Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta GUERRIGLIA CONTRO CULTURALE. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta GUERRIGLIA CONTRO CULTURALE. Mostra tutti i post

19.11.25

opere letterarie contro i femminicidi e violenza di genere . "Fiabe con il paracadute" di Antonella Petrella (psicologa e psicoterapeuta) e Anna Paolella (pedagogista e dirigente scolastica) e il progetto della Verba Volant edizioni con il libro fiabe in rosso

Quest'anno oltre le puntate delle tecniche di autodifesa e articoli vari , voglio provare ad andare oltre alla solita retorica e concetti ovvi molto spesso ipocriti , riportando qui sul blog notizie  di  opere letterarie .
Infatti come dice
 Fiabe in rosso per la giornata contro la violenza sulle donne  del    sito Scatti dalla mia libreria   : « E’ importante riflettere, in qualsiasi momento dell’anno e non solo il 25 novembre, sul tema della violenza contro le donne, tema che purtroppo ricorre spesso nella nostra cronaca giornaliera. Violenza che si manifesta in tanti modi, non solo con il femminicidio da parte degli uomini.»
I libri per fortuna ci aiutano  ( o  almeno  cosi  pare  ) spesso ad affrontare certe tematiche e ad elaborarle attraverso storie vere, racconti, testimonianze e, perché no, anche favole. »
Sulla scia di due esempi . IL primo    consigliato dall'articolo: «  Nelle scuole un libro di favole per raccontare la violenza >>   dal bel portale  https://www.primonumero.it/     un articolo sul  libro    "Fiabe con il paracadute"  di    Antonella Petrella (psicologa e psicoterapeuta) e Anna Paolella (pedagogista e dirigente scolastica),
due professioniste che hanno a cuore le tematiche sulle donne, sulla loro indipendenza e sull’oltraggio violento che frequentemente spezza la loro vita e la loro sete di emancipazione. Due donne che si sono dette: “Il femminicidio non è un problema delle donne, è un problema di tutti”
  

Dall'articolo citato  e  da mie  ricerche in rete  il  libro  "Fiabe con il paracadute". Pagine di storie - realizzate con il contributo di colleghe, amiche ed insegnanti - scritte per offrire un contributo educativo per un’intelligenza empatica, ma anche per donare uno strumento di prevenzione rispetto ad ogni forma di violenza, soprattutto contro la donna a parlare di tale argomento con racconto che ho trovato sul web . Certo è un racconto un po' infantile, scontato per molti ma adatto ai bambini e agli analfabeti di ritorno e funzionali . Ci sarà  secondo alcuni\e   anche il rischio dibanalizzazione del fenomeno sempre più grave delle relazioni tossiche che sfociano in violernza di genere \ femminicidi . Ma è da qui che bisogna ripartire per poi passare a temi più concreti in questa guerriglia contro culturale . 
 Infatti   il  secondo esempio    viene     da   il progetto della Verba Volant edizioni, nato proprio contro la violenza sulle donne e gli stereotipi di genere: Fiabe in rosso, una raccolta di favole (tra quelle più conosciute dei fratelli Grimm, Andersen e Perrault), rivisitate da Lorenzo Naia e illustrate da Roberta Rossetti, con protagoniste femminili in cui la trama evolve, per alcuni aspetti, in maniera diversa da quella che abbiamo ascoltato tante volte.



Non si tratta di grossi stravolgimenti: le fiabe contenute in questo volume sono quelle che conosciamo e che sono state tramandate nel corso della storia; sono state riattualizzate e consegnate ai giovani lettori che potranno recepire il meglio da esse.


Le illustrazioni sono molto particolari, lontane dall’iconografia classica del fiabesco, con inserti di carta di giornale (che si agganciano idealmente alla realtà e alla cronaca) e la tecnica del collage.


Il rosso, in questo caso, rappresenta il colore del sangue raccontato dall’installazione di denuncia pubblica Scarpe Rosse dell’artista messicana Elina Chauvet.Une bella ed edificante proposta, per grandi e piccini.


 Ma adesso  veniamo ai racconto   che  era  quello   che  volevo  proporre    originariamente    per  il  post    d'oggi . 

