Il coraggio di Francesco CrispoSan Giovanni in Fiore (Cosenza),Scacco matto alla resa. La “restanza” di Francesco contro lo spopolamento di Emiliano Morrone su https://www.corrieredellacalabria.it/ del 17\7\2025
in sintesi \ per chi ha fretta
Francesco Crispo, ristoratore di San Giovanni in Fiore (Cosenza), ha vissuto il Covid come un'opportunità professionale. Con sua moglie, allora si rimboccò le maniche e portò pizze e pasti a tante persone obbligate a stare in casa per il lockdown. Così pagò i debiti e sopportò le perdite degli anni successivi. Ora ha cambiato il volto al suo locale e va avanti sostenuto dalla moglie Rossella, dai sorrisi della figlia Helèna, nata durante la pandemia, e dall'affetto dei propri genitori. Ho voluto raccontare questa storia per significare che la volontà, l'inventiva e il coraggio permettono di superare grossi problemi, anche in aree in cui si brama il posto pubblico a tutti i costi ed è forte la tendenza a imporre livellamento e omologazione
SAN GIOVANNI IN FIORE Restare non è facile. Come molte aree interne, San Giovanni in Fiore (Cs) si spopola. Dall’anno 2000 qualche migliaio di abitanti ha lasciato la città. Le famiglie si smembrano e i ragazzi crescono con l’idea che il futuro sia altrove. La crisi demografica è un problema serio. E c’è pure un’altra questione pesante, radicata, sottaciuta: l’idea, alquanto diffusa, che la politica debba garantire posti e stipendi fissi nel pubblico, piuttosto che sospingere l’intraprendenza e l’attività privata. Allora un pezzo del corpo sociale si è abituato all’attesa, al favore, all’omologazione.
Fare impresa a queste latitudini vuol dire scegliere la strada dell’autonomia e scongiurare la
partenza, il kafkiano «via di qua senza sosta, soltanto così potrò raggiungere la mia meta».
A chi sceglie la restanza tocca spesso affrontare il vuoto intorno, la diffidenza, il peso delle consuetudini. Eppure, qualcuno ci prova. Francesco Crispo era un pizzaiolo. Aveva imparato il mestiere da dipendente, talvolta anche al prezzo di umiliazioni economiche. Dietro al forno a legna, però, aveva pensato alla sua strada: aprire il proprio locale a San Giovanni in Fiore. Negli anni, mise quindi i soldi da parte: non aveva risorse, padrini, appoggi, scorciatoie. Lavorò da mattina all’alba, sicché acquisì i segreti del mestiere. Una volta pronto, presentò domanda a Invitalia per un finanziamento. Aveva preparato il progetto, i preventivi e la documentazione. Per un anno intero, mentre aspettava risposta da Invitalia, pagò il fitto del locale che aveva fermato, come richiesto dall’apposito bando. Per fortuna, il proprietario gli praticò un prezzo sostenibile, ma un giorno giunse la bocciatura della sua pratica, proprio quando morì la nonna, ancora giovane. Due colpi duri: uno al cuore, l’altro alla fiducia. Francesco si fermò giusto per qualche giorno. Capì poi che doveva reagire. Chiese aiuto al padre, si fece garantire un prestito bancario e andò avanti. Sistemò il locale che aveva in uso e aprì d’orgoglio i bandoni: una mossa secca contro la paura e la rinuncia.
Il suo ristorante partì nel 2015 con annessa pizzeria. Intanto c’erano state la crisi dei mutui subprime e la lettera di Trichet-Draghi. Il clima era ancora instabile ma la gente tornava allo svago, a sedere ai tavoli. Il locale si fece conoscere, la pizza era buona e la cucina onesta. Francesco lavorava tanto. Spesso chiudeva da solo, con le braccia stanche e gli occhi rossi per le infornate. Ma era il suo posto, la sua scommessa, il suo orizzonte. Come un fulmine, poi arrivò inatteso il Covid. Tutto chiuse, senza indizi di previsioni incoraggianti. Francesco e sua moglie Rossella rimasero invece lì, operativi, al ristorante. Lei possedeva già il titolo di parrucchiera, ma aveva rinunciato all’attività per collaborare con il marito. Nell’incertezza generale e
Al lavoro con la moglie all’epoca del Covid
assoluta, i due si organizzarono per consegnare cibo a domicilio. Rossella impastava, lo chef Antonio cucinava e Francesco portava in macchina pizze, primi e secondi, bevande e dessert. Così riducevano le spese mentre, si può dire, alimentavano la comunità locale.La voce si sparse. I clienti aumentarono soddisfatti, in un periodo nero, attraversato da un senso cupo di oppressione e d’impotenza. Quel servizio, invece, svolto in silenzio e con l’anima vera, aiutò tante famiglie. Compresi Francesco e la moglie, che ripagarono parte dei debiti. Il giovane lo racconta con gli occhi lucidi e un sorriso misurato: la pandemia gli valse a tenere in piedi un’economia familiare quando il mondo pareva franare. E, per inciso, i coniugi non ebbero mai il Covid, secondo il responso dei numerosi tamponi eseguiti per ragioni di sicurezza. Nel 2022 il ristorante iniziò a risentire dei cambiamenti intercorsi. Sua moglie, intanto, aprì finalmente il proprio