io non avrei saput dire di meglio . Non esiste più uno scazzo come si deve .
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
Visualizzazione post con etichetta tormentoni. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta tormentoni. Mostra tutti i post
24.9.24
Fedez e Tony Effe: si legge “dissing”, ma è solo “scazzo”
12.8.21
la musica ha sostituito la letteratura o diventa una nuova forma letteraria Generazione Z. Il romanzo di formazione ora è la musica
di cosa stiamo parlando
oppure per chi volesse approfondire
Generazione Z. Il romanzo di formazione ora è la musica
I nuovi cantautori, ventenni o giù di lì, usano le canzoni per raccontarsi. Cantano per scrivere. In questa nuova serie, "Giovani Favolosi", analizzeremo i nuovi testi
- https://www.espressione24.it/gen-z-la-musica-per-raccontare-unintera-generazione/
- https://milano.repubblica.it/cronaca/2021/05/14/news/generazione_z_ragazzi_greta_galli_loris_esposito_safe_trick_orto_binasco-300822184/
Generazione Z. Il romanzo di formazione ora è la musica
I nuovi cantautori, ventenni o giù di lì, usano le canzoni per raccontarsi. Cantano per scrivere. In questa nuova serie, "Giovani Favolosi", analizzeremo i nuovi testi
di Simonetta Sciandivasci repubblica 11 AGOSTO 2021
Un lustro fa ratificavamo la rinascita della musica italiana. Registravamo l’avvenuto ricambio generazionale, il passaggio dai cantautori di sempre a quelli che emergevano dall’underground e, stufi di marginalità e precariato, diventavano popolari. Manuel Agnelli accusava quasi tutti di “conformismo dell’anticonformismo”, mentre diventava giudice di X Factor, incarnando la transizione dalla musica indipendente al mainstream e la possibilità di trasformare l’antinomia tra le due cose in sinergia. Nella nicchia avveniva uno strappo, nelle classifiche una cucitura. Ora, Calcutta, Tommaso Paradiso, la generazione di trentenni che sembravano destinati a capitanare classifiche e ricerca, sono stati sorpassati da adolescenti o poco più che con loro condividono poco, anzi nulla.
La nuova musica italiana è invecchiata, ha ceduto il posto a un’altra che non contempla bel canto, né blu, né melodia e della quale quasi tutti diffidano. Si diffida dell’obbedienza all’algoritmo, dell’accondiscendenza al mercato e si decreta che entrambe le cose inibiscono la creazione di una musica libera ed emozionante. Cosa resterà di questo rap e questa trap, della loro verbosità ripetitiva e violenta? Madame e molti altri che sono troppi e troppo bravi, sono meteore o stelle comete? Che chance ci sono, fuori dal recinto rap e trap, per la canzone d’autore che temiamo estinta?
Francesco Guccini ha detto a questo giornale che le canzoni che passano in radio gli sembrano inutili e gli fanno pensare con nostalgia a quelle vecchissime, dove c’erano «storie, parole messe bene insieme». E anche: «La realtà pullula di giovani cantautori, ma non arrivano a nessuno». Umberto Tozzi ha detto a Rolling Stone: «La musica di oggi è ridicola: non fa rumore, è rumore». Anche al rock veniva rimproverato d’essere rumore: mezzo secolo dopo, a tirarlo fuori dalle teche museali ci pensano i Måneskin, quattro ventenni che hanno cominciato a suonare per strada e poi hanno vinto X Factor, Sanremo, l’Eurovision, e sono arrivati al primo posto della classifica mondiale di Spotify con una cover di Beggin dei Four Seasons, un pezzo del 1967. Fedez e Achille Lauro duettano con Orietta Berti e i Måneskin con Iggy Pop. Il rapper e il trapper, trentenni, si mescolano con l’icona della musica leggera italiana; i rocker, ventenni, con l’icona del rock mondiale.
Giovani Favolosi: Ariete
Questa intersezione dà la misura del talento imprenditoriale dei nuovi artisti: lo stupore che sono capaci di suscitare non è l’esito di un tentativo, ma di un progetto. A maggio è nata la fondazione Italia Music Lab, voluta dalla Siae per «supportare i giovani che vogliono diventare professionisti dell’industria musicale sulle piattaforme online»: una delle prime lezioni s’intitola “Come guadagnare con la musica”.
Prima delle piattaforme, il discografico metteva sotto contratto chi aveva un talento promettente, ora chi ha numeri promettenti, quindi chi sa già “come guadagnare con la musica”, almeno nell’immediato.
Eppure, dentro e fuori da queste griglie, i nuovi musicisti sono anguillari e fluidi come ogni ragazzo della Generazione Z, e non solo perché laddove ci aspettiamo la musica, ci danno le parole, e laddove ci aspettiamo le parole ci danno il flow (la ritmica). Mutano a una velocità che ha un unico parametro: la viralità. E infatti il loro strumento è quello della viralità: le parole. Le usano con precisione e furbizia, ne conoscono l’agilità, sanno che sono convenzioni e che quindi il loro valore e i loro significati sono elastici, riformulabili. Sono la generazione dell’intransigenza lessicale e, insieme, dell’invenzione del linguaggio. Le canzoni sono i loro romanzi di formazione, in formazione. A volte non sanno suonare, però sanno scrivere. Sanno scrivere anche quando sono analfabeti (sì, ci sono adolescenti analfabeti: nelle carceri minorili se ne incontrano tanti), e allora dettano, rappano.
I testi sono l’opera e il valore musicale di quest’opera è, prima di tutto, letterario. Edmondo Berselli ha scritto che quando una canzone ufficializza una trasformazione, ne diventa anche il manifesto e il canone. Agli Z, che i canoni li contestano, tuttavia creandone altri, manca un manifesto, una canzone che li descriva e li legittimi. Per questo sembra che non raccontino storie. Il punto è che a loro non importa. Il punto è che loro, come tutti i mutanti, sono indescrivibili.