Da
Si narra che un giorno il re Artù, mentre era a caccia con i suoi cavalieri, si smarrì e si ritrovò solo in una parte sconosciuta della foresta. Improvvisamente, sentì il corpo immobilizzarsi, come se una forza misteriosa lo avesse paralizzato. Dall’ombra degli alberi emerse una figura minacciosa: un cavaliere vestito di nero, con un’armatura che luccicava sinistra alla luce del sole.
"Ho la tua vita nelle mie mani," disse il cavaliere, "ma ti risparmierò se riuscirai a darmi, entro un anno, la risposta a una domanda. Se fallirai, la tua vita sarà mia."
Artù, pur spaventato, accettò il patto. Il cavaliere gli pose allora la fatidica domanda:
"Che cosa desiderano davvero le donne?"
Artù tornò al castello con il cuore pesante e, nei mesi successivi, partì con i suoi cavalieri alla ricerca della risposta. Chiesero alle donne di ogni rango e condizione: alcune dissero che desideravano amore, altre figli, altre ancora ricchezza o bellezza. Ogni risposta veniva annotata in un grande libro, ma nessuna sembrava quella giusta. Con il passare del tempo, la paura di fallire cresceva.
Un giorno, mentre cavalcava sconsolato per le sue terre, Artù incontrò una donna spaventosa: era enorme, con il corpo deforme, i capelli arruffati e un viso così orribile da far venire i brividi.
Spaventato, cercò di allontanarsi, ma la donna gli parlò:
"Sono Lady Ragnell e conosco la risposta che cerchi. Posso salvarti, ma in cambio voglio sposare uno dei tuoi cavalieri: Sir Gawain."
Artù era inorridito, ma promise di parlarne con Gawain. Tornato al castello, spiegò al cavaliere la situazione, esitante e pieno di vergogna. Gawain, tuttavia, non esitò:
"Mi sposerò con lei, anche fosse un demonio, se questo può salvarti la vita."
Artù tornò da Lady Ragnell e accettò la sua proposta, ma a una condizione: avrebbe potuto sposare Gawain solo se la sua risposta fosse stata quella giusta. La donna sorrise e rivelò il segreto:
"Ciò che le donne desiderano sopra ogni altra cosa è la sovranità su sé stesse: il potere di decidere per la propria vita."
Quando arrivò il giorno dell’incontro con il cavaliere nero, Artù si presentò con il libro delle risposte. Il cavaliere rise, sicuro della sua vittoria. Ma quando Artù pronunciò la risposta di Lady Ragnell, il suo volto cambiò colore.
"Solo mia sorella poteva rivelarti questa verità! Il nostro patto è concluso: sei libero, Artù."
La promessa di matrimonio venne mantenuta, e Lady Ragnell si presentò alla corte per sposare Gawain. Alla sua vista, le dame piansero per la sorte del cavaliere, mentre gli altri uomini tiravano un sospiro di sollievo per non essere stati scelti. Nonostante la sua bellezza e la sua nobiltà d’animo, Gawain mantenne la parola data e celebrò il matrimonio.
Dopo la cerimonia, gli sposi si ritirarono nella loro stanza. Gawain, rispettoso ma esitante, non osava avvicinarsi alla moglie. Fu Lady Ragnell a rompere il silenzio:
"Mi concederesti un bacio, marito mio?"
Gawain si fece coraggio e la baciò. In quell’istante, la donna si trasformò davanti ai suoi occhi: Lady Ragnell era ora una giovane splendida e radiosa.
"Ho vissuto sotto l’incantesimo di mio fratello, il cavaliere nero. Solo un uomo che mi sposasse di sua volontà poteva liberarmi. Tuttavia, posso mantenere questa forma solo per metà del tempo. Ora tocca a te scegliere: vuoi che sia bella di giorno o di notte?"
Gawain rifletté, combattuto tra le due possibilità. Alla fine, con un sorriso, disse:
"Non posso scegliere. È una decisione che spetta a te."
Lady Ragnell sorrise e rispose:
"Con queste parole hai spezzato completamente l’incantesimo. Mi hai dato ciò che ogni donna desidera sopra ogni cosa: la libertà di scegliere per sé stessa. Ora non dovrò mai più tornare al mio aspetto mostruoso."
Si racconta che Gawain e Lady Ragnell vissero insieme felici e innamorati, perché il vero amore nasce dalla libertà e dal rispetto reciproco.




2.7.25

“Prima viene la salute, poi il servizio”: il discorso agli allievi, costato l’incarico al generale Oresta -. criminalità organizzata è il primo obiettivo del protocollo d'intesa siglatocon TikTok contro contenuti che esaltano criminalità

Quest’uomo si chiama Pietro Oresta, è un generale dei carabinieri. Poco fa è stato rimosso senza tante spiegazioni dal suo incarico di comandante della Scuola Allievi Marescialli e Brigadieri di Firenze. La sua “colpa”? Un discorso meraviglioso, commovente rivolto agli allievi che tutti dovrebbero ascoltare e per cui, in un Paese normale, avrebbero dovuto premiarlo



"Dovete curare prima voi stessi. Attenti alla salute, poi al servizio". Sarebbero state queste le parole, pronunciate venerdì scorso nella cerimonia di saluto ai marescialli del 12° corso, che avrebbero portato alla rimozione del generale Pietro Oresta dal comando della Scuola Allievi Marescialli e Brigadieri di Firenze. Frasi che non sarebbero state gradite ai piani alti del Comando generale dell’Arma, che poi ha deciso di rimuoverlo domenica."Sappiate che è impossibile che vi venga chiesto qualcosa che non si possa fare" e "ricordatevi, come peraltro detto a una cerimonia, che il vostro benessere, e quello dei vostri familiari, la nostra vita è superiore a qualunque istruzione o procedura".
Il discorso è stato pronunciato dal generale davanti agli allievi, e dopo appena 72 ore è stato esautorato. Dal diretto interessato non c'è stato ancora alcun commento, ma stando ad alcune testimonianze, riportate dalle agenzie sembra sia rimasto molto scosso per l'accaduto. Fino ad ora non ci sono state comunicazioni ufficiali da parte del Comando generale, e non c'è certezza che vi sia una correlazione tra la sua rimozione e le parole pronunciate agli allievi che si congedavano dopo l'ultimo corso che forma i nuovi sottufficiali, ma di sicuro la tempistica è sospetta.
A denunciare l’accaduto, come riportato anche da Qn, è il sindacato dei Carabinieri Unarma. “Una frase talmente scandalosa che, a quanto pare, è bastata per determinare il suo esautoramento dall’incarico dalla Scuola”, dice il segretario generale Antonio Nicolosi. “Una riflessione sulla salute e sul benessere psicofisico dei militari è oggi considerata forse troppo pericolosa? – si domanda il sindacalista -. Quando un generale parla ai suoi uomini come un padre, e non come un algoritmo, scatta subito la reazione: via". Unarma domanda dunque provocatoriamente "se non fosse più comodo per tutti un comandante che parli solo di ‘sacrificio”’, ‘onorate la divisa’, e ‘prima il dovere, poi (forse) il vostro cuore’. Ma chi conosce davvero la realtà dei reparti, sa che oggi i problemi di burnout, stress, suicidi e disagio psicologico tra i militari non sono un’invenzione sindacale: sono una ferita aperta". Il sindacato attacca poi in comandante generale accusato di volere “ufficiali-soldatino, che tacciano, obbediscano e non si preoccupino troppo del benessere del personale".
"Unarma – conclude il segretario – difende chi ha il coraggio di dire la verità. E la verità è che servire lo Stato non può voler dire annullarsi, ammalarsi, spegnersi. Chi prova a cambiare le cose dall’interno viene allontanato. È una lezione chiara, ma non accettiamo che diventi la regola".