salone. Avevano due attività e una figlia piccola, ma il mondo si trasformava ancora. La pandemia svanì ma il mercato mutò basi, mezzi e ritmi. I consumi calarono, la clientela divenne più incerta. Si faticava. Francesco, che non aveva preso contributi pubblici, cominciò a usare i risparmi per coprire le perdite, con l’affetto e il sostegno immancabile della madre e del padre. Dopo gli arrivarono proposte da fuori. In Abruzzo lo cercarono per aprire un nuovo locale. Ci pensò, ma sua moglie aveva già il salone avviato e la figlia iniziava a camminare e parlare. Trasferirsi avrebbe significato ricominciare da capo, da zero. Ancora una volta. Decise allora di restare, di provarci, di reinventarsi e rischiare come prima. Ridusse quindi i coperti e puntò sulla qualità. A un certo punto, Francesco sperimentò un particolare impasto di successo e rivide il menù. Soprattutto, aggiunse il pesce, scelta rara in Sila, dove si mangiano carne, salumi, pietanze dai sapori forti. Il ristorante cominciò a proporre antipasti di mare, primi leggeri, secondi più curati. Alcuni clienti storsero il naso, altri apprezzarono. I numeri iniziarono a migliorare: meno tavoli, più margini.
Oggi il locale del giovane è diverso. Intanto, ha una clientela più esigente. Francesco continua a investire: in cucina, nelle materie prime, nel miglioramento. E si muove con il giudizio di chi ha imparato a non sprecare nulla. Ha una figlia che cresce, una moglie che lavora accanto a lui. E la volontà è immutata: restare, nonostante tutto. Rimanere a San Giovanni in Fiore non è affatto una scelta romantica. È invece una battaglia quotidiana contro un’inerzia che aleggia e, non di rado, una mentalità soffocante. È costruire qualcosa in un luogo in cui vi è la tendenza a livellare, appiattire, spegnersi. È un segnale che il territorio può ancora dare, se qualcuno ci mette le mani, la testa e il cuore. Francesco ci ha provato, non molla ed è felice. Scacco matto.Nel gennaio 2021 nacque la loro bambina, Helèna. Francesco la vide solo per pochi istanti. Erano le regole di allora: distanza, bardatura speciale, disinfettante, compressione degli affetti. Fu un attimo, tra gioia e smarrimento. Dopo tornò subito al lavoro.
Buongiorno per tutto il giorno. Oggi su LA LENTE parliamo di giovani rientrati in Calabria dal Centro-Nord, di restanza, di promozione del patrimonio di natura e cultura della regione. Lo facciamo raccontando una bella iniziativa promossa a San Giovanni in Fiore dal gruppo "I spontanei". E chiediamo alla politica di ascoltare le istanze dei ragazzi che lavorano per mostrare una Calabria diversa. Leggete e condividete, è servizio pubblico del Corriere della Calabria. Grazie per l'attenzione e cordiali saluti. Emiliano Morrone
«Mamma Calabria», c’è molto da cogliere e raccogliere
Una serata organizzata da “I spontanei” a San Giovanni in Fiore ricca di spunti di riflessioni e belle storie di Calabria
Pubblicato il: 11/10/2024 – 6:38
di Emiliano Morrone
«Mamma Calabria» è il titolo di un libro di Alessandro Frontera e Danilo Verta appena discusso in profondità nella biblioteca comunale diSan Giovanni in Fiore, soprattutto grazie alle domande stimolanti della giornalista Maria Teresa Cortese. Già residente a Milano, Alessandro, l’autore del testo, è una guida ambientale escursionistica, un influencer rientrato in Calabria per promuovere natura, cultura e tradizioni della regione: dal Tirreno allo Ionio, dal Pollino alla Sila, dalle Serre vibonesi all’Aspromonte.
L’appuntamento è stato promosso dall’associazione “I spontanei”, che da qualche anno propone incontri e dibattiti sull’esigenza di ridurre l’emigrazione giovanile, di creare impresa, lavoro e progresso partendo dai punti di forza e debolezza dell’area silana: suggestiva ma in parte isolata e sconnessa, bucolica ma ancora periferica, ispiratrice di slanci creativi ma in un contesto socioculturale alquanto condizionato da invidia, rassegnazione, attendismo, doppiezze, mancanza di coraggio. La Sila ha una storia di peso – dalle utopie di Gioacchino da Fiore alla Riforma agraria del ’47, dalla vecchia emigrazione operaia a quella intellettuale del presente –, oggi più che mai minata dal capitalismo dell’era digitale, che cancella le identità locali, uniforma storie, usanze e posizioni, struttura e impone il mercato assoluto delle merci. «Mamma Calabria» è anche il motivo comune degli interventi di quattro giovani che, durante la presentazione del volume di Frontera, hanno raccontato le loro storie di restanza oppure di rientro dal Centro-Nord nel periodo drammatico della pandemia. La mamma è per statuto naturale riferimento e rifugio, richiamo e modello; è la figura che, anche nella dimensione simbolica, alimenta, cura, compatisce; è il genitore che induce all’esperienza fuori dallo spazio domestico e intuisce i problemi, i bisogni della prole.
