"Dovete curare prima voi stessi. Attenti alla salute, poi al servizio". Sarebbero state queste le parole, pronunciate venerdì scorso nella cerimonia di saluto ai marescialli del 12° corso, che avrebbero portato alla rimozione del generale Pietro Oresta dal comando della Scuola Allievi Marescialli e Brigadieri di Firenze. Frasi che non sarebbero state gradite ai piani alti del Comando generale dell’Arma, che poi ha deciso di rimuoverlo domenica."Sappiate che è impossibile che vi venga chiesto qualcosa che non si possa fare" e "ricordatevi, come peraltro detto a una cerimonia, che il vostro benessere, e quello dei vostri familiari, la nostra vita è superiore a qualunque istruzione o procedura".
Il discorso è stato pronunciato dal generale davanti agli allievi, e dopo appena 72 ore è stato esautorato. Dal diretto interessato non c'è stato ancora alcun commento, ma stando ad alcune testimonianze, riportate dalle agenzie sembra sia rimasto molto scosso per l'accaduto. Fino ad ora non ci sono state comunicazioni ufficiali da parte del Comando generale, e non c'è certezza che vi sia una correlazione tra la sua rimozione e le parole pronunciate agli allievi che si congedavano dopo l'ultimo corso che forma i nuovi sottufficiali, ma di sicuro la tempistica è sospetta.
A denunciare l’accaduto, come riportato anche da Qn, è il sindacato dei Carabinieri Unarma. “Una frase talmente scandalosa che, a quanto pare, è bastata per determinare il suo esautoramento dall’incarico dalla Scuola”, dice il segretario generale Antonio Nicolosi. “Una riflessione sulla salute e sul benessere psicofisico dei militari è oggi considerata forse troppo pericolosa? – si domanda il sindacalista -. Quando un generale parla ai suoi uomini come un padre, e non come un algoritmo, scatta subito la reazione: via". Unarma domanda dunque provocatoriamente "se non fosse più comodo per tutti un comandante che parli solo di ‘sacrificio”’, ‘onorate la divisa’, e ‘prima il dovere, poi (forse) il vostro cuore’. Ma chi conosce davvero la realtà dei reparti, sa che oggi i problemi di burnout, stress, suicidi e disagio psicologico tra i militari non sono un’invenzione sindacale: sono una ferita aperta". Il sindacato attacca poi in comandante generale accusato di volere “ufficiali-soldatino, che tacciano, obbediscano e non si preoccupino troppo del benessere del personale".
"Unarma – conclude il segretario – difende chi ha il coraggio di dire la verità. E la verità è che servire lo Stato non può voler dire annullarsi, ammalarsi, spegnersi. Chi prova a cambiare le cose dall’interno viene allontanato. È una lezione chiara, ma non accettiamo che diventi la regola".
Come dicevamo, il timing lascia pochi dubbi sulla vicenda. È molto difficile che possa essere stato un normale avvicendamento, anche perché non è stato indicato il suo successore. Un indizio dell'irritazione dei superiori del generale, può essere rintracciato nelle parole pronunciate dal Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri Salvatore Luongo, nel discorso fatto lunedì scorso a Padova durante la cerimonia di avvicendamento al vertice del comando interregionale Vittorio Veneto: "Per me, sostanzialmente, la disciplina è il collante di una organizzazione complessa, specialmente se gerarchicamente strutturata". E ancora: "Essa non è mera osservanza di regole, ma è consapevole condivisione di un ideale superiore, che guida il comportamento di ogni carabiniere anche oltre l’orizzonte della convenienza personale". Difficile non interpretare queste affermazioni come collegate, anche se indirettamente, all'episodio di Firenze.
Chi è e che cosa ha detto il generale Oresta
Il generale Pietro Oresta si era insediato alla Scuola nel 2023. L'anno successivo aveva dovuto gestire la delicata vicenda del suicidio di una allieva carabiniera di 25 anni, dopo il quale la procura di Firenze aveva aperto anche un’inchiesta, archiviata pochi giorni fa.
Quel caso ha sollevato inevitabilmente il tema della salute mentale tra i giovani che intraprendono la carriera militare. Probabilmente Oresta pensava a quell'allieva e a quella tragedia, mentre venerdì scorso pronunciava il suo discorso, davanti ai neo marescialli e alle loro famiglie. "Batman, Robin, Rambo, non ce ne frega niente, bisogna fare le nostre cose, quando arriverete al reparto, la prima cosa da fare è vedere dove sta la palestra, dove sta il centro estetico, dove sta il distributore con la benzina più economica, dove sta l’agenzia di viaggio, poi faremo le nostre cose, le faremo bene, faremo quello che è possibile, ma la vita e la famiglia sovrastano a ogni costo qualunque procedura o indicazioni". Il suo discorso è circolato in rete, ricevendo commenti di apprezzamento, anche da parte di appartenenti alla forze di polizia.Parole stupende, attualissime, necessarie, che rovesciano la narrazione tossica della divisa e della patria come unica missione, in un mondo in cui burnout, suicidi, disagio psicologico sono un problema enorme nei reparti - come ha denunciato il sindacato Unarma. Eppure oggi, in questo Paese al contrario, queste parole sono considerate ufficialmente scandalose, così tanto da meritare l’espulsione. Voglio esprimere la più sincera e totale stima e solidarietà al generale Oresta per quello che ha detto e quello che gli è costato in questo Paese irrecuperabile.