La primavera scorsa, la ragazza dei record era Anna Pepe: era l’opposto dei Måneskin o di Sangiovanni, altro recordista dell’estate, uno che canta «ho una proposta sexy da farti, cresciamo insieme», forse la più congrua descrizione delle ambizioni di chi s’affaccia al mondo nel 2021. Anna Pepe, sedici anni, con Bando, un pezzo registrato in casa su un beat trovato su YouTube, in poche settimane era diventata la più giovane artista italiana su un podio e s’era guadagnata un disco d’oro e un contratto con la Virgin. Ora non è che una eco. L’ha sciupata lo streaming, oppure c’è anche molta fuffa in questa mole di proposte, tutte uguali perché solo la perpetrazione dell’identico consentono i mezzi che con cui vengono realizzate (come i type beat, basi che riprendono brani di grandi artisti)?Giovani Favolosi: Lucio Corsi
E cos’è il talento, dopo quindici anni di talent show? Genio e regolatezza? E cos’è la musica? Un sottofondo, un volano? Si suona di meno e si parla di più, l’hip hop è colonna sonora di requisitorie, richieste, preghiere: la facilità di esecuzione che lo contraddistingue lo ha reso strumento di emancipazione e contaminazione, specie nelle carceri minorili. L’hip hop si replica e muta, tra i suoi nuovi scenari, che a volte di hip hop hanno nulla, offre il seminario della gioventù del presente. Ci stupiamo della risposta entusiasta degli adolescenti alla campagna vaccinale perché li immaginiamo riottosi e solitari, mentre nella loro musica è chiaro che sono impermeabili alle società chiuse puntellate dal sovranismo ed è chiaro che l’ecologismo è il modo che hanno per opporsi alla vita ritirata dalle comunità. Ammettono che il valore artistico è un fatto sociale purché si allarghino i confini del bacino sociale – com’è la vita e il cuore di un giovane italiano di seconda generazione, dopotutto, ce l’ha raccontato Ghali, rapper.
Abbiamo individuato cinque artisti che raccontano tutto questo, che sono in transito tra invenzioni e ripetizioni, che sono cantautori che arrivano a molti, che nella musica hanno trovato un inizio, indirizzano il mercato quanto lo subiscono, al pari dei cantautori degli anni Sessanta, che arrivarono quando la musica leggera era diventata insostenibile, per elevarla e rispondere a una domanda più differenziata, poiché i figli non ascoltavano più i dischi dei genitori e, per la prima volta, il pubblico si stratificava. Oggi, la domanda è meno stratificata dell’offerta, ciascun musicista ha i propri seguaci, la fan base abituata a ibridarsi con quelle d’altri per allargare il successo.
Nessuno di loro è bigger than life: la vita è cambiata e le stanno prendendo le misure. Per questo, cantano per scrivere.
Un lustro fa ratificavamo la rinascita della musica italiana. Registravamo l’avvenuto ricambio generazionale, il passaggio dai cantautori di sempre a quelli che emergevano dall’underground e, stufi di marginalità e precariato, diventavano popolari. Manuel Agnelli accusava quasi tutti di “conformismo dell’anticonformismo”, mentre diventava giudice di X Factor, incarnando la transizione dalla musica indipendente al mainstream e la possibilità di trasformare l’antinomia tra le due cose in sinergia. Nella nicchia avveniva uno strappo, nelle classifiche una cucitura. Ora, Calcutta, Tommaso Paradiso, la generazione di trentenni che sembravano destinati a capitanare classifiche e ricerca, sono stati sorpassati da adolescenti o poco più che con loro condividono poco, anzi nulla.
La nuova musica italiana è invecchiata, ha ceduto il posto a un’altra che non contempla bel canto, né blu, né melodia e della quale quasi tutti diffidano. Si diffida dell’obbedienza all’algoritmo, dell’accondiscendenza al mercato e si decreta che entrambe le cose inibiscono la creazione di una musica libera ed emozionante. Cosa resterà di questo rap e questa trap, della loro verbosità ripetitiva e violenta? Madame e molti altri che sono troppi e troppo bravi, sono meteore o stelle comete? Che chance ci sono, fuori dal recinto rap e trap, per la canzone d’autore che temiamo estinta?
Francesco Guccini ha detto a questo giornale che le canzoni che passano in radio gli sembrano inutili e gli fanno pensare con nostalgia a quelle vecchissime, dove c’erano «storie, parole messe bene insieme». E anche: «La realtà pullula di giovani cantautori, ma non arrivano a nessuno». Umberto Tozzi ha detto a Rolling Stone: «La musica di oggi è ridicola: non fa rumore, è rumore». Anche al rock veniva rimproverato d’essere rumore: mezzo secolo dopo, a tirarlo fuori dalle teche museali ci pensano i Måneskin, quattro ventenni che hanno cominciato a suonare per strada e poi hanno vinto X Factor, Sanremo, l’Eurovision, e sono arrivati al primo posto della classifica mondiale di Spotify con una cover di Beggin dei Four Seasons, un pezzo del 1967. Fedez e Achille Lauro duettano con Orietta Berti e i Måneskin con Iggy Pop. Il rapper e il trapper, trentenni, si mescolano con l’icona della musica leggera italiana; i rocker, ventenni, con l’icona del rock mondiale.
Giovani Favolosi: Ariete
Questa intersezione dà la misura del talento imprenditoriale dei nuovi artisti: lo stupore che sono capaci di suscitare non è l’esito di un tentativo, ma di un progetto. A maggio è nata la fondazione Italia Music Lab, voluta dalla Siae per «supportare i giovani che vogliono diventare professionisti dell’industria musicale sulle piattaforme online»: una delle prime lezioni s’intitola “Come guadagnare con la musica”.
Prima delle piattaforme, il discografico metteva sotto contratto chi aveva un talento promettente, ora chi ha numeri promettenti, quindi chi sa già “come guadagnare con la musica”, almeno nell’immediato.
Eppure, dentro e fuori da queste griglie, i nuovi musicisti sono anguillari e fluidi come ogni ragazzo della Generazione Z, e non solo perché laddove ci aspettiamo la musica, ci danno le parole, e laddove ci aspettiamo le parole ci danno il flow (la ritmica). Mutano a una velocità che ha un unico parametro: la viralità. E infatti il loro strumento è quello della viralità: le parole. Le usano con precisione e furbizia, ne conoscono l’agilità, sanno che sono convenzioni e che quindi il loro valore e i loro significati sono elastici, riformulabili. Sono la generazione dell’intransigenza lessicale e, insieme, dell’invenzione del linguaggio. Le canzoni sono i loro romanzi di formazione, in formazione. A volte non sanno suonare, però sanno scrivere. Sanno scrivere anche quando sono analfabeti (sì, ci sono adolescenti analfabeti: nelle carceri minorili se ne incontrano tanti), e allora dettano, rappano.
I testi sono l’opera e il valore musicale di quest’opera è, prima di tutto, letterario. Edmondo Berselli ha scritto che quando una canzone ufficializza una trasformazione, ne diventa anche il manifesto e il canone. Agli Z, che i canoni li contestano, tuttavia creandone altri, manca un manifesto, una canzone che li descriva e li legittimi. Per questo sembra che non raccontino storie. Il punto è che a loro non importa. Il punto è che loro, come tutti i mutanti, sono indescrivibili.