Come dicevamo, il timing lascia pochi dubbi sulla vicenda. È molto difficile che possa essere stato un normale avvicendamento, anche perché non è stato indicato il suo successore. Un indizio dell'irritazione dei superiori del generale, può essere rintracciato nelle parole pronunciate dal Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri Salvatore Luongo, nel discorso fatto lunedì scorso a Padova durante la cerimonia di avvicendamento al vertice del comando interregionale Vittorio Veneto: "Per me, sostanzialmente, la disciplina è il collante di una organizzazione complessa, specialmente se gerarchicamente strutturata". E ancora: "Essa non è mera osservanza di regole, ma è consapevole condivisione di un ideale superiore, che guida il comportamento di ogni carabiniere anche oltre l’orizzonte della convenienza personale". Difficile non interpretare queste affermazioni come collegate, anche se indirettamente, all'episodio di Firenze.
Chi è e che cosa ha detto il generale Oresta
Il generale Pietro Oresta si era insediato alla Scuola nel 2023. L'anno successivo aveva dovuto gestire la delicata vicenda del suicidio di una allieva carabiniera di 25 anni, dopo il quale la procura di Firenze aveva aperto anche un’inchiesta, archiviata pochi giorni fa.
Quel caso ha sollevato inevitabilmente il tema della salute mentale tra i giovani che intraprendono la carriera militare. Probabilmente Oresta pensava a quell'allieva e a quella tragedia, mentre venerdì scorso pronunciava il suo discorso, davanti ai neo marescialli e alle loro famiglie. "Batman, Robin, Rambo, non ce ne frega niente, bisogna fare le nostre cose, quando arriverete al reparto, la prima cosa da fare è vedere dove sta la palestra, dove sta il centro estetico, dove sta il distributore con la benzina più economica, dove sta l’agenzia di viaggio, poi faremo le nostre cose, le faremo bene, faremo quello che è possibile, ma la vita e la famiglia sovrastano a ogni costo qualunque procedura o indicazioni". Il suo discorso è circolato in rete, ricevendo commenti di apprezzamento, anche da parte di appartenenti alla forze di polizia.Parole stupende, attualissime, necessarie, che rovesciano la narrazione tossica della divisa e della patria come unica missione, in un mondo in cui burnout, suicidi, disagio psicologico sono un problema enorme nei reparti - come ha denunciato il sindacato Unarma. Eppure oggi, in questo Paese al contrario, queste parole sono considerate ufficialmente scandalose, così tanto da meritare l’espulsione. Voglio esprimere la più sincera e totale stima e solidarietà al generale Oresta per quello che ha detto e quello che gli è costato in questo Paese irrecuperabile.
Le reazioni
"Non riesco a credere, spero non sia vero che il generale Oresta sarebbe stato rimosso per avere esortato gli allievi carabinieri a curare la salute mentale prima del servizio. Cresce la consapevolezza, nascono iniziative come quella sul Diritto a stare bene, e stiamo ancora così?", è il commento sui social del senatore del Pd Filippo Sensi.

----

Una foto o un video che esalta un boss, un hashtag o un brano musicale che ammicca alla criminalità organizzata, contenuti che denigrano chi ha combattuto o lotta contro le mafie: contro la diffusione di questo tipo di messaggi scendono in campo la Commissione parlamentare Antimafia, presieduta da Chiara Colosimo, e TikTok con un protocollo d’intesa per rafforzare l’impegno congiunto nella promozione della cultura della legalità e nel contrasto ai contenuti che esaltano, o sostengono, la criminalità organizzata sulle piattaforme digitali.




La lotta alla mafia passa per i social network, dove le organizzazioni criminali si "raccontano" e cercano proseliti tra i ragazzi più giovani, senza mediazioni. Tanto che la commissione Antimafia, presieduta da Chiara Colosimo, ha deciso di stringere un'alleanza con una delle piattaforme più usate dai giovanissimi per contrastare queste forme di proselitismo.
Di mafia non si parla mai abbastanza, la guerra sotterranea tra magistratura vecchia e nuova a caccia dei veri responsabili della stagione stragista dei primi anni Novanta non aiuta la chiarezza, né certe battaglie di retroguardia a difesa di chi ha indagato a lungo piste affascinanti ma nate morte solo a scopi politici.
In questo caos i boss ci sguazzano, anzi giocano a sfidare lo Stato e a promuovere la propria identità criminale, denigrando chi è morto per combatterla. L'altro giorno a Palazzo San Macuto è stato firmato un Protocollo di intesa con TikTok Italia, che ha 23 milioni di iscritti, e l'Antimafia. "Mentre si racconta di una mafia che non spara più e che si occupa sempre piu' di affari, la reazione emotiva alle stragi degli anni passati si va affievolendo e i ragazzi non solo non restano lontani da certi fenomeni ma sembrano addirittura subire una sorta di fascinazione del male, alimentata dalla retorica dei soldi facili, denuncia la Colosimo. L'obiettivo del protocollo da un lato è sostenere TikTok nella limitazione delle immagini che vengono divulgate e dall'altro invitare i ragazzi a fare la propria parte", sottolinea Colosimo che a sua volta ha ora deciso di sbarcare su TikTok dove "segnalerò i contenuti che a mia volta mi verranno segnalati".

Che i social siano il nuovo ufficio di collocamento delle mafie lo sostiene anche un recente report - Le mafie nell’era digitale, che Marcello Ravveduto, professore di public and digital history dell’Università di Salerno - il mafioso diventa un personaggio che racconta la sua vita come in un reality costruito sull’estetica del potere. I nuovi adepti sono "mafiofili", affascinati dalle dinamiche spregiudicate, vere o verosimili tipo Gomorra, in cui soldi, donne e potere arrivano senza studiare e senza lavorare, come denuncia da tempo anche il mass mediologo antimafia Klaus Davi. È una post-verità che mescola miti e algoritimi, leggende e personaggi veri, in cui la mafia viene esibita come un marchio. Come Emanuele Sibillo, il capo della “paranza dei bambini”, ucciso nel 2015 a 20 anni, diventato una sigla, Es17.
Secondo Ravveduto tra i video che inneggiano alla vita da mafioso ci sono le scarcerazioni, le riprese live degli arresti, la vita delle persone ai domiciliari, i reel delle mogli che vanno a trovare i mariti in carcere, l’utilizzo nei post di specifici hashtag, brani musicali o emoji come la catena (rappresenta il legame con il clan), il leone (il capo), la siringa (la vendetta), il ninja (la lotta armata) e il cuore azzurro (il sangue blu della nobiltà), ma anche i video accompagnati da canzoni con testi che parlano di bambini pronti a morire e di polizia da combattere, oggi affollano i social network quasi indisturbati.
TikTok fa sapere di rimuovere "proattivamente il 97,1% dei contenuti che violano le policy relative a comportamenti violenti o criminali, con l'81,2% di questi contenuti rimossi prima che ricevano visualizzazioni. Per quanto riguarda le organizzazioni violente e che incitano all'odio, TikTok rimuove proattivamente il 99,1% dei contenuti che violano le policy, con il 70,6% di questi contenuti rimossi prima che ricevano visualizzazioni". Ma questo non basta: dopo aver inquinato l'economia legale la mafia sta conquistando anche i social network.

