doppie rispetto ai serbi. Vi risparmio la storia complicatissima del regno di Jugoslavia, dove tutti erano contro tutti armati… Arriviamo verso la fine della Seconda guerra mondiale. E’ l’estate del ’41: gli ustascia, fascisti croati, hanno un grande campo di concentramento a Jasenovac , a sud est di Zagabria, un altro sull’isola di Pago dove fanno esecuzioni di massa per tutta l’estate. Ma oggi sloveni e croati ricordano solo quello di Arbe (Rab), allestito nel ’42 dagli italiani in riva al mare, che era un campo di raccolta di famiglie di partigiani sloveni e di ebrei. Purtroppo avvenne un’esondazione e parecchi detenuti morirono: erano denutriti, malati e non sapevano nuotare. Cristicchi ha portato in scena una bambina che legge una lettera e dice che gli italiani non le davano da mangiare. Nessuno gli ha detto che morivano di fame anche i civili: non c’era da mangiare sull’isola nel ’42. E come si può scordare il campo di concentramento comunista di Goli Otok dove, dopo la guerra, finivano tutti prigionieri politici ai lavori forzati?Ognuno può raccontare la sua storia come vuole, come gli piace apparire, ma la verità è una sola: l’odio etnico è stato solo un comodo movente, quello che ha mosso ad uccidere e depredare  - a guerra finita -  però è stato l’odio di classe. E’ stata la grande occasione di diventare ricchi e sistemarsi senza fatica. Migliaia di persone sono state trucidate e infoibate per impadronirsi delle loro proprietà. Anche l’ultima guerra, che ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia, è stata solo una guerra economica, perché Belgrado gestiva la ricchezza di tutta la federazione.Le colpe sono da ambo le parti, vuole dire questo spettacolo, certo, ma la reazione comunista slava non è stata proporzionata all’offesa fascista italiana. Calenda ha detto che bisogna superare. Sono d’accordo. Ma finora questo è stato chiesto solo agli esuli dell’Istria e ai profughi dalla Dalmazia, quest’ultimi non hanno neppure un magazzino 18 perché sono scappati con i soli vestiti che avevano addosso… Però il sindaco di Arbe qualche anno fa mi disse che ha un magazzino colmo di bei mobili antichi e che vorrebbe fare un museo. Lì andarono per le spicce: impiccarono indifferentemente i possidenti italiani e croati ai pali della luce lungo il porto e saccheggiarono le loro case.Eppure la vergogna di chi ha agito è diventata la vergogna di chi ha subito, a cui è stata ascritta la colpa di aver lasciato la propria terra, non perché in quella terra si moriva, ma perché erano fascisti. Non per salvare la propria cultura, la propria etica, i propri valori, ma perché indegni di vivere in una terra liberata da veri comunisti, che avrebbero fatto una società socialmente giusta. Si è visto. Ancora oggi in Croazia l’ufficio delle confische discrimina se sei di origine italiana o croata, salvo poi non restituirti niente neppure se sei croato perché lì – stranamente - il possesso equivale alla proprietà. Li abbiamo accolti in Europa prima di assicurarci che rispettassero le norme comuni, che ci fosse certezza del diritto.Cristicchi in questo spettacolo è stato esule, ha sentito dentro di sé la sofferenza e l’ha fatta emergere in un racconto accorato ed empatico. Ha legato il suo pubblico con il pathos e il logos, emozione e parola, e - come dicevo all’inizio - ha attraversato il nostro èthos. Che ha un significato più profondo della parola ‘etica’ come regola di comportamento, la quale ne è solo una conseguenza. Nell’antica Grecia significava dimora, patria, terra dell’uomo, il posto da vivere dove tornare dopo aver conosciuto se stesso. Un’esperienza spirituale indicibile che conduceva alla consapevolezza. Un arrivo che era un ritorno nella terra dei padri, le cui norme di vita erano la tua etica e la tua casa, dovunque fossi.Gli esuli e i profughi fisicamente non sono tornati, ma il loro èthos l’hanno portato con sé e non tornerà se non saranno riaccolti.Casa, patria è dove sei accolto. Altri costumi e abitudini di vita albergano di là. La consapevolezza dell’esodo è ancora indicibile, non perché non sia stata narrata da Cristicchi, ma perché a noi non è dato tornare: rappresentiamo la colpa vivente di una grande ingiustizia che essi vogliono dimenticare di aver commesso. Basterebbe aprire le braccia, ma temono la forza del nostro èthos.