La primavera scorsa, la ragazza dei record era Anna Pepe: era l’opposto dei Måneskin o di Sangiovanni, altro recordista dell’estate, uno che canta «ho una proposta sexy da farti, cresciamo insieme», forse la più congrua descrizione delle ambizioni di chi s’affaccia al mondo nel 2021. Anna Pepe, sedici anni, con Bando, un pezzo registrato in casa su un beat trovato su YouTube, in poche settimane era diventata la più giovane artista italiana su un podio e s’era guadagnata un disco d’oro e un contratto con la Virgin. Ora non è che una eco. L’ha sciupata lo streaming, oppure c’è anche molta fuffa in questa mole di proposte, tutte uguali perché solo la perpetrazione dell’identico consentono i mezzi che con cui vengono realizzate (come i type beat, basi che riprendono brani di grandi artisti)?Giovani Favolosi: Lucio Corsi
E cos’è il talento, dopo quindici anni di talent show? Genio e regolatezza? E cos’è la musica? Un sottofondo, un volano? Si suona di meno e si parla di più, l’hip hop è colonna sonora di requisitorie, richieste, preghiere: la facilità di esecuzione che lo contraddistingue lo ha reso strumento di emancipazione e contaminazione, specie nelle carceri minorili. L’hip hop si replica e muta, tra i suoi nuovi scenari, che a volte di hip hop hanno nulla, offre il seminario della gioventù del presente. Ci stupiamo della risposta entusiasta degli adolescenti alla campagna vaccinale perché li immaginiamo riottosi e solitari, mentre nella loro musica è chiaro che sono impermeabili alle società chiuse puntellate dal sovranismo ed è chiaro che l’ecologismo è il modo che hanno per opporsi alla vita ritirata dalle comunità. Ammettono che il valore artistico è un fatto sociale purché si allarghino i confini del bacino sociale – com’è la vita e il cuore di un giovane italiano di seconda generazione, dopotutto, ce l’ha raccontato Ghali, rapper.
Abbiamo individuato cinque artisti che raccontano tutto questo, che sono in transito tra invenzioni e ripetizioni, che sono cantautori che arrivano a molti, che nella musica hanno trovato un inizio, indirizzano il mercato quanto lo subiscono, al pari dei cantautori degli anni Sessanta, che arrivarono quando la musica leggera era diventata insostenibile, per elevarla e rispondere a una domanda più differenziata, poiché i figli non ascoltavano più i dischi dei genitori e, per la prima volta, il pubblico si stratificava. Oggi, la domanda è meno stratificata dell’offerta, ciascun musicista ha i propri seguaci, la fan base abituata a ibridarsi con quelle d’altri per allargare il successo.
Nessuno di loro è bigger than life: la vita è cambiata e le stanno prendendo le misure. Per questo, cantano per scrivere.
26.6.21
non darmi il tormento ... appena incominciata l'estate e già si parla di tormenttoni estivi . aspettare l'autunno no ?
Ma che .... non è ancora iniziata la stagione che già si parla di tormentoni . È partita come ogni estate , ecco un dei motivi per cui ( sarà che sto invecchiando ) sto iniziando ad odiarla , partita la guerra dei tormentoni una tradizione ( ormai standardizzata ) tutta Italiana «Le hit estive vivono l'età d'oro negli ani 60\70 come dice Enzo gentile nel libro Onda su onda ( copertina a sinistra ) e aggiunge «Ora ricordiamo sapore di di sale , tra 30 anni chi canterà Giusy Ferreri ? >>
Ha ragione Umberto Brindani nell'ultimo editoriale di Oggi : << è il momento dei nuovi tormentoni estivi . ma forse stiamo esagerando >> .
Infatti se prima i tormentoni , come spiega l'articolo sempre su oggi di Dea Verna sempre su Oggi erano involontari visto che fino a 20\30 anni fa gli artisti pubblicavano brani e se avevano successo diventavano tormentoni ( ed alcuni rimangono nella memoria ancor oggi ) altrimenti finivano nel dimenticatoio salvo essere riscoperti ed riusati per qualche cover . Infatti c'era un meccanismo darwiano solo i brani più forti si 'imponevano ed sopravvivevano ed non erano necessariamente scritte \ composte solo per l'estate perchè erano anche tormentoni quelle che vincevano ma non è detto San remo o simili . Ma soprattutto se venivano composte per l'estate c'era una o più canzone , per tali rassegne Festivalbar e simili . C'erano al massimo due \ tre all'anno e spesso d'alta qualità visto che alcuni sono usati ancora oggi come cover o nella versione originale . Oggi è il contrario , dagli anni novanta è iniziata la standardizzazione della hit, frutto di un "calcolo" determinato da un'industria musicale che si stava trasformando letteralmente in un’industria vera e propria per poi passare dagli anni duemila .
Infatti la formula vincente ora è l’abbinata “vecchia gloria più artisti giovani- di moda-pieni di follower”.
L’estate è appena iniziata, ma già impazza lo strano trio formato da Orietta Berti, Fedez e Achille Lauro con Mille (che poi, diciamolo, a reggere la canzone è il ritornello cantato con voce cristallina da Orietta). A tallonarli, Gianni Morandi e Jovanotti con L’allegria, mentre la premiata ditta Takagi & Ketra con Giusy Ferreri ha già timbrato il cartellino con Shimmy shimmy. Solo per citarne alcuni . C'è quindi una caterva di canzoni\ canzonette spesso , dipende dai gusti , di mediocre ed infima qualità per la maggior parte . Infatti il tormentone lo si fabbrica a tavolino creando appositamente canzoni che dopo una stagione saranno dimenticati ( salvo eccezioni ) si potrebbe dire che se prima Tormentone lo divettava oggi invece Tormentone si nasce . Infatti
A ciascuno il proprio tormentone del cuore… ai posteri l’ardua sentenza: saranno in grado i pezzi di oggi di durare così a lungo nel tempo? Bella domanda, chi può dirlo, di sicuro l’ingente quantitativo di proposte non aiuta, anzi rischia di confondere, depistare e far passare in secondo piano parecchi brani degni di nota. Il mercato musicale estivo negli ultimi anni è sicuramente in crescita dal punto di vista commerciale, l’intera discografia investe più che in passato, i ritorni sono sicuramente importanti, ma non perdiamo di vista il focus, la musica non può essere trattata solo esclusivamente come un’industria. Pensiamo a tutte le canzoni che abbiamo appena citato, hanno funzionato, molte senza alcuna aspettativa, il segreto forse sta proprio in questo. Insomma, gli anni passano ma i tormentoni ben fatti rimangono!