5.5.25

La montagna che resiste (senza diventare un luna park). Le 19 bandiere verdi delle nostre Alpi

corriere  della sera  

di Alessandro Sala

Assegnati i riconoscimenti di Legambiente alle realtà che promuovono turismo dolce, rilancio di agricoltura e pastorizia tradizionali e progetti socioculturali per valorizzare le Terre Alte 





Alla base di tutto c’è l’amore. Per la montagna, per la natura, per le popolazioni che da esse dipendono. Ed è quello il vero carburante, per di più decisamente «green», che mette in moto non solo una diversa economia ma anche e soprattutto il motore di comunità che rischierebbero invece di scomparire. E allora avanti con questo carburante. Love baby love, da contrapporre al trumpiano Drill baby drill che ormai da tre mesi anima le politiche della prima potenza industriale mondiale. A produrlo sono in tanti. Associazioni, istituzioni, persone comuni. Tutti portatori di valori che mettono gli ecosistemi al centro della vita, anche e soprattutto nelle terre alte. Ed è a loro che sono state assegnate le bandiere verdi di Legambiente.
Sono 19 i nuovi vessilli che sventolano da ieri sull’arco alpino. «E che ben sintetizzano – spiega l’associazione del cigno – come l’attenzione e la cura crescente nei confronti del territorio montano passino sempre più dalla sostenibilità ambientale, volano fondamentale per queste aree interne». Quattro bandiere sono state assegnate a Piemonte e Friuli Venezia Giulia, tre invece a Lombardia e Veneto, due al Trentino, e una ciascuna a Alto Adige, Valle d’Aosta e Liguria. Sono ripartite in tre ambiti chiave: turismo dolce, pratiche legate all’agricoltura e alla pastorizia e progetti socioculturali. E tutte hanno come unico denominatore la crescita del territorio in un’ottica non soltanto turistica ma anche e soprattutto di recupero e rigenerazione. Fare in modo insomma che le montagne, spopolatesi nei decenni passati quando la vita più comoda della città è stata per molti un richiamo irresistibile, a fronte delle difficili condizioni di sopravvivenza in quota, tornino ad essere vive e abitate. È possibile e le realtà che hanno ricevuto ieri il riconoscimento ad Orta San Giulio sono lì a dimostrarlo.
Delle 19 bandiere assegnate, cinque sono andate a iniziative legate al turismo dolce, ovvero a una frequentazione che sia rispettosa del territorio, che non veda nella montagna solo un luna park da riempire da attrazioni, con sempre nuove piste da discesa che spianano boschi e modificano la morfologia dei pendii, una ridondanza di impianti di risalita, strutture estranee come zipline, rotaie per slitte meccaniche, panchine giganti, passerelle panoramiche in ferro e vetro e via dicendo. Che portano overtourism e non aiutano la rigenerazione. Altre cinque sono state assegnate per pratiche legate all’agricoltura, alla silvicoltura e alla pastorizia, ovvero attività che fanno parte della cultura delle terre alte ma che rischiano di scomparire, soppiantate dalla moderna industria dell’agroalimentare basata su coltivazioni e allevamenti intensivi e materie prime spesso importate. Le altre 9 sono state assegnate a progetti socioculturali per la promozione dei valori della vita montana e delle relazioni tra le comunità che ancora vivono in quota.
Tra le 19 bandiere verdi 2025 ci sono per esempio quelle assegnate al borgo di Ostana, in provincia di Cuneo, dove la Cooperativa di Comunità VISO A VISO, nata nel 2020, porta avanti una serie di servizi e attività incentrate su benessere, salute, welfare comunitario, turismo sostenibile e che hanno permesso al piccolo borgo piemontese che fronteggia l’iconica piramide di roccia del Monviso, una delle montagne simbolo delle Alpi, di rinascere, diversamente da tante borgate di quel territorio che nei decenni passate si sono completamente svuotate diventando in alcuni casi dei veri e propri borghi fantasma. C’è anche la storia della pastora e scrittrice Marzia Verona che ha deciso di vivere in quota portando avanti l’attività pastorale. Premiato l’impegno dell’associazione Progetto Lince Italia, Tarvisio, impegnata nello studio della lince specie a rischio, al rifugio Alpino Vallorch gestito dall’associazione "Lupi, Gufi e Civette" che si distingue per essere un centro di educazione naturalistica e turismo sostenibile. E anche la sottosezione del Cai Valle di Scalve che ha promosso la Via Decia, il cammino die boschi di ferro sulle Alpi Lombarde.
«L'Italia custodisce un patrimonio ambientale unico e strategico rispetto alla crisi climatica in atto, quale quello delle aree montane, luoghi di straordinario valore naturalistico, oggi in grande difficoltà a causa della carenza dei servizi, degli effetti del clima che cambia e dello spopolamento abitativo - sottolinea Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente -. Le bandiere verdi che ogni anno assegniamo alle migliori esperienze alpine ci raccontano come in questi territori ci sia però una risposta concreta a tutto questo. Esperienze che puntano su innovazione e sostenibilità ambientale che rappresentano un prezioso volano di sviluppo per i territori montani. In questo percorso, però, è importante non lasciare sole le comunità locali. Per questo chiediamo alle istituzioni e alla politica regionale e nazionale di fare la propria parte supportando i comuni montani attraverso interventi e normative in grado di promuovere una visione condivisa e un’azione coordinata anche su scala sovraregionale».
L'elenco delle nuove bandiere verdi
Riportiamo, di seguito, l'elenco delle nuove bandiere verdi ripartito nelle tra categorie:
Bandiere Verdi 2025 per iniziative legate al turismo sostenibile
