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1.9.25

anche i soldati israeliani staanno inziando a non poterne più Il capitano Yotam Vilk rompe il silenzio: “Ho combattuto a Gaza: è ora di dire basta”



da msn.it
 L'articolo Il capitano Yotam Vilk rompe il silenzio: “Ho combattuto a Gaza: è ora di dire basta” proviene da Metropolitan Magazine.




Il capitano Yotam Vilk rompe il silenzio: “Ho combattuto a Gaza: è ora di dire basta”

Il capitano Yotam Vilk rompe il silenzio: “Ho combattuto a Gaza: è ora di dire basta”. Il nome di Yotam Vilk ha cominciato a circolare fuori dai circuiti militari israeliani non per le medaglie ricevute, ma per un gesto di rottura: dire basta. Vilk è un ufficiale dei corpi corazzati, ha combattuto per oltre un anno nella Striscia di Gaza, guidando operazioni di terra e carri armati. Oggi, però, è una delle voci che si leva contro la prosecuzione della guerra.
Se il 7 ottobre siamo entrati in guerra per salvare ciò che ci era più caro, mi fu presto chiaro che stavamo combattendo perché i nostri leader non avevano mai pianificato di fermarsi.
ha raccontato in una testimonianza raccolta dall’Associated Press.
La ferita morale di Gaza: basta crimini di guerra!
Vilk descrive una ferita che non è solo militare, ma etica. Racconta di aver visto almeno dodici persone uccise in una zona cuscinetto sotto controllo israeliano. Uno degli episodi che lo perseguitano è l’uccisione di un adolescente palestinese non armato:
faceva parte di una storia più vasta, della politica dello stare lì e del non vedere i palestinesi come persone.
Una frase che incrina la retorica ufficiale e mostra la frattura profonda che attraversa chi ha vissuto la guerra dall’interno.
Non è un caso isolato. Negli ultimi mesi, circa 200 soldati hanno firmato una lettera di dissenso: dichiarano che smetteranno di combattere se il governo non raggiungerà un cessate il fuoco. Molti parlano apertamente di ordini di bruciare case non minacciose, di saccheggi, di omicidi indiscriminati. È la definizione di moral injury, una ferita morale che provoca insonnia, flashback, senso di colpa: il peso di aver eseguito ordini percepiti come ingiusti o disumani.
Un atto politico, non solo personale
Il rifiuto di Vilk e degli altri non è solo individuale. È un atto politico che mina dall’interno l’immagine compatta dell’esercito israeliano. Denunciare oggi significa incrinare la narrazione dominante, secondo cui la guerra a Gaza sarebbe necessaria e inevitabile. Al contrario, le voci dissidenti rivelano il costo umano e morale del conflitto: non solo per i civili palestinesi, ma anche per i soldati israeliani che si scoprono complici di pratiche di disumanizzazione. In parallelo, il contesto politico non offre vie d’uscita rapide: i negoziati per un cessate il fuoco sono in stallo, e il governo di Netanyahu continua a mostrarsi impermeabile alle critiche interne e internazionali.
Quella di Vilk è dunque la storia di un passaggio: da capitano in prima linea a dissidente che denuncia la “zona senza legge” creata a Gaza, dove le vite palestinesi sono rese invisibili. È anche la storia di un’erosione della fiducia: nella leadership politica, nell’esercito come istituzione, nella capacità di Israele di fermarsi prima che la guerra diventi un vicolo cieco.
C’è chi, anche tra gli israeliani, crede che si sia entrati in guerra per questo: non per bruciare case, non per ridurre interi quartieri a macerie, non per trasformare Gaza in un laboratorio di controllo e punizione collettiva.
Ha combattuto a Gaza, ma dice “basta genocidio”
Ogni crimine di guerra, per sopravvivere, ha bisogno di propaganda, di impunità e di disciplina. Ogni rottura interna diventa allora un segnale pericoloso per il potere: la consapevolezza che l’obbedienza non è scontata. Le parole di Vilk e degli altri 200 soldati non fermeranno il genocidio da sole, ma aprono una crepa: mostrano che persino dentro l’esercito israeliano cresce chi non accetta più il prezzo morale di tutto questo.

Maria Paola Pizzonia


2.10.24

diario di bordo n 79 anno II Corrado Augias ha battuto negli ascolti Massimo Giletti ., laici e e baciapile ., il problema non sono i medici abortisti ma quelli obbiettori .,

Corrado Augias ha battuto negli ascolti Massimo Giletti con quel gioiellino che è “La Torre di Babele”. Augias è riuscito a vincere anche su La7 con un programma che porta la cultura alta in prima serata contro il re  anzi   meglio uno dei   re  della tv pollaio che schiera Vannacci   e lo difende pure strizzando l’occhio a milioni di analfabeti funzionali votanti  o  meno  . 
La verità è che c’è chi la televisione la sa fare, con garbo, cultura, credibilità. Augias (  che  piaccia  o meno   )   è uno di quelli. Anche per questo non è più in Rai, mentre Giletti è tornato in carrozza. Anche per questo, nonostante tutto, ha un pubblico e fa Servizio Pubblico (anche se su una tv privata). 