14.11.13

dall'italia all'estero e dall'estero in italia le storie di Lara Manganaro

Sfogliando  con curiosità  www.americaoggi.info   ho trovato quest'altro  sito   da  cui riporto due  articoli interessanti

da  http://www.lavocedinewyork.com/

SFIDA NEW YORK

Sono originaria di Varese, al momento di casa a New York prima di tornare a Rimini dove vivo…per ora. Ho lavorato in
televisione e nella carta stampata. Laureata in Scienze politiche e con un Master in Pnl e Neurosemantica sono giornalista e life coach. Da qui ho ideato la nuova figura di life journalist un connubio tra la creativitá e la capacitá di raccolta delle informazioni del giornalista e l’umanitá e positivitá del life coach per aiutare le persone a raggiungere i propri obiettivi ad affrontare positivamente i cambiamenti. Così una volta arrivata a New York ho creato il mio blog lifejournalistblog.com dove parlo di life style, coaching, benessere ma soprattutto racconto la storia degli italiani, e non solo, che hanno realizzato il loro sogno di vivere nella Big Apple superando ostacoli e difficoltà. Ma come hanno fatto? Me lo sono chiesta più volte allora sono andata a cercare le risposte





La scienziata che qui ha imparato a non giudicare gli altri


Lara Manganaro, biologa molecolare, è ricercatrice del virus Hiv al Mount Sinai Hospital, : "Mi manca tantissimo l'Italia, ma tutti dovrebbero uscirne per un periodo, aiuta ad aumentare l'elasticità mentale"
                                                                    Lara Manganaro a Washington Square

Una passione per la ricerca scientifica e una vita di studi. L'amore per la scienza sbocciato da bambina per poi crescere sui banchi del liceo e il sogno di diventare uno scienziato l’ha portata a New York.
“Qualunque cosa tu possa fare, qualunque sogno tu possa sognare, comincia. L’audacia reca in se genialità, magia e forza. Comincia ora”. Johann Wolfgang Göethe



Lei è Lara Manganaro originaria della provincia di Udine. Dopo la laurea in Biotecnologie mediche ed un dottorato in biologia molecolare vola a New York con in tasca una borsa di studio per il The Mount Sinai Hospital uno dei più antichi e grandi ospedali didattici degli Stati Uniti. Qui è ricercatrice del virus Hiv o Aids. Prima di lavorare a Microbiologia ha lavorato un anno nel dipartimento di Immunologia, poi ha deciso di cambiare perchè il primo amore non si scorda mai. “Ho sempre avuto una grande passione per i virus e in particolar modo per l’Hiv, che è stato anche il mio argomento di ricerca durante il dottorato in Italia. Hiv è un virus talmente affascinante che anche dopo tanti anni non mi annoia!”