1) Rifugio Alpino Vallorch e associazione Lupi, Gufi e Civette, presidio di educazione ambientale e sostenibilità nel Cansiglio (BL) nel promuovere la conoscenza e la tutela della Foresta del Cansiglio attraverso attività didattiche e ricettive eco-compatibili.
2) Consorzio Turistico del Pinerolese (TO) per la capacità di costruire una rete efficace tra operatori pubblici e privati per valorizzare il territorio del Pinerolese.
3) Parco Naturale Regionale del Beigua per un approccio integrato e lungimirante alla gestione del territorio, con un forte accento sulla sostenibilità ambientale e il turismo responsabile.
4) All’associazione Oplon, nata nel 2023 e costituita da un gruppo di giovani, impegnata nel rivitalizzare il territorio della Val Tramontina attraverso iniziative come il Threesound Fest e il progetto di recupero di Casa Abis; Tramonti di Mezzo (PN).
5) Sottosezione CAI Valle di Scalve (BG) per la realizzazione del progetto «La Via Decia - Il cammino dei boschi di ferro».
Bandiere Verdi per iniziative legate all’agricoltura pastorale e forestale
1) All’Azienda agricola Raetia Biodiversità Alpine di Patrizio Mazzucchelli (SO) per la costante e appassionata ricerca di varietà tradizionali a rischio di estinzione sia nella provincia di Sondrio sia nelle altre aree montane italiane ed estere.
2) Pastora e scrittrice Marzia Verona della provincia di Aosta;
3) Comunità di supporto all’agricoltura CRESCO della Val Varaita (CN) per la capacità di promuovere un’agricoltura sostenibile e multifunzionale.
4) AsFo "La Serra" – Agire insieme per tutelare il territorio (TO) per promuovere una nuova cultura del bosco e della cura del territorio, favorendo lo sviluppo territoriale e ovviando al progressivo degrado del territorio della Serra causato dall’abbandono delle pratiche agro-silvo-pastorali e dalla frammentazione fondiaria.
5) A.S.U.C. (Amministrazione Separata beni di Uso Civico) di Sopramonte, di Baselga del Bondone e di Vigolo Baselga (Trento) per aver seguito una gestione attenta e sostenibile di boschi, pascoli e prati aridi.
Bandiere Verdi per progetti socio-culturali
1) Vessillo green in Piemonte alla Cooperativa di Comunità VISO A VISO – Ostana (CN) che fa impresa coniugando la capacità di gestire un importante patrimonio edilizio pubblico con la necessità di essere un luogo di trasformazione, creando nuova economia e opportunità sul territorio
2) Gruppo ambientalista NOSC CUNFIN, Val Gardena (BZ) per tutelare l’area dei Piani di Cunfin, le formazioni rocciose della Città dei Sassi e il Gruppo del Sassolungo da ulteriori speculazioni.
3) Dominio Civico di Clavais, Ovaro (UD), per il progetto e l’attività di gestione del patrimonio collettivo a salvaguardia dell’eredità culturale della frazione di Clavais (Ovaro).
4) Associazione Casa Alexander Langer (UD) per la creativa esperienza culturale promossa nelle aree interne;
5) Associazione culturale di ricerca “Progetto Lince Italia”, Tarvisio (UD) perché grazie a decenni di studi sui grandi mammiferi carnivori e sulle loro interazioni con l'uomo, è stato possibile portare a termine con successo la reintroduzione della lince nelle Alpi Orientali.
6) Programma Alpha skills - Morbegno (SO) per la progettazione di strumenti e metodologie che supportino i giovani tra gli 11 e i 15 anni verso scelte formative e professionali ispirate alle Competenze Green;
7) Associazione EQuiStiamo APS e Comitato per la difesa del torrente Vanoi (BL e TN) per l’impegno nella sensibilizzazione e nella mobilitazione delle comunità locali sulla tutela delle risorse idriche, promuovendo alternative sostenibili alle dighe e un’alleanza tra territori montani e di pianura.
8) Cooperativa sociale Cadore – Dolomiti (BL) per promuovere l’inclusione sociale e la tutela ambientale mediante l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.
9) Comitato per la tutela e la valorizzazione dei laghi di Serraia, Piazze e relativi ecosistemi (Altopiano di Pinè, Trento) per aver analizzato la situazione dei laghi dell’Altopiano di Piné, redigendo documenti, organizzando eventi pubblici informativi e avanzando proposte per contrastarne il degrado e migliorarne le condizioni ambientali.

19.2.25

Espresso Macchiato di Tommy Cash, dalla polemica social alle carte bollate del codacons che chiede European Broadcasting Union (Ebu), organizzatore dell'Eurovision Song Contest. di cancellarla dalla lista

LE ' notizia      di  oggi che  il   Codacons  ha    chiesto  provvedimenti  per  la  canzone   che  sta  spopolando ovunque  sulla  rete  Espresso macchiato  .    Ricordo  di un brano di Alberto Fortis che cantava ...vi odio voi romani... eppure non risultano prese di posizione, forse questo brano fà più scalpore perché anche  se  in maniera  stereotipata    dice una qualche verità sull'Italia e il suo popolo escludendoovviamente   la parte onesta che sopporta mal volentieri.  L’espresso macchiato diventa un caso.  Infatti secondo  il  quotidiano.net  << Non sono stiamo parlando della classica tazzina di caffé italiano (in questo caso con l’aggiunta di un goccio di latte) ma della canzone del artista estone Tommy Cash che porterà all’Eurovision song contest 2025 (il festival della canzone europea) la sua “espresso macchiato”.E mentre sui social divampano le polemiche sul brano ritenuto da molti irridente se non irrispettoso nei confronti degli italiani (il cappuccino macchiato stereotipo sulla stregua “mafia, pizza mandolino”), il Codacons ha deciso di inviare un ricorso all'European Broadcasting Union (Ebu), organizzatore dell'Eurovision Song Contest. "Ferma restando la libertà di espressione artistica che deve caratterizzare eventi come l'Eurovision, non possiamo non sollevare dubbi circa l'opportunità di far partecipare in una gara seguitissima dal pubblico di tutto il mondo un brano che risulta offensivo per una pluralità di soggetti", spiega il Codacons.>>