Le reazioni
"Non riesco a credere, spero non sia vero che il generale Oresta sarebbe stato rimosso per avere esortato gli allievi carabinieri a curare la salute mentale prima del servizio. Cresce la consapevolezza, nascono iniziative come quella sul Diritto a stare bene, e stiamo ancora così?", è il commento sui social del senatore del Pd Filippo Sensi.
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Una foto o un video che esalta un boss, un hashtag o un brano musicale che ammicca alla criminalità organizzata, contenuti che denigrano chi ha combattuto o lotta contro le mafie: contro la diffusione di questo tipo di messaggi scendono in campo la Commissione parlamentare Antimafia, presieduta da Chiara Colosimo, e TikTok con un protocollo d’intesa per rafforzare l’impegno congiunto nella promozione della cultura della legalità e nel contrasto ai contenuti che esaltano, o sostengono, la criminalità organizzata sulle piattaforme digitali.
La lotta alla mafia passa per i social network, dove le organizzazioni criminali si "raccontano" e cercano proseliti tra i ragazzi più giovani, senza mediazioni. Tanto che la commissione Antimafia, presieduta da Chiara Colosimo, ha deciso di stringere un'alleanza con una delle piattaforme più usate dai giovanissimi per contrastare queste forme di proselitismo.
Di mafia non si parla mai abbastanza, la guerra sotterranea tra magistratura vecchia e nuova a caccia dei veri responsabili della stagione stragista dei primi anni Novanta non aiuta la chiarezza, né certe battaglie di retroguardia a difesa di chi ha indagato a lungo piste affascinanti ma nate morte solo a scopi politici.
In questo caos i boss ci sguazzano, anzi giocano a sfidare lo Stato e a promuovere la propria identità criminale, denigrando chi è morto per combatterla. L'altro giorno a Palazzo San Macuto è stato firmato un Protocollo di intesa con TikTok Italia, che ha 23 milioni di iscritti, e l'Antimafia. "Mentre si racconta di una mafia che non spara più e che si occupa sempre piu' di affari, la reazione emotiva alle stragi degli anni passati si va affievolendo e i ragazzi non solo non restano lontani da certi fenomeni ma sembrano addirittura subire una sorta di fascinazione del male, alimentata dalla retorica dei soldi facili, denuncia la Colosimo. L'obiettivo del protocollo da un lato è sostenere TikTok nella limitazione delle immagini che vengono divulgate e dall'altro invitare i ragazzi a fare la propria parte", sottolinea Colosimo che a sua volta ha ora deciso di sbarcare su TikTok dove "segnalerò i contenuti che a mia volta mi verranno segnalati".
Che i social siano il nuovo ufficio di collocamento delle mafie lo sostiene anche un recente report - Le mafie nell’era digitale, che Marcello Ravveduto, professore di public and digital history dell’Università di Salerno - il mafioso diventa un personaggio che racconta la sua vita come in un reality costruito sull’estetica del potere. I nuovi adepti sono "mafiofili", affascinati dalle dinamiche spregiudicate, vere o verosimili tipo Gomorra, in cui soldi, donne e potere arrivano senza studiare e senza lavorare, come denuncia da tempo anche il mass mediologo antimafia Klaus Davi. È una post-verità che mescola miti e algoritimi, leggende e personaggi veri, in cui la mafia viene esibita come un marchio. Come Emanuele Sibillo, il capo della “paranza dei bambini”, ucciso nel 2015 a 20 anni, diventato una sigla, Es17.
Secondo Ravveduto tra i video che inneggiano alla vita da mafioso ci sono le scarcerazioni, le riprese live degli arresti, la vita delle persone ai domiciliari, i reel delle mogli che vanno a trovare i mariti in carcere, l’utilizzo nei post di specifici hashtag, brani musicali o emoji come la catena (rappresenta il legame con il clan), il leone (il capo), la siringa (la vendetta), il ninja (la lotta armata) e il cuore azzurro (il sangue blu della nobiltà), ma anche i video accompagnati da canzoni con testi che parlano di bambini pronti a morire e di polizia da combattere, oggi affollano i social network quasi indisturbati.
TikTok fa sapere di rimuovere "proattivamente il 97,1% dei contenuti che violano le policy relative a comportamenti violenti o criminali, con l'81,2% di questi contenuti rimossi prima che ricevano visualizzazioni. Per quanto riguarda le organizzazioni violente e che incitano all'odio, TikTok rimuove proattivamente il 99,1% dei contenuti che violano le policy, con il 70,6% di questi contenuti rimossi prima che ricevano visualizzazioni". Ma questo non basta: dopo aver inquinato l'economia legale la mafia sta conquistando anche i social network.
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