Lara vive col marito, anche lui ricercatore, nella Big Apple ormai da 4 anni. Ci siamo incontrate nel parchetto di fianco alla fermata della subway sulla 72st per poi recarci ad un caffè lì vicino ed iniziare a raccontarci. Lara inizia a parlarmi del suo percorso professionale puntando l’accento sul fatto che andare all’estero è una tappa obbligata se vuoi fare ricerca: “Tutti i miei colleghi di laboratorio più ‘anziani’ di me se ne sono andati dopo la fine del dottorato. Quindi ho sempre saputo che se avessi volute continuare a fare ricerca, prima o poi, avrei lasciato l’Italia. Gli USA sono molto competitivi nel mio campo quindi erano la mia prima opzione. Purtroppo il mio primo
impatto con l’America mi ha lasciato molto delusa. Nel 2006 sono andata ad Atlanta per un congresso. Era la prima volta che vedevo l’America. Ero piena di aspettative e Atlanta l’ho trovata molto triste. Quindi mi sono detta ‘io in USA non ci vado’. Così ho cominciato a considerare laboratori a Londra. Poi nel 2007 sono venuta a NY durante il viaggio di nozze. Io e mio marito ci siamo innamorati della città. Ho pensato che NY era un posto dove potevo vivere”. E così è stato. Lara dopo la laurea in Biotecnologie Mediche presso l’Università di Trieste è entrata nel programma di Dottorato in Biologia Molecolare della Scuola Normale Superiore di Pisa continuando a svolgere la sua attività di ricerca a Trieste all’ICGEB (International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology) da qui ha poi ottenuto la borsa di studio per svolgere ricerca negli States.
“Lasciare l’Italia è stato difficile. In aeroporto ho pianto tantissimo! Ma quando sono arrivata a NY tutto era elettrizzante. Mi sono sentita subito a casa”. Nonostante si sentisse a casa, i primi mesi non sono mancate le difficoltà. Parlava solo l’inglese scientifico quindi quando si discuteva di Dna, protein, molecole etc., non aveva problemi. L’inglese “da tutti i giorni” era più complicato. “Potevo tranquillamente parlare di DNA e proteine ma non sapevo come intavolare una conversazione su film, musica o qualsiasi altra cosa che non fosse scienza. Dopo un po’ di mesi impari e tutto fila liscio. I primi mesi a NY me li ricordo bellissimi, tutto era nuovo, emozionante, mi sembrava di essere in un film. Ogni tanto ancora adesso”.
L’ostacolo della lingua rendeva complicato anche le cose più stupide come pagare le bollette, il contratto d’affitto e capire cosa la gente diceva, soprattutto al telefono! “Essere in due rende tutto piu’ semplice. Ci si aiuta a vicenda. Iniziare un nuova vita insieme alla persona che ami è una bellissima esperienza”. Dopo i primi mesi le cose iniziano a migliorare e anche la lingua inglese diventa sempre più familiare.Lasciando l’Italia è potuta crescere professionalmente grazie alle opportunità che offre la città. “A NY hai la possibilita’ di conoscere molte più persone, di andare piu spesso a congressi per presentare il tuo lavoro e partecipare a seminari di scienziati molto importanti che raramente passano per l’Italia”. 
“Il viaggio non soltanto allarga la mente: le dà forma”.
 Bruce Chatwin
Lara consiglia a tutti di uscire dall’Italia, anche solo per un breve periodo. Aiuta ad aumentare l’elasticita’ mentale e capire quali sono le cose importanti. Nonostante viva da 4 anni a NY, l’Italia le manca sempre “L’Italia è il mio paese e penso che sia il paese più bello del mondo anche se ha un sacco di problemi. Quando te ne vai ti accorgi di quanto è bella e ti manca”.
Nei momenti di maliconia o tristezza Lara per tirarsi su di morale parla con il marito oppure esce con i suoi amici o li chiama su Skype se sono fuori NY. “Non ho mai pensato di tornare indietro, non avrebbe senso. Ho passato mesi a concentrarmi sul problema. Poi quando non mi piaceva più il lavoro che svolgevo ho iniziato a cercarne un altro per trovare la soluzione. Vivere a NY può sembrare complicato perchè è molto cara e frenetica. Ti devi spostare sempre in metro. Per fare qualcosa con i tuoi amici devi organizzarti settimane prima perchè sono tutti molto impegnati. Ma allo stesso tempo è difficile che tu ti senta uno straniero a NY, lo sono tutti. Ed inoltre la trovo molto “europea” come città. Credo che per un italiano sia piu facile vivere a NY che ad Atlanta!” 
“Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo”. Gandhi
New York l’ha cambiata. L’ha resa una persona più forte e indipendente. Poi le ha insegnato a non giudicare: “Credo che la cosa principale che ho imparato è di non giudicare gli altri. Allo stesso tempo mi sento piu libera perchè gli altri non giudicheranno me. Credo che qui a NY nessuno ha veramente tempo di preoccuparsi di cosa fanno gli altri, nel bene e nel male”.
In future lei e suo marito vorrebbero tornare in Europa perchè NY è una citta troppo cara per crescere dei figli: “Vorrei tornare in Europa. L’Italia sarebbe il mio sogno, ma Francia, Germania e Inghilterra vanno bene”. 
Lifejournalistblog.com

  La  seconda    storia  sempre  dallo stesso  sito    riguarda il  percorso inverso  

Quella ragazza italo-canadese che amava tanto l'Italia...


[14 Nov 2013 | 0 Comments | 182 views]


Escono le nuove statistiche AIRE (Anagrafe Italiani Residenti Estero), che confermano l'allarmante fuga dei giovani soprattutto dalle regioni Settentrionali. Leggendo i dati, ci viene in mente una storia emblematica



La tabella indica in migliaia gli italiani iscritti all'AIRE: nel 2012 i cittadini italiani residenti ufficialmente all'estero erano 4 milioni e 341 mila

Uno spaccato inedito -per certi versi sorprendente - della nuova emigrazione professionale italiana: le nuove statistiche Aire (Anagrafe Italiani Residenti Estero) sui 20-40enni in uscita dall'Italia nel 2011 certificano il sorpasso delle regioni del Nord Italia su quelle del Sud, almeno per quanto riguarda le "forze fresche" che emigrano. La crisi sembra dunque incentivare soprattutto la fuga dei giovani settentrionali, residenti nelle zone più produttive. Un segnale allarmante.
Le statistiche ufficiali pero' non

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...