la  canzone   in  questione  cioè Espresso Macchiato,è interpretata un po’ in italiano e un po’ in inglese, non mancano i riferimenti, oltre all’espresso macchiato, alla mafia nel passaggio “io ho molti soldi, sudo come un mafioso” o agli spaghetti e al lusso (che si sottende chiaramente legato ai soldi della malavita), e così via  ed  quindi comprensibile  ed  evidente  che   la  cosa   faccia  incazzare  .  Infatti   "In queste ore si stanno registrando numerose reazioni indignate da parte di cittadini e mass media circa il contenuto della canzone 'Espresso Macchiato' del rapper Tommy Cash, scelta per rappresentare l'Estonia al prossimo Eurovision Song Contest 2025 che si terrà a Basilea dal 13 al 17 maggio – scandisce il movimento dei consumatori –. Un testo contenente stereotipi sull'Italia e gli italiani, associati ai soliti cliché del caffè e degli spaghetti, ma soprattutto alla mafia e all'ostentazione del lusso, e che lascia passare il messaggio di un popolo legato a doppio nodo alla criminalità organizzata". Ma  se  è  vero   che giustamente, vanno contrastate le canzoni dei rapper con testi sessisti e offensivi verso le donne , ecc    non  è  con la  richiesta   di  proibirla     che      si risolve   la  questione  cosi li si fa   ancora  più pubblicità  . Cosa  fare    allora  ?  lasciarlo  cantare   e contestarlo   con una contro canzone   magari  o fischiarlo  mentre  la canta  . 

17.1.25

La controversia sulla decisione di non vendere il libro do vanacci a Castelfranco Veneto



Nei giorni scorsi, la libreria Ubik di Castelfranco Veneto, gestita da Clara Abatangelo (  foto  a  sinistra  )   è stata coinvolta in un episodio che ha sollevato  ancora  una  volta   ,  vedere   il caso  del 21016     quando  Una libreria di Catania dice no al libro del figlio di Riina , interrogativi sulla libertà di espressione in Italia. Ad  esso   va aggiunto  il   fatto   che la libraia ha ricevuto una lettera minatoria dopo aver rifiutato di vendere “Il mondo al contrario” di Roberto Vannacci, un libro che ha suscitato
polemiche per i suoi contenuti controversi. Questo evento ha scatenato un’ondata di solidarietà da parte di lettori e colleghi, ma ha anche attirato critiche e attacchi  da parte di chi sostiene che la libertà di espressione debba avere dei limiti.
Il libro di Vannacci, un ex generale dell’esercito italiano, è stato al centro di un acceso dibattito pubblico. Le sue affermazioni, considerate da molti come provocatorie e divisive, hanno portato a una reazione forte da parte di diverse associazioni e gruppi. La decisione di Abatangelo di non vendere il libro è stata interpretata da alcuni come un atto di censura, mentre altri la vedono come una scelta legittima di un’imprenditrice che non vuole promuovere contenuti che considera dannosi.  Dimenticandosi  che   la  libertà  è   

ovvero anche decidere di non vendere libri del genere chi lo vuole lo compera da un altra parte La lettera minatoria ricevuta dalla libraia ha ulteriormente amplificato la questione, portando alla luce il tema della sicurezza per chi opera nel settore della cultura.



La reazione della comunità è stata immediata e variegata. Molti lettori e scrittori hanno espresso la loro solidarietà a Clara Abatangelo, sottolineando l’importanza di difendere la libertà di scelta e di espressione. Eventi di sostegno sono stati organizzati presso la libreria, trasformando il luogo in un simbolo di resistenza contro la censura. Tuttavia, ci sono anche voci critiche che avvertono del rischio di normalizzare la violenza verbale e le minacce nei confronti di chi esprime opinioni impopolari. Questo episodio ha messo in evidenza le tensioni esistenti nella società italiana riguardo alla libertà di espressione e al rispetto delle opinioni altrui.
Infatti     ciò   che  dovrebbe    far  riflettere   è   oltre    ai   consueti  haters      c'è  il fatto     che  
, invece di solidarizzare con la libraia, in centinaia (“tra cui tantissime donne”, racconta) hanno cominciato a insultarla perché - tenetevi forte - “se l’è cercata”.
Io invece penso ,    come   il  video  sopra  riportato     ,  perchè  come  tu  sei  libero  di :   leggerlo ,  venderlo  ,  ecc , io sono   libero  di  fare  il contrario  a    te   leggerlo .. Inoltre    tale   decisione   non solo che sia una sua libera scelta, di quelle che ogni libraio compie ogni giorno, ma anche, in questi tempi balordi, un piccolo grande atto di resistenza \  guerrglia  contro  culturale  .
E le reazioni violentissime, le minacce, nei suoi confronti    sono lì a dimostrarlo.