( da https://recensiamomusica.com/viaggio-nella-storia-dei-tormentoni-estivi-dagli-anni-60-ad-oggi )
concludo con lo stesso interrogativo espresso , ho dovuto usare il cattura schermata perchè non riuscivo a copiarlo in altro modo , nella chiusa dell'articolo di Dea Verna su oggi di questa settimana
19.9.19
accettiamo la merda passivamente senza più rimestarla .il caso della cultura oggi
lo so che vi sembrerà un post da nostalgico o jurassico come mi definisce la figlia di mio cugino , ma purtroppo è l'amara realtà le canzoni oggi decenti ( per mantenerci bassi ) o ecellenti si contano sulle punta di una mano . Se anche chi ha enormi potenzialità pur d'aver successo facile fa robaccia Logico che il richiamo alla musica della tua generazione o di quella dei tuoi è ancora molto forte e ti scrivere ed pensare cose simili
mi chiedo ascoltando questa canzone Ma perché queste canzoni non vanno di moda e invece le minchiate ( ovviamnete senza generalizzare , perchè spesso in mezzo alla merda, è che ci siamo disabituati a rimestarla ed accettarla passivamente , posso esserci delle perle o meglio dei fiori perchè dal letame nascono , quanto non è troppo abbondante i fiori ) sono sempre sulla cresta dell'onda? che palle
6.9.16
Gli artisti più cercati dagli italiani su YouTube ci rivelano che popolo siamo Di Virginia W. Ricci
leggi anche
ricollegandomi a quanto dicevo nei mie precedenti articoli ( I II ) che la musica " indie " non ufficiale è molto più bella di quella ufficiale , oltre ad essere un fenomeno carsico che lontano dai media e dale radio ufficiali sforna talenti come esempio Floriana Cangiano
sia a quest'articolo di http://noisey.vice.com/it/ preso da http://www.blog-news.it/
Gli artisti più cercati dagli italiani su YouTube ci rivelano che popolo siamo
L'Italia, si sa, è il regno del belcanto. C'è stato, infatti, un periodo in cui il nostro bellissimo Paese ha dominato, musicalmente parlando. Quell'età dell'oro va più o meno dal Seicento a Pavarotti&Friends, e ancora riusciamo a sentirne gli echi lontani quando guardiamo dritto negli occhiali uno dei componenti della boyband Il Volo. Uscendo da quella comfort zone da amanti della lirica, però, rimane una distesa desolata di vacuità, popolata da questioni spinose tipo i talent show o le serate in discoteca con Gigi D'Ag e Gabry Ponte.
Qualche tempo fa notavo, parlando del fenomeno one-hit-wonder che ha animato le nostre classifiche nei gloriosi anni Zero—anni in cui nella nostra discografia c'era spazio per qualche sparuta novità—che, salvo casi unici come il botto sproporzionato di Calcutta o la rinascita dell'hip hop nostrano, la nostra industria discografica è satura dei soliti quattro o cinque nomi grossi, più o meno sempre gli stessi, che non sembrano voler lasciare spazio a qualcosa di non dico più dignitoso, ma quantomeno nato in un'epoca in cui le comunicazioni non erano affidate al telegrafo.
Un recente thread di Reddit ha confermato, invece, le mie più grosse paure. L'utente baubauciaociao, che ringrazio, ha creato una gif, divisa per regioni, utilizzando i dati raccolti da Google Trend dal 2009 al 2014. Lui stesso ammette che ora Google Trend funziona in maniera un po' diversa, quindi non ha potuto aggiornare la sua ricerca, e di conseguenza la Gif, ma possiamo comunque tirare qualche conclusione a partire dai dati che abbiamo, che evidenziano soltanto il cantante più cercato in assoluto. Se siete in cerca di un'analisi che vada più nel profondo nel tessuto sociologico evidenziando altresì ricerche secondarie, vi rimando a questo articolo di qualche tempo fa ad opera del più bello della linea 74 di Milano, Niccolò Carradori, che dopo quelle sue scottanti scoperte è stato radiato per sempre dal mondo della musica.
Iniziamo quindi la nostra disamina partendo dal lontano 2009, anno in cui ricordo le classifiche furono dominate dal brano "I Gotta Feeling" dei Black Eyed Peas, seguito da "Domani" di artisti Uniti per l'Abruzzo e "Poker Face" di Lady Gaga.
Dicevamo: nel 2009 le classifiche nazionali erano dominate, al terzo posto, da Lady Gaga, ma questo sembrano averlo capito soltanto in Sardegna e Trentino-Alto Adige, non a caso due tra le regioni in cui Gaga è stata più spesso in concerto (Gaga, ammerda, fai contenti i miei connazionali sardi e trentini e passa a trovarli, ogni tanto, loro hanno creduto in te sin dall'inizio). Colpitissimi dalla morte del mitologico Michael Jackson, invece, i pugliesi, i veneti, i liguri e i piemontesi hanno deciso di ricordarlo ancora e ancora, riguardandosi tutti i suoi videoclip. Ma qualcuno qui dovrà essersi accorto che stavamo diventando un po' troppo esterofili, quindi per fortuna sono intervenute le regioni-spina dorsale d'Italia, Lombardia, Emilia Romagna, Umbria e Abruzzo, a ricordarci che puoi guardarti tutti i video americani che vuoi, ma alla fine tornerai sempre dal Blasco. Più romantiche le regioni Marche, Toscana, Lazio, Campania e Sicilia che giustamente decidono di rendere giustizia a Re Tiziano che effettivamente, a fine 2008, aveva tirato fuori il capolavorone Alla Mia Età che ha fatto piangere tutti, ma soprattutto gli amici delle regioni sopracitate. A quanto pare gli amici calabresi, valdostani, basilicatesi (basilichesi?) lucani e molisani non hanno aperto YouTube durante tutto l'anno, forse per un'altra forma di lutto per la scomparsa di Michael Jackson.
Vuoi dirmi che in Italia siamo così masochisti da aver volontariamente cercato su YouTube il "Waka Waka" di Shakira? Ebbene. Tranne Molise e Basilicata che stavano ancora in silenzio stampa, una meravigliosa Calabria che, con un po' di lag, si è unita alle regioni blasche dell'anno precedente, la Sicilia semper fidelis a Tizianone e il Trentino che non abbandona la speranza di vedere, un giorno, la signora Gaga surfare sul lago di Garda—che verrebbe chiaramente per l'occasione ribattezzato Lago di Gaga—tutti gli altri hanno deciso di rovinarsi la vita ancora più del dovuto sottoponendosi a quel brainwash di vuvuzele e sculettamenti dell'inno dei Mondiali di Calcio. Se mi chiedessero di illustrare la tristezza della condizione della musica nel nostro Paese, mostrerei immediatamente questa slide.