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Va detto senza alcun tentennamento o pudore.Definire i medici che praticano aborti dei “sicari" è una delle frasi più violente, offensive, ignobili e irricevibili che abbia mai letto e sentito.E il fatto che a pronunciarla sia stato il Papa non la rende più tollerabile anzi La rende più grave ancora.Il problema non sono i (pochi) ginecologi non obiettori lasciati ormai soli, abbandonati dalle istituzioni, in trincea e pure criminalizzati. A loro va, semmai, tutto il rispetto e la gratitudine possibile che garantiscono alla donna di poterlofare in sicurezza . Il problema sono tutti quei ginecologi che, rifugiandosi dietro il paravento dell’obiezione di coscienza, rifiutano di praticare aborti negando in alcune regioni alle donne l’applicazione stessa della legge 194, aprendo la strada a clandestinità, emarginazione sociale e rischi di ogni genere o peggio dicono di no in pubblico ma in privato non eisitono . Lo fanno generalmente per convenienza , perchè cosi se non puoi lavorare nel pubblico lo puoi fare in quelli privati o convenzionati cattolici . Il problema è che, se un ginecologo decide di non praticare aborti, semplicemente ha sbagliato mestiere.Questo è il problema .
Ma quelli che fino a 48 ore fa Bergoglio era l’anticristo, un comunista, favoreggiatore dell’immigrazione clandestina, il male assoluto, sono gli stessi secondo cui oggi non si può discutere sull’aborto perché “è il Papa ”?
La verità è che, vi piaccia o meno, il Papa non è né l’anticristo né infallibile  salvo chje non si sia legati
al dogma L 'infallibilità papale (o infallibilità pontificia) * .  
È un essere umano, con i suoi pregi e i suoi limiti, che ha detto cose rivoluzionarie sulla Chiesa ed espresso pensieri autenticamente cristiani sui migranti e che, in qualità di capo di un’organizzazione e uno Stato estero profondamente retrogradi  ( salvo ezzezioni )  , esprime anche pensieri incompatibili con la scienza, l’umanità e le leggi del nostro Paese.
La differenza è che noi laici abbiamo la libertà e l’onestà intellettuale di condividere le sue opinioni o criticarlo anche duramente.Mentre i finti cristiani baciarosari sanno solo odiarlo o usarlo per la loro propaganda vigliacca e disumana sempre contro qualcosa o qualcuno: ieri le ong che salvano vite in mare, oggi i medici che fanno il proprio mestiere e onorano le leggi. Questa è la differenza tra noi e voi. E scusate se è tutto.



* un dogma cattolico che afferma che il papa non può sbagliare quando parla ex cathedra, ossia come dottore o pastore universale della Chiesa (episcopus servus servorum Dei): di conseguenza, il dogma vale solo quando esercita il ministero petrino, proclamando un nuovo dogma o definendo una dottrina in modo definitivo come rivelata. 

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questa polemica mi ha riportato alla mente un prete spretato , ma sempre almeno e i laici sempre don
Quando negli anni ‘90 e i primi 2000 le prostitute africane o dell’est, incinte e disperate, bussavano alla
porta della Comunità di San Benedetto al porto, all’unica persona che le avrebbe ascoltate, don Andrea Gallo, che era un prete, non si è mai messo a parlare di “omicidio”, meno che mai di “sicari”. Non ha mai fatto prediche o sermoni.
Le mandava in ospedale ad abortire in modo legale e, soprattutto, sicuro.
Perché sapeva che, una volta uscite di lì, lo avrebbero fatto comunque, magari clandestinamente in qualche scantinato, rischiando la vita in condizioni igieniche miserabili o trascinate con la forza dai loro magnaccia per ributtarle in strada la sera stessa.
Era un uomo di chiesa, il Gallo. Ma, prima di tutto, era un cristiano. Uno che sapeva distinguere i principi assoluti dalla realtà. Uno che conosceva il mondo, perché nel mondo, quello vero, c’è sempre stato dentro. Infatti la differenza è proprio quella, ci sono rappresentanti della Chiesa che professano i veri valori cristiani e altri che parlano in base ai loro pregiudizi, con l'aggravante - soprattutto secondo alcuni nel caso del Papa - di fare credere ai fedeli che Dio la pensa come loro.






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