Così, la metafora «mamma Calabria» è valsa a inquadrare, a chiarire il legame di ciascuno degli intervenuti con i luoghi delle origini: forte, continuo, vitale; capace di riaccendere la luce della speranza in un clima oltremodo tormentato, di riaprire il campo delle possibilità, di sostituire le illusioni con le motivazioni personali. Si tratta di quattro ragazzi che provengono da esperienze diverse ma affini: Anna Stefanizzi ha inventato il Cammino dei monaci florensi; come “Esperiandanti”, Luigi Candalise mostra su prenotazione i posti della Sila, in bici, a piedi, a cavallo; Ivan Ariella organizza festival d’arte e richiamo; Maria Costanza Barberio porta, con il collettivo “Fiori florensi”, la ludopedagogia nelle piazze e nelle istituzioni, fra bambini e rispettive famiglie. Questi giovani hanno più di 30 anni e meno di 40, indole ambientalista, una dote d’idealismo proveniente dal loro vissuto nel mondo analogico, una robusta volontà di ritagliarsi spazi autonomi in Calabria, intanto professionali e sociali. Sono giovani che parlano un linguaggio poetico fuori del tempo; che leggono romanzi intramontabili, diari di viaggio e saggi sulla conservazione della memoria; che con video, post e immagini evocative sanno comunicare le loro attività e trasmettere emozioni, divulgare buone pratiche ed esempi positivi. E sono giovani che, come accade altrove nel pianeta, rivendicano le ragioni della propria terra, cercano di collegare la tipicità locale con l’universalità umana, chiedono ascolto alla politica e impegno per la sostenibilità, l’eguaglianza, i diritti irrinunciabili. «Facciamo politica con il gioco, abituando i bimbi alla libertà di espressione e di giudizio», ha detto Maria Costanza. «La Calabria ha tre Parchi nazionali e uno regionale, noi dobbiamo credere nelle nostre radici, nelle nostre potenzialità», ha osservato Luigi, che ha aggiunto: «Da fuori iniziano a guardarci con altri occhi». Ciò perché diversi giovani calabresi hanno espresso talento e capacità; perché da un pezzo la narrazione dominante, ferma al tragico, a lamenti e semplificazioni di comodo, è contrastata da racconti di vicende edificanti, che iniziano a piacere, a diffondersi, a generare interesse, apprezzamento, consenso. «Per restare in questa terra, ognuno deve fare un cammino dentro di sé», ha osservato Luigi, che ha sottolineato: «Il 30 per cento della biodiversità europea è nelle nostre montagne. Se devo fare dei sacrifici, preferisco farli a casa mia». «Siamo quello che camminiamo», ha chiosato Anna. Stefano “Intour” Straface – che a Torino insegnava nella scuola pubblica e ha scelto di rientrare per promuovere via social eventi e prodotti calabresi – ha infine posto l’accento sulla «necessità che gli imprenditori siano formati per capire quanto valga l’impatto nel web, quanto esso sia utile a lavorare in tutti i mesi dell’anno e non soltanto d’estate o nelle vacanze di Natale». È un altro tema che merita ampia riflessione nelle sedi della politica, in parte assente rispetto alle istanze di giovani che lavorano con la cultura, l’arte e gli strumenti tecnologici.
Nelle parole di questi ragazzi c’è molto da cogliere e raccogliere, ma il punto è che la politica, non tutta, non ne comprende la complessità, la finalità, l’utilità. Però, ha obiettato il fotografo e regista Emilio Arnone, instancabile sperimentatore di linguaggi artistici d’avanguardia, «bisogna smetterla con impostazioni sfacciatamente celebrative, serve equilibrio e uno sguardo d’insieme». È sempre l’autenticità, secondo l’intellettuale, che fa la differenza. Insomma, ovunque ci sono storie illuminanti, quindi bisogna stare attenti a non cedere, come capita sui social, a lusinghe facili, «all’apologetica d’ufficio» di certa pubblicistica. Diventa difficile costruire reti di collaborazione, se non ci sono basi e contenuti comuni, hanno concluso Alessandro, Anna, Luigi, Ivan e Maria Costanza. E spetta alla politica, che dovrebbe affinare lo sguardo e ampliare gli orizzonti, favorire il compito e la collaborazione dei ragazzi che raccontano l’altra Calabria, quella della bellezza, delle tradizioni, del grande patrimonio culturale e ambientale. (redazione@corrierecal.it)