Ma chi vogliamo prendere in giro. Il mondiale l'avremo pure perso, ma non abbiamo certo perso la fede nel nostro unico e vero Dio della musica, il Blasco. Il 2011 è decisamente l'anno della reconquista per Vasco Rossi, il cui potere è talmente omnipervasivo che riesce addirittura a risvegliare regioni fino ad allora sopite come Molise e Basilicata. Per la Valle D'Aosta ancora non è il momento di usare Internet. Dal superpotere di Vasco, però, inspiegabilmente riescono a fuggire alcune regioni, tra cui la sua! L'Emilia Romagna, come altre regioni contigue (tranne i lombardi, che nel frattempo avevano "Vita Spericolata" in repeat) si affrancano dal Blasco a cui preferiscono (come dargli torto) la più fresca Rihanna, che in quell'anno in effetti aveva pubblicato il suo album meglio riuscito, Talk That Talk. Qui poi si presenta un caso particolarissimo, una regione, isolata, che dice di NO. Sorprendentemente in controtendenza, la Campania decide di dedicare i propri ascolti a Don Omar—supponiamo per la sua "Danza Kuduro", una reminiscenza del terrore che l'Italia intera, ma che dico, il Globo Terracqueo, aveva dovuto sopportare l'anno prima col "Waka Waka". Campania, perché ti vuoi male?
Attenzione ribaltone: nel 2012 Rihanna si riprende tutto chill' che è o suo, incluso il Molise che, con un gesto da voltagabbana, anziché portare rispetto a Vasco che, ricordiamo, era stato responsabile dell'ingresso di questa regione nelle classifiche YouTube, si concede a Rihanna. Stessa cosa per Sardegna, Liguria, Lombardia, Toscana, Abruzzo e Calabria. Rimangono fedeli al Blasco Lazio, Umbria, Puglia e Basilicata. La Sicilia, romanticona, invece non si stacca da Tiziano, trascinando con sé i colleghi del Regno delle Due Sicilie, i cugini campani, che finalmente mollano i ritmi kuduro e si dedicano alla loro vita sentimentale. Val D'Aosta ancora non pervenuta.
Nel 2013 succede però qualcosa di inaspettato: le regioni d'Italia si frammentano in maniera incomprensibile. Vasco scompare dalle vette delle ricerche, lasciando il posto (in ordine di numero di regioni coinvolte) a P!nk, immagino per il pezzo "Just Give Me a Reason", che conquista Molise, Basilicata, Abruzzo, Umbria, Liguria, Emilia Romagna e Trentino Alto Adige. Secondo classificato Naughty Boy, che ho onestamente dovuto cercare su Internet (allineandomi al trend di queste regioni di tre anni fa, ognuno ha i suoi tempi scusate) scoprendo che in effetti aveva piazzato un bell'asso con la sua "La la la" feat. Sam Smith. Un pezzo che al momento su YouTube conta 736 milioni e passa di visualizzazioni, di cui il 70% credo sia merito degli amici siciliani, stufi una volta per tutto di Tiziano Ferro. Ai tre estremi del triangolo-Italia, Puglia, Sardegna e Friuli Venezia Giulia, svettano incontrastate le Serebro, le spice girls russe che, semplicemente andando in macchina ed essendo gnocche, hanno spodestato il Blasco dai cuori del popolo pugliese. Cos'avranno le Serebro che Vasco non ha. In controtendenza, il Veneto cerca gli One Direction, il Piemonte Fedez e i campani decidono di darsi al Kilometro Zero, promuovendo giustamente l'artista locale Clementino.
Vi ricordate di "Happy"? Ve lo ricordate bene? Ve lo ricordate anche voi amici campani, molisani e calabresi? No perché non mi sembravate attenti l'anno in cui TUTTA ITALIA praticamente ha ascoltato all'unisono, da ogni dispositivo, in continuazione, quell'incubo di pezzo. Fedeli alle proprie radici, i campani spingono un altro artista local, Rocco Hunt, emulati dalle regioni Basilicata e Calabria. Come in quella divertente vignetta che ritrae i Browser, l'Abruzzo rimane col cuore e con il browser, appunto, nel 2011, continuando a perpetrare l'italica tradizione di tenere unicamente Vasco in quel bizzarro motore di ricerca chiamato vita.
Ora vi aspettereste che io tiri qualche conclusione generale sui dati che abbiamo appena analizzato. Dato per assodato che Vasco è ancora (grazie all'Abruzzo) il re indiscusso d'Italia, la regione Abruzzo vince il premio Blasco, rubandolo con un colpo di coda all'Emilia Romagna. I sardi dimostrano di avere carattere e gusti variabili, dato che ogni anno si buttano su un big differente, i campani risultano quelli più coerenti col territorio, la trinacria invece è la regione più amante di Tiziano Ferro, che dovrebbe di conseguenza rivedere il suo rapporto con il Lazio, che dal 2009 in poi gli ha voltato le spalle. Il premio coerenza, invece, va alla Valle D'Aosta che, in tutti questi anni, non ha MAI acceso il computer. Bravi, amici valdostani, il vostro stratagemma vi ha permesso di salvarvi da questa valanga di musica infestante che ha colpito più o meno tutti i vostri connazionali.
Segui Virginia su Twitter: @virginia_W_
La situazione s'evidenza meglio in questo articolo sempre dallo stesso sito
Infatti sempre lo stesso portale afferma a ragione che da circa 30 anni << La musica italiana, si sa, è diventata un po’ una merda. Noisey ha analizzato più volte la situazione, traendone un quadro desolante e desolato in cui i talent hanno preso possesso del mainstream e l’indie non è riuscito a fornire un ricambio generazionale adeguato. Personalmente non sono mai stato molto d’accordo con questa interpretazione, ma ieri ho visto quest’immagine su Facebook e sono stato messo di fronte allo svilimento del panorama musicale italiano in modo ineluttabile. ( ... ) http://noisey.vice.com/it/blog/top-five-1980-2016-crisi-musica-italiana >> Essa contiene un fondo di verità ma ovviamente senza generalizzare perchè ci sono , oltre il revailval anche a livello ufficiale , anche se sempre più rare e quasi estinte, specie dopo la morte eil pensionamento dei grandi cantautori delle eccellenze , . Mentre il discorso cambia se si va a cercare i fenomeni di nicchia e delle indie , cosa che veniva fatta , poi chi sà perchè ( forse dava fastidio alle major italiane o per ignoranza degli alti papaveri che dirigono le radio prubbliche ) , da programmi ormai chiusi come Demo l'Acchiappatalenti o che viene fatta a livello locale da festival come abbabula , dromos in sardegna
19.1.16
«Così la bicicletta mi ha salvato la vita» Il racconto del manager Filippo Mari che ha vinto la depressione aprendo l’agenzia Biko Adventures a Praga. Paola Gianotti 34 anni ciclista d'ivrea in bici fino ad Oslo: "Il Nobel per la Pace 2016 alla bicicletta" La 34enne ciclista di Ivrea,
vi potrebbe interessar e
APPROFONDIMENTI
- Annamaria, mamma coraggio: "Settecento km in bici per i bimbi autistici"
- Il giro del mondo in bicicletta: è l'avventura di Pangea
- Cicloturismo: viaggiare pedalando
Ma è possibile che ogni volta che leggo storie di biciclette , mi debba venire in mente sempre questa canzone
da http://lanuovaferrara.gelocal.it/tempo-libero/ del 17\1\2016
«COSÌ LA BICICLETTA MI HA SALVATO LA...LA STORIA
«Così la bicicletta mi ha salvato la vita»
Il racconto del manager Filippo Mari che ha vinto la depressione aprendo l’agenzia Biko Adventures a Praga
di FILIPPO MARI
Mi chiamo Filippo, sono di Ferrara e questa e la storia di come la bici mi ha salvato la vita. Ho 37 anni, molti dei quali passati godendomi la gioia del vento tra i capelli che solo una bici può dare.