11.7.21

perchè il feminicidio e la sua cultura sono cosi pregnanti nel nostro paese ? perchè manca Un’educazione sessuo-affettiva cioè insegnare ad avere cura della relazione, delle emozioni


canzoni. suggerite  

cosa manca al decreto zane  non solo è  Un’educazione sessuo-affettiva Non  l’educazione sessuale   ciò che serve. Ma insegnare ad avere cura della relazione, delle emozioni , del rispetto  ,  della diversità , ecc  eco perchè i femminicidi e la loro ideologia \ base culturale malata è ancora cosi radicata . Infatti Cosa manca? Un’educazione sessuo-affettiva Non è l’educazione sessuale ciò che serve. Ma insegnare ad avere cura della relazione, delle emozioni
Ha raggione quest' articolo preso da io acquasapone


Mer 26 Mag 2021 | di Enrico Molise | Attualità




È sbagliato parlare di educazione sessuale. O, meglio, non è quella che serve davvero. Si tratta invece dell’educazione sessuo-affettiva, che insieme alla componente tecnica, biologica, riguarda pure l’aspetto relazionale legato ai sentimenti, alle emozioni. Inoltre, la nostra società vive un paradosso: ha paura della violenza di genere, delle gravidanze indesiderate, della pedofilia, del bullismo e spesso crede che parlare di sessualità favorisca tutta
una serie di comportamenti. «Gli studi scientifici ci dicono che l’educazione sessuo-affettiva è in grado di smorzare quegli avvenimenti e anche di ritardare l’età del primo rapporto, perché accresce la consapevolezza di sé».

Anche questa volta il nostro punto di riferimento sull’argomento è Marilena Iasevoli, sessuologa romana che ci illustra il legame tra la mancanza di questo tipo di educazione e la violenza di genere.

Parliamo di età.
«I bambini non hanno una grande percezione delle differenze. Le avvertono in relazione a quello che ascoltano e all’educazione che ricevono e fino ai dieci anni i pregiudizi e gli stereotipi non si sono ancora solidificati. Ecco perché è importante dotarli di conoscenza, competenza, di valori che li aiutino a realizzarsi nel rispetto della dignità, propria e altrui. In questo modo per loro sarà possibile sviluppare delle relazioni paritarie, con empatia e rispetto, conoscendo i confini corporei, proteggendo sé stessi e gli altri».
Come iniziare un discorso di educazione sessuo-affettiva con un bambino?
«Le risposte devono essere calibrate in base all’età. Non si tratta di un approccio puramente informativo. Quando il genitore si ritrova davanti ad una domanda non deve farla cadere nel vuoto. Di solito, dai due ai sei anni, le domande riguardano la differenza tra il corpo maschile e quello femminile. Si può parlare anche di come riconoscere e gestire le emozioni, di cosa è possibile fare in pubblico e di cosa solo in privato; del fatto che possano ricevere i baci e le carezze solo dai genitori e magari da altri membri stretti della famiglia. Ma ogni cosa va trattata nel momento in cui viene fuori lo spunto ed è importante non dare informazioni ulteriori: a quell’età si accontentano. Poi, con i più grandi, occorre innanzitutto domandare se hanno già sentito o parlato con qualcuno di quelle cose e calibrare le risposte. Il genitore deve prepararsi con dei libri o rivolgendosi a uno specialista. Sono vicende dinanzi alle quali si ritroverà di sicuro».
E per la discriminazione di genere?
«Viviamo in una società in cui la donna ha sgomitato per svincolarsi dai ruoli che le sono stati cuciti addosso, soprattutto legati alla procreazione e alla cura della casa. Purtroppo questo processo non è andato avanti allo stesso modo in molti uomini, che non hanno metabolizzato pienamente questo cambiamento culturale. Così accade che la violenza venga usata per dominare la donna e per “difendersi” dalla percezione che la mascolinità sia stata minata. Ma anche molte donne hanno interiorizzato questo ruolo e non riescono a uscirne. Così ai figli si può spiegare perché due persone stanno litigando, sottolineare l’importanza della comunicazione e il rispetto dell’altro. I bambini e i ragazzi tendono a imitare, quindi osserveranno e replicheranno alcune dinamiche familiari. È anche possibile cogliere l’occasione di vedere insieme dei cartoni animati e dei film sull’inclusività».

Quindi si rischia di arrivare alla violenza di genere o a subire anche azioni meno violente perché alla base c’è una mancata educazione sessuo-affettiva o anche solo affettiva? Riguarda pure il non volersi bene?
«L’educazione sessuo-affettiva comprende la socialità, le relazioni fisico-corporee, il rispetto di sé e degli altri, la consapevolezza di quando poter dire di sì e quando fermarsi; ma anche la capacità di cogliere i segnali verbali e non-verbali. In assenza, si può arrivare alla violenza di genere, perché, chi non ha avuto nessun tipo di apprendimento sulla relazione con gli altri e sulla gestione dei conflitti, non sa cosa voglia dire affrontare una relazione, sessuale o meno, in termini di scambio equo, paritario e rispettoso. Ed è anche una questione di volersi bene, perché è legata alla crescita dell’autostima. Chi non ce l’ha è probabile che si ritrovi in una relazione in cui abusa o viene abusato. Nel primo caso perché vuole sentirsi forte; nel secondo perché ha una bassa considerazione di sé e crede di meritare quel comportamento. La mediazione degli adulti è fondamentale, perché può spiegare al bambino una determinata situazione, evitando che partecipi in maniera scorretta». 

La responsabilità è familiare?
«Non sarebbe giusto dare questa responsabilità esclusivamente all’educazione familiare o delegare l’informazione a quello che possiamo trovare su Internet. Non possiamo pensare che tutti i genitori siano consapevoli e che tutti abbiamo gli strumenti adatti. Dovrebbe essere responsabilità dello Stato, con l’introduzione dell’educazione sessuo-affettiva tra le materie di insegnamento, da non affidare ai docenti delle materie scientifiche. Con loro è possibile parlare di come è fatto il corpo umano, ma occorre inserire delle figure specializzate in materia per guardare a tutti gli aspetti che sono legati al corpo, e quindi alle relazioni, ai limiti e al rispetto».
 