La mia storia comincia con una piccola bicicletta sulle rive del Po dove scavavo trincee andando avanti e indietro mentre i miei genitori grigliavano con amici sulle secche formatesi nel fiume. Più tardi cominciai ad allargare i miei orizzonti ciclistici grazie alla scuola. Abitavo in Porta Mare e il tragitto per andare alla Tasso prima e Ragioneria dopo, percorrendo le mura, era pura avventura. Un giorno mia zia mi regalò la mia prima bici seria, una bici da corsa Bianchi alla quale sono ancora molto affezionato tanto che la espongo in vetrina nel mio negozio di Praga. Fu allora, all'età di 11 anni, che scoprii che la bici non è solo gioie ma anche dolori. Mio padre mi portò ad un raduno organizzato dal Salumificio Estense. Ricordo che nemmeno l'idea della mortadella offerta alla fine del giro riuscì a non farmi pensare al dolore e la fatica dopo i primi 30 chilometri
Gli anni passarono e la bici, come ogni ferrarese che si rispetti, diventò parte della mia vita quotidiana. Non solo per spostamenti di tutti i giorni ma anche per esplorazioni del fine settimana con amici. Baura, Cona, Tamara suonavano a noi come paesi esteri da scoprire.
La domenica si andava alla Spal con la ragazza seduta sul cannone. Erano i tempi di G.B. Fabbri ed era uno spettacolo vedere confluire tutte quelle bici la domenica allo stadio.
Fu durante il servizio militare fatto sul Lago di Garda che mi innamorai di sentieri sterrati e pendenze e mi venne la febbre per la mountain bike. Al mio ritorno cominciai a lavorare come responsabile al Bennet e ogni sabato sera, dopo aver chiuso l'ipermercato, mi lanciavo al vicino casello Ferrara Nord con l'amico di avventure Ivo e ce ne andavamo sul Garda, Cortina o qualche altro bel posto in montagna dove potersi ubriacare di mountain bike.
Più tardi mi resi conto che quelle brevi fughe nel fine settimana non erano più sufficienti così mi trasferii a Trento per lavorare nella mia prima multinazionale. Fu un periodo fantastico e prima di decidere di mollare tutto e viaggiare, diventai forte in bici.
Proprio all'apice della mia “carriera” ciclistica decisi di licenziarmi e passare un paio d'anni in giro per il mondo per fare una bella esperienza ma soprattutto per imparare l'inglese che avevo capito essere molto importante per il tipo di vita che sognavo, o che almeno credevo di sognare, il manager.
Al mio ritorno dall'Australia entrai in un’altra multinazionale che mi mandò a vivere a sud delle Marche dove ci sono bellissime montagne e l'amore per la bici, mai estinto, tornò più forte che mai e decisi di celebrare con un gran giro attraverso l'Europa. All'ultimo minuto un mio caro amico decise di aggregarsi ma non essendo abbastanza allenato per il viaggio che avevo in mente decidemmo di cambiare itinerario, fu un evento cruciale che influenzò tutto il resto della mia vita a venire.
Partimmo da Ferrara in direzione Praga attraversando Slovenia e Austria. Il giorno prima di arrivare a Praga ci fermammo per la notte in una bellissima cittadina medievale chiamata Tabor dove incontrai Denisa, la mia futura moglie. Da quel momento cominciò un periodo di innumerevoli viaggi avanti e indietro che mi permise di immergermi nella cultura e lo stile di vita dell'Europa Centrale. Nel contempo la mia carriera nel marketing andava benissimo portandomi a trasferirmi ogni anno in un posto diverso. Perugia, Firenze e Roma sono alcuni esempi.
In un batter d'occhio mi ritrovai trentenne e nella crisi più nera. Mi sentivo triste e senza energie. Avevo messo su 12 chili. Della bici neanche l'ombra. Lavoravo tantissimo per una causa alla quale non credevo e sapevo che sarei avanzato di carriera e ciò mi avrebbe spinto ancora più vicino al baratro. Cominciai a non dormire e a soffrire di ansia. Mi svegliavo la mattina senza nessun entusiasmo. Qualche dottore che visitai mi definì depresso.
Circondato da una crisi economica mondiale, che gridava di tenersi stretto quello che si aveva, mi licenziai per ricominciare tutto da capo. Decisi di prendermi un anno sabbatico e trasferirmi a Praga, dove tra l'altro il costo della vita è inferiore all'Italia. Mia moglie cominciò a lavorare all'Università mentre io cercavo di capire cosa fare nella vita.
Fu allora che feci della bicicletta la mia medicina. Ricominciai a pedalare ogni giorno cercando di rimettermi in forma. Presto mi resi conto quanto i dintorni di Praga siano ideali per la mountain bike. Già a 15 minuti dal centro ci sono sentieri di tutti i livelli con pendenze dignitose e fantastici panorami. Un giorno, tornato da un giro esaltante caratterizzato da viste mozzafiato e discese con il Ponte Carlo sullo sfondo, mi fiondai su Google e, con il fiato sospeso, digitai “mountain bike tours Prague”. Niente. Niente! Solo agenzie che offrivano tour in bici del centro storico che peraltro, purtroppo, non credo siano il meglio che si possa fare a Praga per via del traffico, dei tram e del porfido. Possibile che nessuno ci abbia pensato visto che fuori dal centro storico Praga è un paradiso per la bici? In quel momento capii di aver trovato la mia strada, anzi, il mio sentiero.
Dopo aver frequentato svariate località per mountain bike intuii il potenziale di Praga ma chiaramente i dubbi c'erano visto che nessuno lo aveva fatto prima. Sondai allora il terreno con amici e conoscenti. Tutti quelli con cui parlai della mia idea mi dissero che non avrebbe mai funzionato perchè nessuno viene a Praga per fare mountain bike o bici da corsa. Tutti tranne mia moglie la quale mi supportò nell'inseguire il mio sogno.
Dopo una breve analisi capii che non avevamo abbastanza fondi per cominciare un'azienda in maniera tradizionale ovvero pubblicità, negozio, grande flotta di bici, qualche impiegato. Tutto questo non mi scoraggiò. Mi dissi che quella era la prima vera prova per dimostrare di essere bravo nel marketing. Studiai tutto inverno come farmi da solo un sito web dove pubblicai i primi tour che avevo tracciato. Disegnai, con il continuo supporto artistico di Denisa, i volantini e il logo e tutti i materiali di cui avevamo bisogno. Cominciai a promuovere l'azienda a più non posso. Fu in quel periodo che mi guadagnai l'appellativo di “uomo del rinascimento”. Non si possono offrire tour in mountain bike con bici scadenti ma bici di qualità costano tanto. Fu allora che tre dei miei più cari amici di Ferrara mi comprarono tre biciclette di qualità di diverse misure che avrei ripagato poi nei successivi anni. Un altro amico di Praga mi permise di usare la cantina del suo negozio di tatuaggi come punto di partenza per i tour ad un prezzo simbolico. Tutto era pronto. Chiamammo la nostra agenzia BIKO Adventures. BI come le prime due lettere di bicicletta e KO come le prime due lettere di kolo, bici in ceco. Correva il maggio 2011 quando i primi clienti bussarono alla porta, una coppia di Inglesi.
Il primo tour fu un successo e così il secondo e il terzo e così via. Il primo anno di Biko non mi diede da vivere così sbarcai il lunario insegnando italiano e facendo consulenze di marketing grazie a qualche conoscenza che mi portavo dietro dalla vita passata. Sebbene pochi, furono però i primi clienti soddisfatti che mi diedero l'energia di continuare e di credere nel progetto. Fu la scelta giusta.
Nel 2015 abbiamo avuto la nostra 5ª stagione e abbiamo messo in bicicletta più di 1300 persone. Abbiamo 40 bici nel garage. Svariati giornali e riviste hanno parlato di noi incluso il National Geographic. Siamo presenti in quattro sezioni della Lonely Planet e siamo una delle migliore aziende del turismo a Praga secondo Trip Advisor.
Il nostro team è formato da 14 fantastiche guide. Abbiamo un bel negozio costruito da noi con legno riciclato. Siamo supportati da Giant, il più grande produttore di bici al mondo e sono sponsorizzato dal marchio scozzese Endura che da due anni mi veste da testa a piedi. Abbiamo allargato il nostro portfolio e offriamo anche sci, hiking e corsa. Le nostre magliette, relative alla cultura della bicicletta che ho disegnato come progetto secondario, hanno avuto un successo strepitoso vendendo più di 2000 pezzi. Non è stato facile ma ce l'abbiamo fatta.
Oggi sono felice ed in ottima forma. La bicicletta mi ha salvato la vita.
Mi chiamo Filippo, sono di Ferrara e questa e la storia di come la bici mi ha salvato la vita. Ho 37 anni, molti dei quali passati godendomi la gioia del vento tra i capelli che solo una bici può dare.
La mia storia comincia con una piccola bicicletta sulle rive del Po dove scavavo trincee andando avanti e indietro mentre i miei genitori grigliavano con amici sulle secche formatesi nel fiume. Più tardi cominciai ad allargare i miei orizzonti ciclistici grazie alla scuola. Abitavo in Porta Mare e il tragitto per andare alla Tasso prima e Ragioneria dopo, percorrendo le mura, era pura avventura. Un giorno mia zia mi regalò la mia prima bici seria, una bici da corsa Bianchi alla quale sono ancora molto affezionato tanto che la espongo in vetrina nel mio negozio di Praga. Fu allora, all'età di 11 anni, che scoprii che la bici non è solo gioie ma anche dolori. Mio padre mi portò ad un raduno organizzato dal Salumificio Estense. Ricordo che nemmeno l'idea della mortadella offerta alla fine del giro riuscì a non farmi pensare al dolore e la fatica dopo i primi 30 chilometri
Gli anni passarono e la bici, come ogni ferrarese che si rispetti, diventò parte della mia vita quotidiana. Non solo per spostamenti di tutti i giorni ma anche per esplorazioni del fine settimana con amici. Baura, Cona, Tamara suonavano a noi come paesi esteri da scoprire.
La domenica si andava alla Spal con la ragazza seduta sul cannone. Erano i tempi di G.B. Fabbri ed era uno spettacolo vedere confluire tutte quelle bici la domenica allo stadio.
Fu durante il servizio militare fatto sul Lago di Garda che mi innamorai di sentieri sterrati e pendenze e mi venne la febbre per la mountain bike. Al mio ritorno cominciai a lavorare come responsabile al Bennet e ogni sabato sera, dopo aver chiuso l'ipermercato, mi lanciavo al vicino casello Ferrara Nord con l'amico di avventure Ivo e ce ne andavamo sul Garda, Cortina o qualche altro bel posto in montagna dove potersi ubriacare di mountain bike.
Più tardi mi resi conto che quelle brevi fughe nel fine settimana non erano più sufficienti così mi trasferii a Trento per lavorare nella mia prima multinazionale. Fu un periodo fantastico e prima di decidere di mollare tutto e viaggiare, diventai forte in bici.
Proprio all'apice della mia “carriera” ciclistica decisi di licenziarmi e passare un paio d'anni in giro per il mondo per fare una bella esperienza ma soprattutto per imparare l'inglese che avevo capito essere molto importante per il tipo di vita che sognavo, o che almeno credevo di sognare, il manager.
Al mio ritorno dall'Australia entrai in un’altra multinazionale che mi mandò a vivere a sud delle Marche dove ci sono bellissime montagne e l'amore per la bici, mai estinto, tornò più forte che mai e decisi di celebrare con un gran giro attraverso l'Europa. All'ultimo minuto un mio caro amico decise di aggregarsi ma non essendo abbastanza allenato per il viaggio che avevo in mente decidemmo di cambiare itinerario, fu un evento cruciale che influenzò tutto il resto della mia vita a venire.
Partimmo da Ferrara in direzione Praga attraversando Slovenia e Austria. Il giorno prima di arrivare a Praga ci fermammo per la notte in una bellissima cittadina medievale chiamata Tabor dove incontrai Denisa, la mia futura moglie. Da quel momento cominciò un periodo di innumerevoli viaggi avanti e indietro che mi permise di immergermi nella cultura e lo stile di vita dell'Europa Centrale. Nel contempo la mia carriera nel marketing andava benissimo portandomi a trasferirmi ogni anno in un posto diverso. Perugia, Firenze e Roma sono alcuni esempi.
In un batter d'occhio mi ritrovai trentenne e nella crisi più nera. Mi sentivo triste e senza energie. Avevo messo su 12 chili. Della bici neanche l'ombra. Lavoravo tantissimo per una causa alla quale non credevo e sapevo che sarei avanzato di carriera e ciò mi avrebbe spinto ancora più vicino al baratro. Cominciai a non dormire e a soffrire di ansia. Mi svegliavo la mattina senza nessun entusiasmo. Qualche dottore che visitai mi definì depresso.