 

18.12.20

le piccole librerie sono le migliori e le più autentiche Storia delle sorelle Sciacca, diventate libraie a Catania


avevo già parlato nei miei post  (  se non avete voglie d'andare a cercare nell'archivio   potete leggervi tale sunto preso da quest  articolo www.fcome.org/ )  delle sorelle Maria Carmela e Angelica  Sciacca  di  Catania la cui libreria è stata la prima a promuovere l’attivismo contro il libro di Riina Jr. . Ma  visto il  coraggio  fare cultura  non  omologata  (   antimafia  è  anche questo  )      e    di proporre nella loro Libreria indipendente ( qui la pagina  fb  ) non solo libri  standard  ma anche  libri poco noti     ed  attività culturali  con  ironia ed  allegria sia  da  vivo    che    attraverso    , vista  la pandemia  ,   dirette social  .
 Hanno   e  dimostrano  il  mettere  in  atto   queste  due   storie  : << se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà >> ( Peppino impastato ) e << la tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri >> ( Gustav Mahler  ) .  Dimostrano    , in tempi   di una  cultura  sempre  più omologata   e standardizzata (  ecco il perchè  ho ripreso     volentieri la  loro storia  )  che  una un na libreria è un luogo di elezione  dove risiedono le parole e i desideri di donne e uomini che hanno scelto di lasciare un’impronta nella nostra vita. Infatti    già  dalla  risposta   a    questa  domanda   fatta  dall'intervista  rilasciata   a  http://www.fcome.org/  ( trovate   nell'url sopra   link all'articolo ) 
 << La vostra libreria ha compiuto 5 anni di attività a luglio. Il fatto di essere una donna ha mai inciso positivamente o negativamente sullo sviluppo della vostra attività? E se sì, come?  >>
Tutto quello che ruota intorno a questa libreria è femminile. Il buon 80% della clientela che entra qui dentro sono tutte donne. Quindi forse sì, il fatto di essere due sorelle e due giovani donne ha condizionato positivamente la nostra attività, nella misura in cui ha attirato una clientela specifica, selettiva, orgogliosa del posto dove va ad acquistare. I nostri clienti medi sono donne che sanno che qui non troveranno sempre lo sconto, ma troveranno sicuramente una selezione accurata fatta da noi due in maniera ragionata. Sono clienti che vengono qui e scelgono di comprare da noi con cognizione di causa. L’essere donna non ha influenzato molto negativamente la nostra attività. Anche se devo dire che la clientela maschile è ridotta e forse a volte un po’ diffidente. >> si  capisce  che  il  luogo  e  le persone  sono  speciali  . 




“In questa libreria non si ordina né si vende il libro di Salvatore Riina”. E’ questo il messaggio deciso che traspare dalle vetrine colorate della libreria Vicolo Stretto, una piccola libreria indipendente nella ridente e centralissima Via Santa Filomena a Catania. Dopo l’intervista di Bruno Vespa su Rai 1 a Salvatore Riina Jr., Maria Carmela e Angelica Sciacca non hanno tardato a far sentire la propria voce e a prendere una posizione chiara e risoluta contro la vendita del libro scritto dal figlio del boss Totò Riina. Il loro messaggio ha avuto subito un grande eco ed è stato accolto e condiviso da molti. Ma la libreria di queste due giovani sorelle non è semplicemente un bookshop che ha sposato la retorica anti-mafia. E’ soprattutto l’impresa di due giovani donne che “sono state educate e abituate da sempre a dire quello che pensano”.

Ma     questo  articolo   https://www.ilpost.it/2020/12/17/pramopolini-catania-podcast/mi  ha  spronato  a  riparlarne  

Storia delle sorelle Sciacca, diventate libraie a Catania

Hanno iniziato con la Vicolo Stretto, una minuscola libreria del centro, e poi hanno rilevato la storica Prampolini, fondata nel 1894




Maria Carmela e Angelica Sciacca, due sorelle di Catania, sono diventate libraie quasi per caso dopo 
da http://www.fcome.org/
aver seguito tutt’altre strade. Nel 2011 acquistarono una piccolissima libreria nel centro della città, la Vicolo Stretto, di soli 23 metri quadri, e impararono il lavoro tentando e sbagliando. Poi nel 2018 decisero di rilevare la storica Prampolini, fondata nel 1894, diventata il salotto letterario della Catania del primo Novecento e poi una delle più prestigiose e fornite librerie antiquarie d’Italia.
Maria Carmela ha raccontato al Post come si gestiscono due librerie così diverse tra loro e cosa significa tenere viva un’eredità culturale così importante.


30.6.19

in un paese con una maggioranza sessista e misogino ed con molta indifferenzale nostre ragazze del calcio pur sconfitte sono una speranza e simbolo di resistenza culturale a sifatto clima

Immagine
  ho  ricevuto questo messaggio  con a foto   che  trovate  a sinistra  su whatsapp    da  parte di    una mia amica   che  si lamentava    del perchè   sulla  sconfitta   dinamo  nella  finale  del play off     non ho detto  niente   della sconfitta    e  dell'eliminazione  delle  azzurre  dai mondiali  ,  arrivando a  scrivermi 😄🤔😢😎 : <<  tu  che stai quasi  h24  sul web e sui social non dici niente   di  quella  della nazionale  di calcio femminile  battuta nell'accesso  alle  semifinali . Non è che sei il  solito maschilista ?   >>
Ecco  più o meno   cosa le   ho risposto  .

A  volte   piuttosto che scadere  nella  melensa retorica   o nel  dover  dire qualcosa  a tutti  costi    è meglio il silenzio . E  poi  tu  che leggi i mie social   e  il mio blog.   e  oltre  a conoscere a mia prevedibilità    dovresti    sapere  cosa ne penso  . E  poi  ma  forse  ti sarà  sfuggito    che   ho   già espresso   il mio  pensiero  su  post  di fb  e  che sotto riporto



cammino delle nostre azzurre ai Mondiali finisce qui! 💔
Nel secondo tempo dominio dell'Olanda che vince 2-0 e passa in semifinale. Un applauso enorme a queste ragazze che ci hanno regalato un sogno in questa avventura incredibile! 🇮🇹💙👏 #ITANED🇮🇹🇳🇱 | #FIFAWWC

ed quindo lo stesso discorso  che feci  per  il secondo posto  , e  quindi  la  sconfitta  della dinamo  ,   vale  anche  per  le nostre ragazze  del calcio . E' vero non sono stato prolisso  e  logorroico  come   quando  ho parlato  della   finalissima  tra  Dinamo e  Venezia , ma   fra una  cosa  e l'altra  non ho visto   la partita  in questione e quindi esprimere   in maniera  globale    e totale le mie emozioni e le mie   sensazioni  .






Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...