Circondato da una crisi economica mondiale, che gridava di tenersi stretto quello che si aveva, mi licenziai per ricominciare tutto da capo. Decisi di prendermi un anno sabbatico e trasferirmi a Praga, dove tra l'altro il costo della vita è inferiore all'Italia. Mia moglie cominciò a lavorare all'Università mentre io cercavo di capire cosa fare nella vita.
Fu allora che feci della bicicletta la mia medicina. Ricominciai a pedalare ogni giorno cercando di rimettermi in forma. Presto mi resi conto quanto i dintorni di Praga siano ideali per la mountain bike. Già a 15 minuti dal centro ci sono sentieri di tutti i livelli con pendenze dignitose e fantastici panorami. Un giorno, tornato da un giro esaltante caratterizzato da viste mozzafiato e discese con il Ponte Carlo sullo sfondo, mi fiondai su Google e, con il fiato sospeso, digitai “mountain bike tours Prague”. Niente. Niente! Solo agenzie che offrivano tour in bici del centro storico che peraltro, purtroppo, non credo siano il meglio che si possa fare a Praga per via del traffico, dei tram e del porfido. Possibile che nessuno ci abbia pensato visto che fuori dal centro storico Praga è un paradiso per la bici? In quel momento capii di aver trovato la mia strada, anzi, il mio sentiero.
Dopo aver frequentato svariate località per mountain bike intuii il potenziale di Praga ma chiaramente i dubbi c'erano visto che nessuno lo aveva fatto prima. Sondai allora il terreno con amici e conoscenti. Tutti quelli con cui parlai della mia idea mi dissero che non avrebbe mai funzionato perchè nessuno viene a Praga per fare mountain bike o bici da corsa. Tutti tranne mia moglie la quale mi supportò nell'inseguire il mio sogno.
Dopo una breve analisi capii che non avevamo abbastanza fondi per cominciare un'azienda in maniera tradizionale ovvero pubblicità, negozio, grande flotta di bici, qualche impiegato. Tutto questo non mi scoraggiò. Mi dissi che quella era la prima vera prova per dimostrare di essere bravo nel marketing. Studiai tutto inverno come farmi da solo un sito web dove pubblicai i primi tour che avevo tracciato. Disegnai, con il continuo supporto artistico di Denisa, i volantini e il logo e tutti i materiali di cui avevamo bisogno. Cominciai a promuovere l'azienda a più non posso. Fu in quel periodo che mi guadagnai l'appellativo di “uomo del rinascimento”. Non si possono offrire tour in mountain bike con bici scadenti ma bici di qualità costano tanto. Fu allora che tre dei miei più cari amici di Ferrara mi comprarono tre biciclette di qualità di diverse misure che avrei ripagato poi nei successivi anni. Un altro amico di Praga mi permise di usare la cantina del suo negozio di tatuaggi come punto di partenza per i tour ad un prezzo simbolico. Tutto era pronto. Chiamammo la nostra agenzia BIKO Adventures. BI come le prime due lettere di bicicletta e KO come le prime due lettere di kolo, bici in ceco. Correva il maggio 2011 quando i primi clienti bussarono alla porta, una coppia di Inglesi.
Il primo tour fu un successo e così il secondo e il terzo e così via. Il primo anno di Biko non mi diede da vivere così sbarcai il lunario insegnando italiano e facendo consulenze di marketing grazie a qualche conoscenza che mi portavo dietro dalla vita passata. Sebbene pochi, furono però i primi clienti soddisfatti che mi diedero l'energia di continuare e di credere nel progetto. Fu la scelta giusta.
Nel 2015 abbiamo avuto la nostra 5ª stagione e abbiamo messo in bicicletta più di 1300 persone. Abbiamo 40 bici nel garage. Svariati giornali e riviste hanno parlato di noi incluso il National Geographic. Siamo presenti in quattro sezioni della Lonely Planet e siamo una delle migliore aziende del turismo a Praga secondo Trip Advisor.
Il nostro team è formato da 14 fantastiche guide. Abbiamo un bel negozio costruito da noi con legno riciclato. Siamo supportati da Giant, il più grande produttore di bici al mondo e sono sponsorizzato dal marchio scozzese Endura che da due anni mi veste da testa a piedi. Abbiamo allargato il nostro portfolio e offriamo anche sci, hiking e corsa. Le nostre magliette, relative alla cultura della bicicletta che ho disegnato come progetto secondario, hanno avuto un successo strepitoso vendendo più di 2000 pezzi. Non è stato facile ma ce l'abbiamo fatta.
Oggi sono felice ed in ottima forma. La bicicletta mi ha salvato la vita.
da http://www.today.it/green/mobilita/del 18\1\2016
Paola Gianotti in bici fino ad Oslo: "Il Nobel per la Pace 2016 alla bicicletta"
La 34enne ciclista di Ivrea, reduce dal Giro del mondo in bicicletta è già partita da Milano; arrivo previsto a destinazione il prossimo 29 gennaio
frame tratto da questo video https://youtu.be/0rXs8UfqfZs |
A chi assegnare il premio Nobel per la pace 2016? Alla bicicletta. A non avere dubbi che sia questa la risposta giusta e a lanciare la speciale candidatura è Caterpillar, il programma di Rai Radio2 condotto da Massimo Cirri e Sara Zambotti. Tanti i motivi per cui il mezzo a due ruote più usato del mondo meriterebbe questa occasione: "non causa guerre, non inquina, riduce di molto gli incidenti stradali, elimina le distanze tra i popoli, è uno strumento di crescita per l'infanzia e, in passato, è stata usata dai movimenti di liberazione e resistenza di molti paesi.
Le firme raccolte a sostegno della candidatura ufficiale al Nobel per la pace alla bicicletta sono già tante e a portarle ad Oslo sarà Paola Gianotti, la 34enne ciclista di Ivrea, reduce dal Giro del mondo in bicicletta in cui ha percorso 25 paesi in 144 giorni. Gianotti è partita il 16 gennaio da Milano e dovrebbe arrivare a Oslo venerdì 29 dopo un percorso di 2000 chilometri. Ad oggi, il Nobel non si può dedicare a un oggetto, quindi la candidatura è stata intestata alla squadra femminile della Federazione Ciclistica dell'Afghanistan.
Iscriviti a:
Post (Atom)
«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur
corriere della sera tramite msn.it \ bing Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...
-
https://www.cuginidicampagna.com/portfolio-item/preghiera/ Una storia drammatica ma piena di Amore.Proprio come dice la canzone Una stor...
-
Come già accenbato dal titolo , inizialmente volevo dire Basta e smettere di parlare di Shoah!, e d'aderire \ c...
-
Aveva ragione de Gregori quando cantava : un incrocio di destini in una strana storia di cui nei giorni nostri si è persa la memor...